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Turchia: golpe di fulmine (1)

By Carlotta Caldonazzo July 17, 2016 10669

Tanto la dinamica del tentativo fallito di golpe da parte di alcune frange dell'esercito turco, quanto il botta e risposta tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il suo ex alleato, ora avversario politico, Fethullah Gülen sono solo alcuni dei sintomi delle lacerazioni che dilaniano la società turca e del difficile equilibrio tra il passato ottomano e l'eredità del padre della patria Mustafa Kemal Atatürk

In alcune delle immagini che mostrano la reazione popolare al colpo di stato del 16 luglio (http://www.repubblica.it/esteri/2016/07/16/foto/golpe_fallito_in_turchia_la_festa_dei_sostenitori_di_erdogan-144215450/1/?ref=nrct-4#1), si vedono manifestanti esibire il gesto tipico dei “lupi grigi”, formazione laica di estrema destra nota in Italia per la vicenda di Ali Ağca e che ha come referente politico il Partito del movimento nazionalista (MHP). Lo stesso la cui fondazione, nel 1969, ha polarizzato i contrasti politici, sfociati negli anni '70 in conflitti armati e culminati con il colpo di stato del generale Kenan Evren. Un tentativo di riportare “ordine e stabilità” soffocando le forze di sinistra con l'appoggio delle confraternite religiose allora al bando. Lo scioglimento da parte di Evren di tutti i partiti ha finito per favorire, di fatto, la nascita di una forma tipicamente turca di islam politico, alternativa ai Fratelli musulmani nel mondo arabo e alla rivoluzione islamica iraniana e rappresentato oggi dal partito Giustizia e sviluppo (AKP) di Erdoğan. Tuttavia, all'interno dell'MHP, con cui Erdoğan ha rapporti politici opportunistici, è in atto una scissione: la guida storica di Devlet Bahçeli viene messa in discussione dall'ascesa di Meral Akşener, la cui corrente imputa a lui la sconfitta elettorale del giugno 2015 e la perdita di consensi in favore dell'AKP.

La Akşener, che si è distinta negli ultimi decenni per affermazioni imbarazzanti sulla “razza armena” e sulla necessità di liquidare la questione curda manu militari, punta a rendere l'MHP un interlocutore forte, indispensabile per l'AKP, e forse una possibile alternativa ad esso. La scorsa settimana, durante le celebrazioni della festa di fine Ramadan, il contrasto tra le due correnti è sfociato in tafferugli. Divisioni che alimentano un'instabilità mal celata dalle dimostrazioni di forza del governo, che continua a ignorare la frammentazione politica in atto negli ultimi anni. A partire dai risultati delle elezioni parlamentari del giugno 2015, che hanno segnato l'ascesa del Partito democratico dei popoli (HDP), filo-curdo e più volte accusato dal governo di essere il volto politico del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Questo partito da un lato dà voce al malcontento popolare nei confronti della linea repressiva e accentratrice di Erdoğan, dall'altro raccoglie i consensi di quanti vorrebbero una politica più attenta al vero sviluppo economico, alla giustizia sociale, alla parità di genere e ai diritti fondamentali dell'individuo. Molti dei suoi elettori sono gli stessi che nel 2013 hanno organizzato le proteste di Gezi Park, brutalmente represse dal governo, e che lo scorso anno sono scesi in piazza in minigonna per manifestare contro lo stupro e l'assassinio di Özgecan Aslan. Di fronte a simili istanze, l'annullamento delle elezioni (le parlamentari di giugno 2015 sono state nuovamente indette a novembre, dopo il fallimento delle trattative per la formazione di un governo di coalizione) e le continue accuse di “terrorismo”non possono essere una soluzione valida, come non lo sono le alleanze posticce con l'ultradestra nazionalista.

D'altro canto, l'isolamento politico di Erdoğan ha coinciso con una rischiosa deriva islamico-radicale e autoritaria: lo scorso anno il presidente turco (che, occorre notare, agisce come se già fosse stato instaurato il sistema presidenziale) ha interrotto il processo di pace con il PKK e ha imposto nuove elezioni parlamentari dopo la sconfitta di giugno. Non pago della vittoria elettorale del novembre 2015, ha messo a tacere non solo media e giornalisti non allineati, ma anche la dialettica interna alimentata dall'ex primo ministro Ahmet Davutoğlu, uscito di scena lo scorso maggio. A differenza di quest'ultimo, il presidente sostiene infatti una linea accentratrice e basata su un consenso plebiscitario, come dimostra il giro di vite sulle libertà di stampa e di espressione e gli anacronistici tentativi di riforma della “morale pubblica”. In questa chiave, le opposizioni hanno letto la sua proposta di concedere la cittadinanza turca ai profughi siriani, contro la quale si sono schierate in modo compatto. Simili sviluppi, uniti all'instabilità economica e allo stato di emergenza permanente nel Sud-est del paese (bombardato quotidianamente dall'artiglieria di Ankara), in un momento in cui la Turchia è chiamata ad avere un ruolo chiave nelle vicende mediorientali, somigliano fin troppo ai contesti dei precedenti colpi di stato.

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Last modified on Monday, 18 July 2016 12:28
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