L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Elena Sidoni

Elena Sidoni


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Come è difficile riconoscere l’antica Roma nelle rovine del Foro Romano, del Palatino, dei Fori Imperiali.

Come è difficile ricostruire con l’immaginazione i grandiosi edifici, seppure a partire dalle poderose e imponenti murature che ne restano.

Come è difficile capire che Roma antica non si limitava a questo cuore congelato nel tempo, ma vive sotto le trafficate strade di oggi, sotto le chiese e le case.

La Roma antica come la vediamo ora nel Foro, non è mai esistita, è una creazione degli scavi del XIX e del XX secolo.

Nel 1900 viene distrutta la chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro e riemerge la chiesa di Santa Maria Antiqua, identificata dall’archeologo Giacomo Boni. Oggi considerata raro tassello medievale nel cuore antico della città, in realtà, testimonianza della continuità della storia millenaria della capitale.

Con l’imperatore Costantino arrivano la libertà di culto per i cristiani e le prime basiliche, dislocate lungo le vie consolari o, comunque, lontano dal polo politico-religioso pagano. Tanto che il cristianesimo, una volta affermato, creerà la basilica di Santa Maria Maggiore che, insieme ad altre limitrofe, sarà d’appoggio alla basilica di San Giovanni in Laterano per la creazione di un nuovo e alternativo polo religioso.

Nel VI secolo la trasformazione di alcuni dei templi pagani del Foro in chiese, è, per il cristianesimo, un avvicinamento a quello che, in passato, era il centro politico e religioso della città. Per gli edifici pagani, ormai in disuso, è occasione di trasformazione, ma anche di restauro.

Costantino aveva spostato la capitale a oriente, ma la memoria di Roma è ancora viva: la chiesa di Santa Maria Antiqua è frutto e testimonianza di tutto questo.

L’imperatore Caligola nel I secolo d.C. espande la residenza imperale del Palatino nella valle del Foro, vicino al tempio di Castore e Polluce, alla Basilica Giulia e al tempio di Augusto. In seguito anche Domiziano utilizzò e mise mano a questi edifici. Alle spalle del tempio di Augusto c’era una biblioteca, identificata, da una parte degli studiosi, con le murature che delimitano l’atrio della chiesa. Nel presbiterio e nelle due cappelle laterali, sopravvivono lacerti di decorazione pittorica di età adrianea e tracce di quella in opus sectile, realizzata con marmi policromi intagliati.

Parte dei brani di affresco nella navata centrale e nel presbiterio risalgono al 649-653 quando papa Martino I commissiona la decorazione. Ma l’intervento più importante è quello di Giovanni VII, che, educato nell’ambiente dell’amministrazione bizantina stabilitasi al Palatino, trasferì il patriarchìo, sede papale, dal Laterano, nella ex residenza imperiale. Tra il 705 e il 707 fa realizzare le pitture nel presbiterio e nella cappella dei Santi Medici, testimonianza della lotta iconoclasta e della continuità d’uso. Infatti proprietà curative erano attribuite, in epoca pagana, alla fonte di Giuturna, vicina alla chiesa e, nella cappella, continuava la pratica dell’«incubatio». Il malato poteva dormire sul pavimento della nicchia dei Santi Medici, nella speranza di svegliarsi guarito, così come accadeva, in precedenza, nei santuari pagani. Non bisogna dimenticare che nei pressi della chiesa si trovava una diaconia, istituzione religiosa per la cura dei poveri, dei malati e dei pellegrini.

L’altra cappella è dedicata ai Santi Quirico e Giulitta dal donatore Teodoto, funzionario di papa Zaccaria 741-752, che spostò dalla corte bizantina, verso quella dei Franchi, gli interessi del papato.

L’ultimo intervento decorativo dell’abside, insieme ai cicli di Antico e Nuovo Testamento nelle navate laterali, risale a Paolo I e agli anni 757-767.

