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PENA DI MORTE: UNA PIAGA NON ANCORA SCONFITTA. PRIMO CASO IN ALABAMA DI ESECUZIONE PER IPOSSIA DA AZOTO.

By Roberto Fantini February 12, 2024 497

 

Ci diceva Norberto Bobbio in un suo scritto di quasi mezzo secolo fa, che, messo a confronto con gli enormi e assillanti problemi del nostro tempo (quello della guerra primo fra tutti),  il problema della pena di morte potrebbe, facilmente quanto erroneamente, apparirci come qualcosa di importanza  secondaria. Impressione che potrebbe anche venire avvalorata dalla constatazione dei risultati felicemente sorprendenti conseguiti dalla causa abolizionista, nell’arco dell’ultimo secolo:

i paesi abolizionisti, sia sotto il profilo legislativo sia sotto quello esclusivamente pratico (de facto), da pochi casi isolati sono arrivati, oramai, a più di due terzi di quelli attualmente esistenti nel mondo.

Purtroppo, però, osservando la questione più da vicino, siamo costretti ad accorgerci che la situazione attuale non è affatto soddisfacente e rassicurante. Nel corso del 2022, infatti, il numero delle esecuzioni registrate risulta essere il più alto degli ultimi anni (con un incremento addirittura di oltre il 50 per cento rispetto al 2021). E questo a causa dell’aumento considerevole di condanne a morte eseguite nell’ area mediorientale e in quella nordafricana. Il 90% delle esecuzioni registrate, infatti, si concentra in soli tre paesi del Medio Oriente-Africa del Nord: Iran, Arabia Saudita, Egitto.

Inoltre, non bisogna dimenticare che in Corea del Nord, in Vietnam, e soprattutto in Cina (dove è possibile supporre la presenza di migliaia di esecuzioni) l’uso della pena capitale è accuratamente protetto dalla massima segretezza.

Nel corso del 2022, però, altri sei stati hanno abolito (in tutto o in parte) la pena di morte: Kazakhstan, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone hanno abolito la pena capitale per ogni genere di reati, mentre Guinea Equatoriale e Zimbabwe solo limitatamente ai reati comuni. In tal modo, alla fine del 2022, il numero degli stati totalmente abolizionisti è salito a 112  e a 9 quello degli abolizionisti soltanto per i reati comuni.

E la questione della pena di morte si è venuta nuovamente a trovare sotto i riflettori mediatici a proposito del doloroso caso riguardante Kenneth Smith,   sottoposto, in Alabama, alla prima esecuzione mediante soffocamento da assenza indotta di ossigeno, provocata dall’inalazione forzata di azoto.  Da notare che l’utilizzo dell’ipossia da azoto è una pratica bandita dagli stessi veterinari, in quanto presenta numerose possibili complicazioni: oltre a produrre atroci sofferenze, potrebbe  provocare ictus e lasciare l’animale paralizzato senza ucciderlo.

Ma, nonostante gli esperti delle Nazioni Unite, constatata l’evidente natura di estrema crudeltà che caratterizza tale forma di esecuzione, l’ abbiano equiparata alla tortura, la Corte Suprema degli Stati Uniti (in modo decisamente illogico) non ha ritenuto doveroso considerarla incostituzionale ai sensi dell’Ottavo emendamento.

Tra l’altro, Kenneth Smith, il 17 novembre 2022, era stato sottoposto ad una fallita esecuzione tramite il consueto metodo dell’iniezione letale: dopo ben quattro ore di vani tentativi di piantargli aghi nelle vene, il personale sanitario del carcere si trovò costretto ad interrompere le operazioni.

Prima di questo incidente, inoltre, i giudici della Corte Suprema avevano affermato che, in caso di una serie di tentativi falliti di esecuzione, andrebbero esclusi  ulteriori tentativi.

Ma … invece …

Intanto, nelle carceri di troppi paesi, ancora, molte persone vivono nel timore di una imminente esecuzione. Come Fatma al-Arwali*, giovane yemenita attivista per i diritti delle donne, condannata in seguito ad un processo-farsa*, o il musicista nigeriano Yahaya Sharif-Aminu**, condannato per presunta blasfemia.

Nonostante i grandi passi avanti, la strada per liberare l’umanità dalla piaga della pena capitale (passaggio importante per l’eliminazione totale della violenza dalla nostra storia) resta ancora preoccupantemente ricca di rallentamenti, di insidie e di infide sabbie mobili.

 

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*Fatma al-Arwali, 34 anni, attivista yemenita per i diritti delle donne, è a rischio di imminente esecuzione.

Il 5 dicembre 2023 un tribunale di Sana’a, nella zona dello Yemen controllata dal gruppo armato huthi, l’ha giudicata colpevole di aver fornito informazioni coperte dal segreto militare agli Emirati Arabi Uniti, principali partner della campagna di bombardamenti avviata nel 2015 dall’Arabia Saudita.

All’epoca dell’arresto, Fatma al-Arwali era a capo dell’ufficio yemenita dell’Unione per la leadership femminile della Lega araba. Il 13 agosto 2022 la sua auto è stata fermata a un posto di blocco. Le forze di sicurezza huthi l’hanno poi sottoposta a sparizione forzata per circa otto mesi, negando ogni informazione alla famiglia che la cercava nelle stazioni di polizia e nella prigione di Sana’a. La famiglia ha poi appreso in modo informale che si trovava in un centro di detenzione della capitale. Il suo processo è stato farsa e deve essere annullato.

 

**Yahaya Sharif-Aminu ha 22 anni e vive nello Stato di Kano, nel nord della Nigeria. La sua vita è la musica, e proprio la musica lo ha condannato a morte. A febbraio ha composto una canzone e l’ha diffusa tramite WhatsApp. Quella canzone l’ha portato in carcere e potrebbe condannarlo a morte, perché considerata blasfema.

Aggiornamento del 25 gennaio 2021: la condanna a morte è stata temporaneamente sospesa!

Una corte d’appello della Nigeria ha annullato, almeno temporaneamente, la condanna a morte del 22enne Yahaya Aminu-Sharif, che il 10 agosto 2020 un tribunale islamico aveva giudicato colpevole di “blasfemia” e dunque destinato all’impiccagione. Yahaya continua ad essere in pericolo: è ancora accusato di blasfemia, che la legge islamica applicata in molti stati del nord della Nigeria punisce con la morte.

Yahaya Sharif-Aminu era stato condannato nell’agosto 2020 per aver composto e diffuso una canzone considerata dalle autorità blasfema. Durante il primo processo è stato privato di ogni assistenza legale. Ora il tribunale d’Appello ha ordinato che il processo venga ripetuto proprio a causa della mancanza di rappresentanti legali di Yahaya.

La ripetizione del procedimento rappresenta per Yahaya la possibilità di essere finalmente sottoposto ad un processo giusto. In qualunque caso, comunque, nessuno dovrebbe essere condannato a morte solo per aver espresso la propria opinione.

 

Fonte: https://www.amnesty.it/

 

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Last modified on Tuesday, 13 February 2024 09:04
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