L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1457)

Free Lance International Press

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 L'azienda in Franciacorta

2021: doppia celebrazione. il 60 ° del primo Franciacorta ei 90 anni del suo fondatore.

 

 

Nel 1961 Franco Ziliani dette vita al primo Franciacorta Spumante metodo classico. Una data epocale per la spumantistica nazionale.

Per la prima volta in Italia una zona vitivinicola, se pur modesta nelle dimensioni, si pose come competitor nel mondo del perlage mondiale.

 
 Vigneti

Nel 2021 Guido Berlucchi entra nell'anno delle celebrazioni per il 60 ° anniversario del primo Franciacorta nel migliore dei modi, ottenendo il “sigillo” di Wine Spectator che ha attribuito al suo vino di vertice , il Palazzo Lana Extreme 2009 , il massimo punteggio ( 93/100 mai raggiunto da un Franciacorta) ed un set di valutazioni per Guido Berlucchi Linea '61 , tutte superiori ai 90/100.

L'INIZIO.

Ci sono domande capaci di cambiare il destino di persone e di luoghi. "E se facessimo uno spumante alla maniera dei francesi?" è stata una di quelle.

 
 Le purpitre

Nel 1955 il giovane enotecnico Franco Ziliani la rivolse a Guido Berlucchi , gentiluomo di campagna. Berlucchi cercava un consulente capace di migliorare il suo Pinot del Castello e trovò invece il partner per un'avventura di gusto che avrebbe modificato il destino della Franciacorta.

Tutto nato da un incontro, da una domanda. Oggi l'azienda ancora guidata dalla famiglia Ziliani affronta una fase di profonda innovazione , di nuove sfide nei rivoluzionari scenari di mercato, con lo stesso spirito con cui Franco Ziliani si immaginò di creare ex novo nel 1961.

 
 Franco Ziliani e Guido Berlucchi

Il “messaggio” è chiaro : capacità dell'azienda di produrre non solo ottimi vini, ma anche Cultura ed Azione sul Territorio.

In autunno la linea Cuvée Imperiale rinnoverà il suo abito e vedrà ampliata la sua gamma. Un restyling dinamico, contemporaneo in linea con la sua storia di 60 anni.

In Estate, con un evento a Palazzo Lana a Borgonato (BS), dimora storica risalente alla fine del 1400 e sede della Guido Berlucchi, saranno celebrati in contemporanea i 90 anni del fondatore Franco Ziliani ed i 60 anni della sua “creatura”, il primo Franciacorta.

Per l'occasione uscirà un'edizione speciale “Franco Ziliani” , un tributo al fondatore, un vino da collezionisti.

Tiratura limitata in Magnum di un Franciacorta Nature , una base Pinot Nero ricavato dai migliori vigneti di proprietà, con 96 mesi sui lieviti ; un “vino miliare” che resterà nella storia aziendale.

Senza dimenticare quell '”Officina” di lavoro dove Saperi , Culture aziendali e Visioni trovano spazi per confronti con personalità provenienti da ambiti diversi. Quell'Agora chiamata nel 2018, ACADEMIA BERLUCCHI .

la famiglia Ziliani

Ebbene, l'Accademia Berlucchi s'appresta a trasformarsi da crisalide a farfalla in un soggetto attivo e progettuale per il proprio territorio, mettendo a comune la rete di pensiero e di contatti in questi 3 anni, con l'idea di sviluppare importanti progetti di CSR (CSR è un acronimo inglese, Corporate Social Responsibility, che troviamo in Italia come RSI, Responsabilità Sociale d'Impresa) per la Franciacorta ed anche oltre.

Il primo, ambizioso progetto verrà comunicato nel primo weekend di Ottobre.

Diciamoci tutta la verità; per molti della mia generazione il Franciacorta Berlucchi è stato il nostro "primo champagne" , parte profonda degli albori della nostra passione per il vino.

La strada che mi portò verso le sue storiche cantine, molti anni fa, rappresentò un viaggio enoico nel mio intimo. Come non festeggiare il 90esimo di Franco Ziliani con la “sua” Magnum?

 

Urano Cupisti

April 21, 2021

A pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Albania, tra le tensioni tra Russia e Stati Uniti e il nuovo pericoloso riemergere della questione kosovara, le indiscrezioni su un documento non ufficiale che il presidente del governo sloveno Janez Janša avrebbe inviato al presidente del Consiglio europeo Charles Michel per la ridefinizione dei confini dei Balcani hanno destato preoccupazioni nella regione; Washington, dopo aver tentato di rinvigorire in Asia il Dialogo quadrilaterale per la sicurezza, si prepara dunque ad affrontare Mosca su due fronti: Balcani e Mar Nero; con l’incognita (almeno apparente) di Ankara

