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“L’abisso verso il quale ci stiamo dirigendo è ben visibile: armandoci sempre di più e distruggendoci a vicenda nelle guerre, non otterremo nient’altro che l’annientamento reciproco, come ragni intrappolati nella propria ragnatela.”
LEV TOLSTOJ
Merzoug Hamel, giovane musulmano figlio di immigrati, aderente a gruppi islamisti radicali, in seguito al massacro del 25 febbraio del 1994, compiuto da un colono israeliano nella moschea di Hebron, venne inviato, qualche tempo dopo, in Marocco per compiere una strage vendicativa all’interno di una sinagoga.
Una volta trovatosi di fronte alla gente che avrebbe dovuto colpire, alcuni bimbi si voltarono verso di lui, fissandolo. Vide i loro occhi incontaminati e quegli sguardi riuscirono a rovesciare nei labirinti del suo cuore un vento di innocenza ignaro delle lotte fra popoli diversi, ignaro delle terre contese e delle infinite violenze che inseguono e che creano altre violenze infinite. E così, Merzoug decise che non sarebbe stato seminatore di morte: sparò sul muro del cimitero, svuotando l’intero caricatore sopra le loro teste.
“Non potevo più far loro del male né potevo farne degli orfani”, disse, affermando anche che “Ogni essere umano dotato di coscienza morale e di umanità non può essere un mostro e ancor meno un assassino di bambini.”*
Qualcosa di straordinario era accaduto. Come se tutto un complesso meccanismo, entrato massicciamente in funzione per indurre un essere umano a diventare l’autore mostruoso di una strage di ampie proporzioni (presentata come un doveroso ed eroico atto di giustizia), si fosse inceppato di fronte alla comparsa di un elemento del tutto imprevisto. Come se, a un certo punto, tutte le forze (che sembravano irresistibili) in azione da una parte avessero improvvisamente trovato, dall’altra, una forza ancora più grande, capace di bloccarle: lo sguardo di quei bimbi.
Qualcosa di straordinario sì, ma non di “miracoloso”, però … E’ accaduto, per usare un’immagine pirandelliana, che la forza di quegli sguardi ha saputo squarciare il cielo di carta sopra il teatrino della storia, facendo apparire le mani e i volti dei grandi burattinai: le maschere ideologiche, i paraventi costruiti dall’odio, le giustificazioni nobilitanti partorite dal desiderio di vendetta hanno finito per rivelarsi, di fronte alla verità della luce di quegli occhi, come ciò che realmente sono, qualcosa di fittizio, di menzognero e di spregevolmente ingannevole.
Merzoug dichiarò, poi, che, in quanto credente e musulmano, aveva “appreso che tutte le religioni divine spingono alla pace, all’amicizia tra i popoli e al rispetto della vita umana, e che appartiene solo a Dio di decidere del momento della morte.”
E il suo auspicio è stato che ogni soldato israeliano, prima di sparare ad un bambino palestinese, avrebbe dovuto pensare alla propria coscienza, al proprio cuore, ai padri e alle madri, “al dolore, alla sofferenza, allo strappo nei loro cuori che non guarisce né si cancella mai.”
Hermann Hesse |
Auspicio che merita di essere esteso, oggi più che mai, a tutti coloro che impugnano le armi, con questa, con quella o con nessuna divisa, a tutti quelli che finanziano armi, progettano armi, fabbricano, vendono o “regalano” armi. A tutti quelli che, in un modo o nell’altro, le giustificano, le invocano e le benedicono.
Solo la conoscenza della nuda realtà, solo la consapevolezza di cosa implichi davvero affidare le proprie speranze di giustizia e di pace all’uso delle armi, solo il pensiero delle vite distrutte e delle sofferenze … solo questo potrà salvarci dalla retorica delle fanfare e delle bandiere, dagli ingannevoli sofismi, dal culto della violenza e degli eserciti, dalla dittatura ideologica della pseudofilosofia del “mali estremi estremi rimedi”.
Perché è sempre verissimo che, come insegnava Socrate, è l’ignoranza la grande madre di ogni male e che il rifiuto della tirannia delle armi non nasce dalla non conoscenza della realtà, bensì sempre da un giusto e concreto sapere.
Come ebbe a scrivere Hermann Hesse nel 1918:
“L’amor di pace, al pari di ogni umano progresso, è frutto del sapere.
Ma ogni cognizione, se con ciò si intende qualcosa di tangibile e non accademico, ha soltanto un oggetto, cosa riconosciuta da migliaia e migliaia di persone, espressa in mille formule diverse e che tuttavia è sempre e soltanto un’unica verità:
il riconoscimento di quel che c’è di vivente in ciascuno di noi, in me e in te;
il riconoscimento di quella segreta magia, di quella segreta divinità che ognuno di noi reca in sé;
il riconoscimento della possibilità di superare, a partire da questo intimissimo nucleo, ogni antitesi tra opposti in ogni momento, di trasformare il bianco in nero, il male in bene, la notte in giorno.
L’indiano parla di “atman”, il cinese di “tao”, il cristiano di “grazia”. E ovunque si abbia questa suprema cognizione (come ad esempio in Gesù, in Buddha, in Platone, in Lao Tze), ecco che si supera una soglia, al di là della quale cominciano i miracoli. Qui hanno termine guerra e ostilità.”**
A fermare la mano di Merzoug, allora, furono gli sguardi di quei bimbi che, forse, ebbero la straordinaria, naturalissima capacità di fargli scoprire (o riscoprire) quell’ unica, grande, immensa, eterna verità:
la “segreta magia”, la “segreta divinità che ognuno reca in sé”.
*M. Giro, Gli occhi di un bambino ebreo. Storia di Merzoug terrorista pentito, Guerini e Associati, Milamo 2005.
*Hermann Hesse, Guerra e pace, in Non uccidere, Mondadori, Milano 1987.