Nel 772-795 Adriano I fa realizzare il ciclo pittorico nell’atrio, ne è esposto un frammento staccato negli ambienti della rampa imperiale che, dal fianco della chiesa, giungeva al Palatino e che, in parte, è stata riaperta al pubblico qualche mese fa.

Nell’847 il terremoto distrugge la chiesa che viene abbandonata. L’icona della Vergine, insieme al titulus, vengono trasferiti alla chiesa di Santa Maria Nova, attuale chiesa di Santa Francesca Romana al Foro, dove, la più antica icona romana, tornerà dopo l’intervallo della mostra.

Nell’XI secolo nell’atrio di Santa Maria Antiqua, fu creata la chiesa dedicata a S. Antonio di cui sopravvivono brani pittorici nelle murature.

La comprensione della complessa storia di Santa Maria Antiqua e la ricostruzione delle decorazioni è efficacemente supportata da video e dal video mapping delle cappelle e della zona absidale. I sette strati della famosa parete palinsesto sono illuminati progressivamente distinguendo le fasi cronologiche (utile anche il sito della Soprintendenza).

Le opere selezionate per la mostra servono a contestualizzare l’edificio tra queste: all’ingresso le sculture raffiguranti Amalasunta figlia di Teodorico o l’imperatrice Ariadne; i brani di mosaico da Santa Maria in Cosmedin e da Orte, ma originariamente nel distrutto oratorio di Giovanni VII presso la basilica costantiniana di San Pietro.

Tra i sarcofagi stabilmente nella chiesa, va ricordato quello di Giona nella navata di sinistra.

Accompagna la mostra, curata dalla professoressa Maria Andaloro con Giulia Bordi e Giuseppe Morganti, un corposo catalogo edito dalla Electa.

All’esposizione si accede con il biglietto di ingresso al Foro Romano negli stessi orari di apertura

per informazioni consultare il sito .

Gli animali da compagnia sono protagonisti, nel bene e nel male, del nostro quotidiano. I più fortunati godono delle stesse attenzioni di cura e bellezza riservate, di solito, agli esseri umani. Attenzioni in vita e in morte, con l’allestimento di cimiteri dedicati.

È di moda far ritrarre il proprio cane o gatto. Ma in realtà non è una nuova tendenza, sopratutto nel mondo anglosassone, c’era e c’è la tradizione di far immortalare in dipinti di artisti, più o meno famosi, alcuni addirittura specializzati nel genere, il proprio cavallo o cane. Anche in altri paesi ed epoche gli animali sono stati ritratti. Del resto il fascino di queste creature, ha fatto sì, che trovassero posto nel Paradiso Terrestre e addirittura nel pantheon di religioni pagane, come divinità. Nei bestiari medievali, vizi e virtù umane, prendevano forme animali
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Fino al 31 marzo presso la filiale Vertecchi di via Pietro da Cortona a Roma, è allestita la mostra di Alice Fois. Sono soprattutto i cani, i protagonisti degli acrilici su tela, ma anche qualche gatto e una giraffa. Sono soprattutto le teste, frontali o di profilo, ad essere indagate con cura, per rendere nei particolari le espressioni, che, a loro volta, mostrano il carattere dell’animale. Lo sfondo è colorato, ma privo di particolari descrittivi, serve ad esaltare l’animale, su cui tutto è focalizzato. Solo uno dei ritratti in esposizione è polimaterico e presenta un collare decorato, in rilievo. Come le espressioni e le inquadrature sono “umane”, così il collare è come un gioiello, a ribadire la “nobiltà”, anche un po’ snob, del protagonista.

Gabriele Garagnani, associato Flip, appassionato di arte contemporanea, in occasione del temporaneo ritorno della Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli a Montefalco (PG), “debutta” con l’arte antica. Oltre all’articolo sulla mostra, ne ha realizzato un video. Protagonisti, naturalmente, Montefalco e i dipinti di Gozzoli, la pala raffigurante la Vergine e gli affreschi della chiesa di S. Francesco, sede del complesso museale.


