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I vegetariani e la carne: lettera aperta al direttore de IL FOGLIO

AL DIRETTORE DE IL FOGLIO, CLAUDIO CERASA

 

Un vergognoso articolo in prima pagina sul “Il Foglio” di sabato 12 e domenica 13 marzo a firma di Camillo Langone il quale condanna aspramente la

scelta vegan come una tendenza che mette in pericolo le tradizioni culinarie. Per Langone la carne è libertà di espressione, è tradizione e cultura e ognuno deve essere libero di mangiare quello che vuole (ammesso che riesca a mettere da parte la sua coscienza e dimostrare di conoscere gli effetti prodotti di tale primordiale, cruenta, disumana e lesiva abitudine).

In simili reazioni c’è la palese paura che qualcosa o qualcuno possa influire sulle innovazioni fino a rischiare di sottrarre un piacere al quale non si vorrebbe rinunciare, a costo di un cancro, quando non c’è la pressione delle lobby agro zootecniche alimentari di veder ridotti i loro lucrosi guadagni; senza pensare che ad ogni eventuale macelleria che chiude si apre inevitabilmente un negozio di frutta e verdura, a beneficio non solo della salute umana, degli animali, della coscienza, dell’ambiente, dell’economia e, non per ultimo, della fame nel mondo.

Ma si sa, la cultura vegan è per menti più aperte, è per coscienze più vaste, responsabili e lungimiranti, non è per i nostalgici della violenza, del sangue e dei campi di sterminio (leggi mattatoi).

Dopo la dichiarazione di cancerogenicità della carne da parte dell’OMS sostenere, invogliare a consumare carne ci si rende responsabili di tentato  genocidio. Ma si rassegni Camillo Langone, la sua visione delle cose appartiene allo stato di primordiale esistenza dell’umano, il tempo in cui per vivere si imitavano gli animali predatori, uno stato di necessità che però ha reso l’animo umano insensibile al dolore del prossimo, che lo ha abituato alla  soppressione dell’altro, all’indifferenza verso la sofferenza altrui, al disprezzo della vita in senso lato: da allora gli umani pagano le terribile conseguenze con la violenza, le guerre, le malattie. Si rassegni Langone, l’evoluzione dell’intelligenza e dalla coscienza umana è una realtà inarrestabile e tra non molto, tutti guarderanno con orrore a chi considerava normale, giusto e lecito uccidere animali e mangiarseli cucinati.

Langone è tra quelli che prendono dalla Bibbia solo ciò che serve a giustificare le proprie visioni (ed è per questo che nel corso della storia la religione cattolica si è macchiata di crimini inenarrabili) tralasciando, per es. il fatto che in Gen. 1,29 Dio dà un preciso comando ad essere vegetariani: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e ogni albero in cui è frutto…saranno il vostro cibo…” e che Gesù nell’Evangelo della Pace secondo l’apostolo Giovanni delle chiese cristiane d’Oriente (originale in aramaico del 3° sec. d.C. Bibl. Vat. 156-P) afferma: “Io in verità colui che uccide uccide se stesso e colui che mangia la carne degli animali abbattuti mangia un corpo di morte. Io vi chiederò conto del loro sangue spumeggiante, il loro sangue nel quale dimora l’anima. Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso”. Dimentica che il Padreterno, deluso della malvagità umana, autorizza gli umani non solo a mangiare animali ma a scannarsi a vicenda nelle successive guerre di conquista. Dimentica che probabilmente alcune parti dei Vangeli non riportano il vero pensiero di Cristo dal momento che “…non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo…” contamina è come l’uomo dal momento che contamina non solo il suo corpo ma la sua mente e la sua coscienza. Ma lui si sente cristiano perché la sua religione lo autorizza e lo assolve da qualunque violenza nei confronti del mondo animale.

Ci ripensi il Direttore a dare spazio nel suo Giornale ad articoli così insensati e contro l’evoluzione civile, morale e spirituale delle nuove generazioni. E in attesa di un contro/ articolo, se non altro per spirito di democrazia e par condition da parte della cultura vegan, mi asterrò di acquistare il suo giornale e inviterò amici e parenti a fare altrettanto.

