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Rileggendo quanto ho scritto nella prima parte, mi sono reso conto di non essermi soffermato a sufficienza sul significativo curriculum di studi di Mario Draghi. Ebbene, dopo essersi laureato presso la facoltà di economia della Sapienza di Roma, Draghi vola negli States per gli studi post larea presso il prestigioso MIT, un arrivo che si dice personalmente voluto dal Nobel per l'economia Franco Modigliani che sovrintederà ad un percorso alquanto lungo, durerà, infatti, quasi cinque anni e si concluderà con l'ottenimento del Phd in economia con relatori ben due premi Nobel, oltre al già citato Franco Modigliani, anche Robert Solow, ma importante nel suo ricco programma di studi sarà anche il Professor Stanley Fischer che diventerà presidente della Bank of Israel. Mi soffermo su tutto ciò perché in genere il percorso seguito da Draghi è proprio di chi ha ambizioni accademiche cosa che nel suo caso è confermata dal fatto che riceve il suo primo incarico nel 1975 quando è ancora impegnato negli studi americani, un incarico a cui ne seguiranno altri, fino a diventare titolare di cattedra a Firenze nel 1981 a soli 34 anni ma, come è evidente, il destino aveva in serbo ben altro per lui.
Infatti, solo un anno dopo, nel 1982, diviene consigliere del ministro dell'economia Giovanni Goria, una nomina fortemente voluta dal predecessore di Goria Beniamino Andreatta. E' così che inizia a prendere confidenza con il palazzone romano di via XX Settembre, ma subito con proiezione internazionale, sarà infatti Direttore Esecutivo della Banca Mondiale dal 1984 al 1990.
Nel 1991 viene nominato Direttore Generale del Tesoro e, dopo l'approvazione della legge in materia di privatizzazioni nel 1992, viene incaricato di seguire questo delicatissimo dossier che riguarda sia le proprietà direttamente in capo al Tesoro che quelle detenute dall'IRI o da altre holding intermedie.
In questo incarico, oltre che dal ministro Guido Carli che o ha voluto su indicazione dell'allora Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, ma anche dai diversi titolari di quel dicastero nei governi Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi I, D'Alema I e II, Amato II e Berlusconi II.
Forte del sostegno politico dell'Esecutivo, Draghi, che ha avuto più di un anno per studiare i vari dossier, presenta agli esponenti della comunità finanziaria internazionale le linee guida del progetto, o sarebbe meglio dire, i progetti che intende seguire e lo fa sul panfilo Britannia gentilmente messogli a disposizione dalla Casa Reale britannica, scelta che semplifica molto e favorisce un approccio diretto con i possibili e spesso futuri acquirenti dei "pezzi" in vendita, ma anche una scelta che solleva un mare di critiche in Parlamento e non solo.
La campagna di privatizzazioni si traduce in un indubbio successo, ben rappresentato in un pregevole lavoro di Rita Martufi che quantifica gli introiti complessivi tra il 1992 e il 1999 in 178 mila miliardi di lire, mentre altre fonti le quantificano in182 mila miliardi, sempre delle vecchie lire.
Quello che è certo è che gli introiti derivanti dalle privatizzazioni e i minori esborsi legati alla liquidazione coatta amministrativa dell'Efim (dell'Egam no ho francamente memoria) e la riforma radicale della SACE portano il rapporto Debito/PIL dal 125 per cento del 1991 al 115 del 2001, un percorso virtuoso che, insieme alle mosse coraggiose del Governo Prodi e la determinazione granitica di Ciampi, permisero all'Italia, contro ogni aspettativa, di entrare nell'euro sin dall'inizio, con quella notte delle fissazioni delle parità fisse delle valute partecipanti con l'euro, notte che ricorderò sempre perchè dopo aver rilasciato un'intervista al TG3 nella mia qualità di economista della Direzione Finanza della Banca Nazionale del Lavoro lasciai quel palazzo per trasferirmi in quello di fronte per assumere l'incarico di responsabile dell'ufficio studi della Uil credito e assicurazioni, un osservatorio privilegiato per seguire quel processo di concentrazioni e ristrutturazioni che le privatizzazioni e la Legge Amato-Carli avevano messo in moto in modo irreversibile.
Personalità come quella dell'azionista in gioventù e nella fase resistenziale Carlo Azeglio Ciampi, del tragicamente scomparso Beniamino Andreatta, di Romano Prodi e last but not least Mario Draghi sono in effetti riusciti a tenere la barra dritta in un mondo politico, ma anche economico, spesso basato più sulla consorteria e sui patti più o meno segreti che sulla ricerca ostinata dell'efficienza e dell'efficacia nella gestione della cosa pubblica e nel rapporto tra mondo della politica e mondo degli affari!
Tutto questo sforzo venne poi vanificato dall'irruzione sulla scena politica di Silvio Berlusconi che, a parte i periodi salvici dei governi Dini e i due governi Prodi, portò l'Italia sull'orlo del default del debito pubblico con lo spread a 575 punti base sul Bund tedesco e una situazione dei conti del tutto insostenibile costringendo lo stesso Draghi, nel frattempo assurto alla presidenza della Banca Centrale Europea a redigere la famosa lettera che costrinse Berlusconi alle dimissioni e il Presidente Giorgio Napolitano a incaricare il Professor Mario Monti appena nominato Senatore a vita, di formare un nuovo governo, in larga misura tecnico, che fece il lavoro "sporco" e raddrizzò la barca dell'Italia.
Alle "Conseguenze economiche di Silvio Berlusconi" ho dedicato dieci lunghe puntate del Diario della crisi finanziaria, un blog di Google avviato nel settembre del 2007 e nel quale sostenevo mesi prima del fallimento di Lehman Brothers che le onde della Tempesta perfetta erano talmente alte da mandare in soffitta il principio del Too Big to Fail.
Tornando a Draghi e alla complessa fase delle privatizzazioni, credo che, a parte il fin troppo discusso episodio del Britannia, un punto sia indiscutibile in quegli anni, come accadrà poi con la Cassa Depositi e Prestiti che da sonnacchiosa custode del risparmio postale si è via via trasformata in un'arrembante merchant bank, anche la direzione generale guidata da Draghi e dai suoi valenti collaboratori ha subito un processo di trasformazione che l'ha resa molto più simile alle banche di affari con le quali trattava e che in questo stiano anche le basi del salto del 2002 che vede Draghi varcare le soglie della sede londinese della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs per assumerne di fatto la guida degli affari europei per entrare, poco tempo dopo, nel comitato esecutivo a livello globale. Ma di tutto questo parlerò più approfonditamente nella terza parte. (segue)