Nel video, con la consueta maestria e disponibilità, il Professore Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, dove la pala è solitamente conservata, ne illustra le immagini. Intervento d’eccezione, sempre nello stesso video, quello del Sindaco di Montefalco, Donatella Tesei.
Il girato, prodotto con le più moderne tecnologie in alta definizione, è stato presentato ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori e autorità. Oltre al

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 Foto Egisto Catalani

Professor Paolucci e al Sindaco Tesei con il suo staff, erano presenti la restauratrice della pala del Gozzoli, dottoressa Adele Breda, la dottoressa Lucina Vattuone, responsabile dell’Ufficio Stampa dei Musei Vaticani, la direttrice del Museo di Montefalco Serena Marinelli con lo staff, il Direttore del Museo Diocesano di Terni, don Claudio Bosi e il Presidente della Free Lance International Press, Virgilio Violo.


Alla presentazione è seguito il brindisi con buffet di dolci, della squisita accoglienza si è occupata la Signora Gianna Garagnani insieme alle figlie Letizia e Maria Gabriella.

Dal 1529 i frati Cappuccini risiedono nel cuore di Roma, dopo alcuni spostamenti, nel Seicento, papa Urbano VIII Barberini, costruisce la chiesa dell’Immacolata Concezione e l’annesso convento nella zona del suo Palazzo. Il fratello cardinale, Antonio, appartiene all’ordine, che è uno dei tre della Famiglia Francescana.

I Francescani sono, da sempre, devoti all’Immacolata Concezione. Il dogma è stato proclamato da Pio IX nel 1854.

I Cappuccini devono il loro nome al cappuccio triangolare, parte del loro abito, che li distingue dalle altre famiglie. I fondatori fra Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone caratterizzarono il movimento secondo un rigoroso modello di penitenza, povertà, preghiera, servizio ai sofferenti e vita eremitica, ispirato dalla Regola di San Francesco. L’ordine fu riconosciuto nel 1528 da papa Clemente VII.

Dal 1631 il convento fu sede della Curia Generale, trasferita nel 1890, della Curia Provinciale, della famiglia religiosa provinciale, dell’infermeria, del lanificio, degli studenti di teologia e filosofia e, più tardi, anche della tipografia.

Nel 1925 il convento fu demolito per la costruzione del Ministero delle Corporazioni e l’apertura di via Veneto. Tra il 2009 e il 2012 è stato ristrutturato il complesso formato da chiesa, convento, museo e cripta.

Il Museo dei Frati Minori della Provincia Romana conserva la memoria della storia e dei religiosi che l’hanno caratterizzata. I primi dipinti raffigurano i santi dell’ordine vissuti tra XVI e XVIII secolo: San Felice da Cantalice (1515-1587); San Giuseppe da Leonessa (1556- 1612); San Crispino da Viterbo (1668-1750). Nel XVII secolo visse anche padre Michele da Bergamo, architetto che lavorò per Urbano VIII anche come “revisore dei conti”.

Attraverso manoscritti e volumi a stampa, suppellettili e paramenti liturgici, oggetti preziosi e più umili e quotidiani, di farmacia, l’immagine del Cristo sanguinante, si arriva ai Cappuccini del XX secolo: S. Pio da Pietrelcina (1887- 1968); il mediatico “cappuccino della Tv italiana” Padre Mariano da Torino e l’artista Padre Ugolino da Belluno a cui è dedicata la mostra Oltre il bello allestita in occasione del Giubileo della Misericordia e che si chiuderà nel novembre 2017.

Chiude il percorso la Cripta-ossario, dall’impressionante decorazione, memento mori, realizzato tra il 1732 e il 1775, impiegando le ossa di circa 3700 defunti.