Non esiste alcun documento ufficiale che preveda la dissoluzione della Bosnia ed Erzegovnia (BiH). Questa la sostanza delle rassicurazioni che, lo scorso 16 aprile, il presidente del governo sloveno Janez Janša ha rivolto a Šefik Džaferović, esponente bosniaco della presidenza della Repubblica di Bosnia ed Erzegovnia. Durante lo stesso colloquio telefonico, Janša ha espresso il suo sostegno alla sovranità, all’integrità territoriale e al cammino euro-atlantico bosniaci, nel rispetto degli accordi di Dayton del 1995. Nondimeno, il non-documento (1) diplomatico non-ufficiale diffuso qualche giorno prima dai siti di informazione sloveni politicki.ba e necenzurirano.si, ha suscitato interrogativi e timori, per almeno due ordini di motivi: la mancanza di una reazione univoca da parte delle istituzioni europee ufficiali e il fatto che il prossimo primo luglio sarà Ljubljana ad assumere la presidenza del consiglio dell’Unione europea. Secca (benché tardiva), invece, è stata la smentita da parte di Janša, secondo il quale la Slovenia sta veramente cercando soluzioni per lo sviluppo della regione e per la sua integrazione nell’Unione europea (UE), ma che queste affermazioni cercano di impedire tale obiettivo. Negli stessi giorni, il membro croato della Presidenza bosniaca Željko Komšić ha convocato l’ambasciatrice slovena a Sarajevo, ricordando che il presidente della Repubblica sloveno Borut Pahor, durante la visita dello scorso marzo, aveva domandato ai tre componenti della Presidenza bosniaca un parere su una possibile separazione pacifica del territorio, ricevendo un parere positivo solo dal membro serbo Milorad Dodik, che successivamente ha portato la questione in parlamento. Peraltro, non è stata questa la prima volta che Ljubljana avanza l’ipotesi di una divisione della Bosnia ed Erzegovina: già nel 2010, quando era a capo del governo, Pahor inviò in Bosnia l’ex presidente della Repubblica Milan Kučan, che, una volta tornato, sottolineò l’impossibilità di dialogo tra le tre componenti, serba, croata e bosniaco-musulmana, tale da rendere preferibile una separazione consensuale a una coesistenza forzata.

Una linea simile, dunque, a quella emersa dal controverso non-documento che Janša avrebbe inviato a febbraio al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, intitolato “Balcani occidentali, la via da seguire”: la bozza di un piano per ridisegnare su base etnica i confini della regione, che comporta l’unificazione di Albania e Kosovo (che nel 2008 ha proclamato unilateralmente la sua indipendenza, ma ancora non ha ottenuto un pieno riconoscimento internazionale, come dimostrano le ultime vicende della nazionale di calcio kosovara in Spagna - 2) e lo smembramento della Bosnia ed Erzegovina, buona parte della quale dovrebbe essere suddivisa tra Serbia e Croazia. I bosniaci in tal modo guadagneranno uno Stato che funziona in modo indipendente e se ne assumeranno la piena responsabilità. Si organizza un referendum per far scegliere il popolo tra un futuro UE o non-UE (Turchia). Si ventila, inoltre, l’ipotesi di negoziati accelerati per l’accesso dei paesi della regione nell’UE e nell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), ma nessun provvedimento verrà preso prima di aver consultato i governi per vagliarne la disponibilità a realizzare il piano, né prima di aver lanciato un programma completo di comunicazione per presentarlo. E di aver attuato un controllo silenzioso nella regione e in seno alla comunità internazionale, per accertarne la fattibilità. Nondimeno, Komšić, che ultimamente ha espresso in via ufficiale a Bruxelles i propri timori per l’integrità territoriale bosniaca, messa a rischio da ingerenze straniere, ha dichiarato di aver sentito da Pahor che nel vecchio continente si ipotizza un processo di integrazione dei Balcani occidentali nella UE che parta dal completamento della dissoluzione della Jugoslavia. D’altro canto, la scorsa settimana il presidente del Consiglio albanese Edi Rama ha confermato di aver avuto per le mani un documento non ufficiale contenente una carta con alcuni confini modificati nella regione dei Balcani occidentali. L’ho visto prima che me lo mostrasse il mio collega Janša e ne abbiamo discusso di recente, ha aggiunto Rama, precisando di aver visto anche un documento pubblico sul tema, ma di non poter rilasciare commenti al riguardo. Il che lascerebbe intendere che non si tratti di un documento sloveno, come dicono da Bruxelles.

A complicare il quadro, l’esistenza di un altro non-documento (3), firmato da Croazia, Slovenia, Ungheria, Bulgaria, Grecia e Cipro, e presentato lo scorso 22 marzo dal ministro degli Esteri Gordan Grlić Radman a Bruxelles. In esso, il partito croato di governo (Unione democratica croata, HDZ, fondata nel 1989 dal signore della guerra ed esponente nazionalista Franjo Tuđman) sostiene gli sforzi del suo omologo bosniaco, il partito fratello HDZ BiH, per modificare la legge elettorale in modo tale da assegnare una posizione di preminenza alla componente croata nel controllo dei processi legislativi e, più un generale, delle decisioni che interessano la Bosnia. In altri termini, anziché lo smembramento, il testo propone di affidare a un elemento egemone il controllo di un territorio tradizionalmente caratterizzato dal pluralismo e situato in una posizione strategica, in cui si intrecciano quasi tutte le vie commerciali in senso lato, dalle nuove vie della seta cinesi (la Belt and Road initiative, BRI), ai traffici illeciti, fino al reclutamento di mercenari. In tal modo, come in passato, si accresce l’esposizione dei Balcani (e non solo della Bosnia) alla tendenza delle potenze rivali a considerarlo come terra di conquista e teatro di conflitti per procura. Ciò priva la multietnicità del suo potenziale costruttivo, rendendo vano qualsiasi tentativo di autentica pacificazione: un meccanismo detto balcanizzazione e riprodotto mutatis mutandis in altre regioni strategiche, come l’Asia centrale (Afghanistan in testa), il Medio Oriente, il Maghreb o il Sahel. Per citare qualche esempio, si pensi in primo luogo a come queste regioni finiscano per diventare terre di nessuno, ridotte a zone di sfruttamento ambientale intensivo o a sacche di reclutamento di manodopera a basso costo (ai limiti della schiavitù) e, di conseguenza, regioni spopolate e dipendenti da paesi più ricchi. Nel giugno 2018, il mensile francese Le Monde Diplomatique ha pubblicato un reportage (4) eloquente sulla crisi democrafica che affligge i Balcani, dove, persa ogni speranza di cambiamento, alle generazioni più giovani non resta che aspirare a un lavoro all’estero, in particolare in Germania.

