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PENA DI MORTE: UN Po’ MEGLIO … UN Po’ PEGGIO … IL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL

By Roberto Fantini June 22, 2017 11836

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   “La vendetta non deve mai essere confusa con la giustizia, e la pena di morte serve solo ad aggravare l’ingiustizia”

Zeid Ra’ad Al Hussein, Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, 9 agosto 2016

              

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               Come tutti sanno, Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, senza alcuna eccezione riguardo alla natura o alle circostanze dei vari crimini, alla colpevolezza o meno dell’imputato, al metodo usato per eseguire la condanna a morte, ecc.

A tale scopo, da lunghi decenni ormai, Amnesty International lavora per raggiungere l’abolizione totale e definitiva della pena capitale in tutto il mondo, conseguendo risultati che potremmo giudicare sia incoraggianti, sia molto frustranti, ricchi, cioè, di luci ed ombre fortemente contrastanti.

Tale fenomeno è facilmente riscontrabile, in particolar modo, grazie all’esame dell’ultimo rapporto pubblicato dall’Associazione, relativo ai dati del 2016.

Nello studio dell’uso globale della pena di morte, infatti, è stato possibile riscontrare, da una parte, una generale diminuzione del ricorso a questa punizione rispetto all’anno precedente, con significativa diminuzione anche dei paesi che hanno eseguito condanne, mentre, dall’altra, il numero totale delle nuove sentenze capitali è aumentato rispetto a quello dell’anno precedente, superando anche il massimo complessivo registrato nel 2014.

Inoltre, due paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati e un paese l’ha abolita solo per i reati ordinari, mentre molti altri si sono mossi per restringere l’uso della pena capitale, confermando che, nonostante i passi indietro in alcuni stati, l’andamento globale si è mantenuto favorevole all’abolizione della pena di morte in quanto punizione estrema, crudele, inumana e degradante.

Nel 2016, pertanto, è stato registrato un calo del 37% del numero di esecuzioni rispetto allo scorso anno. Almeno 1.032 persone sono state messe a morte, 602 in meno del 2015, anno in cui Amnesty International ha registrato il più alto numero di esecuzioni dal 1989. Nonostante tale significativa diminuzione, il numero complessivo di esecuzioni nel 2016 si è mantenuto, però, più alto della media registrata nella decade precedente.

Va comunque precisato, al fine di riuscire ad avere un quadro maggiormente completo e fedele alla cruda realtà dei fatti, che Amnesty International riporta esclusivamente esecuzioni, condanne a morte e altri aspetti legati all’uso della pena di morte, come commutazioni o proscioglimenti, di cui è possibile ottenere ragionevole e credibile verifica. Le informazioni di cui si serve provengono da diverse fonti, inclusi dati ufficiali, notizie provenienti dagli stessi condannati a morte, nonché dai loro familiari e rappresentanti legali, rapporti di altre organizzazioni della società civile e resoconti dei mezzi di comunicazione. In molti paesi, però, i governi non rendono pubbliche le informazioni riguardo al proprio uso della pena capitale. Per quanto concerne alcuni paesi, come Bielorussia, Cina e Vietnam, i dati sull’uso della pena di morte sono classificati come segreto di stato, mentre, per paesi come Corea del Nord, Laos, Siria e Yemen, a causa delle restrizioni governative e/o dei conflitti armati, le informazioni reperibili sono state poche, se non addirittura nulle.

Per cui, con poche eccezioni, i dati di Amnesty International sull’uso della pena di morte sono da considerarsi, purtroppo, valori minimi:

quelli reali saranno certamente molto più alti!

In particolare, è necessario tener presente che, dal 2009, Amnesty International ha scelto di smettere di pubblicare le stime sull’uso della pena di morte in Cina, precisando che i dati documentabili risultano essere significativamente inferiori a quelli reali, a causa delle restrizioni di accesso alle informazioni. Da quanto disponibile, comunque, emerge chiaramente che ogni anno in Cina avvengono migliaia di condanne a morte ed esecuzioni.

Il solo Iran, poi, è responsabile del 55% di tutte le esecuzioni registrate. Insieme ad Arabia Saudita, Iraq e Pakistan, ha eseguito l’87% di tutte le sentenze capitali registrate lo scorso anno. L’Iraq ha più che triplicato il numero di esecuzioni, l’Egitto e il Bangladesh lo hanno raddoppiato. Nuove informazioni sul numero di esecuzioni in Malesia, e soprattutto in Vietnam, hanno fornito una maggiore comprensione del livello e della reale portata dell’uso della pena capitale in questi paesi.

Il numero totale di esecuzioni in Iran è comunque diminuito del 42% rispetto allo scorso anno (da almeno 977 ad almeno 567). Una significativa riduzione nell’emissione di sentenze capitali, pari al 73%, è stata registrata anche in Pakistan. Le esecuzioni sono diminuite notevolmente anche in Indonesia, Somalia e Stati Uniti d’America.

Per la prima volta dal 2006, gli Stati Uniti d’America non sono comparsi tra i primi cinque esecutori mondiali, in parte a causa dei ricorsi legali sul protocollo dell’iniezione letale e anche alla difficoltà di reperire i farmaci per le esecuzioni tramite questo metodo.

Amnesty International ha registrato esecuzioni in 23 paesi, due in meno rispetto al 2015. La Bielorussia e le autorità dello Stato di Palestina hanno ripreso le esecuzioni dopo un anno di interruzione, mentre Botswana e Nigeria hanno eseguito le loro prime condanne a morte dal 2013. Nel 2016, Amnesty International non ha registrato esecuzioni in sei paesi, Ciad, Emirati Arabi Uniti, Giordania, India, Oman e Yemen, che, invece, ne avevano eseguite nel corso del 2015, mentre non è stata in grado di confermare se siano avvenute esecuzioni in Libia, Siria e Yemen.

Per saperne di più:

https://www.amnesty.it/pena-morte-nel-mondo-rapporto-2016-17/

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Last modified on Friday, 23 June 2017 19:14
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