L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Erika Maderna, laureata in Etruscologia e Archeologia Italica presso l'Università degli Studi di Pavia, scrive articoli, traduzioni e saggi di cultura e archeologia classica.
Ho conosciuto Erika Maderna attraverso uno dei suoi libri “Medichesse”, un libro che è andato a colmare una lacuna bibliografica: sono rari i testi che ripercorrono la medicina al femminile perché, tranne rare eccezioni, le guaritrici sono rimaste nell'ombra, essendo spesso donne del popolo, eredi di un sapere antico.
Medichesse è il terzo libro dell'autrice, preceduto da “Antichi segreti di bellezza” (Aldo Sara Editore, 2005); e da “Aromi sacri Fragranze profane: simboli, mitologie e passioni profumatorie nel mondo antico” (Aboca, 2009).
Se il primo libro indaga la cosmesi antica, nel secondo il protagonista è il profumo: gli aromi sono strettamente legati sia all'esperienza religiosa che a quella profana, le essenze oscillano tra erotismo e magia, connettendo l'uomo alla sua parte più emotiva. Attraverso aneddoti, curiosità e mitologie l'autrice offre al pubblico un libro prezioso e di scorrevole lettura su un tema sempre intrigante.
Le protagoniste del quarto libro, “Le mani degli Dèi” (Aboca, 2016) sono le piante officinali raccontate nel loro aspetto mitologico e simbolico.
Il melo delle Esperidi, la viola di Attis, l'anemone di Adone, l'erba Moly di Circe, il giglio di Era, il mirto di Afrodite, la menta di Mintha e molte altre creature vegetali sono qui raccontate con eleganza e
ERIKA MADERNA |
passione, restituendo a queste piante ed alberi, conosciute per la loro valenza fitoterapica, una dimensione narrativa. Erbe connesse alla Grande Madre antica, erbe capaci di guarire ma anche di uccidere, mitologie vegetali che l'autrice offre al lettore anche attraverso gli articoli scritti e pubblicati per il Wall Street International.
“Medichesse” declina il verbo “curare” al femminile ripercorrendo la storia della medicina dalle civiltà matrifocali fino a Isabella Cortese. Secondo te quale è stata la difficoltà più grande che le medichesse antiche hanno dovuto affrontare per ricevere la giusta considerazione?
Elencare le difficoltà affrontate dalle donne nella pratica della medicina ci riporterebbe a un’aneddotica curiosa e ricca di esempi. Ci sono state donne costrette a vestire abiti maschili per poter praticare la professione; altre che hanno sfidato divieti pericolosissimi, e hanno rischiato il rogo pur di non tradire la propria missione; altre ancora che hanno scelto la protezione del monastero per potersi dedicare in sicurezza alla ricerca e alla cura. Può sembrare strano, ma le epoche più antiche hanno mostrato maggiore apertura e tolleranza verso le medichesse; dopo il Mille, la misoginia e la paura atavica della magia diabolica delle streghe determinarono la brusca rottura di un già fragile equilibrio, e l’esclusione delle donne dalla pratica professionale divenne una battaglia ideologica perseguita con crudele caparbietà dalla medicina ufficiale.
Secondo te, oggi, è stata ottenuta la giusta considerazione delle donne curatrici o pensi che la figura maschile del medico adombri ancora quella femminile?
Negli ultimi decenni le presenze femminili all’interno delle facoltà di Medicina sono aumentate esponenzialmente, anche se alcune specializzazioni rimangono, più di altre, resistenti al cambiamento. Credo che le donne, dopo aver compiuto un lungo e faticoso percorso con la determinazione che le caratterizza, si stiano riappropriando finalmente del pieno riconoscimento del loro ruolo professionale. Certo, ora non sono più medichesse, sono donne medico; hanno colmato quel gap che nella parte più antica della storia ha differenziato fortemente il sapere maschile da quello femminile. Eppure, forse ancora portano traccia dell’antica vocazione di sacerdotesse...
Maghe pharmakìdes erano Elena, Circe, Medea... le herbarie medievali condannate come streghe curavano anche attraverso l'aspetto “simbolico” e vibrazionale delle piante: cosa ha perso la medicina sradicando la magia dai medicamenti?
Il mito e le fonti antiche ci riportano esempi straordinari di erbe o farmaci mistici o spirituali, spesso legati alle conoscenze mediche delle donne e alla sfera della cura dei mali della psiche. Questi esempi descrivono la funzione della malattia nel suo aspetto allegorico, ridotta alla semplicità del simbolo, e allo stesso tempo la ricerca, nelle piante curative (dette anche “semplici”), della purezza di ciò che ora la scienza chiama principio attivo, ma che allora era considerato forza divina. Ancora oggi questo aspetto è esplorato con grande interesse dall’approccio psicosomatico della medicina, che in realtà ripercorre intuizioni che vengono da molto lontano.
Le piante e la sfera del sacro erano indissolubilmente legate: i primi santuari furono le foreste, templi vegetali a tutti gli effetti; pensi che questo rapporto con il sacro “vegetale” sia andato del tutto perduto? Quale momento storico, secondo te, ha segnato la fine della sacralità vegetale?