In secondo luogo, dopo la dissoluzione della Jugoslavia e la transizione all’economia di mercato, i Balcani si sono tristemente trasformati (secondo modalità che ricordano le tratte degli schiavi delle epoche coloniali) in un bacino di reclutamento di mercenari per vari schieramenti e sui fronti più disparati. Come nel caso dei combattenti stranieri (per lo più tra le comunità musulmane locali) per i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico. Viceversa, durante i conflitti degli anni ‘90 del secolo scorso, Bosnia e Kosovo avevano assistito a un considerevole afflusso da un lato di moudjaheddine provenienti da vari paesi accorsi a sostenere i fratelli musulmani, dall’altro di combattenti anti-musulmani, come i mercenari greci che gravitavano attorno al gruppo di estrema destra Alba Dorata (in un numero stimato tra 150 e 300 nel 1995). Nel primo caso si possono citare i 1500 (5)soprattutto Turchi, ma anche Egiziani, Algerini, Tunisini e Sudanesi, che si erano stabiliti in Bosnia anche dopo il conflitto, ottenendo la cittadinanza. Una parte non insignificante dei quattro o cinquemila moudjaheddine arabo-musulmani che, in base agli accordi di Dayton, avrebbero dovuto lasciare il paese. Una clausola comprensibile, visto che nel 1992 il loro arrivo (6) era stato gestito da organizzazioni non governative (ONG) islamiche, a partire dalla Croazia, mentre nel 1993 è avvenuta la loro integrazione nell’esercito bosniaco, ad opera del generale Rasim Delić. La loro parabola sembrava parzialmente conclusa nel 2007, quando il nemico numero uno era non più il sistema sovietico, ma il fondamentalismo islamico, e questi nuovi cittadini divennero indesiderabili. Il parlamento bosniaco adottò pertanto una legge per la revisione delle loro naturalizzazioni. Quanto ai serbo-bosniaci e ai serbi del Kosovo, uno scambio simile si è avuto con la Russia, in particolare dallo scoppio della crisi ucraina (e conseguente crisi crimea), nel 2014. Da allora, infatti, molti mercenari sono stati e sono reclutati, soprattutto in Serbia e nella Republika Srpska, da organizzazioni (7) come Kosovo Front, Balkan Cossack Army, che oltre alla remunerazione, promettono impunità e la narrazione gloriosa della fratellanza tra popoli slavi. Tanto più che molti sono stati i volontari russi partiti per i fronti balcanici a sostegno dei serbi.

Oltre alle mire di Ankara e di Mosca, a capotavola al banchetto balcanico siedono, dall’ultimo decennio del XX secolo, gli Stati Uniti, che al hard power degli interventi militari, presentati ovviamente come umanitari (in difesa della libertà e della democrazia e contro i regimi autoritari), hanno affiancato un soft power che si è tradotto soprattutto nel sostegno-controllo di organizzazioni non governative locali, spesso fondate da personalità che si lanciavano sullo scenario politico come difensori dei diritti umani e civili. Una di esse, Otpor! (“resistenza”), divenuta un importante attore politico, è stata un trampolino di lancio per Srđa Popović e Slobodan Đinović, i due fondatori del Centro per le azioni e le strategie non violente applicate (Canvas - 8), una sorta di centro di formazione che attualmente mette a disposizione i propri consulenti in una cinquantina di paesi, tra i quali la Georgia, l’Ucraina, la Bielorussia, la Russia, il Kirghizistan, l’Uzbekistan, il Libano, l’Egitto, l’Albania e il Kosovo. Regione, quest’ultima il cui statuto innesca ancora dibattiti accesi tra chi ne riconosce l’indipendenza (117 paesi) e chi rifiuta di farlo, come la Cina, la Spagna o la Russia, il cui rappresentante, nella video-conferenza (9) sul Kosovo del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) del 13 aprile, ha chiesto, invano, che ne fosse rimossa la bandiera che campeggiava dietro il suo rappresentante, argomentando che otto paesi su quindici… non lo riconoscono come paese. Tale mancanza di riconoscimento internazionale, peraltro, lo pone al di fuori di qualsiasi giurisdizione, ivi inclusa quella del Consiglio d’Europa, il cui Comitato contro la Tortura (CPT) ha chiesto di avere accesso a Camp Bondsteel (10), base militare della NATO installata, vicino la città di Ferizaj / Uroševac, nel 1999, dai soldati statunitensi, immediatamente dopo il conflitto kosovaro. A fine 2005, l’inviato speciale del Consiglio d’Europa per i diritti umani descrisse il centro di detenzione all’interno della base come una versione ridotta di Guantanamo. Qui Washington teneva reclusi molti prigionieri catturati durante le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq. Dopo anni di vane richieste, nel 2008 la proclamazione unilaterale di indipendenza da parte di Priština, ne ha escluso il territorio dalle competenze della Convenzione europea contro la tortura.

Questa mossa, fortemente caldeggiata dagli USA, è stato un precedente di sostegno al separatismo in quanto esercizio del diritto di autodeterminazione dei popoli: così la Russia post-sovietica del presidente Vladimir Putin ha giustificato il suo sostegno alle repubbliche georgiane separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud nel 2008, e l’annessione della Crimea nel 2014. Tuttavia, per il Kosovo sembra non ci sia nulla da fare, almeno nel breve termine, visto che sia Priština, sia Tirana negli ultimi anni hanno contato in misura crescente sul sostegno di Washington. Al punto da accettare la presenza di Camp Bondsteel o, per quanto riguarda l’Albania, da accogliere un gruppo islamico-marxista iraniano dissidente, installato fino a una decina di anni fa nella base di Ashraf in Iraq. Viceversa, le diaspore albanese e kosovara negli USA hanno accresciuto progressivamente il loro peso nei paesi di origine, fino a costituire forze politiche influenti negli scenari locali, dall’Esercito di liberazione del Kosovo fino ai nuovi democratici albanesi. Specularmente, questi gruppi rappresentano sostanzialmente gli interessi statunitensi nella regione, anzitutto conquistare il potere di alzare i toni dello scontro con Mosca e arginare le velleità neo-ottomane di Ankara, che sembra attenersi sempre meno alla linea atlantista per perseguire obiettivi propri. Il Kosovo, appunto, rappresentava, con la Bosnia, un significativo punto di appoggio nel mezzo dei Balcani occidentali. Almeno finché Priština non ha aperto una sua rappresentanza diplomatica a Gerusalemme, ottenendo così il riconoscimento da parte di Israele (117esimo paese), ma al contempo scatenando le ire della Turchia, che per mesi ha esercitato pressioni per indurre i fratelli kosovari a tornare sulla retta via. Oltretutto, il 14 aprile il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki ha inviato un appello ufficiale al Segretario generale dell’Organizzazione della conferenza islamica di interrompere le relazioni con il Kosovo. Un retaggio dell’era Trump o il preludio all’era del presidente globalista Joe Biden?

