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La vita romanzata di una delle più grandi attrici di tutti i tempi, Adriana Lecouvreur, ha ispirato drammi, opere liriche e cinematografiche. Eugène Scribe nel 1849 le dedicò un dramma, Francesco Cilea nel 1092 un’opera lirica, nel secondo dopoguerra in Italia è stato prodotto un film con Valentina Cortese, Olga Villi e Gabriele Ferzetti. L’epistolario fra Adriana e Maurizio di Sassonia sacrifica il romanzo alla verità storica, ma mostra la sensibilità e l’intelligenza proprie di una grande artista, come lo è stata, in vita, la mitica Adriana.
Adriana Lecouvreur aveva esordito in teatro nel 1706, all’eta di quattordi anni. Una recita di adolescenti che, per aver adottato un testo di Corneille (Poliuto), si era vista attirata su di sé la reazione della società del teatro francese, gelosa custode delle tragedie di Racine. A quella contrastata recita aveva assistito Le Grand, un attore famoso ai suoi tempi. Questi, divinando il talento della piccola, aveva voluto curarne la formazione artistica e le suggerì il nome d’arte. Adrienne Couvreur divenne Adrienne Lecouvreur.
Dopo due anni di studio e otto di provincia, Adrienne tornò a Parigi preceduta da una reputazione ottima come artista e cattiva come donna: a Lilla, all’età di sedici anni aveva avuto il primo amante, a Lunéville la prima figlia da un ufficiale del duca di Lorena, a Strasburgo la seconda da un nobile alsaziano. la storia d’amore con Maurizio di Sassonia, entrata nella letteratura mondiale, si svolse nella lussuosa dimora parigina di rue des Marais, dove Adriana si era definitivamente trasferita.
Adriana Lecouvreur aveva conosciuto Maurizio di Sassonia nel salotto della marchesa di Lambert, l'indomani di una recita della Fedra di Racine. Affascinato dalla rappresentazione, Maurizio di Sassonia aveva voluto conoscerne la protagonista e l'attrice rimase a sua volta affascinata da quel giovane capitano dalla vita avventurosa che, all’età di 24 anni, aveva già condotto undici campagne di guerra.
Maurizio di Sassonia era figlio naturale di un re. Sua madre, la bellissima principessa svedese Aurora di Koenigsmark, lo aveva avuto da Augusto II, elettore di Sassonia. Lo aveva fatto riconoscere dal re e si adoperava fra gli stati del nord allo scopo di ottenere i voti della Dieta per la successione al trono. Quando Maurizio si dichiarò, Adriana impose un’attesa a lui e a se stessa (“Io sono più vostra, mio caro conte, - ella infatti scrive - di quanto lo sarebbe un'altra che lo fosse di più. Voi siete abituato ad ottenere delle vittorie rapide e complete per non essere contenta di prepararvi un trionfo differente che può solleticarvi per la sua singolarità"). Un’attesa non troppo lunga: tre mesi dopo l’attrice capitolava: “voglio farvi conoscere quello che ha potuto mancarvi e quanto i sentimenti siano ancora superiori ai piaceri ordinari. Venite, voi m'incanterete, anche senza profferir motto".
La loro unione fu felice per tre anni, poi si mise di mezzo la politica. Il conte di Sassonia partì per la Polonia con il miraggio della reggenza degli stati baltici, fino allora retti dal Gran Maestro dei Cavalieri Teutonici, morto in quell'anno senza lasciare eredi. I negoziati che egli intraprese si trascinarono nel tempo. Le lettere di quel periodo riflettono la reciproca gelosia dei due amanti. Scrive Adriana: "lo ve ne supplico, provatemi che pensate a me, non siate ga1ante, non vi mostrate, non piacete, ve ne supplico in ginocchio"; e in risposta ai timori di Maurizio, geloso a distanza di tutti gli spettatori della Comedie: "io non esco dalla mia camera, non vado a cena con nessuno. Temo di amarvi troppo. Questa non è la maniera più sicura per piacere?".
