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IL LAND GRABBING FRA NEOCOLONIALISMO E CRISI ECONOMICA GLOBALE.

By Roberto Fantini February 10, 2019 8353

CONVERSAZIONE CON MARIA GEMMA GRILLOTTI DI GIACOMO*.

 

                     In pochi ne hanno sentito parlare. Pochi, molto pochi sanno di cosa si tratti. Eppure, siamo di fronte ad uno dei fenomeni più inquietanti del nostro tempo, un fenomeno che sta attaccando duramente i diritti fondamentali di intere popolazioni. Si chiama Land grabbing, ovvero accaparramento di terre, un’operazione predatoria che colpisce i soggetti più deboli del pianeta e che rischia di produrre (e che sta già producendo) conseguenze di straordinaria gravità.

Ne parliamo con Maria Gemma Grillotti Di Giacomo, autrice e curatrice, insieme a Pierluigi De Felice, di una pregevole pubblicazione (Land grabbing e land concentration. I predatori della terra tra neocolonialismo e crisi migratorie, FrancoAngeli, Milano 2018)** che raccoglie numerosi contributi di fondamentale importanza i quali, “pur partendo da ottiche, metodi ed estrazioni disciplinari diverse, hanno affrontato il tema arrivando a formulare gli stessi auspici e a individuare analoghe forme di contrasto del land grabbing.”

 

-            Nell’Introduzione al volume da voi curato, leggiamo del vostro desiderio di rivolgervi soprattutto al grande pubblico e ai mass media. Perché? Con quali obiettivi e con quali aspettative?

Da oltre dieci anni all’inizio dei corsi universitari di Geografia dell’agricoltura e del mercato alimentare e di Alimentazione nel mondo (due insegnamenti obbligatori dei Corsi di Laurea in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma) rivolgo agli studenti frequentanti la stessa domanda: “chi di voi conosce o ha mai sentito parlare del fenomeno land grabbing?” e, nonostante si tratti di una platea di giovani culturalmente informati, in un solo caso cioè da parte di un solo studente, è arrivata una risposta affermativa. Siamo dunque spettatori ignari di un processo di accaparramento fondiario di cui ignoriamo gravità e conseguenze inevitabili e che si sta consumando nell’apparente disinteresse generale. Con il nostro libro abbiamo cercato di arrivare al “grande pubblico” del mondo occidentale, mass media compresi, in modo da sensibilizzarlo e informarlo dell’attuale, grave processo di accaparramento e concentrazione delle risorse naturali, in particolare di quelle fondiarie, nelle mani di pochi “signori della terra”. Un processo di neocolonialismo di cui si parla poco o niente e del quale siamo tutti responsabili, anche se in larga parte (la totalità?) siamo solo spettatori ignari che assistono – senza averne piena consapevolezza – ai danni ambientali che esso produce su tutto il pianeta; agli effetti devastanti che crea nell’economia dei Paesi industrializzati e ai drammi sociali che genera nei Paesi in via di sviluppo.

 

-          Soltanto, quindi, un lavoro mirante a fare buona informazione?

In realtà il nostro lavoro non si esaurisce nell'individuare la platea degli “innocenti spettatori” semplicemente per informarli e per indicare i “troppi attori” direttamente responsabili dell’accaparramento (società finanziarie, gruppi multinazionali, fondi di investimento, banche e governi stranieri e locali); vorremmo infatti arrivare anche a smascherare l’ipocrisia delle tante, troppe motivazioni (ecologica, economica, giuridica, sociale) addotte a “giustificazione” di questi lucrosi “investimenti”. È ora che la conoscenza del land grabbing e della land concentration esca dagli ambienti di studio, accademici e non, per arrivare fino all’“uomo della strada”, il più esposto ai mutamenti climatici e quasi sempre il più pronto a fruire delle offerte di alimenti al ribasso, così come a respingere il diverso, sfruttato sia in patria che nei Paesi di “accoglienza”.

 

-          In che senso il fenomeno di accaparramento di terre fertili messo in atto dai Paesi ricchi, internazionalmente noto come land grabbing meriterebbe di essere definito come vero e proprio processo di “saccheggio fondiario” o come “neoimperialismo coloniale di matrice economica”?

