L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

NONVIOLENZA VERA E FALSA: OLTRE PREGIUDIZI E FRAINTENDIMENTI

By Roberto Fantini April 19, 2018 9951

 Non pochi pregiudizi, da sempre, ruotano intorno al concetto di nonviolenza. E sempre i suoi grandi alfieri ed annunciatori hanno avvertito l’urgente necessità di fugare equivoci e di combattere ed abbattere fuorvianti e svilenti fraintendimenti.

Il primo errore (diffusissimo) da evitare è il ritenere che la nonviolenza sia qualcosa di semplicemente “negativo”, ovvero una prassi che si limiterebbe a voler evitare l’esercizio della violenza. Nonviolenza non è soltanto astensione dalla violenza. Nonviolenza è, come dice Aldo Capitini (che non a caso ha sempre preferito parlare di nonviolenza invece che di non violenza), “scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani.”

Questo significa che non si tratta soltanto di un mero divieto morale, ovvero di un semplice non dover fare qualcosa , bensì di una vera e propria filosofia di vita, di una vera e propria visione del mondo che pretende di essere radicalmente alternativa a quella imperante, condivisa e rispettata in maniera schiacciante nel mondo di oggi, come nel mondo di ieri.

La nonviolenza - dice sempre Capitini - “non è cosa negativa, come parrebbe dal nome, ma è attenzione e affetto per ogni singolo essere proprio nel suo essere lui e non un altro, per la sua esistenza, libertà, sviluppo.” 1)

La nonviolenza non andrebbe mai confusa con aprioristico rifiuto di ogni genere di conflitto. La nonviolenza è rivolta, è ribellione contro un presente che divinizza la forza, che esalta “lo schiaffo e il pugno”, che assolutizza il dominio incondizionato degli arroganti, degli spregiudicati, dei prevaricatori. E’ tensione continua, sempre imperfetta e sempre insoddisfatta, sempre assetata di trasformazione e attraversata da una perenne e operosa impazienza.

Chi sceglie la nonviolenza parla col suo atto a tutti: segnala una via per tutti, e rompe l’indifferenza o l’incantamento mentre si prepara un’altra guerra.”2)

La nonviolenza non è cosa - dice Gandhi - con cui ammantarsi e nobilitarsi, senza aver spazzato via da se stessi tutto ciò che sa di meschinità e di egoismo.

La prima grande operazione necessaria non è, quindi, tanto deporre la spada impugnata dalla nostra mano, bensì di gettare via quella che insanguina il nostro cuore. Cioè liberare la nostra anima da ogni sudditanza nei confronti di ogni ideologia e di ogni prassi che prevedano, tollerino o addirittura auspichino o magnifichino forme di oppressione e di distruzione dell’Altro, inteso come sostanzialmente diverso da me, come tale inconciliabile con i miei valori, con il mio “stile di vita”, inteso, cioè, come pericolo, come fonte di contaminazione, di disordine morale, come sottrazione di sicurezza, di benessere, ecc …

La nonviolenza si fonda sull’affratellante apertura verso i membri della “famiglia umana”, al di là delle innumerevoli e più o meno fantasiose etichette che giustapponiamo ad essi in base alle differenze etniche, linguistiche, religiose, sessuali, ecc …

La nonviolenza, pertanto, non andrebbe mai vista come una scelta comoda, come un tirarsi indietro, un fuggire la mischia, una sorta di “lathe biosas (λάθε βιώσας) ”, mosso da opportunismo, pigrizia o, ancor peggio, da viltà. Non ha nulla a che fare col “lasciarsi vivere”. Il suo primo bersaglio, anzi, è, semmai, proprio l’indifferenza. Perché l’indifferenza - come ci spiega Elie Wiesel -“è più pericolosa della rabbia e dell’odio”. Perché la rabbia e l’odio possono anche risultare stimolanti e produttivi. Mai, invece, l’indifferenza. Perché l’indifferenza non è e non potrà mai essere un inizio, ma sempre soltanto una fine, la fine di qualsiasi possibilità di cambiamento e di miglioramento. L’indifferenza “è sempre amica del nemico, perché giova all’aggressore”. Consente all’aguzzino, al torturatore di lavorare indisturbati. 3)

