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Nei confronti di papa Francesco, finiamo troppo spesso per trovarci di fronte a giudizi di carattere prevalentemente epidermico, che tendono ad enfatizzare le sue aperture più innovative, con tanti elogi e qualche deprecazione, a seconda dello schieramento ideologico di appartenenza.
Ad esaminare bene il suo pensiero, però, ci si potrebbe accorgere, senza eccessiva fatica, come i suoi slanci "rivoluzionari" non vadano mai ad intaccare i capisaldi della dogmatica cattolica né tantomeno a ridimensionare il ruolo irrinunciabile dell'istituzione ecclesiastica, che, anzi, vengono da lui costantemente difesi con papale vigore. E credo che nessuna questione riesca a far emergere in modo tanto evidente questa bergogliana opera a favore dell'ortodossia e della tradizione quanto quella relativa alla condanna (più volte espressa in questi ultimi anni) di quegli orientamenti soteriologici definiti come neopelagiani e neognostici. Condanna che, considerato il livello desolatamente basso di conoscenze e di interessi storico-filosofici, teologici ed anche catechetici di larga parte del mondo cattolico, è scivolata via rapidamente nelle cantine delle cose vecchie ed inutili, divenendo oggetto di commento e discussione soltanto per isolati ( e probabilmente ignorati) “addetti ai lavori”.
Ora, è mia intenzione dimostrare come proprio dall'analisi ragionata di simile condanna sia possibile meglio comprendere la complessità della figura di papa Francesco, nonché cogliere più appropriatamente la caratura di raffinato teologo, troppo spesso sottovalutata, se non addirittura trascurata.
La prima cosa che ritengo meriti di essere precisata è che la scelta di condurre attacchi tanto decisi alle cosiddette tendenze neopelagiane e neognostiche contemporanee non andrebbe intesa come qualcosa di carattere meramente periferico o erudito. Essa riguarda, infatti, il cuore profondo della autentica identità dottrinale del Cattolicesimo e scaturisce, pertanto, da una ben ponderata valutazione dei pericoli realmente presenti all’interno di tali tendenze.
Ma cosa si dovrebbe intendere per “neopelagianesimo” e per “neognosticismo”?
Secondo Bergoglio, si tratterebbe di orientamenti spirituali che, seppur in cornici culturali diversissime, verrebbero a riecheggiare e a riproporre tesi e comportamenti relativi al problema della salvezza fermamente giudicati come “eretici” (e come tali duramente combattuti) agli albori della storia cristiana.
Dice Francesco che pelagianesimo e gnosticismo hanno rappresentato e continuano a rappresentare “pericoli perenni di fraintendimento della fede biblica”. Pericoli che il pontefice scorge essere attualmente in via di diffusione non solo nel mondo laicizzato, bensì anche all’interno della stessa cristianità. 1)
Ma in cosa consisterebbero gli aspetti ereticali e quindi tanto allarmanti e deprecabili provenienti da queste due antiche correnti di pensiero religioso?
Roberto Righetto, dal pulpito del quotidiano cattolico Avvenire, sintetizza in maniera pregnante le fondamentali accuse pontificie:
“Il neognosticismo esprime l’ideologia del “niente carne”, cioè la visione di un Dio che non si è incarnato; il neopelagianesimo invece del “niente Dio”, la concezione dell’uomo prometeico che dispone della propria esistenza contando solo sulla propria ragione.” 2)
Secondo Francesco, coloro che vivono (consapevolmente o meno) una religiosità di tipo neopelagiano-neognostico commetterebbero un grave errore per il fatto di voler condurre un cammino di “salvezza meramente interiore”:
il neopelagianesimo, in particolare, favorirebbe una visione di carattere individualistico, in cui il soggetto verrebbe a considerarsi “radicalmente autonomo” e quindi in grado di “salvare se stesso” senza riconoscere la sua dipendenza da Dio e senza avvertire il bisogno di una appartenenza ad una comunità di credenti; 3)
il neognosticismo, invece, praticherebbe una religiosità “rinchiusa nel soggettivismo”, pretendendo di elevarsi con il mero intelletto al di là del mistero dell’Incarnazione e confidando soltanto in determinate esperienze personali o in “una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti”. 4)
Per cui, entrambi gli orientamenti (rei di “immanentismo antropocentrico”) verrebbero a sfigurare “la confessione di fede in Cristo, Salvatore unico e universale”). 5)
L’errore capitale dei cosiddetti neopelagiani e neognostici sarebbe, quindi, di non comprendere che Gesù “non si è limitato a mostrarci la via per incontrare Dio, una via che potremmo poi percorrere per conto nostro, obbedendo alle sue parole e imitando il suo esempio”, ma si è offerto a noi, con il suo sacrificio redentore, allo stesso tempo, come “il Salvatore e la Salvezza”. 6)
E, nello stesso tempo, non comprenderebbero (o addirittura verrebbero a rifiutare) il valore e il ruolo basilare di “mediazione salvifica” della Chiesa, intesa come “luogo dove riceviamo la salvezza portata da Gesù”. 7) Mediazione salvifica indispensabile per superare gli ingannevoli e vani (forse demoniaci?) tentativi di “autorealizzazione dell’individuo isolato” e di “fusione interiore con il divino”. 8)
Per Bergoglio, sia la visione individualistica, sia quella dell’autonoma ricerca interiore della salvezza sarebbero palesemente e pericolosamente in contrasto con la cosiddetta “economia sacramentale” predisposta da Dio in vista dell’umana salvezza.
