L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Nello scorso maggio, per i Quaderni Satyagraha prodotti dal Centro Gandhi di Pisa, è uscito, a cura di Maria Elena Bertoli, un volume di indubbia attualità contenente vari pregevoli saggi, dal titolo La nonviolenza al tempo del coronavirus. Nell’esaminarlo, subito, mi hanno particolarmente colpito l’originalità e l’incisività delle tesi proposte da Francesco Pistolato* nel suo La necessità di un nuovo paradigma nei Peace Studies** .
In esso, partendo dall’antica concezione mistico-teosofica (rivisitata e brillantemente corroborata in sede scientifica) secondo cui tutti i prodotti della psiche rappresenterebbero energie vere e proprie capaci di influire oggettivamente sul mondo circostante, si sostiene l’urgenza di passare, nell’ambito del pensiero e della ricerca dell’attuale pacifismo, da un paradigma incentrato prevalentemente su cause materiali dei conflitti ad uno che conferisca centrale rilevanza alle cause energetiche. Ciò perché la dimensione del pensare e del sentire non potrebbe più essere ritenuta come qualcosa di semplicemente “astratto”: pensieri, emozioni e sentimenti, infatti, di natura agapica ed amorevole generano inevitabilmente una realtà fenomenica di pace, mentre, in caso contrario, innescano e alimentano, altrettanto inevitabilmente, fenomeni di tensione e conflittualità.
Alla luce di tale tesi, e rifacendosi esplicitamente al pensiero e all’opera di Gandhi, Francesco Pistolato ci invita ad intendere il principio etico del trasformare se stessi in vista della trasformazione del mondo non più semplicemente come un insegnamento di impronta nobilmente ascetica, bensì come un progetto strategico rigorosamente logico e concretamente pragmatico.
Basandosi, poi, soprattutto su un’affermazione di Max Planck, si arriva anche a postulare che tutta l’energia cosmica non sia mera forza cieca, ma sottenda una coscienza immanente, che i Peace Studies dovrebbero, pertanto, seriamente cominciare a rendere oggetto di indagine.
Una coerente presa in considerazione dell'insegnamento di Gandhi, quindi, alla luce anche della scienza d'avanguardia contemporanea, dovrebbe, secondo Pistolato, poter favorire un'autentica “rivoluzione copernicana” nel campo del dibattito pacifista-nonviolento e nell'approccio individuale di chiunque intenda operare efficacemente a favore della pace.
Assai positivamente stimolato dalle tesi presentate nel suddetto saggio, non ho potuto resistere al desiderio (prontamente realizzato) di dare vita ad una corposa intervista con il suo Autore.
- La tua interessante dissertazione prende le mosse dal timore che il mondo del pacifismo contemporaneo non abbia preso nella dovuta considerazione l'invito gandhiano ad impegnarsi a trasformare se stessi in vista di una possibile trasformazione del mondo. Si tratta di un semplice sospetto o della registrazione di un fenomeno da te effettivamente riscontrato sulla base dei tuoi studi e della assidua frequentazione di molteplici ambienti pacifistico-nonviolenti, in Italia e in altri Paesi?
- Quello che intendo sottolineare con il mio articolo non è la perfettibilità dell'ambiente pacifista e nonviolento, cosa che si può dare per scontata a priori in ogni ambito e per ogni singolo individuo. Da quando seguo e studio i temi di pace e nonviolenza ho conosciuto un gran numero di persone molto in gamba e di ottime intenzioni. Ciascuno fa del proprio meglio, e non lo si può rimproverare per questo. Chi si mette d'impegno, per raddrizzare un po' questo mondo così pieno di ingiustizie e violenza, va incontro a molte frustrazioni. E' questo un punto molto delicato, al quale secondo me non ci si prepara adeguatamente. Il risultato è che spesso si reagisce a quanto si vede anche in modi che, pur risultando perfettamente urbani, generano una controreazione, finendo così per alimentare tensioni, anziché scioglierle. Ogni nostro pensiero, parola e sentimento, la scienza comincia ora a dimostrarlo (e il mio articolo questo intende sottolineare), genera effetti in un campo condiviso con gli altri. Occorre quindi essere consapevoli che ogni più recondito moto del nostro animo immette nel campo energie che, se non sono perfettamente pulite, "inquinano", cioè non migliorano una situazione che già spesso è grave per conto suo, ma la rafforzano. Ovvero proprio il contrario di quello che si vuole ottenere.
