L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
,Con questa sua ultima fatica Roberto Fantini lancia un grido di allarme verso la mistificazione che i media svolgono sul fenomeno sempre più rilevante dei trapianti di organi, complice il silenzio-assenso della Chiesa Cattolica ed il pilatesco comportamento dello Stato, asservito agli interessi delle lobby. Accurata e ben documentata la ricerca del nostro che intervista gli addetti ai lavori.
Fino agli anni 70’ la tradizione giuridica e medica occidentale riteneva che l’accertamento della morte dovesse avvenire mediante il riscontro della definitiva cessazione delle funzioni vitali: la circolazione del sangue, la respirazione, l’attività del sistema nervoso. Al medico spettava “accertare” la morte avvenuta, non definirne l’esatto momento. Nell’agosto del 1968 un comitato ad hoc, istituito dalla Harvard Medical School, propose un nuovo criterio di accertamento della morte fondato su di un riscontro strettamente neurologico: la definitiva cessazione delle funzioni del cervello, definita “coma irreversibile”. In sintesi, i criteri di ridefinizione della morte del Comitato di Harvard rispondeva ad esigenze prettamente “utilitaristiche”. Nel suo rapporto finale il Comitato non partiva dal dato scientifico della morte dei malati, ma riteneva che essi, per un verso possano essere un “peso” per se stessi e per la società in quanto irreversibilmente lesi, e che, per altro verso, possano essere “utili” alla società in quanto potenziali donatori di organi per i trapianti.
Lo Stato italiano con la legge n.578 del 29 dicembre 1993 recepiva la risoluzione del Comitato di Harvard e all’art. 1 dichiarava: “ la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.
L’assunto è completamente falso, sia rispetto ai principi religiosi cristiani che dal punto di vista scientifico. Non è assolutamente veritiera la morte del “donatore”. Dal punto di vista religioso lo stesso papa Giovanni Paolo II ebbe modo di sottolineare che i trapianti possono essere considerati leciti (anzi moralmente apprezzabili e auspicabili) ma solo a condizione di avere la certezza che il prelievo degli organi si verifichi “ex cadavere”, ovvero da individui indiscutibilmente morti. Il “morto cerebrale” è un soggetto “capace “ di anima e pertanto persona viva. Secondo la tradizione cattolica la morte è concepita come processo graduale,transito, cambiamento di stato, distacco, separazione dell’anima dal corpo, processo del quale non possiamo che ignorare i tempi e i modi.
In più circostanze, a partire dal concilio di Vienna (1311-12) la Chiesa cattolica romana ha sostenuto che l’unità di anima e corpo è così profonda che si deve considerare l’anima come forma del corpo e ha ribadito , a più riprese , che l’eliminazione dell’embrione umano, in ogni fase del suo sviluppo, è da ritenersi delitto d’aborto, come più volte si è ribadito che nessun dato sperimentale può essere di per sé sufficiente a far riconoscere un’anima spirituale. Nel caso degli espianti di organi invece si è deciso di ignorare il fatto che la cessazione della funzione cerebrale può essere (man non è necessariamente) uno stadio del processo del morire e che la linea che separa la vita e la morte è complessa e indefinita.
Sotto il punto di vista scientifico Mercedes Arzù Wilson, presidentessa della Fondazione per la famiglia delle Americhe e dell’Organizzazione mondiale della famiglia, ma anche membro della Pontificia accademia per la Vita, pone queste domande: 1)Se il il donatore è “cerebralmente morto” perché continuano ad alimentarlo con le flebo?
2) perché alle volte gli si fanno delle trasfusioni?
3) Perché si somministrano ormoni surrenali e tiroidei?
4) Perché c’è bisogno dell’anestesia per espiantare gli organi?
6) perché gli somministrano una sostanza paralizzante? Curioso notare che se anche il donatore è paralizzato , il battito del cuore e la pressione del sangue aumentano non appena il cuore inizia ad essere estratto.
7) Come può una donna incinta, cosi detta “cerebralmente morta”, continuare per mesi a mantenere in vita nel suo grembo un bambino ed essere definita cadavere?
8) come mai questi cosi detti cadaveri non si decompongono per giorni , alle volte per mesi?
9) come può una mamma cosi detta “cerebralmente morta” dopo aver dato alla luce un bambino vivo, produrre latte materno quando invece il chirurgo ha assicurato la sua famiglia che il suo cervello è morto? La società dei trapianti ignora forse che il latte materno è il risultato dell’attività della ghiandola pituitaria nel cervello che invia i segnali per la produzione della prolattina, i cui livelli aumentano in vista della produzione di latte per il bambino?
La fragilità di un essere umano , come è quello in cui è impegnato in una lotta estrema per la sopravvivenza, è del tutto trascurata. Costui subisce e percepisce l’abbandono, nel più atroce di modi, proprio da chi è preposto a prendersi cura di lui.
Ne consegue che lo Stato, e quindi i servizi sanitari nazionali, non possono avere la pretesa di influenzare le opinioni dei cittadini o imporre visioni etiche su temi molto delicati come quello della morte. Di conseguenza le leggi devono solo avere una funzione di garanzia di ordine esterno e di servizio della collettività. In una comunità democratica questo non può sostituirsi all’etica o alla morale.
