L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Di certo non è stata una scelta felice quella di evocare la Shoah di fronte a quanto sta accadendo con la forsennata campagna vaccinista, l'ignobile green pass, e le varietà di diritti in atto o ancora in cantiere.
Con l'azzardare simili accostamenti, infatti, si rischia sempre di diventare facile oggetto di un vero tiro al bersaglio, un po' come capita a coloro che gridano al razzismo di fronte a qualsivoglia forma di discriminazione o al fascismo di fronte ad ogni forma di autoritarismo. Si rischia, insomma, di offrire un'ottima opportunità per essere trattati da visionari, ignoranti e pressapochisti.
Ciò premesso, va però ben sottolineato che la storia ci insegna in maniera limpidissima che le grandi tragedie del passato lontano e recente non sono mai nate dal nulla, né tantomeno casualmente e all'improvviso. Esse hanno, infatti, avuto bisogno di tempi lunghi di gestazione e hanno necessitato del concorso di una fitta serie di ingredienti spesso intrecciati fra di loro, quali:
- controllo propagandistico e ideologico dell'informazione;
- diffusione di paure psicologicamente attanaglianti e mentalmente ottenebranti;
- sgretolamento dei consuetunari legami di solidarietà sociale;
- accentuazione velenosa ed esasperata delle differenze;
- rifiuto intollerante delle opinioni altrui e visioni del mondo;
- paralisi dei processi logici e cognitivi ad opera di una pilotata informazione a senso unico, invasiva e ubriacante;
- accettazione passivamente acritica, pavida ed opportunistica delle ingiustizie;
- demonizzazione-criminalizzazione del diverso, del dissidente, dell'eretico, del fuori dal coro;
- assuefazione-rassegnazione di fronte ad un processo graduale di sottrazione di libertà individuali e collettive.
Ora, una cosa che ci siamo detti all’infinito nelle ricorrenti (e a volte alquanto retoriche) Giornate della Memoria non era forse che, per parlare di crimini contro l’umanità, non si dovrebbe necessariamente attendere i campi di sterminio, ma dovrebbero risultare più che sufficienti le semplici pezze colorate appiccicate addosso agli abiti dei membri di un determinato gruppo umano?
E non ci siamo anche detti, tante volte, che i processi discriminatori andrebbero subito fermamente denunciati, rifiutati ed arrestati fin dal loro sorgere, al fine di impedire un pericoloso, progressivo effetto valanga?
E che, per fare questo, è assolutamente necessario che ciascun individuo faccia la propria parte nel dire NO a qualsiasi potere che favorisca, promuova, tolleri qualsiasi forma di frantumazione della famiglia umana e di gerarchizzazione dei suoi membri?
Insomma, lasciamo pure stare discutibili confronti con fenomeni terribili e complessi come la Shoah, ma facciamo in modo che la condanna di tali fenomeni non si riduca mai a comoda formalità, trasformandola, invece, in coerente impegno a combattere tutto quello che possa avere con essi un qualche preoccupante elemento di affinità.
Ed evitando, soprattutto, di cadere nell’errore di non comprendere che il fatto che oggi si colpisca Tizio e domani Caio, ha strettamente a che vedere con il nostro silenzio, la nostra indifferenza, il nostro esplicito o implicito (e quindi sempre complice) assenso ...