Un’alta e moderna scalinata a forbice conduce alla chiesa, dalla caratteristica pianta cappuccina, ad aula unica con cinque cappelle laterali per lato, separate dalla navata per mezzo di cancellate lignee. Decorazione sobria con l’impiego di materiali umili, come il legno, ma ricca di numerosi e importanti dipinti, come il San Michele Arcangelo di Guido Reni e il Cristo deriso del fiammingo caravaggesco Gherardo delle Notti. Ma su tutte si impone lo stupendo cielo del San Francesco che riceve le stigmate del Domenichino. In prossimità dell’altare maggiore, il seicentesco monumento funebre del cardinale Antonio Barberini e il settecentesco di Alessandro Sobieski (nipote del re polacco Giovanni III vincitore sull’armata turca a Vienna nel 1683) opera di Camillo Rusconi.

Una parete separa il presbiterio dal retrostante coro, in cui è allestita la mostra di Padre Ugolino da Belluno (1919- 2002), Oltre il bello.

Il percorso espositivo è stato organizzato in maniera cronologica, per permettere di cogliere l’evoluzione dell’artista, attraverso le diverse sperimentazioni espressive. Dal figurativo, alla parola-simbolo, all’astratto e di nuovo al figurativo. Tra il 1951 e il 1962 frequentò Giorgio de Chirico e Gino Severini. Quest’ultimo, fu determinante per l’acquisizione della tecnica del mosaico parietale. Della sua opera, che si esprime al meglio nella pittura murale, ha lasciato numerose testimonianze nella decorazione di chiese, a Roma, nel Lazio, ma anche in altre regioni d’Italia e all’estero.

In occasione dei festeggiamenti del cinquecentenario della nascita di S. Teresa d'Avila, è stato restaurato il capolavoro del Bernini, l'Estasi di S. Teresa. In realtà, l'intera Cappella Cornaro nella chiesa di S. Maria della Vittoria, è stata oggetto dell'intervento, conclusosi a giugno, ma inaugurato ora, in prossimità dell'inizio del Giubileo straordinario della Misericordia il prossimo 8 dicembre.

La conferenza stampa si è aperta con i saluti delle autorità religiose e laiche. I padri Carmelitani, che ne hanno commissionato la costruzione a Carlo Maderno nel 1608, officiano la chiesa che fa parte del Fondo Edifici di Culto. Ente nato a seguito della soppressione delle proprietà ecclesiastiche nella seconda metà del 1800 e che si occupa della tutela, della valorizzazione, della conservazione e del restauro di più di settecento chiese distribuite sul territorio nazionale.

Daniela Porro, passata dalla direzione della Soprintendenza del Polo museale romano a quella del Segretariato regionale del Ministero per i Beni Culturali, ha riassunto la storia della chiesa e dell'opera.

Padre Rocco Visca, rettore della chiesa, ha completato l'introduzione sull'edificio. Inizialmente dedicato a San Paolo apostolo, ma a seguito della battaglia della Montagna Bianca presso Praga, nel 1620, che vide la vittoria dei cattolici sui protestanti, intitolato all'immagine mariana, considerata vera responsabile del successo. Il carmelitano padre Domenico di Gesù e Maria, cappellano e combattente, portò a Roma l'immagine di "Maria in adorazione del Bambino" che, tuttora campeggia sull'altare centrale della chiesa di cui ha improntato la decorazione. Padre Rocco ha poi condotto l'uditorio verso una dimensione più spirituale, illustrando la figura e le opere di Santa Teresa. Attraverso gli scritti, citando in particolare Il Castello Interiore, ma anche attraverso la vita, come fondatrice di ordini e mistica, ma anche donna pratica, alle prese con problemi reali. È stata definita "la più santa tra le donne e la più donna tra le sante". La sua stessa descrizione dell'estasi mistica è stata materialmente raffigurata dal Bernini nel capolavoro oggetto del restauro: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio”.

La parola è passata poi ai restauratori che hanno operato nei loro interventi quella fusione tra materiale e spirituale, che rende un'opera d'arte, un'esperienza personale e interiore.

