L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
I valori educativi dello sport sono fondamentali perchè offrono un contributo decisivo all’educazione e alla formazione dei giovani. Per questa ragione Educazione e Sport sono ormai un binomio indissolubile. In un momento dove nella nostra società si ravvisa una fase particolarmente delicata del mondo giovanile, il movimento aggregativo sportivo è sempre più un’ancora di salvezza per molti adolescenti. Si può affermare con assoluta certezza, che lo sport rappresenta la terza agenzia educativa dopo la famiglia e la scuola. Tra le tante persone che hanno fatto della loro attività sportiva uno stile di vita, c’è l’ex arbitro Claudio Gavillucci di Latina. Nel 2018 durante una partita del campionato di Serie A, sospese Sampdoria-Napoli per i cori contro il calciatore di colore del Napoli Koulibaly. Applicò il regolamento ma incredibilmente si ritrovò estromesso dalla classe arbitrale in Italia. Lo abbiamo incontrato per conoscerlo da vicino, dopo anni come protagonista di quell’episodio che lo fece salire agli apici della cronaca.
Claudio Gravillucci |
Claudio Gavillucci, buongiorno, come avvenne il tuo approccio allo Sport?
Come succede spesso nel mondo arbitrale, iniziai a fare il calciatore e tra le mie caratteristiche più evidenti c’erano quelle del temperamento, rispetto a quelle atletico tattiche. Per questa ragione mio zio che a quei tempi faceva l’allenatore, mi consigliò di fare il corso d’arbitro perché secondo lui avrei potuto fare una bella carriera. Dello stesso parere si dimostrò Carlo Bersanetti allora Presidente della Sezione Arbitri di Latina e attuale Consigliere Regionale della FGCI che mi incoraggiò a proseguire dopo avermi visionato ad arbitrare alla Macir Cisterna. Posso dire che in campo mi sono sempre impegnato e ho sempre dato il massimo, ma non pensavo un giorno di poter arrivare ai massimi livelli. Iniziai a crederci quando passai più tardi alla massima categoria nazionale e al termine delle gare, riscontravo tutte valutazioni positive nei mie confronti, così iniziai a prendere la cosa più seriamente. Nell’arbitraggio cercavo di metterci il massimo della professionalità e se sbagliavo, ero il primo ad essere dispiaciuto ed ero pronto a chiedere scusa alle squadre, naturalmente negli spogliatoi. Oggi posso dire che essere riuscito a calcare i campi di San Siro e di altri grandi stadi italiani, è stata per me una grande soddisfazione.
Qual’è l’aspetto caratteriale più importante che deve avere un arbitro?
A mio parere un buon arbitro è quello che riesce ad intervenire nelle decisioni arbitrali in modo autorevole e non autoritario per far rispettare le regole del gioco. A utilizzare il fischio e sovente i cartellini sono capaci tutti, ma l’arbitro che fischia poco, estrae pochi cartellini e termina la gara senza alcun tipo di polemica, credo che alla fine sia l’arbitro migliore.
Ci sono differenze nell’arbitraggio tra le carie categorie?
Le regole e l’approccio dell’arbitro alla partita sono chiaramente le stesse, quello che cambia è l’ambiente e la qualità del gioco che nella massima categoria è più tecnico e veloce. Si arbitra in stadi più grandi, con tanti spettatori. In Serie A c’è una forte pressione mediatica e questa è probabilmente la cosa più difficile da gestire, perché quando si commette un errore a San Siro non è la stessa cosa che farlo ad es. sul campo di gioco del Santa Maria.
Vogliamo ripercorrere il momento di quella gara contro il Napoli che è stata decisiva per l’esito della tua carriera ad alto livello?
Quell’episodio è ormai di dominio pubblico. Al 35 del p.t. i cori di scherno dalla curva dei tifosi della Sampdoria continuavano insistenti nei confronti dei napoletani e di Koulibaly, così io come da regolamento, sospesi temporaneamente la partita, minacciando di concluderla definitivamente, se queste intemperanze non fossero terminate. Per fortuna dopo cinque minuti di interruzione i cori terminarono e così si riprese a giocare e riuscii a portare a termine la gara. Quel giorno si ripropose quello che da sempre è il grave e insoluto problema del calcio italiano: il razzismo. A quei tempi probabilmente non si era pronti per fronteggiare definitivamente questa piaga, pertanto sono stato considerato l’unico capro espiatorio. Eppure mi ero attenuto solo alle disposizioni Uefa e Fifa, ma la mia scelta fece scalpore, perché il fenomeno non venne percepito interamente nella sua gravità. In ogni caso quel precedente è servito, perché da quel momento l’arbitro in Italia non è più l’unico a prendersi carico della della sospensione della gara. Oggi tutto è demandato al responsabile della forza pubblica.
Purtroppo quell’episodio ti causò l’interruzione di una carriera importante. Dopo hai ripreso ad arbitrare, ma non è stato più in Italia vero?
A seguito di un viaggio in Inghilterra, ebbi modo di conoscere in palestra un arbitro di Premier League e dal momento che la passione non conosce confini, questi mi ha invitò a riprendere ad arbitrare. Seguii il suo consiglio, così ebbi modo di conoscere un altro modo di fare calcio proprio nel nord dell’Inghilterra dove nacque questo meraviglioso sport. Ho arbitrato la prima squadra fondata al mondo nel 1856 lo Sheffield Footboll club e di seguito tante altre squadre fondate successivamente nel 1860 e nel 1870. Posso dire che in quel campionato ci si ritrova immersi in uno spirito senza barriere, dove il rapporto con i tifosi è un rapporto carnale. Al 90’ finisce veramente la partita e non c’è alcun strascico finale.
Attualmente ti stai impegnando in altri settori specifici del mondo del calcio, ce ne puoi parlare?
Ho fondato questa Associazione “Referee Abroad”, insieme a un altro collega. Ci ritroviamo come arbitri in giro per il mondo a fare esperienze internazionali, cercando di diffondere quelli che sono i veri valori dello sport quali l’uguaglianza, l’inclusione, la pace e il rispetto per le regole.
Grazie e buona fortuna Claudio Gavillucci