Nonviolenza è un'attitudine dell'animo tale per cui quello che esce da noi è sempre pacificante, anche per una controparte particolarmente agguerrita che, se pure continua con i suoi comportamenti, quantomeno non se li ritrova rafforzati dalla nostra reazione e che, alla lunga, è suscettibile di ammorbidire le sue posizioni. Per arrivare a cotanto risultato bisogna che ci chiediamo, noi pacifisti e amici della nonviolenza, se davvero non solo i nostri atti e le nostre parole, ma persino i nostri pensieri e le nostre emozioni, non siano mai di rabbia e di volontà punitiva nei confronti di chi pratica apertamente la violenza. Per arrivare a essere scevri di queste emozioni c'è molto lavoro da fare su se stessi. Se non lo si fa, le emozioni si riversano nell'ambiente - diciamo così, con un'immagine di tipo ecologico - e arrivano fino agli altri oggetto della nostra critica, i quali molto probabilmente reagiranno con ancora maggiore violenza. Questo Gandhi lo sapeva bene, perciò ogni sua iniziativa di protesta era preceduta da giorni di digiuno e purificazione da parte di tutti coloro che l'avrebbero messa in atto.
- Si potrebbe dire che, di fatto, ispirandoti a Gandhi, hai cercato, con il tuo lavoro, di convalidare e di riproporre quanto asserito in maniera cristallina nelle prime meravigliose righe del Dhammapada buddhista?
“Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
Ogni parola o azione che nasce da un pensiero torbido è seguita dalla sofferenza, come la ruota del carro segue lo zoccolo del bue.
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
Ogni parola o azione che nasce da un pensiero limpido è seguita dalla gioia, come la tua ombra ti segue, inseparabile.”
Non pensi, però, che ciò potrebbe far arricciare il naso a più di un esponente del movimento pacifista, di formazione culturale marxista o positivista?
- Domanda elegante ma di facile risposta. Sia la cultura positivista che la marxista risalgono all'Ottocento, un'epoca in cui si tendeva a pensare che tutto l'esistente fosse materiale e il resto fumo per i gonzi. Dagli inizi del Novecento, però, i fisici, che studiano la materia, hanno cominciato a riconoscere che essa, come ricordo nell'articolo in questione, esiste solo in senso molto relativo. Tuttavia gran parte degli scienziati, trovandosi in difficoltà con una dimensione immateriale di cui non sanno come servirsi, hanno continuato ad operare secondo linee positivistiche. Questo spiega il perdurare di una visione del mondo condivisa che, pur giustificandosi sempre meno, corrisponde alla nostra percezione sensibile e per questo appare fondata.
Questa messa da parte di evidenze scientifiche vecchie ormai di 100 anni - e dalle quali sono derivati i laser e la telefonia cellulare, tanto per fare esempi molto chiari - non può durare in eterno. Prima o poi bisognerà prendere atto non dell'esistenza di una dimensione energetica, che nessuno scienziato ormai nega, ma delle sue implicazioni, tanto più che il nostro corpo ad essa reagisce, e la nostra mente anche. Questo per quanto attiene al positivismo. Discorso analogo per il marxismo, che annega di fronte a una messa in second' ordine della materia, su cui esso si fonda. Se ritiene di avere basi scientifiche per riaffermare, oggi, la preminenza della materia, anzi la sua assoluta ed esclusiva esistenza, come faceva nella seconda metà dell'Ottocento, le mostri e apra un dibattito all'interno del mondo scientifico.
Aggiungo due ulteriori osservazioni: né il positivismo, né il marxismo, si sono mai posti fino in fondo il problema della violenza, e se mai il discorso è emerso, l'hanno giustificata ampiamente. Un discorso di pace e nonviolenza su basi positivistiche o marxiste, quindi, non ha senso.
Che la sinistra si sia ritrovata o si ritrovi su posizioni pacifiste è un dato di fatto, ma qui siamo fuori dalla dottrina marxista. Né Marx, né Engels, né Lenin hanno mai condannato la violenza, considerandola anzi un mezzo legittimo per il raggiungimento e la difesa del potere.
- Ma, al di là di tutte le possibili differenziazioni e controversie ideologiche, è fuori discussione che la questione di centralissima importanza è quale sia il modo più efficace (non ancora trovato) per pacificare il mondo. Giusto?