Il restauro è sempre un'occasione di studio. Uno dei frutti più ghiotti è stato, come descritto da Lia Di Giacomo, che ha diretto i lavori, la scoperta che il banco di nuvole che sostiene la Santa non era interrotto in origine dalla cornice, ma era connesso al piedistallo in travertino (nel muro esterno della chiesa è possibile vedere il blocco su cui poggia il gruppo marmoreo inserito nel testo murario). La “continuità” della nuvola, conferma il collegamento del gruppo della Santa e dell'Angelo con tutto l'impianto decorativo della cappella, come interpretato dal maggiore studioso del Bernini Irving Lavin.

Il restauratore Giuseppe Mantella ha descritto il lavoro fatto, reso necessario, anche e soprattutto, dall'inquinamento atmosferico prodotto dal semaforo all'angolo della chiesa (che già a pochi mesi dalla fine del restauro, ha determinato di nuovo il deposito di polveri grasse sulle superfici).

Le tecniche diagnostiche hanno evidenziato la presenza di sostanze (paraloid) di un precedente restauro (circa 20 anni fa) e l'infiltrazione di resine nel marmo quando è stata realizzata la decorazione dorata della volta. Sono inoltre stati trovati frammenti del vetro giallo della finestra ellittica, che fa entrare dall'altro la luce sul monumento. La campagna fotografica ha documentato anche la tecnica dell'artista: gli strumenti utilizzati, le superfici nascoste lasciate non finite, non levigate, con la traccia, appunto, degli strumenti incisori; i frammenti di marmo aggiunti, una mano, un lembo della veste. Ma anche il lavoro sul fianco dell'angelo per rendere il vento del movimento, che gli scompiglia anche i capelli. La storia ha modificato l'opera originale. La nuvola è stata "trasformata" in cornice, probabilmente, quando il bronzo dorato dei raggi della grazia divina e quello del dardo dell'angelo (di cui una foto mostra il foro di fissaggio) sono stati rimossi in epoca napoleonica, a seguito del trattato di Tolentino del 1797.

Il paliotto d’altare, che passa solitamente inosservato, è, invece, non solo parte integrante, ma determinante e fondante del senso compiuto e del programma iconografico dell'intera cappella.

Sante Guido, che lo ha restaurato, ne ha illustrato le caratteristiche. Vi è raffigurata l’Ultima cena in bronzo dorato su fondo lapislazzuli. La mano anonima dell'esecutore è stata inserita in un contesto che vede un nesso con la decorazione della cappella Raimondi di S. Pietro in Montorio (sempre Bernini 1640 ca, con Estasi di S. Francesco sull'altare e bassorilievi con volatili e rose nelle mura laterali); l'altare del Santissimo Sacramento di S. Giovanni in Laterano (Ultima cena in alto, in nesso con la reliquia del legno della tavola). Ma anche con il bassorilievo nella cappella Paolina di Santa Maria Maggiore, in cui è raffigurato papa Liberio che traccia il perimetro di fondazione della basilica. Un'altro altare condurrebbe a Malta. Infine anche all'ambito di Camillo Mariani, il cui capolavoro (sculture di santi) si trova nella vicina chiesa di S. Bernardo alle terme.

Il programma decorativo descrive un duplice percorso: dall'alto verso il basso, con la presenza della colomba simbolo dello Spirito Santo negli affreschi dell’Abbatini. La luce che dall'oculo sopra la Santa e l'Angelo scende insieme ai raggi dorati è figura di Dio Padre. Il Figlio è presente nell'Ultima cena, come punto di arrivo di questo movimento che dall'alto passa attraverso la Transverberazione di Santa Teresa, modello e culmine dell'esperienza mistica. L'ultima cena è, però, anche il punto di partenza del moto ascensionale che, dal pavimento in cui le tarsie di marmi (provenienti da Villa Adriana a Tivoli), raffigurano scheletri emergenti, prosegue in alto con la Santa Teresa, alla cui estasi assistono i membri della famiglia Cornaro affacciati ai coretti. Vivi, come a teatro, perché l'eucarestia e la fede, li hanno condotti alla vita eterna, più in alto, negli affreschi, la Gloria dello Spirito Santo.

