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Quando Mario Draghi oltrepassa l'ingresso della sede centrale della Banca d'Italia è ben consapevole di essere un corpo estraneo per quella istituzione con la quale aveva avuto solo un rapporto di consulenza successivo al lunghissimo periodo di formazione post laurea al MIT di Cambridge, Massachussets (periodo nel quale aveva molto probabilmente usufruito di una borsa di studio Stringher o Mortara, dettaglio tuttavia non chiarito nel suo curriculum desuto da Wikipedia o dalla Treccani) e quando era già professore ordinario presso l'Università degli studi di Firenze.
C'era stato in passato il precedente di Guido Carli, Ministro per il Commercio Estero prima di approdare in Via Nazionale, ma si trattava di un personaggio che aveva, direttamente o indirettamente vigilato sul delicato tema degli scambi valutari quando gli stessi erano soggetti ad esplicita autorizzazione governativa.
Come ho già avuto modo di notare nella puntata precedente, la Banca d'Italia nella quale Draghi assume la posizione di vertice era ben diversa da quella nella quale avevano operato i suoi predecessori, differenze sostanziali avvenuti dopo la creazione della Banca Centrale Europea e dopo l'ingresso della lira nell'euro, circostanze queste che privavano Via Nazionale delle funzioni di politica monetaria e, cosa non certo meno rilevante alla luce del fortissimo processo di concentrazione avvenuto negli anni precedenti delle stesse funzioni di Vigilanza sugli istituti di credito di maggiori dimensioni che da soli rappresentavano oltre il sessanta per cento del totale dell'attivo del sistema.
Ma vi era un'altra sostanziale differenza con le banche un tempo vigilate ed era rappresentata dal fatto che i sindacati interni di Bankitalia non erano, a differenza dei loro colleghi delle banche italiane di ogni ordine e grado, stati travolti dalle incisive innovazioni contrattuali del "contratto di svolta" del 1999, un contratto che mise la parola fine alla categoria dei funzionari, diluì significativamente l'impatto dell'anzianità e creò una dirigenza di ingresso caratterizzata da un livello retributivo inferiore a quello dei funzionari di maggiore livello e anzianità.
Questa differenza aveva fatto sì che le previsioni contrattuali e i trattamenti retributivi dei dipendenti della Banca d'Italia venissero ad avere quelle caratteristiche distintive rispetto alle banche del sistema rafforzando il concetto di Istituzione con livelli di autonomia simile a quelli dei dipendenti di Camera e Senato, Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, Corte dei Conti e via discorrendo.
Draghi non disponeva quindi di un armamentario non solo economico ma anche, e soprattutto, normativo che aveva consentito ai neo formatisi grandi gruppi bancari di accompagnare la loro ristrutturazione e concentrazione ottenuta pressoché senza colpo ferire grazie alla estrema disponibilità delle sigle sindacali di settore, disponibilità che le sigle sindacali interne a Bankitalia rifiutarono fermamente di prestare.
E' importante questa sottolineatura per comprendere come mai il nuovo Governatore fu costretto a profondere parecchie energie per far passare il suo progetto di riforma della sede centrale e di quelle periferiche della banca centrale, mettendo in campo quella capacità di ascolto che sedici anni più tardi gli avrebbe consentito di varare un Governo con un sostegno di larghissima parte delle alquanto riottose forze politiche italiane.
Qui torniamo all'importanza del percorso formativo di Draghi, con particolare riferimento al periodo trascorso in quella vera e propria fucina di premi Nobel che è il Massachussets Institute of Technology, una fase nella quale evidentemente apprese l'arte di comprendere fino in fondo le posizioni degli interlocutori mantenendo comunque le sue posizioni, doti che gli furono fondamentali nel decennio in cui riuscì a vendere in modo brillante i "gioielli di famiglia" dello Stato italiano, contribuendo ad abbassare di dieci punti il rapporto debito/PIL, avendo come controparti banche di affari, potentati economici italiani e internazionali e dovendo rispondere a Premier e Ministri dell'Economia che si susseguivano a raffica.
L'altra caratteristica distintiva di Draghi è stata, nel tempo, la capacità di individuare collaboratori cui delegare parte del lavoro e sfido chiunque dal ricordarne i nomi, a parte quelli dei Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio nei diciotto mesi del suo Governo.
Come ho, peraltro, avuto modo di dire nella puntata precedente, Draghi da un lato e Hank Paulson dall'altro erano, in tempi leggermente diversi e con responsabilità differenti chiamati ad un compito ben più importante e che era quello di rabberciare le sempre più evidenti falle nei velieri della finanza più o meno globale che si stavano preparando ad affrontare gli alti marosi della Tempesta Perfetta, ufficialmente iniziata il 7 agosto del 2007, ma che i cui prodromi erano perfettamente chiari agli uomini ai vertici della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs.
Ma di questo argomento che mi ha visto impegnato per dieci anni nella redazione quotidiana del "Diario della crisi" un blog di Google seguito da lettori di 92 paesi del mondo parlerò più diffusamente nelle prossime puntate. (segue)