- Esatto. Ma se questo è l'interrogativo prioritario - e non il progresso scientifico tout court, né l'instaurazione di un regime definito giusto, o di una determinata religione considerata l'unica vera, o qualsivoglia altro obiettivo che prometta la felicità e il benessere - se, ripeto, l'interrogativo è: come facciamo ad arrivare ad una condizione priva di violenza, allora dobbiamo cominciare da noi stessi, non solo per dare il buon esempio, ma perché è l'unico modo che ora la scienza ci sta indicando che funziona.
Se poi tutto questo finisce per implicare il riconoscimento che quanto Buddha diceva 2500 anni fa era fondato, non vedo dove sia il problema. Che cosa importa chi lo ha detto per primo? Che danno potrò mai ricevere io positivista o marxista o cristiano dal riconoscere che qualcuno di un'altra cultura aveva visto più in là dei miei ispiratori? Se andiamo a guardare più da vicino, Cristo, però, non era in contraddizione con Buddha, si esprimeva solo diversamente. E' vero che il cattolicesimo rivendica di essere l'unico interprete doc degli insegnamenti di Gesù, ma, all'interno del cattolicesimo, ci sono sempre state, nella prassi, interpretazioni opposte: San Francesco e la Santa Inquisizione non si assomigliano molto.
Concludendo: per un pacifista e un nonviolento l'obiettivo è lavorare per la pace. Come lo si è fatto finora, non ha funzionato. Il mio articolo indica un'altra strada e si onora di essere nella scia di insegnamenti antichissimi, pur non fondando le sue argomentazioni su di essi.
- Tu attribuisci una grande importanza alle ricerche portate avanti dall’Heartmath Institute (www.heartmath.org) sul tema della cosiddetta “coerenza cardiaca”, considerata indicatore prezioso della salute della persona, in stretta correlazione con il concetto di campi magnetici propri ed altrui, addirittura anche di ordine planetario.
Di cosa si tratterebbe esattamente e come si è giunti ad una simile scoperta?
- All'inizio degli anni Novanta l'Heartmath Institute cominciò a indagare non solo l'effetto negativo prodotto sul sistema nervoso, su quello ormonale e sull'immunitario, da emozioni che provocano stress, ma anche l'effetto di emozioni positive generate da apprezzamento, empatia e accudimento. Misurando le onde cerebrali, la conduttività della pelle, effettuando elettrocardiogrammi, verificando la pressione sanguigna e i livelli ormonali, i ricercatori si resero conto che l'indicatore più significativo e dinamico di tutti quelli presi in considerazione erano i ritmi cardiaci. Il cuore, cioè, era l'organo che reagiva di più non solo alle emozioni, ma anche ai pensieri. Ciò indicava un collegamento del cuore con tutto l'apparato e, in particolare, col cervello. Si misero così a studiare la relazione cuore-cervello, notando che il cuore si comportava come se disponesse di una mente propria ed era in grado di influenzare la consapevolezza, le percezioni e l'intelligenza. L'influenza esercitata dal cuore sul corpo, particolarmente sul cervello, sulle ghiandole endocrine e sul sistema nervoso venne denominata coerenza cardiaca, e questa, a sua volta, definita come “la misura dell’ordine, della stabilità e dell’armonia nell’oscillazione dei sistemi di regolazione [corporea]”. In parole povere, la coerenza cardiaca è un indicatore della salute della persona, dello stato di equilibrio (o disequilibrio) generale all’interno del corpo.
-Nel tuo articolo, sempre a proposito della coerenza cardiaca, fai riferimento al cosiddetto “effetto Maharishi”. In che relazione sarebbero le due cose?
- L' ”effetto Maharishi” è provocato dalla pratica simultanea della Meditazione Trascendentale da parte di un certo numero di persone in un dato luogo, al fine preciso di determinare un maggiore livello di pace sull'ambiente circostante. Gli studi rivelano che basta la radice quadrata dell'1% della popolazione del luogo interessato per determinare livelli considerevoli di abbassamento di violenze, crimini e addirittura incidenti stradali nel luogo in cui la meditazione si tiene con l'intento descritto. L'affinità con la coerenza cardiaca è data dal fatto che la meditazione calma la mente e le emozioni del meditante, e, di conseguenza, il cuore è in maggiore coerenza, cioè più in armonia col resto del corpo, e in particolare col cervello.
- Ritorniamo ora alla questione-pacifismo.
Tu batti e ribatti sul concetto ilozoistico-panteistico, tanto caro al grande Giordano Bruno, secondo cui tutto sarebbe colmo di vita, anzi, che tutto sarebbe Vita, ovvero Energia.
Quindi?