Due anni trascorrono nelle vicende baltiche. "Io invecchio, constata l'attrice, ma è per voi. Potrei trovare una scusa più felice?: è nell’aspettarvi". Contro il volere di Russi e Polacchi, il conte di Sassonia ottiene dalla Dieta l’investitura ufficiale per i Paesi Baltici. Adriana pensa seriamente di interrompere la sua carriera, di abbandonare tutto per raggiungerlo. Russi. Polacchi, nel mentre, scontenti della scelta della Dieta, minacciano di invadere il ducato e fanno mancare le finanze al neoeletto principe per sostenere la guerra. Adriana vende i suoi diamanti, i suoi cavalli, la sua argenteria e invia quarantamila libbre a Maurizio, che risponde: “vi sono obbligato per il sacrificio che avete sostenuto. Ciò mi persuade che voi vi preoccupate esclusivamente di me e del mio destino. Ve ne ringrazio e vi assicuro che la mia fortuna non sarà mai tanto cattiva da non poterla dividere con voi".
Ma la catastrofe si avvicina: le truppe russe sono entrate in Estonia; anche i Polacchi sono apparsi sulla frontiera. I nuovi sudditi di Maurizio non fanno resistenza, il principe resta solo con la sua guardia del corpo. Adriana, lo scongiura di abbandonare: dal momento che i sudditi per primi hanno mancato, può ritirarsi senza vergogna. Cosa potrebbe trovare, se non la morte, in quella disperata resistenza?
La risposta è angosciante: "Domani farò una sortita e passerò attraverso gli avversari. ...Addio, amatemi. Se io perirò voi perderete qualcuno che vi ha molto sinceramente amato".
Si sa come Maurizio di Sassonia abbia attraversato l’Europa aggrappato alla criniera del suo cavallo, passando a nuoto o a guado i corsi d’acqua, portando con sé solo una cassetta contenente l’attestato della sua elezione e le lettere di Adriana.
La lotta condotta da un solo uomo contro una coalizione internazionale impressionò il mondo e sedusse le donne; tutte volevano amare l'eroe. Adriana Lecouvreur, ormai trentacinquenne, ebbe allora mille rivali, ma tutte passeggere. Maurizio ritornava a lei dopo ogni infedeltà come ad una sposa legittima. L'attrice riconosceva l'inutilità dei rimproveri, confessando di non essere portata "né alla gelosia, né alle scene violente".
Eppure questa creatura che si reputava "debole e delicata" doveva svegliarsi con una fiammata terribile: quando una donna minacciò di prenderle il posto nel cuore di Maurizio. La Parigi pettegola di quel tempo le aveva fatto conoscere in breve tempo il suo nome: era la bellissima Francesca di Guisa, moglie del vecchio duca di Bouillon. Ma, incapace di spezzare con Maurizio, Adriana sembrava accettare la divisione degli affetti con la giovane duchessa. La cenere, però, restava calda. Nel corso di una rappresentazione della "Fedra", nella scena in cui la protagonista rivolgendosi alla confidente pronuncia l’apostrofe alle donne ardite, l'attrice cerca nel teatro la duchessa Bouillon e le lancia, indicandola col dito, la terribile apostrofe di Racine: "Conosco le mie perfidie ed io non sono di quelle donne ardite, le quali, godendo la tranquillità nel peccato, hanno saputo farsi una fronte che non arrossisce mai".
Lo scandalo fu enorme. L'indomani la duchessa esigeva ed otteneva che la compagnia di Molière, nella persona del suo decano, andasse a presentarle le sue scuse. Anche il conte di Sassonia, cessando di colpo le sue visite sembrava avere disapprovato Adriana. Sono di questo periodo tre significativi biglietti di Adriana: "O voi volete troncare, o voi contate infinitamente sulla mia debolezza e sulla mia predilezione per voi. Io ho il tempo di riflettere e di prepararmi agli avvenimenti più tristi. Ma non sforzatevi affatto. Io non posso soffrire di essere ingannata e se voi avete l'intenzione di lasciarmi ... Io non posso più continuare, il mio cuore smentisce la mia mano e la mia penna". "Io vi scrivo nel mezzo della notte poiché da quando siete lontano, io non mangio, né dormo. Così voi mi troverete assai magra ed anche molto malata, se voi non tornerete. Quale piacere trovate a rendermi infelice, quando voi potreste fare la mia felicità? Io non voglio affatto riempirvi di lamentele, vorrei molto rianimare la vostra tenerezza e non suscitare la vostra pietà. Ma forse avviene che il vostro animo non sia più suscettibile di alcun sentimento per me. Finite dunque di illudermi, per me è indifferente morire o vivere ancora nello stato in cui sono”.