 

Franco Libero Manco

 

Giù le mani dal mio piatto! Manifesto della libertà di alimentazione

 

Ogni persona mangiando esprime quello che è e ciò a cui appartiene. Dobbiamo difenderci dallo stato dietista che vieta cibi per compiacere vegani,  animalisti e burocrati di Bruxelles: c’è in gioco la nostra libertà di <http://www.ilfoglio.it/camillo-langone___3-f-fa-46_c150.htm> Camillo

Langone | 12 Marzo 2016 ore 06:18

 

La libertà di alimentazione è il pezzo più gustoso della libertà di espressione. Io mangiando l’agnello pasquale esprimo il mio essere cristiano, mangiando pesto di cavallo esprimo il mio essere parmigiano, bevendo vino esprimo il mio legame con la terra che prima di chiamarsi Italia si chiamò Enotria, e   quando riesco a mettere le mani su una bottiglia di vero assenzio ecco che posso esprimere appieno il mio discepolato verso Baudelaire. E’ un discorso che vale per millanta ingredienti e tante appartenenze: chi mangia tofu esprime il suo vegetarianesimo, chi compra cibi halal esprime il suo islamismo, chi beve il caffé del commercio equosolidale esprime il suo comunismo, chi ordina Martini Cocktail esprime il suo bondismo, e potrei andare avanti a lungo. Dispensa e frigorifero mi descrivono quanto la libreria, fra gli scaffali di cucina e quelli dello studio ci sono nessi evidenti, lì c’è il Lambrusco e qui  Guareschi, lì la ricotta forte e qui Scotellaro, lì i ceci e qui Orazio, lì la piadina e qui Pascoli, lì il foie gras e qui Dumas… Mettere all’indice un cibo equivale a

mettere all’indice un libro con la differenza che di libri proibiti quasi non ne esistono più (in Germania hanno appena rimesso in circolazione il “Mein kampf”) mentre la lista dei cibi ufficialmente o ufficiosamente vietati si allunga di continuo.

Dei tanti elementi che costituiscono la libertà di espressione, la libertà di alimentazione è l’unico universalmente accessibile: pochi sono capaci di scrivere un romanzo, di dipingere un quadro, di comporre una canzone, di girare un film, tutti invece sono capaci di mangiare. Pertanto i continui attentati alla libertà di alimentazione sono perfino più gravi di quelli alla libertà di espressione comunemente intesa. Sono più classisti: un colto può consolarsi  leggendo Grimod de La Reynière o Anthony Bourdain, un ricco può prendere l’aereo e cenare in un paese libero anche dal punto di vista alimentare, ad esempio il Giappone, mentre chi non possiede né soldi né cultura deve adattarsi senza fiatare ai cibi permessi dallo stato dietista.

C’è in giro voglia di stato impiccione, di stato etico, seguendo una parabola che va da Hegel a Debora Serracchiani, dal filosofo per cui “lo Stato è la realtà dell’idea etica, i singoli hanno il dovere supremo di appartenere allo Stato” alla presidentessa secondo la quale “noi non possiamo pensare solo all’economia ma abbiamo il dovere morale di pensare anche alla crescita morale di questo paese”. Alle menti servili non dispiace, anzi, che conti correnti e menù vengano monitorati dall’alto, e le menti servili pullulano ovunque, come si evince dal fatto che la censura alimentare non conosce destra e sinistra: la lunga, ingombrante presenza nel partito berlusconiano della pasionaria animalista Michela Vittoria Brambilla, nemica della ricerca scientifica e autrice di proposte di legge per vietare il consumo di cavallo e coniglio (due anni di carcere ai trasgressori), dimostra che la libertà non è di questo liberalismo.