È arrivata a Roma al Complesso del Vittoriano, la seconda tornata di opere dal Musée d'Orsay di Parigi. Lo scorso anno si è tenuta la mostra dedicata alla storiadell’istituzione parigina.

Ora è la volta di Impressionisti, tête à tête in corso fino al 7 febbraio 2016. Come si evince dal titolo, è il ritratto l’affascinante tema prescelto. Più di sessanta opere, in gran parte dipinti, ma anche qualche scultura, ci mostrano i volti dei protagonisti, non solo della pittura, ma anche della cultura e della società dell’epoca.

Curatori sono Guy Cogeval, presidente dei Musée d’Orsay et de l’Orangerie, il direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura Xavier Rey e Ophélie Ferlier, conservatore del dipartimento di scultura. Quest’ultima ha rimarcato come la mostra offra occasione, più di quanto lo consenta la sede d’origine, di un confronto-dialogo tra pittura e scultura. Le sculture esposte non sono in gran numero e di dimensioni contenute, tra queste il ritratto di Victor Hugo di Rodin del 1897 e una delle fusioni di Ecce Puer, o Impressione di bambino (Ritratto di Alfred Mond a sei anni) del 1906.

Altro italiano in mostra, Giovanni Boldini, che fa toccare con mano i materiali dell’elegante guardaroba delle signore da lui ritratte che sembrano presenti con tutta la loro verve e lo charme, in questo caso si tratta Madame Charles Max, immortalata nel 1896.

La viscontessa di Poilloüe de Saint Perier di John Singer Sargent ritratta 1883, spicca nel suo abito rosso.

 

Una sola l’autrice presente, Berthe Morisot, con Giovane donna in abito da ballo del 1879 e L’ortensia o le due sorelle del 1894.

Le opere coprono un periodo tra il 1850 e il 1920, illustrano ciò che c’era prima e ciò che viene dopo l’Impressionismo. Attraverso i volti si dà conto anche del contesto storico sociale.

Una sezione è dedicata all’infanzia. Bambino e donna in un interno di Paul Mathey del 1890 ca, colpisce per la costruzione dell’immagine, dalla figura del bambino biondo, l’occhio dello spettatore è portato all’interno della casa, che si approfondisce grazie a piani differenti. Nell’interno pieno d’atmosfera si svela l’attività della donna. Interno di una casa o dell’inconscio?

Non tutti famosi gli autori, una manciata sono i capolavori conosciuti e caratterizzanti il movimento. Tra questi Il balcone di Manet del 1890, L’altalena di Renoir del 1867, la Donna con caffettiera di Cezanne, realizzata tra il 1890 e il 1895.

Un filmato che spiega la nascita e lo sviluppo dell’impressionismo apre la mostra, che prosegue con le foto e le biografie degli artisti.

 

Impressionisti, têteàtête

Roma, Complesso del Vittoriano

15 ottobre 2015- 7 febbraio 2016

Orario: dal lunedì al giovedì 9.30-19.30

           venerdì e sabato 9.30-22.00

           domenica 9.30-20.30

Ingresso: intero €.12,00; ridotto €. 9,00

Info: 06 6780664

www.comunicareorganizzando.it

Catalogo: Skira €. 38,00

La tortura ed esecuzione di Khaled Asaad mi ha colpito duramente. L'ho sentita particolarmente vicina. Non perché la morte di giornalisti, civili o migranti sia meno coinvolgente o sconvolgente. Ma perché ha colpito frontalmente la cultura, come la distruzione di opere d'arte. Ma non è neanche e solo questo.

Comunque ho avuto bisogno di tempo per elaborare ciò che volevo dire. Perché la rabbia e la folla di sentimenti si diradassero e le riflessioni sull'accaduto e su alcuni commenti potessero venire espresse in modo comprensibile.