 

 

 

(1) - https://necenzurirano.si/clanek/aktualno/objavljamo-slovenski-dokument-o-razdelitvi-bih-ki-ga-isce-ves-balkan-865692

(2) - https://www.repubblica.it/sport/calcio/esteri/2021/03/31/news/spagna_kosovo_politica_indipendenza-294469124/

(3) - https://www.dw.com/hr/neslu%C5%BEbeni-papiri-prave-kaos-na-balkanu/a-57243246

(4) - https://www.monde-diplomatique.fr/2018/06/DERENS/58727

(5) - https://www.liberation.fr/planete/2007/05/17/la-bosnie-expulse-ses-moudjahidin_93331/

(6) - https://www.cairn.info/revue-strategique-2013-2-page-219.htm

(7) - https://balkaninsight.com/2021/04/16/as-ukraine-conflict-intensifies-serb-volunteers-prepare-for-battle/

(8) - https://www.monde-diplomatique.fr/2019/12/OTASEVIC/61096

(9) - https://www.lefigaro.fr/flash-actu/incident-a-l-onu-lie-au-kosovo-de-l-importance-de-l-arriere-plan-lors-des-visioconferences-20210413

(10) - https://www.theguardian.com/world/2009/jan/23/secret-prisons-closure-obama-cia

 Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

La Riflessione!

La voglia di ripartire è tanta ed i motivi tantissimi. È necessario un cambio di passo e strategie nuove nell'affrontare le evoluzioni del corona virus comprese le innumerevoli varianti. Questo il momento di programmare le aperture future, questo il momento, anche da parte di noi comunicatori, di diffondere le notizie con allegate le proposte di superamento di eventuali difficoltà. E se Wine Paris & Vinexpo Paris rinvia al 2022 le sue manifestazioni, la notizia che l'enoturismo si sta preparando per una pronta ripartenza, ci rincuora. Intanto le “guide” di ogni genere continuano ad elencarci le eccellenze che l'uomo e la natura (che non si sono mai fermati) hanno prodotto recentemente.I produttori si riuniscono in nuovi consorzi per promuovere e valorizzare terre, territori, vitigni autoctoni e nel mondo della ristorazione personaggi famosi si mettono in gioco aprendo nuovi locali sotto la spinta "della nuova speranza" Tutti speranzosi; Tocca a chi ci guida a dirigere l'orchestra delle nuove prospettive e previsioni.

    

 

Frammento n. 1

Anche Wine Paris & Vinexpo Paris rinviato al 2022.

Alla fine anche i francesi gettano la spugna: le nuove date 14-15-16 febbraio 2022. Tuttavia, per continuare a mantenere il collegamento tra gli espositori ei visitatori di ogni parte del mondo, a giugno si svolgerà Vinexposium Connect, una piattaforma digitale con eventi chiave incentrati sul business. Un evento simile a quelli studiati dalla tedesca ProWine e dal nostro Vinitaly.

 

Frammento n. 2

L'enoturismo come leva per la ripartenza.

La presentazione di un libro scritto a quattro mani dal senatore Dario Stefàno e Donatella Cinelli Colombini è stata occasione per parlare di “Enoturismo come leva strategica per la ripartenza”. Presenti i ministri Franceschini (cultura), Garavaglia (turismo) e Patuanelli (politiche agricole). Luogo: Sala Stampa del Senato. “Turismo del Vino in Italia” il titolo di un vero e proprio “manuale” che ha recepito la nuova normativa nazionale. Ribadito il ruolo sempre più centrale dell'enogastronimia nel turismo.

 

 

Frammento n. 3

Ora c'è la guida dei marchi dei vini più ammirati.

Basta parlarne. In questo particolare momento le iniziative di questo tipo non possono che far bene. “I marchi di vino più ammirati 2021”, una lista dei marchi stilata da “Drinks International”. I produttori più iconici, entusiasmanti e innovativi al mondo. Roba da far rabbrividire i “naturalisti”. Per il nostro Paese segnalati nell'ordine: Antinori (9 °), Planeta (17 °), Frescobaldi (24 °), Gaja (26 °), Tenuta San Guido (Sassicaia) (40 °) sui primi 50. Spagnoli e argentini in pole, seguiti da francesi e neozelandesi.

 

 

Frammento n. 4

Un nuovo Consorzio nel Lazio

Costituito il nuovo Consorzio Volontario per la Tutela e la Valorizzazione dei Vini Doc CORI, accreditato come il primo in provincia di Latina. Tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura degli interessi generali relativi alla denominazione “Cori”. Sarà data una attenzione particolare al “Nero Buono”, vitigno locale, esclusivo della zona circoscritta al Comune di Cori. Soci fondatori: lo stesso Comune di Cori, la cooperativa Cincinnato, l'azienda (già affermata) Marco Carpineti, l'azienda Pietra Pinta, Molino7cento e azienda Filippi.

