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Era la prima guerra mondiale e il 24 agosto 1917, da poco scoccate le 20 e trenta, a Roma una micidiale esplosine riecheggia violentemente in tutta la capitale. L’immane fragore è così intenso da essere udito fino in centro, al palazzo della Regia Questura. Si scoprirà che quell’immensa sciagura riguarda la Caserma dell’Appia Nuova che, altro non era, che il Vecchio Forte dell’Acqua Santa, ovvero il deposito carburanti per Aerostati e Dirigibili dell’aviazione italiana, in quella che era allora aperta campagna oltre l’estrema periferia di Roma. In estrema segretezza e fuori del recinto murario del Forte, erano stati approntati due enormi capannoni che rilevati da privati, dopo lavori di ampliamento, erano stati attrezzati per la fabbricazione di bombe da lanciare proprio da mezzi d’aria, come aerostati o palloni, sulle trincee nemiche. Ma il laboratorio allestito all’Acqua Santa era sempre meno in grado di assicurare spazi di lavoro adeguati e di accogliere in condizioni di sicurezza, sia i materiali da utilizzare nelle lavorazioni, in particolare gli esplosivi, sia i prodotti finiti. Due giorni prima dello scoppio, il 22 agosto il lavoro della polveriera era stato ulteriormente intensificato a causa di nuove richieste avanzate in quei giorni dal Comando Supremo.
In seguito allo scoppio si parlo di almeno 98 morti. Le autorità preposte all’indagine propesero per la tesi che all’origine del disastro c’era stata la deflagrazione di una piccola quantità di perclorato di ammonio, mentre veniva triturata prima di essere utilizzata per caricare le granate. I morti, in realtà, furono molti di più come dimostra, documenti alla mano, Enrico Malatesta, professore, giornalista e scrittore autore del libro:” Orrore e sangue a Roma – Padre Pio e la strage dell’Acqua Santa”. Incrociando i documenti militari con altri altrettanto sconosciuti e segretati della Questura di Roma, l’autore scopre che i morti del Forte dell’Acqua Santa, alias Caserma Appia, sono più di 240 e che, oltre i 98 artificieri dichiarati morti, gli altri sono tutti ragazzi tra i diciassette e i vent’anni, analfabeti e soldati di bassa forza, senza la minima cognizione e competenza da artificiere, ai quali segretamente era stato affidato il medesimo incarico: armare bombe, granate ed altri proietti, con polveri anche scadenti. Di questi ultimi, a tutt’oggi, a distanza di cento anni, non se ne conosce né nome, né cognome.
Il triste evento è stato ricordato a Roma in una commovente cerimonia il 13 settembre scorso presso il reparto sistemi informativi automatizzati dell’Aeronautica Militare, situato nello stesso luogo dove esisteva la polveriera dell’Acqua Santa. Al termine della celebrazione della S. Mesa, a ricordo dei caduti, è stata scoperta e benedetta una targa commemorativa. A seguire una tavola rotonda dal titolo: Il contributo dell’Acqua Santa alla grande guerra” cui hanno partecipato il Gen. Giovanni Fantauzzi, Comandante Logistico A. M, l’arch. Simone Ferretti, Presidente dell’associazione “Progetto Forti”, il prof. Enrico Malatesta, giornalista e scrittore, e il Gen. Isp. GArm Basilio Di Martino, storico militare.