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E’ la fine di dicembre del 2005 quando Mario Draghi è nominato Governatore della Banca d’Italia al posto dell’indagato Antonio Fazio ed è possibile dire che l’istituzione un tempo faro della politica monetaria e occhiuta vigilatrice della politica economica dei governi con vita media di diciotto mesi è ormai al livello reputazionale più basso della sua lunga storia.
Prescindendo dalla ovvia constatazione che, al pari delle banche centrali dei paesi dell’area dell’euro, non dispone più della potestà in materia monetaria e non ha diretta autorità in materia di vigilanza sulle banche di maggiori dimensioni (in virtù del rapido processo di concentrazione nel settore creditizio ciò significa che oltre il sessanta per cento del totale dell’attivo delle banche italiane e’ direttamente sotto la vigilanza di Francoforte), ma il problema in quel di Via Nazionale è molto più grave e complesso.
L’uscita di Carlo Azeglio Ciampi divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri a seguito del collasso del sistema dei partiti della prima Repubblica conseguente al fenomeno di Tangentopoli aveva, infatti, innescato un gioco di veti incrociati di cui furono vittime sia il Direttore Generale Lamberto Dini che il membro del Direttorio Padova Schioppa e quindi la nomina di Antonio Fazio fu in larga parte il risultato di questa conventio ad escludendum e forse determinata dal carattere un po’ incolore dell’uomo di Alvito.
Non sarà questo il primo ne’ l’ultimo caso di palese sottovalutazione della pericolosità del cosiddetto uomo tranquillo che muta aspetto nel momento in cui assurge ad una carica di tal potere.
Come economista della Direzione Finanza della BNL, ho avuto modo di sentire di persona i dubbi del Governatore in sede degli incontri annuali del Forex sulla possibilità dell’ingresso della lira nell’euro sin dalla fase del suo avvio, l’ultimo di tali interventi a ridosso della notte in cui vennero stabilite le parità fisse e irrevocabili tra le valute partecipanti.
Come ho avuto modo di sottolineare in quattro articoli sull’argomento, la lira aveva recuperato ma aveva ancora molto spazio di recupero nei confronti delle principali valute europee ma occorreva da dodici a diciotto mesi almeno, ma la mia era la posizione di un economista aziendale e non quella del Governatore della Banca d’Italia che avrebbe dovuto agire in sintonia con il Governo e, in questo caso, la presidenza della Repubblica, carica peraltro ricoperta allora dal suo autorevole predecessore in Via Nazionale.
Le cose dette sopra inducono a più di un dubbio sulla convenienza per Mario Draghi di accettare un incarico che lo avrebbe costretto a rinunciare ad una posizione d’oro in Goldman Sachs, inclusa la doverosa necessità di costituire in fretta e furia un blind trust delle sue rilevanti posizioni personali, ma forse c’è una risposta a questo interrogativo ed è data dal fatto che ai livelli cui operava Draghi (da circa un anno era stato cooptato nel comitato esecutivo mondiale di Goldman Sachs) era perfettamente in grado di percepire i rischi presenti nel mercato finanziario globale e, come il numero uno della potente ma ancor più preveggente Goldman, Hank Paulson, che lascia una posizione da 100 milioni di dollari per andare a fare il Segretario di Stato al Tesoro per poche centinaia di migliaia di dollari.
Non è d’altra parte un caso se da neo nominato Governatore tutti i suoi colleghi al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico e di quello Pacifico si trovano pressoché totalmente d’accordo nel ritenerlo la persona più indicata per ricoprire l’incarico di presidente di un importante organismo incaricato di riscrivere le regole del mercato finanziario globale che i li a poco più di un anno andrà letteralmente a carte quarantotto. (segue)