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Ibrahim Halawa: ingiustamente accusato di terrorismo in Egitto e ora difensore dei diritti umani

By Roberto Fantini July 23, 2018 7198

Non sono pochi 4 anni della propria vita terrena. Soprattutto se si collocano in quella fase straordinaria in cui, da ragazzi adolescenti si cerca di diventare adulti … E 4 sono gli anni che sono stati rapinati ad Ibrahim Halawa, tenuto arbitrariamente recluso in alcune delle peggiori prigioni egiziane, a partire dall’oramai lontana estate del 2013. Ben 1472 giorni, per l’esattezza: giorni di paura, di angoscia, ma sempre anche di speranza. Giorni che, finalmente, sono approdati al tanto atteso momento della libertà, reso possibile soprattutto dall’impegno infaticabile dei familiari, sostenuto dai tanti attivisti che hanno saputo continuare a lottare, resistendo alla tentazione (sempre forte in questi casi) di cedere alla rassegnazione.

Ibrahim è venuto a Roma, in questi giorni, e ha avuto modo di far sentire la sua voce e di far conoscere la sua storia, dolorosa quanto istruttiva.

Figlio di uno dei principali imam irlandesi, recatosi al Cairo, con lo scopo di far visita ai parenti in compagnia delle sorelle Somaia, Fatima e Omaima, venne arrestato in seguito alle manifestazioni di metà agosto, promosse dalla Fratellanza Musulmana contro il colpo di stato di Abdel Fattah al-Sisi,

Le sorelle, rilasciate ed rispedite in Irlanda dopo tre mesi di carcere, al rientro a Dublino hanno denunciato le vessazioni subite dal fratello, confermate poi anche dal giornalista di al-Jazeera Peter Greste, suo compagno di detenzione nel carcere di Tora. Per Ibrahim, invece, sono stati anni di durissima prigionia, trascorsi per lunghi periodi anche in isolamento, con oltre 30 rinvii dei processi, senza assistenza legale e senza cure mediche.

Racconta Ibrahim che, a 17 anni, non si occupava di politica, cosa che riteneva oltremodo noiosa. Ma, dopo il massacro di Rabat, in cui sono rimasti uccisi anche alcuni suoi amici, ha ritenuto doveroso scendere in piazza, con la convinzione che, in un sistema democratico, la giustizia debba essere richiesta pacificamente, senza l’uso della violenza e delle armi. Quando le forze dell’ordine sono intervenute con i lacrimogeni, lui e molti altri hanno cercato rifugio all’interno di una moschea. Questo non ha però impedito alla polizia di prelevarli ed imprigionarli. Si è ritrovato, così, in una cella militare che avrebbe potuto ospitare una sessantina di persone, mentre ve ne furono collocate almeno il doppio. Tremende le condizioni di detenzione descritte assai efficacemente da Ibrahim: mancanza di acqua, cibo scarso e pessimo distribuito anche senza piatti e posate, riposo pressoché impossibile a causa del sovraffollamento e della sistematica azione di disturbo.

Emblematici, per comprendere adeguatamente il livello di disumanità dominante, il caso di un ragazzo picchiato selvaggiamente solo per aver richiesto di entrare in contatto con la madre e quello di un ragazzo divenuto cieco in seguito alle percosse subite da parte degli agenti, costretto a dichiarare di essere rimasto vittima di una rissa fra detenuti.

Il risveglio era spesso orribile, causato dalle urla di un torturato. Molto acute le riflessioni proposte da Ibrahim in merito alle tecniche di tortura miranti, soprattutto, ad “entrarti nella testa”, a “distruggerti il cervello”.

Non poteva certo mancare, nelle parole del giovane irlandese, un incisivo riferimento al caso di Giulio Regeni, caso visto da tante vittime capace di far comprendere al mondo intero quanto stesse succedendo all’interno dell’Egitto, e tale da alimentare la speranza di potersi vedere finalmente ascoltati. E non sono state certo risparmiate parole critiche nei confronti del governo italiano che, secondo Ibrahim, avrebbe dovuto fare come quello irlandese in merito al suo caso, ovvero minacciare di interrompere i rapporti commerciali.

Bellissimo, poi, quanto detto in chiusura dell’incontro a proposito dell’azione fondamentale svolta da Amnesty International a suo favore:

Oggi sono al fianco di Amnesty che si batte per tutti i prigionieri politici e le incarcerazioni ingiuste, specialmente in Egitto. Sono la prova vivente della forza di Amnesty ed è per questo che voglio dare il mio contributo”.

Voglio parlare soprattutto agli italiani che stanno ancora aspettando giustizia per un caso molto importante, quello di Giulio Regeni. Quindi, per favore, lavorate sodo per questo caso. Io sono la prova che si può fare”.

Io sono la prova che persone normali possono vincere grandi battaglie"…*

Parole queste che rendono più che mai terribilmente attuali e pertinenti le affermazioni di Yves Ternon che chiamano brutalmente in causa tutti noi :

Solo le crisi degli spettatori, complici se sanno e tacciono, interromperanno la rappresentazione del crimine. Bisogna occupare la scena. (…)

La sopravvivenza dell’umanità dipende dal modo in cui l’individuo sarà protetto nella società dal potere e dal diritto nel rispetto di principi e di valori universali.” (Lo Stato criminale, Corbaccio, Milano 1995, p. 379)

 

*Per approfondire la conoscenza della situazione dei diritti umani in Egitto:

https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2017-2018/medio-oriente-africa-del-nord/egitto/

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Last modified on Monday, 23 July 2018 13:08
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