 

 

Frammento n. 5

Passioni non sopite: Sophia Loren

Sophia Loren Original Food la nuova insegna dei Ristoranti che la famosa attrice aprirà presto in Italia e non solo. A monte la nuova società che vede la bella Sophia insieme all'imprenditore di moda (Yamamay e Carpisa) e amico da una vita Luciano Cimmino. La notizia è di questi giorni pubblicata dal Corriere della Sera. Prima apertura Firenze poi Napoli e Milano (risto e pizzeria), Dubai, Miami, Hong Kong e Shanghai. Del resto la passione dell'attrice verso la cucina è ben nota. Basti pensare alle “veraci” interpretazioni di alcune scene dei suoi film ei libri di ricette pubblicati nel passato. Passioni non sopite che ritornano.

 

 

Frammento n. 6

Ristorante “underwater”.

Non è proprio una novità. Ricordo l'Under Spangereid in Norvegia, l'Ithaa nell'atollo Alif Dhaa alle Maldive, Al Mahara a Dubai, Aquarium a Nashville e poi Altri in Sud Africa, Messico ecc… Ma questo ricopre una particolare importanza perché rappresenta la voglia di investire e ripartire dopo la chiusura forzata per la pandemia. Andrea Berton, stella Michelin si prepara a dirigere il suo primo ristorante Underwater. Location l'atollo di Raa alle isole Maldive all'interno del resort You & Me by Cocoon. Sarà una esperienza gastronomica caratterizzata dalle suggestioni italiane unite a un twist internazionale.La “cucina”, intesa come ambiente riservato e attrezzato per la preparazione e la cottura dei cibi, sarà valorizzata dal contesto esclusivo caratterizzato da ampie vetrate immerse nei fondali corallini della laguna.

 

Osservo, scruto, assaggio e… penso. (urano cupisti)

April 16, 2021

Nei primi cento giorni dall'insediamento si delineano le linee guida che una nuova amministrazione seguirà. Biden sembra voglia continuare la politica aggressiva nei confronti della Russia e dei suoi protetti, prova ne è che in Ucraina si continui ad ammassare truppe a ridosso del Dombas, territorio abitato da popolazione russa. Questa politica nei confronti di Putin, tesa forse a costruire un nemico esterno teso a deviare l'attenzione pubblica da problemi interni, ci sembra essere più una teoria propagantistica che una concreta deduzione suffragata da fatti. Ne parliamo con il Presidente della Vision & Global Trends , Istituto Internazionale di Analisi Globale, Tiberio Graziani.

 

Come spiegherebbe la decisione dell'amministrazione Biden di imporre sanzioni alla Russia subito dopo aver offerto un incontro a Putin?  Qual è il messaggio?

 

Le nuove sanzioni contro la Russia e l'espulsione dei diplomatici ci dicono che tra gli USA e la Federazione russa è in atto una guerra ibrida. L'Amministrazione Biden fa tesoro delle precedenti guerre commerciali promosse da Trump, e al ventaglio delle azioni offensive ne aggiunge nuove che investono anche il dominio della diplomazia ed altre di tipo economico-finanziario. In particolare, per quanto riguarda i diplomatici russi espulsi, il messaggio di Biden è rivolto principalmente agli alleati di Washington ai quali dice chiaramente: diffidate della diplomazia del Cremlino e dei canali diplomatici e seguite il nostro esempio. Il Regno Unito si è subito accodato all'iniziativa statunitense, il governo Johnson si è affrettato a convocare l'ambasciatore russo!

 

Si aspetta che le ultime sanzioni si traducano in un annullamento del vertice?  Quali sarebbero le conseguenze di questo?

 

Queste ultime azioni riducono, al momento, i margini delle manovre diplomatiche. Dovranno passare alcune settimane prima che si possa riparlare di un dialogo tra Biden e Putin. Settimane che Biden utilizzerà al meglio per: - consolidare i rapporti con i suoi alleati, in particolare, per quanto riguarda l'Europa, con la Germania in funzione antirussa; - amministrazioneare al centro del sistema occidentale la NATO, che l'attuale ritiene importante tassello della sua strategia in Europa orientale e nel Mediterraneo allargato.- perfezionare il sistema di sicurezza QUAD nel quadrante dell'indo-pacifico.

 

Il rapporto tra le due nazioni può ulteriormente degradarsi a seguito di questi sviluppi? Quali sono i rischi?

 

I rischi ci sono, eccome! Tuttavia, al momento mi sembra che l'opzione militare sia molto lontana. Uno scontro di tipo militare anche mediante una guerra per procura, ad esempio ai confini dell'Ucraina, non conviene a nessuno dei due contendenti.

 

Se il vertice avrà ancora luogo, quali sono le sue aspettative da un simile incontro? Potrebbe cambiare qualitativamente il rapporto tra i due leader ei loro paesi? O è probabile che sia un fallimento, viste tutte le differenze tra le due parti?

 

Non credo che si terrà a breve un summit, soprattutto non penso che gli USA cambieranno il loro approccio nei confronti della Federazione russa. Fondamentalmente i rapporti tra Washington e Mosca, come quelli tra Biden e Putin, dipendono dalle contraddizioni interne all'amministrazione USA e dalla sua difficoltà ad accettare la perdita del ruolo egemonico che Washington ha esercitato negli ultimi trent'anni. Comunque, va sottolineato che per quanto riguarda la sicurezza globale, Stati uniti e Russia hanno trovato un punto di equilibrio, volenti o nolenti che siano.

