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Dall'ex ministro dell'economia greco Yanis Varoufakis, una critica marxista “atipica” al sistema che regge l'Eurozona
Che le si condivida o meno, le recenti scelte politiche del partito greco al governo Syriza, del primo ministro Alexis Tsipras e dell'ex ministro dell'economia Yanis Varoufakis hanno messo in luce le più gravi contraddizioni che dilaniano l'Eurozona. In particolare l'antinomia tra il carattere essenzialmente economico e monetario dell'Unione e la volontà dei paesi più forti di influenzare le politiche nazionali degli stati più deboli. Sul piano geopolitico, intanto, l'Unione Europea non è riuscita finora a elaborare e ad esprimere una posizione indipendente dagli Stati Uniti, limitandosi ad assistere da spettatrice a conflitti le cui ripercussioni sono ancora in atto. Dalle lacerazioni che hanno travolto i Balcani (attualmente, non a caso, una delle principali sacche di reclutamento dei cartelli del jihad della cosiddetta Organizzazione dello Stato Islamico – ISIS), agli errori strategici commessi nella “guerra al terrorismo” (Afghanistan, Iraq in primis), alla questione israelo-palestinese fino alla guerra civile in Libia e Siria. Ben lungi dall'intraprendere un dibattito serio sulla necessità di cambiare rotta verso una seria politica internazionale del disarmo, tra le conseguenze di questi conflitti si presta maggiore attenzione alle ondate di richiedenti asilo e migranti che ogni giorno tentano la traversata verso i paesi europei di frontiera (Italia, Spagna, Grecia) e ai quali si continua a rispondere innalzando barriere ed elaborando astrusi piani di redistribuzione dei rifugiati. Una simile reazione è sintomatica di un atteggiamento di fondo: curare i sintomi delle crisi, sia pure con effetti disastrosi, senza affrontarne le cause profonde.
Nel breve ma acuto saggio Confessioni di un marxista irregolare (traduzione italiana pubblicata dalla casa editrice Asterios), Varoufakis analizza le cause dell'attuale crisi europea partendo da considerazioni macroeconomiche.
Nel 2008, scrive, il capitalismo ha subito la sua seconda grave contrazione a livello mondiale (la prima era avvenuta nel 1929. NdR), causando una reazione a catena che ha sprofondato l'Europa in una spirale recessiva che sta tuttora minacciando gli europei con un vortice di depressione permanente, cinismo, disintegrazione e misantropia.
L'Unione Europea così com'è, infatti, è antidemocratica e irrazionale, un binomio foriero di conflitti tanto tra gli stati membri quanto all'interno delle loro rispettive società. Il problema dell'Europa dunque non è la crisi economica in sé, bensì la prospettiva adottata per risolverla. Un percorso che conduce verso un progressivo aggravarsi dell'ingiustizia sociale e, di conseguenza, verso una disumanizzazione della società.
L'esempio preso da Varoufakis in merito è eloquente. Nel film del 1953, L'Invasione degli ultracorpi, gli alieni aggrediscono gli umani dall'interno, riducendone i corpi a gusci che attraversano meccanicamente la vita quotidiana. Un processo equivalente, secondo Varoufakis, alla trasformazione del lavoro umano in una fonte di energia non differente dai semi, dall'elettricità e dai robot. Come se nell'espressione “risorse umane” (abbondantemente in uso) si celasse una de-umanizzazione dell'esistenza dei singoli, considerata quasi esclusivamente in termini di capacità produttiva. La crisi economica del 2008 si configura dunque come una crisi di civiltà che sta minando le fondamenta del capitalismo stesso. Impoverimento e de-umanizzazione provocano infatti un brusco calo nei consumi, molla della crescita economica, spingendo le società più fragili verso un sottosviluppo permanente. Secondo l'ex ministro dell'economia greco, è il film Matrix il miglior documentario sulla tendenza attualmente prevalente a cancellare dal lavoro umano tutte quelle caratteristiche che gli impediscono di diventare pienamente flessibile, perfettamente quantificato, infinitamente divisibile. Una linea che si legge nei manuali di management, nelle riviste accademiche di economia e, soprattutto, nei documenti prodotti dall'Unione Europea. Il paradosso tuttavia è che se si arrivasse davvero alla completa mercificazione del lavoro umano, lo si priverebbe al contempo di quella creatività che ne garantisce l'efficacia, generando così una Grande Recessione.