La concentrazione di terre fertili, che contrappone latifondismo e microproprietà terriera, ha caratterizzato l’intera storia umana. Tuttavia, solo in alcune fasi storiche particolarmente critiche, quale quella attuale, ha assunto i caratteri esasperati dell’accaparramento e della sopraffazione, perpetrati da parte di ricchi imprenditori e governi ai danni dei lavoratori più poveri e attuati con espropri e acquisizioni di terre, ovunque e sempre accompagnati da ribellioni cruente: rivolte sociali, lotte contadine e migrazioni di massa. Si tratta di fenomeni che purtroppo agitano anche la nostra società contemporanea e che, secondo quanto ci insegna la storia, si ripresentano dopo ogni periodo involutivo caratterizzato prima da una crisi economica globale e poi dalla riscoperta del “bene rifugio terra”. Processo e dinamica economico sociale cui abbiamo infatti assistito a partire dagli anni 2000. Come conseguenza della forte crisi economica globale d’inizio millennio, la corsa ai “beni immobili” viene denunciata dall’Unione europea come land concentration e il neoimperialismo coloniale di matrice economica è condannato come land grabbing e water grabbing anche dalle principali organizzazioni internazionali (ONU, FAO).

Quella fame di terra che, fino alla prima metà del XX secolo, aveva generato le lotte contadine e spinto gli europei a colonizzare gli spazi del nuovo e nuovissimo continente (America, Australia, Nuova Zelanda), oggi è riproposta alla scala planetaria e a tutto svantaggio dei Paesi in via di sviluppo, dove non mancano pregiate risorse naturali ancora poco o non utilizzate (Africa, America Latina, Europa orientale). Land grabbing e water grabbing cioè sottrazione di risorse naturali vitali ad alcune popolazioni e concentrazione delle stesse nelle mani di pochi proprietari stranieri, non solo creano nuove forme di schiavitù e servile dipendenza (sfruttamento della manodopera e assoggettamento tecnologico), ma provocano anche una forte spinta sul fenomeno migratorio perché alimentano i flussi eufemisticamente definiti economici e ambientali.

 

-          Ma, nella sostanza, non si tratta di un fenomeno da sempre riscontrabile all’interno di quella immane tragedia rappresentata dal colonialismo?

Per chiarire la differenza tra l'attuale land grabbing e i processi di land concentration che accomunano fasi storiche e realtà economiche lontane e diverse è innanzi tutto utile distinguere tra ampliamento della proprietà fondiaria e accaparramento di terre e tra quest’ultimo e le diverse forme di espansionismo coloniale. Mentre i primi due si consumano sempre ai danni delle classi sociali più deboli, all’interno di singoli Stati, anche e soprattutto di quelli a economia liberale e/o retti da regimi totalitari, dando vita al fenomeno della land concentration; il land grabbing è stato a ragione definito “neocolonialismo e neoimperialismo” perché è perpetrato dagli Stati più ricchi (governi, enti, società multinazionali, aziende pubbliche e private, fondi di investimento) a spese dei Paesi economicamente e tecnologicamente meno sviluppati. A questi ultimi vengono sottratte le terre da sfruttare sia per la fertilità dei suoli (colture di speculazione a basso costo di esercizio ed elevati ricavi), sia per la ricchezza delle risorse minerarie e petrolifere (esportazione), sia per le bellezze naturalistiche (elitari e ciclopici impianti turistici), sia per operazioni di industrializzazione e urbanizzazione.

 

-          Ma quali sono gli attori responsabili dell'accaparramento?

Il processo di acquisizione è tutt’altro che scontato e lineare: coinvolge istituzioni e imprese sia dei Paesi venditori, che dei Paesi compratori, spesso attraverso società multinazionali che in alcuni casi hanno sede sociale nello stesso Paese preda o in “Paesi terzi”, i cosiddetti “paradisi fiscali”, e quindi difficilmente localizzabili. È perciò necessario fare chiarezza anche sui termini da utilizzare per definire i Paesi venditori e i Paesi compratori; nel linguaggio internazionale si parla di Paesi investitor e di Paesi target. I primi sarebbero “portatori di interessi” – in realtà paesi predatori di risorse sulle quali speculare (più di 50 Paesi secondo i dati di febbraio 2018); i secondi identificati come Paesi “obiettivo di tali interessi” (una novantina) sono invece paesi preda in cui avvengono le speculazioni. Né questa distinzione esaurisce il quadro complessivo. La complessità del fenomeno è infatti aggravata perché in alcuni casi la sede societaria degli investitor/predatori è localizzata in Paesi terzi (a bassa o nulla fiscalità) i quali, lungi dall’essere i veri investitor, mascherano l’origine dei veri interessi speculativi. Si tratta di Paesi che, pur inseriti nell’elenco dei Paesi target/predati, sono investitor/predatori per un numero di ettari di gran lunga superiore a quello delle terre predate al loro interno (Malaysia con più di 3 milioni di ha; Cina con più di 4,5 milioni di ha; India con più di 1milione e mezzo; Sud Africa e Mauritius con poco meno di mezzo milione di ettari, ecc.).

