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A oltre quattro mesi dall'inizio dell' "operazione speciale militare " in Ucraina - secondo la versione russa - o 'invasione" - secondo la speculare versione euroatlantica — cominciano a emergere le prime avvisaglie di una frattura all'interno del cosiddetto fronte occidentale che si riflette nelle società civili dei vari paesi europei. Facendo leva su una prima e subitanea reazione emotiva, l'Unione Europea e i singoli parlamenti e governi nazionali hanno scelto e deciso di scendere in campo a favore dell 'Ucraina, inasprendo le sanzioni contro la Federazione russa e inviando armi a Kiev. Tali decisioni, in particolare quella dell'invio di armi - che di fatto rende cobelligerante anche il nostro Paese - sono avvenute senza un serio e approfondito dibattito democratico sulla opportunità dello schieramento a favore di uno dei contendenti e sulle relative conseguenze, nel medio e lungo periodo, di una decisione forse avventata e certamente non adeguatamente ragionata. Anzi, chi ha tentato di aprire un dibattito in seno alla società civile o si è pronunciato, fin dall'inizio della crisi, a favore della pace o ha sostenuto le ragioni della neutralità, o solamente abbia cercato di comprendere sul piano analitico e accademico le cause della grave crisi geopolitica è stato ostracizzato, messo alla berlina, ridotto all' autocensura o strumentalizzato nel grande circo mediatico dei talk-show e, a seconda dei casi, perfino accusato di connivenza con il "nemico".
Per un migliore approccio al contendere, bisogna fare alcuni passi in dietro per capirne meglio i termini. Con il crollo del muro di Berlino nel 1990 fu data garanzia dalle potenze occidentali alle autorità sovietiche che la Nato non si sarebbe spinta oltre la Germania nell’Europa dell’est. Così non fu e, un po’ alla volta, vennero inglobate nel Patto Atlantico e nella E.U. Polonia, Romania, i Paesi Baltici, la Bulgaria, l’Ungheria, la ex Cecoslovacchia. Per quanto riguarda l’Ukraina nel 2014, a fronte di regolari elezioni politiche, ci fu una sommossa popolare promossa e finanziata dagli Stati Uniti, non nuovi nella performance, capobranco dell’Alleanza Atlantica, soprattutto in funzione anti russa. Il fatto è che insediatosi il nuovo governo fu subito promossa da questo una campagna anti russa e, nonostante quasi la metà della popolazione fosse russofona, venne imposto l’obbligo della lingua Ukraina. Al contempo i militari ukraini, complice il silenzio dei media occidentali e l’aiuto della Nato, iniziarono la persecuzione della popolazione russofona. Dal 2014 al 2018 si sono contati più di 14 mila morti. Invano la Federazione russa ha cercato in questi anni di poter comporre la controversia con l’occidente, il trattato di Minsk stipulato dai contendenti è stato completamente disatteso da parte occidentale. Ovviamente le regioni del Donbass e Lugansk si sono viste costrette a chiedere l’intervento della Federazione Russa a fronte della persecuzione in atto. L’intervento dell’esercito russo è finalizzato alla protezione della popolazione russofona, questo è nei fatti e questo è dichiarato dalle autorità della Federazione russa. I mainstream dei paesi occidentali parlano di invasione dei militari russi nei confronti di un paese sovrano dimenticando gli antefatti. Dimenticano che nel 2014 in Ukraina c’è stato un vero e proprio colpo di stato promosso dagli Stati Uniti. Intanto in Italia, paese che si autodefinisce democratico fioriscono le liste di proscrizione, i rapporti 'scientifici" sull'infiltrazione di presunti fiancheggiatori della Russia putiniana nel mondo accademico, economico, politico e giornalistico, perfino le ridicole messe al bando di eventi culturali dedicati a eminenti personalità della cultura russa.
E' verosimile supporre — e comunque argomento di dibattito democratico - che le scelte a favore di una guerra di resistenza senza se e senza ma sostenute dal Governo e dal Parlamento, in assenza di una libera e pubblica valutazione e sulla base del semplicistico schema "aggredito-aggressore", che non tiene conto della guerra del Donbass iniziata otto anni fa, siano state influenzate dagli interessi della NATO, dell'amministrazione Biden anziché dagli interessi concreti del Paese.
Oggi, quando iniziano a rendersi sempre più palesi le disastrose conseguenze economiche dovute alle decisioni del Governo e del Parlamento, si registra, da parte di larghi strati della popolazione, come anche da parte di diversi autorevoli osservatori, un ripensamento che testimonia una frattura in seno al Paese e, soprattutto, una frattura tra elettori e classe dirigente, proprio alla vigilia di importanti appuntamenti nazionali, tra cui il bilancio per il 2023 e le elezioni politiche previste per la prossima primavera.
Ne hanno parlato in un dibattito dal titolo: “Guerra e Pace – l’Italia divisa” svoltosi presso la sala stampa della Camera dei Deputati lo scorso 6 luglio Tiberio Graziani di Vision & Global Trends, gli on. Pino Cabras e Raphael Raduzzi di Alternativa.