 

 

 

Si ha l'impressione che l'umanità sia giunta ad un bivio, ad un punto  cruciale della sua storia; la sensazione che tutto sia fragile, precario,  incerto, di essere come sul filo del rasoio in cui da un momento all'altro  tutto potrebbe precipitare. I delitti si manifestano in modo sempre più  numerosi e agghiaccianti. La povertà dilaga, la fame e le malattie  imperversano, l'economia vacilla, la natura cade sotto la scure degli  interessi economici, l'inquinamento ci impedisce di respirare, i media, al  servizio di una cultura decadente improntata sul profitto, sull'apparenza e  sulla volgarità, destabilizza le nuove generazioni e genera incertezza,  paura, edonismo, povertà morale, ignoranza, maleducazione, volgarità,  isolamento.

La crisi che si sta vivendo non è politica, sociale, economica, o culturale:  è crisi di ideali, di valori e mette sotto accusa la coscienza umana, la  mancanza di punti di riferimento, di giustizia sociale, di onestà  individuale, di apertura alla collaborazione, della responsabilità personale  verso la collettività; valori che non si improvvisano.

Non basta dire giustizia, diritti, per avere giustizia e diritti. Non basta  elencare ciò di cui ha bisogno l'essere umano per uscire dalla crisi, dal  pantano: se non c'è una forte volontà politica a livello nazionale e  mondiale, di un progetto capillare di educazione delle masse ai valori  fondamentali della vita, della pace, della giustizia sociale, all'onestà  saremo condannati a permanere in questo stato di cose, con prospettive poco  rassicuranti.

Tutto questo è l'effetto di un'umanità malata, smarrita, stordita,  perché ha trascurato la componente fondamentale della sua natura: la sua  dimensione etico / spirituale. Che è come aver dimenticato di mettere il  carburante nell'automobile per poi chiedersi perché non cammina.

Dare valore allo spirito significa dare ascolto alla propria coscienza; significa credere nel bene collettivo che passa attraverso la vera maturità  di se stessi: un cambio di stile di vita e di scelte personali; significa  credere nella dimensione a venire in cui il bene avrà il sopravvento sulla  disarmonia, sul materialismo e sull'interesse di parte; significa credere  nello spirito cosmico che tutto vivifica, che tutto pervade e spinge tutti  gli esseri verso la loro evoluzione; significa dar valore alle cose che non  passano con la vita; significa identificarsi e incarnare in se stessi  quell'ideale che vorremmo si realizzasse in questo mondo. Il resto è  demagogia.

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“Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova guidato da  coppieri che gliene versano quanti ne vuole fino ad ubriacarlo, accade  allora che se i governanti tentano di resistere alle sempre più esigenti  richieste dei sudditi sono definiti tiranni. Ed avviene puro che chi si  dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è considerato un uomo  senza carattere, un servo; che i padri impauriti finiscono per trattare i  figli come pari e non sono più onorati; che i maestri non osano più  rimproverare gli scolari, che se ne beffano; e infine che i giovani  pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi e questi,  per non sembrare troppo severi, danno loro ragione. In un siffatto clima di  libertà, e nel nome della medesima, finisce che non vi è riguardo né  rispetto per nessuno. Allora, in mezzo a tanta licenza, nasce e si sviluppa  una mala pianta: la dittatura ”. (PLATONE da La Repubblica, libro VIII)

Essere coinvolto in un formato così diverso da strappare applausi. Bravi!

È accaduto Lunedì 29 marzo in un evento live streaming che ha coinvolto un centinaio di persone, collegate da tutta Italia. Esperti del settore, giornalisti di eno-gastronomia, sommelier dell'olio, olivicoltori, intellettuali del cibo, semplici amanti dell'extra vergine.

Per circa un'ora trascinati nel nuovo progetto creativo e in un unico, grande assaggio corale. Sotto la guida magistrale di Francesco Petacco, consulente agronomico, enologo e assaggiatore di olio e Andrea Di Marco , attore, comico, autore, chiamato a stupire come conduttore per guardare all'olio come non si è mai fatto.

Non una degustazione tecnica, una lezione didattica, un ripetere le “solite cose” a volte in un clima noioso e soporifero. Niente di tutto questo o meglio solo parte di questo (degustazione, didattica e conoscenza dell'attuale complessità legislativa sia nazionale che europea,) inserito in uno spettacolo ironico e allo stesso tempo competente che alla fine ha fatto esclamare a molti di noi: "come è già finito? ”.

Ho imparato di più in quell'oretta che ore ed ore a seguire corsi ufficiali decisamente noiosi. Bravo Francesco, bravo Andrea.

L'olio extra vergine è tra le bandiere del Made in Italy, l'alimento chiave della nostra tradizione gastronomica e culturale ma anche vittima delle contraffazioni che subisce nel mondo, dove la disinformazione ancora la detta da padrone.

“Un extra vergine è come l'anima gemella: va cercato con passione, coinvolgimento dei sensi e con la guida saggia dell'intelletto. Imparare a raccontarlo con competenza, oggi, è necessario. Perché giova alla salute dei consumatori e del Paese, per un futuro sostenibile e un'economia etica, ancorata al territorio ”. Così Francesco Petacco, sintetizzando pagine e pagine di testi scritti “barbosi”.

Cosa significa Extra Vergine? Lo sappiamo scegliere, davanti allo scaffale? Ne riconosciamo la cultura, le sfumature organolettiche, i criteri per utilizzarlo in cucina, i modi infiniti con cui le produzioni si esprimono del territorio nel territorio?

Domande che hanno avuto risposte degustando tre oli provenienti da regioni diverse: Liguria, Puglia, Sicilia .

Lezione corale di assaggio in simultanea con i cento assaggiatori in possesso del kit inviato dall'organizzazione direttamente ai nostri domicili.

Sorprese sensoriali accompagnate e guidate da Francesco ed Andrea per ritrovare un nuovo sguardo su un prodotto cardine dell'economia agricola italiana, che merita di essere raccontato e acquistato con intelligenza.