L’indifferenza è la grande tentatrice, la grande maga che ci affascina e ci seduce, che ci paralizza e che ci fa sentire lontane le sofferenze altrui, che ci fa sentire irraggiungibilmente e irreparabilmente lontane tutte le vittime di tutte le ingiustizie che ogni giorno massacrano il nostro mondo.

La nonviolenza nulla ha a che vedere, quindi, con rassegnazione, mediocre tatticismo e fuga dalla realtà verso astratti mondi di sogni chimerici e consolatori. “Non accetta - dice sempre Capitini - nemmeno le violenze passate, e perciò non approva l’umanità, la società, la realtà, come sono ora.” 4)

E’ sempre schierata dalla parte delle vittime, sempre pronta a difendere i deboli, gli emarginati. E’ “dramma tormentoso”, è lotta vivificata dalla convinzione che “non può mettersi nel mondo com’è, e lasciarlo tale e quale” 5), ma che sia doveroso battersi con forza travolgente per affermare e difendere l’insostituibilità di ogni singolo essere.

La nonviolenza è impegno “a parlare apertamente su ciò che è male, costi quel che costi, non cedendo mai su questa libertà, e rivendicandola per tutti”. 6)

Il “nonviolento è portato ad avere simpatia particolare con le vittime della realtà attuale, i colpiti dalle ingiustizie, dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i silenziosi, e perciò tende a compensare queste persone ed esseri (anche il gatto malato e sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime.” 7)

La nonviolenza è nemica severa e scomodissima sia della prepotenza dei tiranni, sia dell’indifferenza degli ignavi, sia di quello che Martin Luther King ebbe efficacemente a chiamare “lo spaventoso silenzio dei buoni”. 8)

La nonviolenza è insistente e inesausta operazione di sgretolamento di falsità e menzogne, di censure pianificate e subite, di omissioni meschine e di rimozioni vigliacche, di miti consolatori e di timori paralizzanti. Aspira continuamente a portare allo scoperto le piaghe che avvelenano il nostro mondo, convinta che soltanto quando l’ingiustizia sarà esposta in tutta la sua brutale ripugnanza “alla luce della coscienza umana e all’aria dell’opinione pubblica” potrà essere compresa, combattuta e curata nelle sue radici più profonde. 9)

In questo nostro mondo e in questo nostro tempo, in cui a dominare sono sempre i fabbricanti e i mercanti di morte, chiediamoci, allora, con estrema umiltà ed onestà:

siamo sempre nel mondo iperuranico delle meravigliose utopie create dai grandi sognatori per asciugare le lacrime roventi sul volto delle anime fragili e belle?

Siamo sempre sul piano delle cose buone e auspicabili, ma troppo lontane e troppo difficili?

Delle cose tanto sperabili proprio perché tanto irrealizzabili?

 

NOTE

1) A. Capitini, Religione aperta, p.106
2) ivi, p.108
3) E. Wiesel, The Perils of Indifference, discorso alla Casa Bianca del 12 aprile 1999, in A. Cassese, Voci contro la barbarie, Feltrinelli, Milano 2008, p.363
4) ivi, p.109
5) ivi, p.110
6) A. Capitini, Azione nonviolenta, in Le ragioni della nonviolenza, Ed. ETS, Pisa, 2004, p.179
7) ib
8) M.L.King, Lettera dal carcere di Birmingham, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona, 1993, p. 10
9) Ib

 

Rate this item
(0 votes)
Last modified on Thursday, 19 April 2018 21:17
© 2022 FlipNews All Rights Reserved