Il senso del sacro legato alla percezione della natura era più forte quando l’umanità non comprendeva le leggi dell’universo, le temeva e le rispettava per non incorrere nella punizione divina. Abbattere una pianta significava violare lo spirito che vi dimorava e il timore della vendetta tratteneva la mano dell’uomo. Molti popoli, inoltre, erano convinti che la stirpe umana discendesse dagli alberi, e li onoravano come antenati. Con l’avanzare della civiltà del logos e della scienza, la devozione si è trasformata in volontà di dominio, certezza di superiorità, logiche che oggi sembrano prevalere nel nostro “uso” spregiudicato delle risorse naturali.
Nei tuoi tre libri compaiono spesso ricette di cosmesi femminile. Quale rituale antico è maggiormente connesso alla cosmesi?
La cosmesi è parte viva dell’approccio femminile alla salute, e lo dimostra il fatto che le ricette di bellezza tramandate dalle donne alle donne compaiono in tutti i trattati medici antichi scritti da mani femminili. Non si tratta di indulgere in frivolezze e vanità, bensì del lascito di una filosofia del benessere che non considera medicina soltanto ciò che è utile a curare il morbo, ma amplia la visuale alla cura di sé, alle pratiche igieniche, alla ricerca della bellezza come strumento di soddisfazione. Ogni epoca ha avuto le sue mode cosmetiche. Nelle culture mediterranee antiche, e poi in quelle classiche, la profumazione del corpo costituiva sicuramente il rituale più importante, e a questo interesse dobbiamo l’elaborazione di una tecnologica avanzata della produzione degli unguenti aromatici. La valenza della profumazione rispondeva a molteplici necessità: in origine l’olio aromatico aveva una funzione deodorante, emolliente, ma anche protettiva dell’epidermide, e solo col tempo prevalse quella cosmetica. In epoca rinascimentale, il paradigma della bellezza si spostò verso un ideale estetico femminile di candore e purezza; il “far bianco” divenne la pietra filosofale dell’alchimia cosmetica, e si moltiplicarono le ricette utili a illuminare l’incarnato del volto, a sbiancare le mani e i denti, a schiarire i capelli.
In “Aromi sacri Fragranze profane” e in “Le mani degli Dei” le protagoniste sono le piante (e gli alberi): quale rapporto ti lega al regno vegetale?
Il profumo ha costituito la prima forma di comunicazione tra l’uomo e la divinità; un linguaggio etereo e ineffabile quanto il destinatario del messaggio. Il mondo vegetale nasconde simboli profondissimi e scoprirli significa raggiungere le radici più antiche della religiosità. Sono proprio questi aspetti simbolici ad avermi affascinata, tanto da spingermi a procedere per successivi approfondimenti. In un mito vegetale possiamo rintracciare livelli di lettura interessantissimi: non solo la leggerezza dell’invenzione narrativa, ma informazioni botaniche e intrecci impensati tra archetipi sacri, vis terapeutica della pianta, natura umana. E la natura ha sempre qualcosa da suggerirci, se sappiamo scavare fra i significati.
Quale personaggio della mitologia antica senti più vicino a te? Quale medichessa?
Mi affascinano tutte le grandi figure dell’immaginario, per la loro capacità di evocare gli archetipi più profondi: Circe, Medea, che hai già citato, e in generale le grandi maghe conoscitrici di farmaci, splendide e terribili al contempo, che sono state il prototipo e il fondamento iconico dell’herbaria e della strega. Tra le medichesse della storia, invece, non posso non nutrire una profonda ammirazione per la figura di Ildegarda di Bingen, che dedicò parte della sua attività intellettuale all’approfondimento di una filosofia medica di grande impatto filosofico. A Ildegarda interessa l’uomo nella sua complessità e completezza di corpo, psiche e spirito, e da questo approccio olistico si sviluppa la necessità di ricercare nell’armonia fra queste componenti la chiave per il benessere. Ma la grande novità della medicina ildegardiana è l’interesse per la salute femminile, che la santa ha indagato con profondità di riflessione: la donna deve onorare e conoscere la propria femminilità se vuole essere felice, e deve avere un rapporto soddisfacente con il proprio partner se vuole prevenire i disturbi tipici dell’apparato ginecologico. Un personaggio così sfaccettato è difficile da riassumere in pochi tratti, ma mi piace quella definizione di “Sibilla del Reno” che fa di questa grande santa visionaria un anello di congiunzione tra la pratica sciamanica delle sacerdotesse pagane, l’approccio empirico tipico della tradizione medica femminile e la nuova indagine filosofica sulla salute.
Su quale ricerca ti stai concentrando in questo momento?
Sono tornata a studiare la storia della medicina femminile, questa volta dedicando un approfondimento alla cosiddetta “medicina delle streghe”. Moltissime delle donne bruciate sui roghi dell’Inquisizione, dal medioevo fino alle soglie del Settecento, erano curatrici empiriche, che praticavano i loro saperi nelle campagne attingendo a una tradizione ricchissima di medicina magica che si è tramandata rimanendo per secoli quasi immutata per modalità e contenuti. E’ importante riportare all’attenzione questi risvolti distruttivi del nostro passato, cercando di illuminare la prospettiva delle vittime, su fatti che sono stati raccontati solo dai documenti dei carnefici; è un tributo necessario al sacrificio assurdo di donne che hanno subito torture e atroci sofferenze senza comprendere quale fosse la propria colpa.
Per approfondire:
Erika Maderna presenterà il libro “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” Domenica 26 marzo alle ore 17 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, via della Lungara 19.
A seguire ci sarà lo spettacolo “Herbarie: le chiamavano streghe” a cura del progetto Anemofilia Teatro.