Alcune società accaparratrici hanno creato una o più aziende/società con sede nello stesso Stato dove fanno i loro investimenti, per cui lo stesso Paese preda risulta anche predatore (67 casi) e addirittura predatore di se stesso (più di 20 casi) e di altri Paesi preda (ben 32 casi). Per tutti questi casi è preferibile adottare la dizione di Paesi ombra con l’intento di esplicitare l’oscura trama delle loro politiche di acquisizione fondiaria. Si tratta in particolare di una decina di Paesi che, pur essendo predati, hanno acquistato superfici molto più ampie della loro stessa estensione, superiori anche al 1000% e addirittura al 10.000% di quelle a loro sottratte dal land grabbing (India, Mauritius, Sri Lanka, Tailandia).

 

-          E che ruolo giocano i governi locali, perlopiù di carattere antidemocratico?

L’appropriazione avviene comunque e quasi ovunque con la stessa complicità dei governi locali antidemocratici e corrotti e, fenomeno ancora più grave, con la sempre più frequente copertura offerta dai paesi terzi/ombra (circa una decina) ad aziende, gruppi e/o filiali, con sede ufficiale nel paese oggetto di investimenti e capitali riconducibili a Società multinazionali, localizzate nei Paesi ricchi. E ciò spiega peraltro perché alcuni Stati, pur essendo inseriti nell’elenco dei paesi target/preda, sono da ritenersi paesi investitor/predatori: in questi casi, infatti, la differenza tra superfici vendute e acquistate mostra scarti, paradossalmente a loro vantaggio, che ammontano anche ad alcuni milioni di ettari (Federazione russa, Cina, Malaysia, Sud Africa, Cile, India e Mauritius).

 

-          Spesso, i soggetti accaparratori avanzano, a giustificazione del proprio operato, l’obiettivo di voler favorire una preziosa forma di risanamento ambientale. Siamo di fronte a un palese ed ipocrita tentativo di nobilitante autoassoluzione?

In questa prima decade del XXI secolo l’obiettivo di risanare i guasti prodotti alle risorse naturali dagli eccessi dello sfruttamento agroindustriale – lo stesso obiettivo che negli anni Novanta era servito in Europa a dare “giustificazione etica” alla politica agricola comunitaria del set aside – ha mutato programma ed è stato coniugato con l’impegno a potenziare il consumo energetico “sostenibile”, cioè ottenuto dalle fonti rinnovabili: eolico, fotovoltaico e biomasse (Pacchetto Clima Energia “20 20 20”). Non più dunque incentivi per rinunciare a coltivare i terreni, set aside, ma premi alla loro riconversione verso colture no food (oleaginose, canna da zucchero, colza, jatropha, ecc.).

Come non sottolineare allora, assurdità e ipocrisie nascoste dietro il tentativo di “tutelare l’ambiente naturale” coltivando no food su terre fertili sottratte all’agricoltura di sussistenza nei Paesi in cui ancora si muore di fame? Gli investitori, per giustificare i loro accordi finanziari, sostengono farisaicamente di farlo proprio per la sostenibilità ambientale, perché le terre accaparrate vengono destinate alla produzione delle biomasse per l'energia rinnovabile. In realtà il risultato di tante transazioni è solo la povertà generata dall’alienazione delle terre all’agricoltura famigliare di sussisten­za e l’al­lon­tanamento coatto dai territori d’origine di interi gruppi umani costretti ad emigrare.

La sostenibilità delle nuove formule di sfruttamento agricolo è infatti platealmente contraddetta dalla vastità delle superfici predate e scandalosamente mai messe a coltura, più dei 4/5 del totale accaparrato, con valori di superficie coltivata (SAC) sul totale acquisito che, in alcuni casi, non raggiungono nemmeno l’1% (Liechtenstein, Korea, Djibouti, Emirati Arabi), come pure dalla scelta degli ordinamenti monocolturali (canna da zucchero, jatropha, olio di palma) tipici dell’economia di piantagione, che accelera i cambiamenti climatici in atto, sfruttando e abbandonando i terreni desertificati dall’aggressività dei mezzi meccanici e chimici.                                                                                                      