La cultura è di tutti. Le opere d'arte sono di tutti.

Per la religione cristiana l'uomo è fatto a immagine di Dio. Ma anche i pagani si erano fatti degli dei ad immagine umana. Maggiori, ma umani anche i vizi. In più avevano solo la realizzazione del grande sogno dell'uomo: l'immortalità.

Alle Scuderie del Quirinale è in corso la mostra sull'Arte Islamica. Il mondo arabo sta aprendosi all'occidente, tra gli altri basti citare il progetto del Louvre Abu Dabi.

Gli storici dell'arte sanno che la loro disciplina si basa sull'osservazione di esemplari sopravvissuti a guerre, catastrofi e cambiamenti di gusto.

Durante la seconda guerra mondiale funzionari civili e soldati hanno nascosto e protetto opere d'arte, collaborando ad e in una resistenza culturale.

Succede anche ora nelle aree di conflitto.

Ma la prima reazione alla morte dell'archeologo e ai commenti sull'indifferenza "razzista" di certi occidentali, è stata un'altra: La cultura e chi se ne occupa, viene decapitato ogni giorno in occidente. Solo in modo più subdolo, per continuare, indisturbati, quest'azione sistematica.

Come chiamare l'impedire a storici dell'arte ed archeologi di fare il loro lavoro? Come chiamare la cancellazione della storia dell'arte dalla scuola? La riforma di quest'ultima? La non-politica e il disinteresse verso il turismo e la cultura in generale?

Ecco cosa ho pensato: finora ci hanno tagliato metaforicamente le gambe, ora, fisicamente, anche la testa.

Ma il messaggio più importante che Khaled Asaad ci ha lasciato, è che si può fare qualcosa per "spingere la notte più in là". Grazie per averci ricordato che resistere si può e si deve. Che non basta sopravvivere, ma è importante la qualità della vita.

La cultura muore, viva la cultura.

 

Elena Sidoni

 

A Roma, mentre al Vittorianoèin corso la mostra dedicata allartista cinese contemporaneo, Fan Zeng, poco lontano, a Palazzo Venezia, èdi scena la Cina antica con Tesori della Cina Imperale. Letàdella Rinascita fra gli Han e i Tang (206 a.C.-907 d.C.).

Ela terza delle cinque in programma, dopo La Cina arcaica e Le leggendarie tombe di Mawangdui. Programma che èparte degli accordi presi in occasione della firma del Memorandum dIntesa sul Partenariato per la Promozione del Patrimonio Culturale tra Italia e Cina a ottobre 2010.

Giàsolo guardando il titolo, ci si rende conto che lesposizione costituisce un piccolo assaggio della civiltàcinese. Lintervallo temporale èvasto, cosìcome lestensione territoriale di questo affascinante paese.

Le opere presentate provengono dal Museo Provinciale dello Henan, uno dei piùgrandi della Repubblica Popolare Cinese. Nellepoca considerata, lo Henan, era creduto il Centro del Mondo adagiato nella Pianura Centrale.

La dinastia degli Han (206 a.C. - 220 d.C.) èimprontata dalla cultura tradizionale del primo impero, ma ha in séanche i fermenti che, piùtardi, troveranno piena espressione con letàdelloro dei Tang (581 d.C. -907 d.C.).

La dinastia Han èconsiderata la continuatrice dellopera del Primo Imperatore e responsabile dellaver fatto diventare istituzione lo statuto imperial,e destinato a durare fino al 1911.

La mostra si apre con le riproduzioni in scala di edifici: abitazioni, torri di guardia, pozzi, mulini, granai e porcili,simboli di ricchezza, questi ultimi, che, come gli altri modelli, venivano posti nelle tombe, a continuazione del prestigio oltre la morte. Oltre agli edifici, statuette in terracotta, ma anche preziose vesti funerarie di giada, testimoniavano limmortalità.

Il passaggio allepoca Tang si percepisce nella maggiore ricercatezza tecnica delle opere e nel naturalismo espressivo delle figure.