“La partecipazione, nella Chiesa, al nuovo ordine di rapporti inaugurati da Gesù avviene – leggiamo in uno dei paragrafi finali della lettera Placuit Deo – tramite i sacramenti, tra i quali il Battesimo è la porta, e l’Eucarestia la sorgente e il culmine. Si vede così, da una parte, l’inconsistenza delle pretese di auto-salvezza, che contano sulle sole forze umane- La fede confessa, al contrario, che siamo salvati tramite il Battesimo, il quale ci imprime il carattere indelebile dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa, da cui deriva la trasformazione del nostro modo concreto di vivere i rapporti con Dio, con gli uomini e con il creato (Mt 28, 19). Così, purificati dal peccato originale e da ogni peccato, siamo chiamati ad una nuova esistenza conforme a Cristo (Rom 6, 4). Con la grazia dei sette sacramenti, i credenti continuamente crescono e si rigenerano, soprattutto quando il cammino si fa più faticoso e non mancano le cadute.” 9)
Ancora una volta, al di là delle felici aperture e degli apprezzabili atteggiamenti più tolleranti e più rispettosi verso le varie esperienze culturali, ecco che, quando ci si trova a ragionare in merito alla vera sostanza dell’esistenza umana e del suo destino, anche il magistero di un papa mite e talvolta bonario come Francesco finisce per apparire come quello di un coerente e intransigente capo di una Chiesa che teme per il suo progressivo indebolimento e che cerca con austera e categorica fermezza di porre un argine a quella che, probabilmente, si rivelerà come una tendenza inarrestabile: quella, cioè, sempre più presente anche negli stessi cattolici praticanti, a mettere sempre più da parte gli orpelli fideistico-mitologici (dal peccato adamitico all’Incarnazione del Verbo), teologici (in particolar modo le secolari elucubrazioni in merito al rapporto tra opere umane e Grazia divina) nonché, soprattutto, liturgico-sacramentali (con tutte le annesse valenze magico-miracolistiche).
Il timore di papa Francesco, in definitiva, è che misticismo e razionalismo di matrice teosofica (da sempre durissimamente combattuti da Santa Madre Chiesa con ogni mezzo, all’interno e al di fuori di sé) riescano a farsi sempre più strada all’interno della comunità cattolica, conferendo sempre maggiore spazio, valore e indipendenza ai singoli credenti, liberandoli progressivamente e irreversibilmente dalla fideistica obbedienza e sudditanza nei confronti di dogmi e gerarchie ecclesiastiche. Timore certamente fondato e, da parte sua, indiscutibilmente legittimo.
Ma sarebbe senza alcun dubbio auspicabile che la Chiesa Cattolica, sottoponendosi ad un rigoroso esame di coscienza, esaminasse con massima cura e senza apriorismi la vera natura e la genesi lontana dei tanto vituperati fenomeni di neopelagianesimo e neognosticismo.
Ponendosi con estrema onestà il seguente interrogativo:
siamo di fronte soltanto ad accomodanti degenerazioni new age , individualisticamente e lucifericamente anarcoidi, oppure a tentativi di far nascere (o rinascere), all'interno del proprio modo di essere cristiani, una religiosità più matura e responsabile, finalmente vissuta come scelta sincera, liberata da gabbie, timori ed anatemi, nutrita di sentita voglia di infinito e di universale amore per la Verità e per il Bene?
NOTA
- Lettera Placuit Deo , ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della salvezza cristiana, 3.
- www.avvenire.it/agora/pagine/pelagiani
- Ibidem
- Evangelium gaudium , 94.
- Placuit deo , 4.
- Ivi, 11.
- Ivi, 12.
- Ibidem
- Ivi, 13.