A seguire una breve quanto concisa tavola rotonda on line tra Michele Bungaro (capo dell'Osservatorio mondiale dell'olio di oliva del COI collegato da Madrid), Sabrina Diamanti (presidente del Consiglio dell'ordine nazionale dottori agronomi e forestali e consigliera dell'associazione di donne dell'olio “Pandolea”) e il giornalista Matteo Macor come moderatore.

L'importanza di offrire sguardi nuovi, aperti verso il consumatore, per innalzare la cultura dell'extra vergine e salvaguardare il valore come presidio fondamentale del tessuto economico, ambientale e culturale italiano, anche a livello istituzionale, i temi dibattuti.

Al termine non poteva mancare il commento di un imprenditore dell'olio, Marco Lucchi .

“Iniziativa mirabile per noi produttori, che rimaniamo spesso nell'ombra. Dobbiamo coinvolgere, appassionare il consumatore per svelare il mondo che c'è dietro. E questo intrapreso da Razione K - conosci il tuo cibo e Unaprol - Consorzio Olivicolo Italiano, è senza alcun dubbio l'approccio migliore ”.

Per vedere il video, approfondire gli argomenti e le riflessioni su https://razionek.net/

 

April 08, 2021

Manlio Dinucci analizza tutti i segnali che dimostrano l'intenzione della Nato di provocare la Russia fino al punto da generare una escalation dai risvolti imprevedibili: "Con l'arrivo di Biden alla Casa Bianca, in Siria e in Ucraina si sono subito riaccesi focolai di guerra. L'Italia non deve farsi trascinare in un conflitto senza senso contro la Russia, che non ha intenzione di minacciare nessuno "

 
 Stemma dell'azienda

Con lui cerchiamo di immaginare il futuro della vitivinocoltura italiana nella speranza di una ripresa veloce e immediata dopo questa terza ondata del coronavirus ed in presenza di una vaccinazione diffusa.

Chi è Marco Bacci?

Fiorentino di nascita, da sempre con solide e profonde radici nella sua terra. Entra nell'azienda di abbigliamento della famiglia e nello stesso periodo, avvia una società immobiliare. Nel 1984 compra l'azienda vinicola “Castello di Bossi”, come investimento immobiliare. Nel 1996, il vino e la tenuta diventano il suo obiettivo principale. Nel 1998 acquista l'azienda Renieri a Montalcino . Di seguito Terre di Talamo a Manciano (Gr).

Oggi il gruppo Bacci Wine è leader di qualità in tutto il mondo.

- Ci sarà la tanto agognata ripresa, veloce e immediata, dopo questa terza ondata del coronavirus?

- Sicuramente ci sarà; non solo una ripresa ma un'autentica euforia. Le persone sono state costrette e private della loro libertà per un anno. La pandemia, cosa mai successa prima, ci ha trovati un po 'tutti impreparati. Nessuno di noi ha mai visto niente di simile, a parte le persone più anziane che hanno passato la guerra. Dopo un anno, abbiamo preso le misure, le vaccinazioni stanno prendendo il verso giusto. Sono ottimista. Penso che nei prossimi 2mesi ci sarà una evoluzione positiva eclatante .

 
 Marco Bacci

- Penso che molti hanno i miei stessi sentimenti, riprendere un “calpestare le vigne”. Si aspetta un nuovo boom di visite dei wine lover e la ripresa del “turismo del vino”?

- Tutti hanno voglia di calpestare la terra delle vigne. Noi siamo in Toscana, siamo molto fortunati di poter godere delle bellezze dei luoghi che ci circondano. Quale miglior occasione per riscoprire luoghi dove si producono i migliori vini del mondo. Qui a Castello di Bossi abbiamo moltissime prenotazioni per la stagione dopo Pasqua in poi. Sembra ci sia la consapevolezza che finalmente questo incubo finirà.

- L'aria che tira non è delle migliori, molte venditedi aziende vinicole, alcune “imbarazzanti”. Però sento dire in giro di giovani che il coraggio, alla ripartenza, di investire. Ed altri già affermati pronti con nuove idee per affrontare le sfide future. I suoi futuri progetti?

- Il gruppo Bacci Wine con Castello di Bossi in Chianti classico, Renieri a Montalcino e Terre di Talamo nella denominazione Morellino di

 
 Castello di Bossi

Scansano, continua a crescere a dispetto di tutto quello che accade. Il mio prossimo progetto si sta materializzando con la tanto desiderata “cantina sommersa” all'Argentario. Il Vino rosso TALAMO, un assemblaggio di Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Sirah, sarà immerso a 35mt di profondità con un termoclima perfetto di 16 gradi tutto l'anno. Ci rimarrà per almeno 18 mesi. La posa delle bottiglie (10.000) avverrà a fine maggio.

- Sarà il green (biologico, biodinamico e naturale) a prevalere nella produzione e comunicazione?

- Il gruppo Bacci Wine è ormai da anni certificato Biologico. Non ci sono alternative a questa direzione. Siamo responsabili di quello che facciamo e che lasceremo ai nostri figli. La qualità ha solo da guadagnare. Le piante pure. È ormai certo che le viti godono nel non essere avvelenate . Vivono di più e danno frutti migliori.

- Molti credono che ci sarà un ritorno alla cucina tradizionale, a consumare i pasti tra le mura domestiche. Nelle strategie di venditadel gruppo Bacci Wine ci sarà una particolare attenzione verso le enoteche?

- Tutti hanno imparato o si sono affinati in cucina durante il primo vero lockdown. Tutti i miei amici hanno messo su peso. Comunque, la voglia di uscire è tanta. Penso che quando ci sarà la possibilità, in molti hanno voglia di risocializzare con le gambe sotto il tavolo di un buon ristorante. Verrà naturale "aiutare" la ripresa di una categoria che ha pagato un prezzo altissimo alla pandemia. Sicuramente la ricerca nelle enoteche, quando non si è potuto fare nella carta dei vini al ristorante, ha insegnato molto e questo sistema di distribuzione continuerà ad evolversi e da parte nostra a seguirlo con attenzione.