Oltre ai modelli di edifici, sono esposti particolari architettonici, tra questi colpisce leleganza delle figure rappresentate nei laterizi dipinti.

Le sezioni in cui èsuddivisa la mostra riguardano La Vita Quotidiana, Le Credenze Religiosee La Porcellana dellEtàdellOro.

La veste funeraria di giada, oltre alla funzione estetica, ne aveva una pratica: si credeva, infatti, che conservasse il corpo dalla corruzione, permettendo cosìanche allanima di continuare a vivere.

Le testimonianze relative al buddismo, introducono il sapore di altre civiltà. LIncensiere a tripode in ceramica a tre colori con decorazioni floreali della dinastia Tang (618-907 d.C.), sorprendentemente ricorda manufatti etruschi.

La porcellana colpisce per lespressivitàdelle figure, il naturalismo dei gesti, la ricercatezza tecnica di materiale, forma e colore.

Tesori della Cina Imperale

Letàdella Rinascita fra gli Han e i Tang (206 a.C.-907 d.C.)

16 luglio 2015- 28 febbraio 2016

Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia

Orari: da martedìa domenica 8.30-19.30

         Lunedìchiuso

Ingresso: Intero .4,00; ridotto .2,00

Info: www.mondomostre.it

museopalazzovenezia.beniculturali.it

www.tesoridellacinaimperiale.it

Catalogo: Casa Editrice Scienza, Pechino

 

Il Complesso del Vittoriano ospita fino al 27 settembre la mostra Fan Zeng. La sinfonia delle civiltà. L'artista cinese è nato nel 1938. La data di nascita aiuta a capire l'opera. Pur essendo un contemporaneo, egli dà voce alla tradizione culturale cinese nella tecnica e nella composizione. La calligrafia è pure presente nei dipinti. Da non dimenticare neanche l'invenzione cinese della carta.

Sarebbe stato interessante, in mostra, dare più spazio alla spiegazione delle tecniche impiegate, che non sono riportate nelle didascalie. La maggior parte delle opere sono state realizzate con inchiostro su carta.

La sinuosità e la naturalezza del tratto sono, probabilmente, derivate proprio dalla calligrafia. Le figure sembrano fluttuanti e in perenne movimento. Stessa mobilità nell'espressione dei volti, resi intensi dall'indagine psicologica.

Ritratti, animali e paesaggi, sono oggetto delle opere in mostra, con particolare attenzione alle figure storiche importanti della tradizione e artisti e intellettuali anche occidentali.

La tradizione caratterizza anche l'aspetto familiare. Fan Zeng discende, infatti, da una stirpe di letterati. Scrittore lui stesso, ha acquisito un'apertura verso il mondo occidentale.

Oltre che alla scrittura è aperto alla musica, alla storia e alla filosofia.

Alcuni dei ritratti in mostra sono dedicati a grandi figure dell'occidente, del passato, come Michelangelo, ma anche della modernità, come Einstein, di qui la sinfonia di civiltà del titolo.

L'artista insegna all'Università di Pechino, il prestigio personale e familiare e l'importanza che la cultura cinese gli attribuisce, sono perentoriamente affermati dalla gigantografia dell'artista, che accoglie i visitatori all'ingresso in mostra.

L'evento nasce per celebrare il 45º anniversario dell'avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Repubblica Popolare Cinese. Louis Godart, Consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico del Presidente della Repubblica Italiana, è il curatore.

Tradizione culturale anche per quello che riguarda il main sponsor, il gruppo Sahne, più grande produttore di te Tiguanyin in Cina.

Fan Zeng

La sinfonia delle civiltà

1 luglio- 27 settembre 2015

Roma, Complesso del Vittoriano

Ingresso gratuito

Orari: tutti i giorni 9,30-19.30

Info: 06 6780664

       www.comunicareorganizzando.it

Catalogo: Nankai University Press €.56,00

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