In questo contesto, la sinistra europea ha enormi responsabilità, poiché, rinunciando a una critica radicale e costruttiva al capitalismo, ha permesso ai neoliberisti di usurpare il testimone della libertà e di ottenere un trionfo decisivo in campo culturale e ideologico. Ad esempio, negli ultimi tre decenni di globalizzazione e di finanziarizzazione delle economie, in molti hanno gridato al deficit democratico. Quest'ultimo, in realtà, altro non rappresenta se non il successo del liberalismo nel separare l'economia dalla politica, lasciando la sfera economica al capitale. Una considerazione che dà ragione all'analisi marxiana dell'economia. L'analisi di Varoufakis, dunque, è fortemente ispirata, come lui stesso riconosce, a Marx, cui tuttavia vengono rivolte due critiche fondamentali. Anzitutto, una mancanza di dialettica e di riflessione su come le sue teorie sarebbero state recepite e attuate dai suoi seguaci, che, di fatto, in molti casi le hanno utilizzate per guadagnare potere approfittando della rabbia degli oppressi. In secondo luogo, il filosofo tedesco avrebbe commesso un errore di omissione, che l'ex ministro greco considera particolarmente grave: la convinzione di poter trovare la verità sul capitalismo nei modelli matematici che costituiscono gli schemi di riproduzione. Modelli algebrici teoricamente impeccabili, che tuttavia non tengono conto delle variabili “umane” (quindi imprevedibili) che incidono sui rapporti sociali e di produzione. Una critica simile a quella che il filosofo e scrittore francese Albert Camus rivolgeva a Marx nell'Uomo in rivolta, parlando di chimica delle anime.
Un capitolo a parte viene dedicato alla lezione dell'ex primo ministro britannico Margaret Thatcher per i radicali europei di oggi. Trasferitosi in Inghilterra da studente nel 1978, Varoufakis ha potuto osservare da vicino gli effetti sociali della linea politica della “Lady di ferro”. Inizialmente persuaso che la vittoria della Thatcher avrebbe prodotto lo shock necessario a rinvigorire le politiche progressiste, l'ex ministro greco ha ben presto constatato il ripiegamento della sinistra su se stessa, le profonde divisioni in seno alla classe operaia (tra emarginati e cooptati dal nuovo assetto neoliberista) e la finanziarizzazione estrema, che hanno finito per instillare misantropia nel tessuto sociale. Come la Thatcher si è resa responsabile di disastri economici e sociali, oggi è lo stesso capitalismo europeo che minaccia di smantellare l'Eurozona, l'Unione Europea e persino se stesso. L'uscita di singoli paesi dall'Euro, d'altronde, non provocherebbe altro che recessione nell'Eurozona e stagnazione senza prospettive di risalita per chi ne resta fuori. Un terreno assai fertile per il proliferare di movimenti e forze politiche xenofobi e l'ascesa di gruppi criminali. Ai leader europei Varoufakis rimprovera dunque di aver creato un'unione monetaria priva di strumenti per attutire gli shock, aumentandone dunque l'impatto e la portata delle conseguenze. In tal modo, le misure di austerità imposte dalla trojka non fanno che sprofondare i paesi più deboli in circoli viziosi di involuzione e recessione, difesi agli occhi dell'opinione pubblica attraverso menzogne e omissioni. Un esempio fra tutti, Olli Rehn (responsabile delle questioni economiche e finanziarie nella Commissione Europea), che ha recentemente accusato il Fondo Monetario Internazionale di aver rivelato alcuni errori commessi nei calcoli sui sistemi fiscali dell'Eurozona. Secondo Rehn, infatti, questo avrebbe minato la fiducia dei cittadini europei nelle loro istituzioni.
L'Europa così com'è dunque non funziona, ma uscirne sarebbe gravoso per i singoli. L'unica soluzione è ricostruire l'Unione Europea su basi differenti: politiche, di giustizia sociale, di solidarietà.
Carlotta Caldonazzo