L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
I continui fallimenti diplomatici rendono sempre più difficile una conclusione del conflitto; ignorato, finora, l'esperimento della costituzione promulgata nel Rojava
Ammesso che ci sia ancora bisogno di dimostrazioni, gli oltre cinque anni di conflitto in Siria, come le guerre che si sono susseguite dalla metà del secolo scorso, hanno reso evidente che gli esiti degli interventi di una coalizione internazionale a guida unica non sono meno nefasti di quelli delle operazioni militari a più teste. Una delle principali ragioni di queste disfatte è la sistematica mancanza di considerazione degli interessi delle popolazioni coinvolte. Inoltre, rispetto al contesto monopolare a guida statunitense delle “guerre umanitarie”degli anni Novanta e Duemila, nell'ultimo decennio l'assetto mondiale sta mutando, lasciando emergere almeno altre due potenze concorrenti, ossia Cina e Russia. L'impossibilità di imporre un'unica visione del Medio Oriente è appunto una delle cause del protrarsi indefinito del conflitto in Siria, ma solo perché simili cambiamenti geopolitici, invece di favorire una democratizzazione dell'ordine mondiale, sono sfociati nello scontro di più pensieri unici.
Al contempo causa e conseguenza delle catastrofi delle “guerre umanitarie” o “preventive” è l'impotenza degli organismi sovranazionali come l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), o l'Alleanza atlantica (NATO), anche perché sono espressione di un mondo “bipolare”, diviso nelle sfere di influenza di Stati Uniti e Unione Sovietica. Queste istituzioni, sorte alla fine della Seconda guerra mondiale, hanno una struttura intrinsecamente dialettica: possono esistere e svilupparsi solo se esistono due poli che si controllano a vicenda. Basti pensare all'atteggiamento della Turchia, in particolare dopo il “fallito golpe” di luglio: alle minime tensioni con Washington, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha immediatamente ripristinato le relazioni diplomatiche ed economiche con Mosca. Considerando anche che la Turchia ha il secondo esercito nella NATO dopo quello degli USA, si può comprendere quanto timore abbia suscitato alla Casa Bianca la sua improvvisa “deviazione”. Occorre poi tener presente che gli USA e l'Unione Europea (come dimostra l'accordo su richiedenti asilo e migranti) contano da decenni sul baluardo turco in Medio Oriente e perderlo in un momento in cui diversi attori si contendono il ruolo di potenza egemone sarebbe un danno.
Tuttavia, una pacificazione stabile e duratura non può essere fondata sulla sottomissione delle popolazioni coinvolte agli interessi delle grandi potenze. È un po' come la storia del patto iniquo di cui scriveva il filosofo ginevrino Jean-Jacques Rousseau: voi avete bisogno di me perché io sono ricco e voi poveri; stipuliamo dunque un accordo tra noi: permetterò che abbiate l'onore di servirmi a patto che mi diate il poco che vi resta in cambio del disturbo che mi prenderò dandovi degli ordini. Secondo lo stesso Rousseau, un patto simile, ben lungi dal porre fine ai conflitti ne semina di nuovi, poiché ratifica una condizione di diseguaglianza e ingiustizia. Così, sulle spartizioni coloniali (i cui effetti deleteri sono ancora osservabili) se ne innestano altre più indirette, che rendono sempre più complicata una soluzione autentica. Eppure, nel 2014 le Regioni Autonome di Afrin, Jazira e Kobane, multietniche a maggioranza curda, si sono date una costituzione, sotto la guida del Partito dell'unione democratica (PYD, il principale partito curdo siriano). Questa costituzione è stata chiamata contratto sociale, proprio come quello che proponeva Rousseau nell'opera omonima, e i suoi principi fondamentali sono il diritto all'autodeterminazione, il municipalismo democratico e la pacifica coesistenza delle comunità, tra le quali viene sancita l'uguaglianza. Nel preambolo si legge che l'obiettivo è riconciliare il ricco mosaico siriano attraverso una fase transitoria dalla dittatura, dalla guerra civile e dalla distruzione, verso una nuova società democratica in cui saranno preservate la vita civile e la giustizia sociale.