- Allora, se tutto è energia, l'energia è dappertutto, non occorre andarla a cercare sventrando la terra, provocando guerre, inquinamento e conseguente distruzione del pianeta (sembra che Tesla e altri fossero arrivati a questa conclusione e, mentre stavano lavorando all'applicazione pratica, alla liberazione cioè del mondo da tutti gli inquinamenti e da tutte le distruzioni, siano stati "invitati" a smettere).
E se l'energia, che è tutto, è stata capace di costruire l'universo, allora tanto stupida non deve essere. Quindi il Geist, la Mente, postulata da Planck - come dico nel mio articolo in questione - quella che ben prima Buddha aveva riconosciuto essere la fonte di tutto, come molto opportunamente hai ricordato tu - è un altro degnissimo, anche se difficilissimo, oggetto di investigazione, di un'investigazione che comunque è già cominciata, v. Chopra, Deepak et al.. How Consciousness Became the Universe: Quantum Physics, Cosmology, Relativity, Evolution, Neuroscience, Parallel Universes, Cambridge, Cosmology Science Publishers. 2016.
- In pratica?
- Qui viene il bello, che ci riguarda direttamente: se noi pacifisti e amici della nonviolenza vogliamo smetterla di essere i paria della ricerca scientifica, nonché l'oggetto di canzonatura del potere, che di tanto in tanto ci elargisce briciole per i nostri convegni in cui ci asciughiamo vicendevolmente le lacrime (perché abbiamo ragione noi!), ma il mondo non ci capisce, mentre fondi immensi dalle stesse tasche - che alla fine sono le nostre - vanno per la distruzione del pianeta e dei suoi abitanti, se tutto questo ci ha stufato, e ci siamo anche stancati di leggere e magari, di tanto in tanto, anche scrivere, trattati di politica, sociologia, economia, teologia, filosofia, che ci spiegano perché le cose vanno male e come dovrebbero invece andare, se ... etc. etc. Tutto questo lo abbiamo già fatto: ci siamo acculturati e informati su un panorama che è l'oggetto dei nostri tormenti, abbiamo protestato in maniera nonviolenta e ogni tanto raccolto la solidarietà di qualche star mediatica, ma, alla fine, nulla è cambiato.
Ammettiamolo, se ci sembra, oppure andiamo avanti così ad libitum, finché non ce ne saremo convinti. Una volta convinti, e da qui muove il mio articolo, dovremo renderci conto che occorre cambiare occhiali vecchi di 4 secoli, appena ritoccati due secoli dopo, cioè almeno 150 anni fa. Con un paio di occhiali nuovi cominceremo forse a intravvedere quello che Buddha ha visto chiaramente due millenni e mezzo fa. Certo, dovremo ammettere di essere stati preceduti, ma ce ne faremo una ragione: ne abbiamo già mandate giù tante, non moriremo per questo. E in fondo, diciamocelo, arrivare secondi dopo Buddha non è poi così umiliante, c'è di peggio!
E così, se dio vuole, magari scopriremo, cioè vedremo con i nuovi occhiali, che l'Energia, essendo tutto quello che c'è, è onnipresente, è nel qui ed ora, e che la Coscienza che la genera e la guida, non può non essere onnipresente, cioè nel qui ed ora.
E, se tanto mi dà tanto, vuoi vedere che anche la pace, la Pace, è pure essa nel qui ed ora?
*Francesco Pistolato, cofondatore del Centro Interdipartimentale di Ricerca IRENE dell’Università di Udine, ha conseguito, presso l’Università di Granada il Master in Cultura di pace e il Dottorato in Sociologia, con una tesi su Ekkehart Krippendorff. È autore di svariate traduzioni in ambito storico, filosofico e giuridico, di opere di didattica delle lingue e di vari testi di cultura di pace, nonché membro della redazione dei Quaderni Satyāgraha, per il Centro Gandhi Edizioni.
**La necessità di un nuovo paradigma nei Peace Studies, in Maria Elena Bertoli (Ed.), La nonviolenza al tempo del coronavirus, Quaderni Satyagraha n. 37, Pisa, Gandhi Edizioni 2020, pp. 193-205.
Nel caso si incontrassero difficoltà a trovare il QS 37 (di solito è su http://www.ibs.it), si può scaricarne gratuitamente la versione in inglese, diversa in pochi passaggi in modo irrilevante e leggermente meno ricca:
Transforming Ourselves First. The Need of a Paradigm Shift in Peace Research and Peace Education, in In Factis Pax, Volume 14 Number 1, 2020, 56-65 http://www.infactispax.org/journal