Nel febbraio 2005 molti autorevoli filosofi e teologi, ma anche giuristi e scienziati, accolsero con grande entusiasmo l’invito del Pontefice, prendendo parte ad un convegno organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, nella stessa città del Vaticano. Tutti si trovarono sostanzialmente d’accordo nel ritenere che la sola morte cerebrale non andrebbe considerata come morte reale dell’essere umano e che il criterio della morte cerebrale, risultando privo di effettiva attendibilità scientifica, andrebbe pertanto abbandonato. I risultati emersi, invece che essere accolti non hanno goduto di un’adeguata attenzione. Prova ne è che dalle autorità vaticane non venne autorizzata neppure la pubblicazione degli atti e che una parte delle relazioni poté venire alla luce solo grazie all’intervento di Roberto De Mattei, all’epoca vicedirettore del Consiglio nazionale delle Ricerche, rivoltosi ad un editore esterno. Né è stato possibile riscontrare maggiore e migliore accoglienza per quanto concerne il celebre articolo di Lucetta Scaraffia, apparso sull’”Osservatore Romano” il 3 settembre 2008. Infatti, dopo la messa in discussione della studiosa delle certezze sulla morte cerebrale fondate sul rapporto di Harvard del 1968, si sono succeduti vari interventi di alti esponenti delle gerarchie ecclesiastiche che fecero in modo di sopire ogni volontà di ridiscutere la questione in maniera critica.
Di dubbi, di obiezioni, di perplessità, etc. non se ne è più parlato e, a prevalere in maniera schiacciante, è sempre più e senza alcun dubbio (sia dentro che fuori il mondo cattolico) una entusiastica ed emozionantissima esaltazione della così detta “cultura della donazione”, complici i media asserviti alle lobby. Molti ospedali dove si eseguono trapianti sono cattolici.
È nella natura della propaganda evitare di dare spazio a notizie “scomode”, come quelle sugli abusi commessi, con la complicità , o il silenzio-assenzo, anche di prestigiosi chirurghi, per procurare gli organi dei poveri ai ricchi malati. In questo modo l’integrità della persona, come propugnato dalla religione cattolica, viene ad incrinarsi.
Il traffico illegale di reni è stimato nell’ordine dei 15.000 casi ogni anno e si è venuto recentemente a sapere che una delle maniere in cui i migranti nel canale di Sicilia “pagano” il prezzo del tragitto alla mafia degli scafisti è con l’espianto dei propri organi.
In Italia il Comitato nazionale di bioetica nel 2010, sia pure non senza opposizione interna, ha espresso parere favorevole qualificando come “eticamente apprezzabile” la donazione da vivo di un rene a un perfetto sconosciuto destinato a rimanere tale.
La cosi detta “donazione” è in realtà un espianto da corpi ancora vivi. Prelevare organi da un cadavere sarebbe infatti del tutto inutile. Si tratta di una vera e propria macellazione, che induce medici compiacenti o ignoranti ad affrettare diagnosi e a mancate cure.
La morte cerebrale viene dichiarata sempre (rare sono le eccezioni) nelle prime 24/48 ore dal ricovero di un paziente comatoso, in genere traumatizzato cranico, in un reparto di rianimazione, durante le quali non si attua alcun tentativo serio ed efficace di terapia finalistica (cioè per salvarlo).
La terapia è finalistica solo quando si oppone tempestivamente al processo patologico in atto. Un’aspirazione di pochi cc. di liquido emorragico e del liquor ventricolare può essere sufficiente a decomprimere il cervello e così fare ricomparire la coscienza e permettere al paziente di uscire dal coma. Così, senza una terapia mirata, si instaura un progressivo deterioramento della corteccia cerebrale, rendendo difficile il recupero del paziente. Più il tempo passa più la sostanza grigia cerebrale, avida di ossigeno, perde la sua vitalità.
L’Intervento chirurgico elettivo andrebbe sempre e comunque eseguito d’urgenza allo scopo di decomprimere il cervello. Il tempo in questo caso è prezioso e quindi andrebbe ripristinato l’intervento decompressivo presso gli ospedali di prima accoglienza. In passato, il chirurgo degli ospedali minori aveva la preparazione per eseguire tali interventi decompressivi ed era tenuto ad effettuarli. Oggi, allo scopo di incrementare i trapianti, tali pazienti vengono avviati agli ospedali maggiori, più lontani, per cui sovente si superano i tempi ideali per il loro recupero. In questo modo però si salvano gli organi ad ogni costo. Negli ospedali maggiori deputati al trapianto, La terapia finalistica non viene quasi mai attuata poiché i neochirurghi, pressati dalla richiesta di organi, sono consapevoli che salvare il paziente ad ogni costo può significare anche perderlo con l’atto chirurgico o durante il decorso post-operatorio, perdendo così i suoi organi.
Si scrive espianti “da cadavere”, benché i medici siano i primi a sapere che dove c’è un cadavere non c’è più, per definizione, la possibilità di prelevare organi trapiantabili. Le manipolazioni di Big Pharma mietono milioni di vittime nel mondo. Da quando ci si è resi conto che la definizione di morte cerebrale non rappresentava un confine netto, bensì un rilievo scientifico del tutto opinabile, la macchina dei reparti, dei primariati, delle corsie e soprattutto quella dei farmaci antirigetto, era già partita e non si è più fermata. La ciclosporina, unico farmaco antirigetto, è un brevetto esclusivo della Novartis, un gigante dell’economia mondiale. Sarebbe bene che i potenziali donatori , o chi per loro, venissero meglio informati , meno fuorviati e maggiormente tutelati.
La vita vale ben poco rispetto agli interessi delle élites finanziarie internazionali, le stesse che decidono il destino dei nostri governi.
Roberto Fantini
“Vivi o morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi”
Ed. Efesto