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Un cronista di nera, un eccelso scrittore di libri noir; si è occupato di casi clamorosi, storie di violenza, di terrorismo, di sequestri e omicidi. Per la sua grande esperienza lavorativa di inviato speciale, si può definire un valido conoscitore di ogni riflesso malvagio dell'uomo Ha lavorato occupandosi di cronaca nera per dieci anni su il Paese Sera e dal 1985 per il quotidiano Repubblica.
Ciao Massimo, grazie mille per la tua disponibilità e gentilezza nel concedermi questa intervista
R-Innanzitutto grazie a te per l’attenzione e le belle parole che merito solo in parte.
D- Sei stato per una vita quello che si definisce "giornalista di strada" e per fare questo oltre ad essere scaltri, intuitivi, preparati si è anche consci di attirare rivalse da un certo tipo di delinquenza; a te, è mai capitato? Vuoi parlarcene?
R_ Ho iniziato a lavorare a Paese Sera a 19 anni, nel 1975 con tutta l’incoscienza dell’età e del periodo e mai ho rifiutato di firmare un pezzo. Anni di malavita all’arrembaggio e di terrorismo, anni di spari, sirene, esplosioni. La mala ci impensieriva poco, i criminali romani difficilmente se la prendevano coi cronisti: capitava addirittura che chiamassero o venissero in redazione per correggere un articolo ma non andavano oltre il mugugno. Personalmente ho avuto problemi solo con alcuni ladri di gasolio che me l’avevano giurata ma, allora, la polizia aveva metodi più spicci e meno garantisti: zittiti subito. Con i terroristi o i militanti di estrema destra era un’altra storia: una scheda informativa a mio nome fui trovata in un covo delle BR, rifiutai la scorta ma mi toccò cambiare domicilio per un mesetto e farmi ospitare da un amico. (dopo quella forzata convivenza non era più tanto amico). Lasciami aggiungere che considero le presunte minacce di oggi, ai giornalisti romani, poco più che fake news.
D- Avevi appena 19 anni quando come praticante sei andato nel luogo dove fu ucciso Pasolini
R- Il 2 novembre 1975 era domenica. Dovevo andare a fare un noiosissimo servizio in un Roma club, io che di calcio non ho mai capito un accidente e quando seppi della notizia mi precipitai all’Idroscalo. Un ambaradam pazzesco. Incontrai la corrispondente di Ostia quasi in lacrime: aveva saputo in anticipo che la vittima era PPP (il cadavere, per una volta, era coperto da un lenzuolo cosa che allora non usava) ma nessuno le aveva dato retta e il giornale aveva perso l’occasione di mandare in edicola un’edizione straordinaria che avrebbe venduto qualcosa come 500 mila copie (le cifre, allora, erano quelle). In seguito cercai di seguire le indagini ma ovviamente ero troppo novellino e mi venivano affidati solo pezzi di colore. Da quell’esperienza è nato il mio romanzo “Il giallo Pasolini”.
D- Quale caso di cronaca ti ha sensibilizzato maggiormente come uomo? come riesci o sei riuscito ad assorbire il dolore, l'infamia, la violenza e il male in genere che hai trovato nella tua strada di cronista?
R-Il caso che mi ha più coinvolto emotivamente risale al 24 agosto 1990: l’omicidio di Cristina Capoccitti, 6 anni, brutalizzata e uccisa dallo zio Michele Perruzza a Balsorano, in Abruzzo. L’assassino morì all’ergastolo ma poco dopo l’arresto si scatenò una bagarre coi cronisti locali che puntavano sulla colpevolezza del cugino di soli 14 anni. Sta di fatto che quella povera bambina mi è rimasta del cuore, l’ho sognata la notte, ho pregato per lei e i suoi genitori e, molti anni dopo, ho scritto ai familiari e sono andato a trovarli per esprimere dolore e vicinanza. E’ stata una delle pochissime volte in cui non ho indossato quella corazza emotiva che qualunque nerista, qualunque poliziotto, avvocato o magistrato deve mettersi addosso per non soccombere all’eccesso di emozioni e di compassione.