Quando Adriana scrisse il terzo biglietto il dolore aveva prodotto i suoi effetti: Adriana è caduta malata: "Vorrei di tutto cuore essere nell'agonia per il piacere di farvelo sapere. Non posso per ora che annunciarvi che ho un po' di febbre, poiché non saprei mentirvi. Poiché non mangio e non dormo e poiché mi addoloro quanto è umanamente possibile, è da ritenere che vi arriverò. Secondo quanto pensiamo l'uno dell'altro presentemente, è verosimile che saremmo assai contenti se ci sbarazzassimo, voi di me, io della vita. Sono d'accordo con voi che sia una cosa difficile e che le donne durano fatica a morire. Ma ciò che posso promettervi è che farò del mio meglio e con tutto il cuore”.
Adriana Lecouvreur, infatti, non visse a lungo; un mese dopo dalla stesura di questo messaggio, a tre giorni di distanza da una rappresentazione in cui aveva offerto una misura di tutta la sua arte interpretando “l'Ortensia” di La Fontaine e "l'Edipo" di Voltaire, l'attrice si spegneva, fra le braccia delle sue due figlie e di Voltaire, che era suo grande amico dal tempo dei primi trionfi parigini.
La Chiesa colpiva con scomunica gli artisti di quell'epoca e, senza un'abiura prima della morte, negava loro la sepoltura con il rito ecclesiastico. Poteva rinnegare il teatro Adriana Lecouvreur? Il teatro era Adriana stessa, un atto di abiura equiva1eva a un misconoscimento di se stessa.
Il titolare della parrocchia di Saint-Sulpice, padre Languet de Gergy, si rifiutò di lasciare entrare il corpo nella chiesa. Invano gli fu riferito che il testamento della defunta cominciava con le parole: "In nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo"; replicò che Adriana non aveva voluto fare alcun atto di pentimento per gli scandali della sua professione. Poi, nottetempo, la polizia notturna fece irruzione nella camera mortuaria. "Per ordine del Luogotenente di Polizia - disse l’ufficiale - noi veniamo a prendere la salma di mademoiselle Lecouvreur". Strappato alle figlie, avvolto in un drappo e portato come un fagotto, il corpo è gettato in un carro. Dove fu portato? Voltaire e Maurizio di Sassonia, partirono alla ricerca. Domandando a destra e a sinistra arrivarono all’altezza di un cantiere sito al civico 115 di rue de Grenelle. Lì uno sconosciuto affermava di aver visto gettare un fardello bianco. Il corpo di Adriana Lecouvreur, di colei che era stata la grazia, la sensibilità, l'intelligenza, era stato gettato nella calce viva.
Perché si era voluto far scomparire e annientare il corpo dell'attrice? La gente a Parigi non vide chiaro nella faccenda. E una voce corse ben presto, insinuando lo stesso sospetto in tutte le menti: la vendicativa duchessa non avrebbe soppresso la rivale?
L’attrice non sarebbe morta avvelenata? E venne fuori la chiacchiera di un frate che pretendeva di essere stato incaricato da uno scudiero di casa Bouillon di offrire all'attrice certe pastiglie. "Mademoiselle Lecouvreur è morta fra le mie braccia, risponde Voltaire. Tutto ciò che si dice sul suo avvelenamento sono voci di popolo senza alcun fondamento". Non importa: la gente è persuasa del contrario. Adriana Lecouvreur entra nella leggenda. Scrittori e poeti s’ispireranno alla sua persona e ne fisseranno lo storia per l'eternità.