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Lascerei protagonisti e fatti della Tempesta perfetta a quella riunione a porte chiuse nell'hotel esclusivo di Manhattan perché penso che quanto avvenne quella sera non fu che il prodromo delle decisioni che portarono al "sacrificio" di Lehman Brothers sull'altare della fine del principio del Too Big to Fail, un sacrificio che coinvolse pure altre entità del panorama finanziario a stelle e strisce, rinviando chi è interessato alla letture delle prime annate del "Diario della crisi", il mio blog di Google che godeva di un grande seguito alla luce del semplice fatto che prediceva, a volte con largo anticipo come nel caso di Lehman, quanto poi sarebbe più o meno puntualmente avvenuto (diariodellacrisi.blogspot.com).
Mi sembra, invece, utile tornare alla fase invero convulsa che intercorse tra le dimissioni alquanto "spintanee" di Antonio Fazio e la nomina di Mario Draghi quale Governatore della Banca d'Italia, ma, e forse soprattutto, sui padrini dichiarati e quelli soltanto e faticosamente intuibili di una nomina che, come in quel caso, non andava a premiare una luminosa carriera in quel di Via Nazionale.
Ovviamente l'indicazione del nome del prescelto era nelle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri, all'epoca Silvio Berlusconi (tralascio volutamente i passaggi istituzionali che rendono tale nomina effettiva perché del tutto ininfluenti), ma vi fu un altro personaggio politico, fortemente assiso in quel della Prima Repubblica che ebbe tre anni dopo a rendere nota sia l'influenza sulla decisione di Berlusconi che il forte pentimento per quel suo endorsment e, cioè il più volte ministro e due volte premier nonché Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga.
Questo personaggio, dichiaratamente interno alla struttura di Stay Behind, per sua stessa ammissione utilizzatore dei servigi di Licio Gelli anche se per una causa meritoria quale quella del rintracciamento di desaperecidos di origine italiana in Argentina, grandissimo amico del Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Armando Corona, nella già citata intervista a Luca Giurato nella popolare trasmissione Uno mattina del 2008, si attribuì un ruolo determinante nella decisione salvo poi aggiungere che di poche sue azioni si era pentito come di quella, definendo Draghi "un vile opportunista" e sottolineando i suoi legami con "i suoi amichetti" di Goldman Sachs, nonché gettando palate di fango sulla sua opera nel settore delle privatizzazioni avvenute nel corso degli anni Novanta e ventilando che avrebbe potuto toccare anche le aziende di un settore al quale il Presidente Emerito era particolarmente affezionato che sono quelle del settore della Difesa e dintorni.
La quasi contestualità dell'intervento a gamba tesa di Cossiga, come altre iniziative verbali o meno, viene ascritta dai più ad aspetti caratteriali al limite del patologico con il forte impegno di Draghi nel fronteggiare gli alti marosi della Tempesta Perfetta, tesi che poco condivido anche perché vengo da una terra dove si dice che Pulecenella pazziando pazziando ricette a verità, ma credo invece che i suoi espliciti riferimenti agli incontri sul panfilo Britannia (gentilmente prestato dalla casa regnante britannica) fossero tutt'altro che casuali e lasciassero intendere che i veri padrini della nomina di Mario Draghi al vertice di Bankitalia fossero gli stessi con i quali aveva, efficientemente aggiungo io, per privatizzare banche, industrie dei settori più disparati e non mi soffermo sull'elenco sterminato di aziende di ogni ordine e grado efficacemente riportato nel breve saggio della ricercatrice che ho avuto modo di citare in una delle puntate precedenti.
Pur essendo certo che non si arriva a vendere "roba" per qualcosa meno di 200 mila miliardi delle vecchie lire non essendo riconosciuto come valido e affidabile interlocutore dalle grandi e grandissime banche d'affari è, tuttavia, altrettanto certo che quello di Draghi fosse un nome, come si diceva ai tempi del Sessantotto, conosciuto al potere e pressoché sconosciuto alle "masse".
Non dimenticherò mai quello che ebbe a dirmi il mio capo all'ufficio studi della BNL, l'ex direttore del Sole 24 Ore e vicedirettore del Corriere della Sera ai tempi di Di Bella, Alberto Mucci, a proposito di quel Carlo De Benedetti che era allora un mio idolo, quasi come poi lo sarebbe divenuto Warren Buffett, definendolo spietato e senza scrupoli, pur avendo il suo numero personale diretto in un'agenda nella quale erano presenti tutte le persone che allora contavano nel panorama economico italiano.
E' peraltro evidente che l'idea che la gigantesca finanza globale fosse un gigante con i piedi di argilla non era, in quella fine di dicembre del 2005, nota soltanto in Goldman Sachs, era presente all'attenzione del Gotha della finanza mondiale, così a quell'antagonista storico di Berlusconi e al suo braccio operativo in politica, intendo Carlo De Benedetti e Romano Prodi, il che induce a ritenere che la nomina di Draghi avesse l'avallo sia del Governo che dell'opposizione, con i rispettivi punti di riferimento nella finanza nazionale e internazionale.
Del sollievo dei colleghi Governatori delle banche centrali al di là e al di qua sia dell'Oceano Atlantico che di quello Pacifico ho già avuto modo di parlare, un sollievo che si è presto tradotto nella decisione pressoché unanime dei suoi nuovi colleghi di investirlo della presidenza del comitato (questo comitato cambierà denominazione nel corso della crisi finanziaria ma avrà sempre alla presidenza Mario Draghi) e, risolte in breve tempo le beghe legate alla ristrutturazione di Bankitalia, Draghi si dedicherà a questo gravoso compito in modalità full immersion.
Come sta facendo in questi mesi (per la precisione dell'autunno del 2023), Warren Buffet e come lui molti altri grandi investitori stanno facendo esattamente quanto fecero nei mesi precedenti l'avvio della Tempesta Perfetta, e cioè stanno trasformando i loro investimenti azionari in liquidità, per lo più investita in titoli a brevissimo termine, così come ora ed allora le grandi Investment Bank e le banche più o meno globali stanno invertendo le loro posizioni, lasciando i piccoli investitori in balia della scarsa attitudine ad adottare efficaci sistemi di take profit e di disinvestimento in presenza di predeterminati livelli di perdita.
Respingendo la tentazione di fare un salto nel presente discutendo del voluminoso rapporto di Mario Draghi sulla competitività dell'Unione Europea rispetto al gigante statunitense e a quello (alquanto ammaccato in verità) cinese, cercherò di concentrarmi nella prossima puntata sulla crisi del debito che vedrà la definitiva consacrazione di Draghi sia come candidato pressoché indiscusso alla presidenza della Banca Centrale Europea sia come risolutore della più grave crisi che l'area dell'euro (ma non solo) ha dovuto affrontare nella sua relativamente breve vita.
(segue)