D- Sei un bravissimo scrittore dalle tantissime qualità, intuitivo, mai banale, mai ripetitivo. Ogni finale non è mai quella che ti aspetti. Ogni tuo libro è una storia di male con i mille riflessi che ne scaturiscono. Quanto di Lugli c'è nelle tue storie? Il cronista Marco Corvino, geniale, intuitivo e perspicace è il tuo alter ego?
R- Gustave Flaubert ha scritto “Madame Bovary sono io”. Si parva licet, credo che ogni scrittore metta qualcosa di suo nei personaggi che inventa. Io, forse, più di altri. Con Marco Corvino ho raccontato la mia vita, il mio lavoro, i miei amori, le mie passioni come le armi da fuoco, il cinema, la letteratura e le arti marziali. Ho voluto ripercorrere il percorso di un ragazzo di buona famiglia che intraprende un percorso assolutamente diverso rispetto a quello cui sembrava destinato e, a volte, mi sono tolto qualche sassolino dalle scarpe mettendo in ridicolo alcuni colleghi che mi stavano sul gozzo. In redazione, coi miei romanzi, mi sono procurato parecchi amici, diversi nemici e spesso…tanta invidia. Molti giornalisti sono scrittori mancati.
D- E' uscito da poco "La ragazza del Vaticano" scritto insieme a Antonio Del Greco per la Newton Compton Editori. Ovviamente si parla di Emanuela Orlandi; che idea ti sei fatto di quel tragico fatto? vuoi dircelo sinteticamente?
R-La scomparsa di Emanuela Orlandi è stato e resta uno dei misteri più insondabili dell’ultimo mezzo secolo, una storia su cui sono stati scritti, detti e filmati oceani di scemenze. Io e il mio coautore e carissimo amico Antonio Del Greco non sappiamo il “CHI” ma pensiamo di sapere il “COME”: una vicenda, essenzialmente, semplice nella sua tragicità: un sequestro predatorio a scopi sessuali da cui la povera ragazza non è uscita viva e su cui, in seguito, si è imbastito un infernale meccanismo di depistaggi sia in cattiva che in buona fede. Basta pensare alle ultime, sconcertanti, esternazioni di Pietro Orlandi, il fratello, sicuramente mal consigliato e mal indirizzato. Dubito che la Verità verrà mai alla luce, nonostante le nuove inchieste e una futura commissione parlamentare d’inchiesta. La Verità ormai è sottoterra.
D- Sei spesso invitato a trasmissioni dove tengono molto al tuo giudizio proprio perché il tuo acume, la tua esperienza e sagacità possono essere di supporto a indagini investigative. Da qualche tempo usi anche facebook come mezzo di comunicazione che ti vede opinionista di alcuni casi. Quanto credi nell'utilità dei social?
R-I social sono una realtà che non si può ignorare, soprattutto se sei nel mondo della comunicazione. Televisione idem, visto che ormai la carta stampata si rivolge a un pubblico di nicchia. Io uso solo Facebook più consona alla mia età e agli argomenti che tratto, ho quasi 12.400 followers e il dialogo, il confronto, volte le critiche sono estremamente stimolanti. E, ebbene sì, è un buon modo per pubblicizzare i miei romanzi anche perché la Newton Compton, per cui ho pubblicato 25 libri, non fa pubblicità a pagamento.
D- Non solo giornalista, scrittore e opinionista ma anche grande appassionato di Arti Marziali che pratichi da oltre 30 anni.
Come ti sei avvicinato a questo tipo di pratica? Vi è stato inizialmente un motivo scaturente?
