
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Francesco Pisani è un giovane scrittore dai molteplici interessi culturali. In maniera liberamente eclettica, si diverte a spaziare dalla letteratura al cinema, dalla musica (Mozart in particolare) alla filosofia, dalla storia delle religioni al grande pensiero teosofico.
I suoi racconti, pubblicati in alcune raccolte, sono impregnati di amore appassionato verso il Bello e verso il Buono, e mirano, in maniera delicatamente poetica, ad attirare l’attenzione del lettore verso il mondo, troppo spesso ignorato o dimenticato, di chi vive lontano dalle luci della ribalta, spesso isolato ed emarginato, a volte travolto e schiacciato da un sistema socio-economico cinico e disumanizzante. E il suo intento è caparbiamente quello, generosamente benefico, di far emergere in superficie vite nascoste nell’ombra, invitandoci alla scoperta di tabernacoli di umanità preziosa anche laddove potrebbe sembrare esserci soltanto il mero dominio della quotidiana lotta per la sopravvivenza.
Qui di seguito, riportiamo la gradevole conversazione nata con il bravo e promettente scrittore.
E’ evidente che la spinta principale a scrivere ti provenga dal desiderio di invitare tutti noi ad aprire gli occhi su tante situazioni esistenziali imbevute di sofferenza e iniquità.
Non temi, però, che tale tua scelta possa risultare fastidiosa e troppo “disturbante”, nonché venire accusata di eccessivo “buonismo”?
La tua domanda mi fa pensare a quando autori immensi del nostro patrimonio nazionale in campo cinematografico, quali Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, venivano aspramente criticati perché
scelsero di mostrare le miserie della società italiana all'indomani del dopoguerra, che evidentemente una certa borghesia conservatrice non voleva che si mostrassero. Trovo che sia molto più "disturbante l'indifferenza e il cinismo di cui siamo sempre più assuefatti: d'altronde "il dolore degli altri è sempre dolore a metà", come cantava Fabrizio de Andrè.
In realtà il mio modesto tentativo è stato quello di seguire una linea che la Letteratura (e l'arte in generale) ha da sempre intrapreso, almeno a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, ossia quello di cercare di raccontare la realtà sociale del proprio tempo. Penso a Giovanni Verga in Italia, autore essenziale nella nostra letteratura, ma troppo spesso dimenticato; o ad Emile Zola in Francia, con la sue magistrali narrazioni della realtà operaia della Parigi di fine secolo, ma anche ad autori come Charles Dickens: tra i primi a dare voce ai bambini, agli orfani, ai poveri, alle persone più umili, nella sfavillante realtà dell'Inghilterra vittoriana.
Credo che tra i compiti più importanti della Letteratura ci sia anche quello di dare voce a chi voce, letteralmente, non ce l'ha o non l'ha mai avuta. L'arte non è solo evasione, intrattenimento o divertissement, ma anche fonte potenziale di crescita interiore e civile.
Non vi è nessuna mitizzazione di un tempo oramai tramontato, anche perché non è che quel mondo fosse idilliaco e perfetto, nonostante sia innegabile che determinate realtà contengano anche una certa poesia nel modo di vivere, di impostare la vita e nel rapportarsi con il mondo, che noi forse abbiamo perso o stiamo perdendo. Penso al film "L'albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi. Confesso di amare molto il Cinema.
La povertà era una condizione comune del ceto popolare europeo, fino a mezzo secolo fa, ma per povertà intendo quello che intendeva Goffredo Parise quando scrisse "Il rimedio è la povertà", ossia il sapersi accontentare dell'essenziale rifuggendo il superfluo.
Oggi esiste la miseria, che credo sia di gran lunga peggiore rispetto alla povertà, dove continuiamo a sviluppare nuove tecnologie, prodotti usa e getta, dove si parla sempre più di competizione piuttosto che di collaborazione, dove, nello stesso tempo, le disuguaglianze tra ricchi e poveri tendono sempre più ad aumentare, e siamo sempre più infelici.
Forse dovremmo ripartire proprio da quello che scriveva Parise cinquant'anni fa, nel 1974: il tornare ad una povertà che ci apra gli occhi al valore dell'essere e non dell'apparire, e che ci aiuti a scendere dal piedistallo e a riscoprire che non è essere al di sopra degli altri a renderci migliori.
In che senso la morte non si curerebbe di loro? Forse perché sono già dei non-viventi?
Roberto Bazlen ha scritto una frase che mi ha sempre molto colpito: "un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti e alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi".
Nella sua cripticità trovo che contenga una profonda verità, che si può ricollegare alla tua domanda. Credo che nel tempo presente il consumismo e l'uso esasperato della tecnologia stiano portando molte persone a vivere una esistenza sempre più automatica, impersonale, "inautentica", per citare Heidegger, un po' come se fossero già morte, almeno nell'anima.
Lo scenario attuale non è dei più rosei: basterebbe semplicemente accendere un notiziario per rendersene conto, ma trovo altresì fondamentale mantenere una certa speranza nei riguardi del futuro e del potenziale umano insito in ciascuno di noi.