 

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<http://www.ilfoglio.it/articoli/2016/03/08/nella-mente-a-km-zero___1-v-1391 90-rubriche_c301.htm> Nella mente a km zero <http://www.ilfoglio.it/scienza/2016/03/11/vegani-evolvetevi-uno-studio-di-nature-spiega-che-senza-carne-siamo-scimmie___1-v-139283-rubriche_c122.htm>

Vegani, evolvetevi! Uno studio di Nature spiega che senza carne siamo scimmie. La libertà di alimentazione è un pezzo della libertà di cultura, proibire un ingrediente per compiacere le signore vegane o i burocrati di Bruxelles è come coprire una statua classica per compiacere un teocrate iraniano. Un  grande critico gastronomico spagnolo, Rafael García Santos, ha colto nel segno con questa doppia, felice definizione: “L’alta cucina è arte creativa e la cucina tradizionale è cultura”. Entrambe le facce della medaglia gastronomica meritano pertanto di essere difese dai braghettoni, dai liberticidi, e nelle costituzioni di tutto il mondo abbondano gli articoli che sembrano scritti all’uopo. Ma la Carta non serve finché non diventa carne. Secondo la Costituzione italiana “l’arte e la scienza sono libere”, inoltre “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura”, e sono espressioni finanche eccessive perché  basterebbe che la Repubblica non ostacolasse coi suoi innumerevoli lacci e lacciuoli il lavoro dei produttori e dei ristoratori, e che non omettesse di difendere dalla violenza animalista i cuochi come Cracco che insistono a cucinare il piccione. Si capisce che i proibizionisti alimentari non minano soltanto la tradizione, il patrimonio identitario costituito da ricette avite e riti della tavola, ma pure l’innovazione. Quando Bottura tirò fuori dal cilindro le uova

embrionali ebbi paura per lui, temetti una visita dei Nas che poi arrivarono davvero anche se per altro motivo: i carabinieri del Nucleo antisofisticazioni, che forse avevano perso gli indirizzi dei ristoranti cinesi, proprio da lui cercarono additivi venefici. Naturalmente non trovarono nessun veleno e non riuscirono a multarlo ma intanto avevano scatenato le televisioni e i coglioni: Bottura usa additivi! Certo, usava e probabilmente usa ancora l’agar agar, addensante ricavato dalle alghe, più pacifico della colla di pesce usata dalla nonna per rendere consistente la panna cotta.

La libertà di alimentazione è ovviamente un pezzo della libertà di culto, non esiste religione vecchia o nuova che non si nutra di prescrizioni alimentari, salvo l’unica vera religione il cui fondatore così parlò: “Non ciò che entra nella bocca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l’uomo!”. Impuri sono dunque i moralismi vegani a cui nessun cristiano deve piegarsi perché Cristo, modello perfetto, era onnivoro: a Pasqua mangiò agnello e dopo la resurrezione, a Emmaus, ebbe voglia di pesce arrosto. Impuri e impostori, come scrive san Paolo nella prima lettera a Timoteo:  “Impostori imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creato per essere mangiati. Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi”. L’ortoressia, che è l’ossessione, ammalante, per il nutrizionalmente corretto, occupa gli spazi lasciati vuoti dall’ortodossia. Colpa dei preti che parlano di tutto l’opinabile ma non dell’indiscutibile liberazione dai tabù alimentari realizzata da Cristo, e molto di rado ricordano l’oppressione che il cristianesimo subisce nei paesi dove i proibizionisti alimentari hanno il potere assoluto, come l’Arabia Saudita in cui il possesso di vino implica arresti e frustate e dunque l’eucarestia è illegale. Non lo dicono i preti, non lo dice nessuno, bisogna pertanto dirlo qui: animalisti e wahabiti hanno qualcosa in comune, il medesimo vizio di mettere le mani nel piatto e nel bicchiere altrui.

La libertà prima che un diritto è un dovere, ci ha insegnato Oriana Fallaci, quindi abbiamo il dovere di non sottometterci ai politici e ai fanatici che vogliono imporci il loro credo alimentare. L’inviolabilità del domicilio fissata nell’articolo 14 della Costituzione va estesa al frigorifero, a tavola ogni uomo dev’essere libero di ubbidire a Dio (“Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo”, Genesi 9,3) o al proprio edonismo, e se la gola è un vizio va considerata materia di confessione e non di legislazione.

Resistere ai proibizionisti alimentari è indispensabile per salvare la tradizione dalla completa distruzione e l’innovazione dalla metastasi normativa, per difendere gli artigiani, gli agricoltori, i distillatori, gli allevatori, le identità nazionali, regionali e comunali, gli orti, i macelli, le cantine, le malghe, le trattorie, i laboratori, la varietà dei sapori e dei piaceri, la dignità e lo statuto dell’uomo.

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Last modified on Friday, 18 March 2016 23:18
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