 
Renieri a Montalcino 

- Ricerche clonali verso i monovitigni o insistere su assemblaggi?

- Il vino è come musica. Quando mi chiedono: ma tu che vino preferisci? Quello buono, rispondo . Vieni la musica, quella bella. Che sia rock, Jazz, classica ecc. Non ci sono limiti. Che sia assemblaggio o monovitigno. Quello che importa è che sia buono. Che rappresenti il ​​meglio di quello che riusciamo ad avere dalla terra.

- Infine il valore delle “Guide”. Ancora bicchieri, tralci, stelline e stellette per giudicare un vino? Non pensa che forse serva un po 'di soggettività nel gusto?

- Il valore delle guide fa parte del gioco. Essere giudicati da terzi fa comunque piacere. L'anno passato siamo stati giudicati con il Brunello Renieri 2015 , 100 centesimi, secondo miglior vino del mondo (James Suckling). In una concorrenza quasi illimitata e pensando a quanti vini vengono prodotti nel mondo, la cosa non può che far piacere. Ma il godimento più grande è sicuramente quello di scoprire individualmente qualche bottiglia che ti emoziona . Che ti fa sentire più importante di qualsiasi giudizio.

Durante l'intervista Marco Bacci ha accennato al progetto TALAMO , “Il mio prossimo progetto che si sta materializzando con la tanto desiderata cantina sommersa all 'Argentario”.

Sul fondo del mare di Talamone dove maturare 10mila bottiglie di vino rosso a base di Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Sirah. Non è la prima volta; anche l'Azienda Arrighi di Porto Azzurro (Isola d'Elba) ha in corso un progetto simile assistito dal Prof. Attilio Scienza.

A differenza del tentativo di Antonio Arrighi questo della Bacci Wine è sicuramente su più vasta scala: vini che verranno posati tra fine aprile e inizio maggio a 35 metri di profondità, all'interno di 15 gabbie metalliche, a circa 500 metri di distanza dalla costa . Un ettaro di fondale dove il vino Talamo rimarrà per almeno un anno e non più di due. Il tempo necessario per completare la sua maturazione a una temperatura di circa 16 gradi che, a quella profondità, è rimasto praticamente per tutto l'anno.

Non vedo l'ora di assaggiarlo e parlarne. Grazie Sig. Bacci per la sua disponibilità. Chapeau!

 

 

Urano Cupisti

Intervista del 30 marzo 2021

Già nel lontanissimo marzo 2020 ci chiedevamo perplessi e preoccupati quanto quello che si stava verificando (e si potrebbe verificare) con l'allarme pandemico incombente avrebbe potuto incidere pericolosamente sull'intera tenuta dei diritti umani, nonché inquinare la nostra stessa sensibilità civile:

“In ogni caso: nell'oscuro avvenire che ci attende, che uso verrà fatto da parte delle autorità governative future di questo enorme potere che è stato riposto nelle loro mani (che certamente continueranno a tenersi ben stretto)?

Quanto sarà possibile riuscire a tutelare in maniera efficace e giusta il diritto al dissenso, il diritto alla diversità, il diritto ad essere ea voler continuare ad essere minoranza? Contro il pensare comune? Contro la tirannide gelosa della “salute pubblica”? Contro lo strapotere di uno Stato sempre più "provvidenzialmente" padre-padrone delle nostre esistenze, del nostro destino? "  

( https://www.flipnews.org/component/k2/il-sorriso-che-argina-la-paura.html )

 

A distanza di più di un anno, mentre il bombardamento mediatico prosegue massiccio, inneggiando ai cosiddetti vaccini introdotti con straordinaria (quanto inquietantemente sospetta) rapidità sul mercato, presentandoli come l'unica soluzione per uscire dalla pandemia (e poterci quindi riabbracciare, riandare al cinema , al ristorante, ecc…), ci troviamo di fronte ad un attacco durissimo nei confronti di chi lavora nell'ambito sanitario.

Ritengo urgentemente necessario, a questo punto, comprendere e far comprendere che la volontà politica di imporre l'obbligo della vaccinazione al personale ospedaliero, delle RSA e ai farmacisti non lede in modo grave esclusivamente i diritti di alcuni nostri concittadini, ma rappresenta un vero e proprio attacco ai valori fondativi della cultura dei diritti umani e della nostra Costituzione, mettendo in discussione, in particolar modo, la libertà di pensiero, il diritto all'autodeterminazione e il principio dell'uguaglianza.

Nel caso la nostra coscienza generale, attanagliata com'è dalla paura e mestamente rassegnata ad accettare qualsiasi imposizione nella prospettiva di riconquistare un barlume di normalità, non riuscisse a percepire la gravità di un tale disegno e le conseguenze allarmanti che, se attuato, potrebbero derivarne per la comune salute democratica, si verrebbe a produrre, nella storia della nostra Repubblica, una ferita di incalcolabile entità.

A tale disegno, quindi, indipendentemente dalle opinioni personali in merito a genesi e gestione dell'emergenza sanitaria, strategie dell'OMS, credibilità delle aziende farmaceutiche, attendibilità o meno dei tamponi, scuola in presenza o scuola a distanza, efficacia e nocività dei “ vaccini ”, ecc…, come semplici cittadini fedeli ai principi della Dichiarazione Universale dei diritti umani e della Costituzione Italiana, dovremmo TUTTI sentirci chiamati ad opporci con limpida fermezza.

Anche perché, qualora oggi coloro che sono oggetto di una chiara espropriazione di diritti venissero lasciati soli, in un domani non lontano potremmo tutti noi essere chiamati a subire una analoga esperienza dolorosa.

 

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