Credo che, per ognuno, una possibile soluzione consista nel selezionare e seguire i valori migliori che la vita può offrirci. Imparare a scartare il superfluo, rifiutando la moneta falsa, gli innumerevoli vitelli d'oro che ci vengono quotidianamente offerti. Mantenere acceso lo stupore per la vita e piantare semi di bellezza che, con il tempo, potranno anche germogliare e produrre le mele delle Esperidi.
Potremmo dire che tutti questi personaggi hanno un loro minimo comun denominatore, quello di non voler rinunciare - come afferma una di loro - “a pensare a un mondo migliore, a un futuro dove non ci sia solo paura, incertezza e lotta per la sopravvivenza”?
Nel mio libro precedente "Il poeta dei quartieri popolari", avevo voluto descrivere le condizioni di quelli che vengono considerati gli "outsiders" per eccellenza, ossia i migranti, troppo spesso strumentalizzati, denigrati o ghettizzati dai diversi schieramenti politici. Nel mio libro ho tentato di dare voce a tutte quelle figure di cui quotidianamente si sente parlare nei notiziari, che incontriamo per strada, ma di cui ignoriamo il nome o la storia. In "Piccoli grandi eroi" ho provato a raccontare storie in cui ciascuno di noi, a modo suo, potesse riconoscersi, soprattutto personaggi accomunati da una componente etica e nella volontà di migliorare il mondo, ognuno con le proprie capacità.
Nella Bhagavad Gita è scritto:
<< La preghiera, a chiunque sia diretta, giunge a me >>.
Credo che in un atto così intimo e personale, quale la preghiera, non abbia davvero importanza l'uso dei nomi o le parole che vengono usate. Il pensiero del credente può essere rivolto a Gesù, a Brahma o a Buddha. Penso che l'aspetto più importante consista nella purezza dell'invocazione e nell'intensità, e trovo che sia davvero importante sottolineare l'elemento universale della spiritualità in un mondo ancora
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Ftancesco Pisani |
così tanto dilaniato dai conflitti etnici e religiosi.
E’ forse proprio questo il messaggio principale che intendevi offrirci?
E' un messaggio di speranza, ma anche di grande responsabilità. Ciascuno di noi può scegliere se contribuire a proteggere e migliorare il mondo che ci ospita, oppure decidere se continuare a distruggerlo attraverso l'indifferenza, l'odio e l'egoismo. Credo che il destino nostro e del mondo sia affidato alle nostre mani, o meglio ancora, alla nostra coscienza, anche perché, come scrisse Publilio Siro:
<< C'è ancora speranza di salvezza quando la coscienza rimprovera l'uomo >>.
Indubbiamente la visione teosofica dell'unità della vita e il concetto essenziale della Fratellanza universale senza distinzione di sesso, razza, casta e colore, esprimono un profondo insegnamento che ci ricorda che ogni essere umano ha uno scopo nella vita, una propria coscienza, un percorso da affrontare, che porterà però un giorno a ritrovarci nella destinazione comune verso cui siamo tutti diretti.
<< Lunga è la strada che conduce ai piedi dell'Uno >>, come ha scritto Kipling in Kim << ma quivi porta il viaggio di noi tutti >>.
Mi piace citare il racconto dell'astronauta Edgar D. Mitchell, pilota della missione spazio dell'Apollo 14, il quale disse che il nostro pianeta, dalla luna, gli appariva bianco e azzurro come un'astronave che viaggiava negli spazi del cielo. In una conferenza che fece dopo il suo ritorno sulla terra, affermò:
<< La popolazione del nostro pianeta è come l'equipaggio di una astronave che deve lavorare in armonia per far tesoro delle proprie risorse e operare in collaborazione se vuole che questa nave spaziale possa sopravvivere >>.
NOTE
*FRANCESCO PISANI
IL POETA DEI QUARTIERI POPOLARI,
NeP EDIZIONI, 2021
**FRANCESCO PISANI
PICCOLI GRANDI EROI
ASS. TERRE SOMMERSE, 2024
NOTA BIOGRAFICA:
Francesco Pisani, nato a Roma nel 1991, è uno scrittore, studioso, traduttore e fotografo italiano.
Svolge la professione di Amministratore Condominiale.
Da sempre appassionato di storia, letteratura e filosofia, ha studiato Scienze della Comunicazione presso l'università di Roma Tor Vergata.
Collabora stabilmente con la rivista di architettura "Abitare la Terra" fondata da Paolo Portoghesi.
Tra le sue pubblicazioni: Masàn l'importanza dello stupore (Il formichiere, 2016), La caduta (ilmiolibro, 2018), Resterà solo cenere (Youcanprint, 2020), Il poeta dei quartieri popolari (Nep Edizioni, 2021: Vincitore della X edizione del Premio nazionale di letteratura contemporanea, come migliore raccolta di racconti, assegnato nel 2022 in Campidoglio a Roma; Menzione speciale della giuria nella sezione narrativa breve della X Edizione del Premio Letterario Nazionale Teatro Aurelio per il racconto "Il Fornaio"), Piccoli grandi eroi (Terresommerse, 2024).
Le sue opere hanno avuto le prefazioni di Paolo Portoghesi, Sergio Caldarella, Giovanni Fontana, Roberto Antoniello.