C'è da chiedersi piuttosto quanto incida sul cambiamento climatico globale l’agricoltura di speculazione, oggi in gran parte no food, che espone migliaia e centinaia di migliaia di ettari all’inquinamento e alla desertificazione e per contro quanto pesa sull’abbattimento dei costi di produzione degli alimenti (poche decine di centesimi di euro per un chilo di farina o per un pacco di pasta o per una bottiglia di pomodoro o di latte) la concorrenza garantita da spese di esercizio pressoché nulle (terreni a meno di 1 dollaro l’ettaro e manodopera assoggettata al caporalato). E, infine, chiediamoci anche da dove partono i flussi migratori dei disperati che perdono, insieme alla terra espropriata con la forza, la possibilità stessa di assicurare la sopravvivenza a sé e alle loro famiglie tanto da essere pronti ad affrontare viaggi “della speranza” carichi di sevizie e di morte.

 

 

-          E' quindi difficile ravvisare effetti positivi del fenomeno?

Purtroppo è proprio così. Gli effetti del land grabbing sono oltremodo rovinosi:

sottrazione senza adeguata compensazione del solo mezzo da cui intere comunità umane traggono il necessario per l’autoconsumo; fame e forzato, definitivo abbandono di quelle terre che assicuravano la magra economia di sussistenza.

Più che l’esportazione di pratiche agricole sostenibili e la produzione di energia rinnovabile, azioni ipocritamente invocate a giustificazione dei loro accordi dagli investitori, il risultato di tante transazioni è dunque l’al­lon­tanamento coatto dai territori d’origine di interi gruppi umani costretti ad emigrare.

 

 

* MARIA GEMMA GRILLOTTI DI GIACOMO

Professore Ordinario di Geografia e responsabile delle problematiche "Alimentazione nel mondo" all’Università Campus-BioMedico di Roma, è Membre d’Honneur della Société de Géographie di Parigi ed è stata insignita del Grand Prix de Catographie 2001 per aver realizzato l’opera Atlante tematico dell’agricoltura italiana e del Premio Letterario Nazionale 2013 gli scrittori dalla penna verde "Parco della Maiella", conferito alla prima edizione del volume Nutrire l'uomo, vestire il pianeta. E’ Corresponding member e National Network Coordinator for Italy della Commissione UGI "Sustainability of Rural Systems" nell’ambito della quale è stata nominata National Network Coordinator for Italy. Coordinatore Scientifico del Gruppo di Ricerca Interuniversitario "Geografia comparata delle aree agricole europee ed extraeuropee" (GECOAGRI-LANDITALY) ha messo a punto una metodologia di indagine innovativa, applicata in varie ricerche condotte in Italia e all'estero e nello studio condotto sulla realtà dei Monti Lepini, cui è stato attribuito il Premio paesaggio Europa 2011. In occasione della presentazione del Codex Alimentarius del 2005, ha organizzato presso la FAO, il Colloquium internazionale Quality Agriculture: Historical Heritage and Environmental Resources for an Integrated Development of Territories e ha realizzato la mostra scientifica Ouer countryside’ s agri-cultures: quality of landscapes, values and tastes. Consulente scientifico per la stesura del Disegno di Legge n. 1600 del 25-05- 2007 “Disposizioni per la Tutela e la Valorizzazione del Paesaggio Rurale”, ha coordinato la 29° sessione del Congresso Geografico Italiano 2017 dedicata a L'attuale rivoluzione dei modelli alimentari e gli effetti colti nello straordinario dinamismo delle campagne italiane. Tra le circa 180 pubblicazioni si segnalano le due opere Atlante tematico dell’agricoltura italiana e Atlante tematico delle acque d’Italia; i testi metodologici Una geografia per l'agricoltura (vol. I e II); il volume La regione della geografia. Verso la cultura del territorio; la seconda edizione del libro Nutrire l'uomo, vestire il pianeta Alimentazione-Agricoltura-Ambiente tra imperialismo e cosmopolitismo e il volume curato con Pierluigi De Felice Land grabbing e land concentration I predatori della terra tra neocolonialismo e crisi migratorie.

 

 

**Land grabbing e land concentration. I predatori della terra tra neocolonialismo e crisi migratorie

Autori e curatori

Maria Gemma Grillotti Di GiacomoPierluigi De Felice

Contributi

Francesco Bruno, Francesca Krasna, Mario Lettieri, Paolo Raimondi, Vittoradolfo Tambone

Dati

pp. 166,   1a ristampa 2019,    1a edizione  2018   

Edizioni Franco Angeli, Milano.

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Last modified on Saturday, 09 February 2019 22:21
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