L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Nel momento presente, con l’incombere di pericoli immensi (reali o fittizi che siano) sul futuro dell’umanità e dell’intero pianeta, il problema della pena di morte potrebbe facilmente apparire come qualcosa di oramai secondario, se non addirittura anacronistico.
E si finirebbe, così, per commettere un grosso errore. Perché, come affermava lucidamente Norberto Bobbio, le nostre effettive possibilità di riuscire a non precipitare in una catastrofe (o in una serie di catastrofi) senza precedenti dipendono essenzialmente da una singola elementare questione:
riusciremo o non riusciremo ad impedire che violenza continui a chiamare violenza, “in una catena senza fine”?
Ovvero, riusciremo o non riusciremo a spezzare la catena dell’odio, della vendetta e dell’ irrazionale volontà di (super)potenza che domina il corso della Storia?
In questa partita cruciale, la lotta per l’abolizione della pena di morte continua (dopo alcuni secoli di importantissime conquiste teoriche e pratiche) ad occupare un ruolo di grande rilievo nell’affermazione di una visione filosofica, civile e politica che consideri inviolabile la dignità della persona umana e che imponga al potere dello Stato limiti invalicabili.
Quale giudizio dare, allora, della situazione attuale?
La pena di morte è stata abolita in più della metà degli stati del mondo:
- 144 stati hanno abolito nella legge o nella pratica la pena di morte;
- 112 stati sono totalmente abolizionisti;
- 16 stati hanno eseguito condanne a morte.
Evitando di far riferimento a Cina, Corea del Nord e Vietnam, paesi in cui il numero (certamente ingentissimo) di esecuzioni è fatto oggetto di segreto di stato, il computo delle esecuzioni mondiali ammonterebbe a 1153, con un inquietante aumento del 30 % rispetto all’anno precedente (solo nel lontano 2015 si era raggiunta una cifra superiore).
Tale sconfortante notizia viene, comunque, almeno in parte bilanciata dal minimo storico raggiunto nel numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte: soltanto 16.
“Il profondo incremento delle esecuzioni - ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International - è stato dovuto soprattutto all’Iran, le cui autorità hanno mostrato un totale disprezzo per la vita umana con un aumento delle esecuzioni per reati di droga che, ancora una volta, ha messo in luce l’impatto discriminatorio della pena di morte sulle comunità più povere e marginalizzate dell’Iran”.
Questi i cinque stati che, nel 2023, hanno eseguito il maggior numero di condanne a morte:
Cina, Iran, Arabia Saudita, Somalia e Stati Uniti d’America.
L’Iran, da solo, ha fatto registrare il 74 % delle esecuzioni note; l’Arabia Saudita il 15 %.
Nel 2023, le autorità iraniane hanno massicciamente intensificato l’uso della pena di morte: almeno 853 casi, con un aumento del 48 % rispetto ai 576 del 2022.
Il 20 per cento delle esecuzioni si è abbattuto sulla minoranza etnica dei beluci, rappresentante soltanto il 5% dell’intera popolazione (vedi: Iran: attacchi brutali contro i manifestanti e i fedeli beluci - Amnesty International Italia - 23 ottobre 2023 ).
Da sottolineare la presenza di almeno cinque esecuzioni relative a persone minorenni al momento del reato.
Almeno 545 su 853 esecuzioni, inoltre, riguardano reati minori, come quelli relativi al traffico di droga: 56 % del totale, con un incremento dell’89 % rispetto al 2022.
E anche negli Stati Uniti d’America si è registrato un aumento rilevante:
24 esecuzioni rispetto alle 18 del 2022.
“Un piccolo gruppo di stati degli Usa - ha commentato, a questo proposito la Callamard - ha mostrato un tremendo attaccamento alla pena di morte e una cinica intenzione di investire risorse nell’uccidere esseri umani.
Il nuovo metodo di esecuzione tramite asfissia da azoto è stato vergognosamente applicato, senza essere testato, nei confronti di Kenneth Smith, solo 14 mesi dopo che era sopravvissuto a un tentativo particolarmente cruento di metterlo a morte”.
Altri passi indietro sono stati registrati nell’Africa subsahariana, dove sono aumentate sia le condanne a morte che le esecuzioni:
queste ultime sono più che triplicate, passando dalle 11 dell’anno precedente a 38 e le condanne a morte sono nettamente aumentate del 66 %:
da 298 nel 2022 a 494 nel 2023.
Nonostante i passi indietro, PERO’ …
Malgrado i passi indietro fatti registrare da pochi stati, non sono mancati progressi significativi:
oggi 112 stati sono completamente abolizionisti, su un totale di 144 stati che hanno abolito la pena di morte nelle leggi o nella prassi.
Inoltre, a differenza del 2022, non ci sono state esecuzioni in Bielorussia, Giappone, Myanmar e Sud Sudan e il Pakistan ha annullato la pena di morte per reati di droga.
Insomma, la partita è ancora apertissima e non sarà facile riuscire a spazzare via millenni di ottusità culturale e di atroce consuetudine etica e sociale alla crudeltà.
Ma una cosa, in tanta cosmica incertezza, è chiarissima:
se desideriamo davvero un sereno avvenire di pace per tutti noi, non potremo rinunciare ad affermare e a difendere quella che Albert Camus definisce (molto leopardianamente)
“l’unica solidarietà umana indiscutibile, la solidarietà contro la morte.”
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