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Ho conosciuto Carmelo Musumeci da poco tempo e, qualche settimana fa, ho avuto la gioia di pubblicare una nostra breve conversazione.
Ieri, scrivendoci, Carmelo mi ha segnalato il bellissimo scambio epistolare intercorso fra lui e gli alunni di una scuola media che hanno lavorato sul problema del carcere, intelligentemente guidati dal loro professore di IRC.
Subito ho pensato che sarebbe stato giusto condividere le sagge riflessioni degli uni e dell’altro, pienamente convinto che saranno in molti ad apprezzarle, ricavandone una calda sensazione di speranza per il nostro domani.
Non si potrebbe concepire una punizione più diabolica di quella di vederci strappati dalla società e di essere totalmente ignorati dai membri che la compongano. (William James)
Nel mondo libero ti può capitare veramente di tutto e questa mattina, quando sono uscito dal carcere e sono arrivato nella struttura della Comunità dove svolgo la mia attività di volontariato, ho trovato questa bellissima lettera che ha allietato il mio cuore.
Non posso che fare i complimenti a questi meravigliosi ragazzi per la loro ricerca, il loro impegno a comprendere la vita di un detenuto e per avere pensato e scritto proprio a me.
Il mio cuore dice grazie.
All'attenzione del Sig. Carmelo Musumeci.
In calce invio la lettera realizzata dai miei alunni della scuola media di Chiusi della Verna che hanno realizzato un lavoro sulla condizione detentiva in Italia.
Siamo una classe di scuola media di Chiusi della Verna (Ar) e, con il nostro Professore di I.R.C., abbiamo conosciuto la Sua storia. Abbiamo avuto modo di conoscere i vari sistemi di carcerazione e rieducazione presenti in Italia e all'estero e ci siamo convinti che, se ci deve essere un carcere, dovrebbe avere certe caratteristiche:celle più grandi e più spaziose, minimo 15 mq a persona, che possano garantire la privacy di ogni singola persona;presenza di palestre e spazi per praticare sport;presenza di biblioteche ed emeroteche;creare spazi per le arti visive (cinema, teatro, pittura, scultura);garantire la giusta importanza al cibo e alla sua qualità;avere luoghi di culto e avere la possibilità di frequentare laboratori dove imparare un mestiere;avere la possibilità di maggiori incontri con familiari e amici;avere luoghi aperti dove poter vedere il cambiamento delle stagioni.Ma la cosa più importante per noi, è che il carcere debba servire a rieducare i carcerati e ridare loro una speranza, senza farli uscire peggio di come sono entrati, evitando di trattarli male, facendo vedere la detenzione come un'ingiustizia invece che un modo per aiutarli a migliorare.
La ringraziamo per l'attenzione che ci ha concesso e se vorrà, potrà darci un Suo giudizio sul lavoro che abbiamo fatto.Un caro saluto.
I ragazzi della classe terza di Scuola media di Chiusi della Verna (Ar)
Cordiali saluti.Prof. Leonardo Magnani
Cari ragazzi,
avete capito quello che i nostri governati non vogliono capire cioè che è una grande stupidaggine fare giustizia col carcere come è pensato in Italia, perché, più che punire i reati, incita a moltiplicarli.
Penso che questa società stia perdendo la capacità di pensare, di amare e di essere umana, perché quando la giustizia punisce dovrebbe preoccuparsi anche di farlo senza arrecare altro male. Tanto, in realtà, non si può rimediare più al male già fatto.
Molti, purtroppo, confondono la giustizia con la vendetta. E una pena che non finisce mai, come la condanna all’ergastolo, non è altro che una vendetta che non rende migliore né chi la emette né chi la subisce. La pena per essere giusta dovrebbe pensare al futuro e non al passato. L’ergastolo invece guarda sempre indietro e mai avanti. La pena - per essere capita, compresa ed accettata - deve avere una fine; una pena che non finisce mai non può essere capita, né compresa né tantomeno accettata.
Cari ragazzi, io credo che il carcere sia la malattia: meno se ne fa, più si guarisce in fretta. La limitazione dei contatti con l’esterno, l’imposizione di norme burocratiche ottuse e spesso stupide ed infantili imposte per anni e anni, creano dei poveri diavoli che non riusciranno più a inserirsi nella società. Io credo pure che la galera, così com’è, sia un’istituzione totalitaria e criminogena perché, oltre a privare della libertà, della gestione della propria vita e spesso anche dei propri pensieri, spoglia il detenuto della sua identità perché lo costringe a disimparare a vivere.
Il carcere oggi in Italia rappresenta uno strumento di straordinaria ingiustizia, un luogo di esclusione e di annullamento della persona umana. Dietro la vuota retorica della risocializzazione, della rieducazione, si nasconde in realtà una vita non degna di essere vissuta. Io credo anche che se si esce dal carcere dopo troppi anni, quando ormaila famiglia e la società ti hanno dimenticato, o ti muoiono padre e madre e non hai figli, diventi a tutti gli effetti un fantasma che non riuscirà più a inserirsi nella società e che, probabilmente, farà di nuovo del male e tornerà in carcere. Infatti, quando impari a vivere sott’acqua per quasi una vita intera, senza amore, né affetto, né relazioni sociali, è difficile poi tornare a vivere di nuovo sulla terraferma.
Cari ragazzi, vi lascio con un sorriso a cielo aperto, almeno fino a questa sera, quando rientrerò in carcere, e con questa bella frase di Dostoevskij:
“Se io stesso fossi un giusto, forse non ci sarebbe neppure il delinquente davanti noi”.
Buona vita.
Carmelo Musumeci
Febbraio 2017