L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
“Col bavaglio alla stampa”! Così si inaugurò, fra manganelli e olio di ricino, nell’ormai lontano 1922, l’era dei Fasci, ossia quello che oggi, a buon diritto, forse, è unanimemente riconosciuto come il periodo più infausto della storia di tutti i tempi non fosse altro che per le nefaste conseguenze prodotte su tutti i livelli della scala umana e sociale. Laddove lo stesso Mussolini inneggiando alla libertà di stampa al grido di “Ora la Stampa è libera”, ne decretava, in verità, la totale sottomissione e l’indiscusso asservimento all’unica causa che era consentito perorare all’interno di un regime totalitario, ossia la propaganda di Stato. Oggi, a distanza di un secolo esatto, la storia si ripete secondo la nota modalità che il grande Vico ci ha insegnato… Il bavaglio di memoria fascista, nell’era del virus, si è rivelato nella sua epifania mistica, in quella “transustanziazione” che gli ha fatto assumere le sembianze della tanto decantata e osannata Mascherina alla quale va riconosciuto, parimenti all’altrettanto decantato, distanziamento sociale, il merito di averci isolato nel chiuso e angusto perimetro delle nostre esistenze (monadi senza finestre!), altresì gravati da un’incomunicabilità che è mimica ancorchè verbale, privandoci e negandoci la possibilità di qualsivoglia rapporto umano che è il preludio necessario per la vita di relazione che, com’è noto dalla notte dei tempi, contraddistingue l’uomo dagli altri esseri. Scrive Aristotele: “Chi è sufficiente a se stesso o è bestia o è dio”.
Grazie ad una pandemia che, se non costruita ad arte, quantomeno, ad arte, è stata sfruttata, lo “ius narrandi” patisce e soffre ancora oggi di quell’antico male che lo vuole imprigionato nel profondo buio di una caverna platonica da dove, confusamente, si scorgono delle ombre, più o meno decifrabili, ma pur sempre ombre!
A quattro mesi esatti dalla dichiarazione dello stato di pandemia da parte dell’OMS che proprio oggi ha ribadito il prolungarsi dello stato d’eccezione, disponiamo del relativo e sufficiente margine di tempo trascorso per potere riflettere sulla recente emergenza. Atipica e letale non tanto e non solo per la mortalità causata (i dati e i fatti sono ancora tutti da accertare e verificare), quanto soprattutto per la contorta e controversa “informazione” che di essa è stata fatta, dopo aver infettato l’immaginario collettivo, l’epidemia si è occupata di diffondersi nella realtà quotidiana grazie soprattutto al delirio psicotico che ha suscitato. E quand’anche volessimo dubitare della possibilità di una situazione creata ad arte per fini non meglio identificati ma facilmente intuibili (relegando tale possibilità appunto al limbo delle buone intenzioni) rimane tuttavia aperto uno spiraglio (o un varco forse!) che ci fa ben pensare che nella ferita infetta causata dall’invisibile virus un altro virus altrettanto invisibile e decisamente più pericoloso si sia insediato provocando una malsana cicatrice. Strumentalizzata sin dal suo primo nascere, altresì animata e nobilitata da sentimenti filantropici e finezze di pensiero a cui la nostra classe politica dirigente non ci ha di certo abituato, consapevoli che nessuno può essere il detentore della verità, lungi dal volere arrogarsene l’arbitrio, rimangono comunque il diritto e il dovere inviolabili della domanda che, di questi tempi, suona quasi come un interrogativo categorico. “Quali effetti ha prodotto e sta producendo la modalità di gestione dell’emergenza da parte del Governo e del tanto osannato Comitato scientifico”?
Non siamo forse alle porte di una nuova era di repressione? Con le stesse paradossali dinamiche di fondo, l’era del giornalismo digitale, nasce con il preciso scopo di garantire una più vasta ed articolata fruizione dell’informazione ma ha poi progressivamente deviato dalla sua funzione originaria diventando fenomeno gestito dall’intelligenza artificiale che organizza, sulla base di algoritmi sapientemente studiati, il controllo dell’informazione stessa. Perché è proprio sul controllo dell’informazione e sui suoi mezzi che si articola il potere di un governo autocratico e autoritario al fine di garantirsi il favore dell’opinione, secondo un tacito patto di mutua e reciproca assistenza che lega il governo ai mezzi di informazione. E se ciò non avviene spontaneamente si ricorre a qualunque mezzo pur di uniformare l’opinione al cosiddetto pensiero unico dell’altrettanto cosiddetto politicamente corretto. Eredi infelici di un secolo che ha messo in discussione il concetto stesso di verità, minandone le fondamenta persino in sede teoretica, siamo nient’altro che quel gregge, effettivamente immunizzato, che subisce la volontà di chi, dallo stabilire cosa sia notiziabile e cosa no, brevemente, è passato a decidere cosa sia vero e cosa no. Per tutti! Pena la scomunica a suon di click per chi non volesse uniformarsi al dogma del clero giornalistico e dei suoi rispettabili e rispettati prelati.
Nel mondo digitale e digitalizzato non occorre ricorrere alla forza per sopprimere qualunque contenuto ritenuto sconveniente o non funzionale alla logica e all’economia della classe politica dirigente. In maniera del tutto indolore (e asintomatica per usare un termine in voga!) le principali piattaforme social, dagli attici in cui si consuma l’informazione pilotata di un giornalismo inquinato che è quello digitale, hanno cominciato a cancellare gli account di attivisti e organizzazioni che mostravano posizioni contrarie alla narrativa ufficiale. Per i ribelli e gli eretici è stato appositamente coniato un “marchio” che, negli ultimi mesi, è addirittura esploso come fenomeno, le “fake news”. E’ ovvio che la libertà di espressione vista come lecito diritto non esime certo il giornalista dal rispetto della sostanziale veridicità dei fatti. Esiste un diritto ad informare e un diritto ad essere informati. Ma rendere consueto uno stato d’eccezione solo per far sì che ciò che prima non era pensabile ora è addirittura possibile significa ledere il diritto umano alla libertà minandolo nelle sue fondamenta.
Quello che segue è il grafico che mostra come il CoVid sta minacciando la libertà di stampa a livello mondiale.
Il 14 luglio ricorre l’anniversario della presa della Bastiglia…in fondo è da quel giorno che siamo nati e da qui magari auspichiamo di potere rinascere!