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Erba magica per eccellenza, la mandragora ha assunto nel corso della storia un ruolo fondamentale nell'aspetto magico- rituale connesso al mondo vegetale.
Appartenente alla famiglia delle solanacee (la stessa famiglia dei peperoni, melanzane, patate e tabacco), la mandragora si caratterizza per la presenza di alcaloidi (atropina, iosciamina, mandragorina, joscina, piridina, scopoletina, pseudoiosciamina etc..) che ne rendono pericoloso l'uso indiscriminato. Si distinguono 6 specie di mandragore, tra le più note ricordiamo la mandragora autumnalis che fiorisce, appunto, in autunno con grandi corolle color violetto, il frutto è giallo ed ha un odore fetido, e la mandragora officinarum che fiorisce in marzo- aprile, ha fiori a corolla bianca tendenti al verde e al giallo e frutti arancioni. Dal punto di vista farmacologico le mandragore hanno potere soporifero, dato dall'inibizione del sistema neuro-vegetativo che agisce in modo preponderante sul sistema pneumogastrico. Superando le dosi sperimentate attacca la corteccia cerebrale con conseguenze tossiche ( nausea, vomito, tachicardia, respirazione difficoltosa, allucinazioni e deliri...).
L'etimologia del nome apre un ventaglio di significati: il greco la riconduce alla stalla, perché accanto ad esse era rinvenuta, nella lingua persiana assume il significato di “erba dell'uomo” (la radice ha forma antropomorfa), ma anche di “quella che espelle”, che caccia i demoni, di “erba dell'amore” e di pianta “dissotterrata dal cane”; nella radice sanscrita troviamo il connubio di “sonno” e “materia”, sostanza che induce il sogno, ma anche “pianta inebriante”; in arabo è la “lampada del diavolo” poiché dopo un temporale le mandragore tunisine diventavano bluastre, (sfumatura cromatica data da un alcaloide); il tedesco ci riporta al significato di “segreto”, “formula magica”, legata al verbo “mormorare”; in fiammingo è “l'orina del ladro”. Il latino la riconduce alla pazzia, “rende folli e dà sonno profondo e cresce nelle ombrose caverne della terra” afferma Dioscoride Longobardo.
Già nell'excursus etimologico è possibile rinvenire le caratteristiche magiche che la pianta ha assunto nelle epoche: amuleto protettivo, pianta afrodisiaca, pianta ipnotica, pianta maledetta, pianta sacra, pianta che cresce nella terra degli impiccati.
Vita e morte, santità e maledizione sembrano ritrovarsi in un'unica entità vegetale, una coincidentiae oppositorum che compare già nei dipinti egizi, e trova menzione anche nell'Antico testamento (nella storia di Giacobbe il solo tocco della pianta rende fertile Lia).
Per Ildegarda di Bingen la pianta è connessa al demonio perché nata dalla terra con la quale è stato creato Adamo.
La raccolta della mandragora era uno dei compiti del rizotomo (raccoglitore di radici), il quale, secondo più autori latini doveva adempiere a rituali ben precisi: dopo aver effettuato lo scavo nel terreno e dopo aver tracciato cerchi magici, legava la radice a un cane nero (animale psicopompo) molto affamato che, attirato da un pezzo di carne, l'avrebbe tirata fuori dal terreno e si sarebbe immolato alla fine del rito.
Utilizzata nella farmacopea per le sue qualità anestetizzanti, era uno degli ingredienti della spongia sonnifera, una spugna che veniva data da inalare a chi doveva subire un intervento chirurgico.
Arnaldo Villanova la cita a proposito della “mela sonnifera” realizzata con la scorza della mandragora, il succo e le foglie del papavero e la farina d'orzo da mettere sotto il naso del paziente.
In dose precisa, aggiunta al vino, aiutava a vincere la malinconia e il suicidio, ma se le dosi erano aumentate si aveva l'impressione di trasformarsi in animale o pianta.
Una sensazione, quella della trasformazione, che richiama i processi contro le streghe, le quali, spalmandosi di un unguento magico composto di piante alcaloidee, avevano la sensazione di trasformarsi in animali e di compiere voli magici verso il Sabba. Tra le accuse contro Giovanna d'Arco c'era quella di portare nel seno una radice di mandragora.
Mandragoritis è uno degli appellativi di Afrodite, dea dell'amore. L'aspetto eccitante è menzionato da Dioscoride, mentre Ippocrate la suggeriva per le irrigazioni vaginali dei pessari imbevuti di succo di mandragora, cetriolo e latte di donna.
Santa Ildegarda, al contrario, consigliava la pianta nella cura della satirasi maschile e della ninfomania femminile.
Il libro di Massimo Lizzi, arricchito da interessanti immagini di erbari antichi e dipinti, è un testo unico, appassionato e ben documentato.
Massimo Izzi
La radice dell'uomo: alla ricerca della mandragora
Venexia 2016