R-Le arti marziali sono una componente fondamentale della mia piccola vita, se non avessi fatto il giornalista e lo scrittore quasi sicuramente sarei diventato insegnante. In realtà lo sono, di Taikikung, con tanto di diploma del Maestro Ming Wong C.Y., ma non ho tempo per gli allievi e mi limito a praticare ogni giorno, sa solo o in gruppo. Ho iniziato a 9 anni, quando mia mamma mi iscrisse a una palestra di Judo visto che nel nuoto ero negato. Fare sport era tassativo in famiglia. Sul tatami divenni un campioncino, ricevetti offerte da club prestigiosi ma purtroppo abbandonai per un nuovo amore: l’equitazione. A 15 anni mi iscrissi a un corso di Tae Kwon Do e da allora ho cambiato disciplina ma non mi sono mai fermato: Karate, Wing Tsun, Taikikung e perfino qualche stage di daga, bastone, mazza e ascia. Passo ore a guardare video delle discipline più assurde, dal Letwey alla lotta con bastone irlandese. Sì, lo ammetto, sono un tantino fissato ma la pratica corpo-mente è qualcosa che mi aiuta a vivere.
D- E' vero che come sfogo personale, riflessivo- emotivo, a volte scrivi poesie? Pensi sia terapeutica la scrittura?
R- Ho scritto poesie d’amore (sempre con amori infelici, sennò che gusto c’è?) ma soprattutto tanti sonetti in romanesco ispirati a fatti di cronaca che hanno fatto scompisciare dalle risate i colleghi. Quasi tutti politicamente scorretti. Quando ho salutato i colleghi per andare in pensione, al posto della solita lettera strappalacrime di commiato, ne ho inviato uno, agrodolce, all’intera redazione, Direttore compreso e, che, in seguito, è stato pubblicato sul sito della Stampa Romana. Un giorno li tirerò fuori, quelli che non ho perso, e li autopubblicherò con uno pseudonimo, forse lo stesso che usavo, rarissime volte, a Paese Sera quando firmavo troppi pezzi in un solo giorno: Max July. O magari….Marco Corvino?
D- Ultimamente hai esternato pubblicamente di avere avuto una denunzia da Angelo Izzo il criminale del Circeo. Una cosa incredibile se si pensa da quale pulpito venga espressa tale accusa. Come hai risposto a tale notifica?
R- La storia di Angelo Izzo è quasi grottesca. Mi ha querelato anche se un ergastolano potrebbe farlo solo con un tutore giudiziario, che non aveva, per aver detto in tv le stesse cose che lui stesso afferma nel suo libro-intervista “Io sono l’Uomo Nero”. Mi ha chiesto, udite, udite, 150 mila euro di risarcimento. Sono sicuro di vincere la causa ma intanto ho già sborsato quasi 5 mila euro di avvocato che nessuno mai mi rimborserà. Pazzesco.
D-Se tu potessi tornare indietro nel tempo, rifaresti tutto il tuo percorso? cambieresti qualcosa?
R- L’unica cosa che cambierei della mia vita è il fatto di non avere avuto figli ma non è dipeso da me. Purtroppo con la mia ex moglie non sono venuti. La paternità mi avrebbe reso sicuramente un’altra persona, una persona migliore ma, con spirito taoista, ho accettato questa privazione che, secondo me, mi rende un uomo incompleto. Parere assolutamente personale, massimo rispetto per chi decide di non riprodursi, scelte sue. Per me, il dramma di una vita.
D- Quanto è cambiato il giornalismo dai tuoi inizi a quello di adesso?
R- Il giornalismo di 50 anni fa era soprattutto scrittura. Oggi è al 90 per cento immagine. Ovviamente dai tempi delle macchine da scrivere e delle linotype è passata un’era geologica ma alcune cose restano le stesse: la curiosità, lo voglia di stare sul pezzo e le tre parole magiche del mestiere. VAI SUL POSTO.
Nel ringraziarti del tuo tempo, della tua gentilezza e cordialità, ti lascio sotto uno spazio per qualsiasi cosa tu voglia dire al tuo pubblico di lettori. E' stato un piacere. Grazie Massimo!
A chi legge i miei romanzi vorrei dire due cose. La prima è grazie di cuore. La seconda, fatevi sentire: critiche, incoraggiamenti, insulti, richieste di rimborso perché il libro fa schifo (scherzo, la fregatura ve la tenete). La mia pagina Facebook è aperta a tutti, senza bisogno di chiedere l’amicizia e sta lì per questo. Vi aspetto.