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Gli agroecologi sostengono che i sistemi di agricoltura biologica che non mettono in discussione lo status di monocoltura delle coltivazioni e che fanno affidamento su input esterni, nonché su marchi di certificazione stranieri e costosi o su sistemi di commercio equo destinati unicamente all’esportazione, abbiano poco da offrire ai piccoli agricoltori. Il rischio per loro, infatti, rimane quello di diventare dipendenti da input esterni e da mercati esteri e volatili.
Mantenendo gli agricoltori dipendenti da un approccio che si limita a sostituire gli input, l’agricoltura biologica non fornisce agli agricoltori un forte stimolo verso la riprogettazione produttiva degli ecosistemi agrari che li sottrarrebbe alla dipendenza da input esterni. I mercati di nicchia (biologici o legati al commercio equo e solidale) rivolti ai Paesi più ricchi presentano gli stessi problemi di qualsiasi schema di esportazione agricola che non dia priorità alla sovranità alimentare (qui definita come “il diritto delle persone di produrre, distribuire e consumare cibo sano all’interno e nelle vicinanze del loro territorio in modo ecologicamente sostenibile”), perpetuando in questo modo spesso le condizioni di dipendenza e talvolta la malnutrizione.
Migliaia di progetti in Africa, Asia e America Latina dimostrano in modo convincente che l’agroecologia fornisce la base scientifica, tecnologica e metodologica per aiutare i piccoli agricoltori ad aumentare la produzione agricola in modo sostenibile e resiliente, consentendo loro di provvedere ai fabbisogni alimentari attuali e futuri. I metodi agroecologici producono più cibo con meno terra, utilizzando meno energia e meno acqua, e al tempo stesso migliorano le risorse naturali di base, forniscono servizi di tipo ecologico e abbassano le emissioni di gas serra.
I ricercatori dell’Università del Michigan hanno confrontato le rese ottenute mediante produzione biologica con quelle ottenute con metodi convenzionali, basandosi su un set di dati mondiale composto da 293 esempi. Gli autori dello studio hanno stimato il rapporto medio tra le rese ottenute con queste due modalità (biologico vs non biologico) per diverse categorie di prodotti alimentari, sia nei Paesi ricchi, sia in quelli in via di sviluppo. Per la maggior parte delle categorie di prodotti alimentari il rapporto medio tra le rese era leggermente inferiore a 1 per gli studi relativi ai Paesi ricchi, e superiore 1 per gli studi relativi a Paesi in via di sviluppo
Ciò significa che il Sud del mondo ha il potenziale agroecologico di produrre abbastanza cibo a livello globale pro capite per sostenere l’attuale popolazione umana, e, potenzialmente, una popolazione persino più numerosa, senza aumentare le terre messe a coltura. Il motivo per cui questo potenziale risiede al Sud e non al Nord è che nei Paesi in via di sviluppo esiste ancora una numerosa popolazione contadina indigena, dotata di quella ricchezza di conoscenze agricole tradizionali e di quell’ampia diversità genetica che costituiscono il fondamento di agroecosistemi diversificati resilienti.
Che altro è necessario per convincere decisori politici e finanziatori a prendere una posizione coraggiosa e scommettere sull’agroecologia?
Il problema sembra essere più politico o ideologico che basato su scienza o evidenza. A prescindere dai dati presentati, governi ed enti finanziatori pressati da grandi interessi tendono comunque a emarginare gli approcci agroecologici, concentrandosi su “soluzioni” rapide a elevata intensità di input e su tecnologie proprietarie come colture transgeniche e fertilizzanti chimici. Questi elementi non solo presentano gravi rischi per l’ambiente, ma hanno anche dimostrato di essere inaccessibili e inappropriati per contadini poveri, che giocano un ruolo chiave nella sicurezza alimentare globale.
Oltre ai cambiamenti climatici, anche le ripetute esplosioni dei prezzi dei prodotti alimentari, la carenza di terreni di buona qualità e acqua, nonché l’aumento del costo dell’energia saranno le sfide principali per garantire a tutti la sicurezza alimentare. Per questo motivo la strategia agroecologica mira anche a rafforzare la sovranità energetica e tecnologica, oltreché quella alimentare.
La sovranità energetica è il diritto di tutte le popolazioni rurali a reperire o generare energia sufficiente entro limiti ecologici e da fonti sostenibili.
Miguel A. Altieri è docente di Agroecologia presso l’Università della California a Berkeley.
Clara Inés Nicholls è Lecturer all’Università della California a Berkeley.
Luigi Ponti, agronomo, Research Fellow per CASA Global e membro del comitato scientifico dell’iniziativa FAO-GIAHS.
Articolo e video tratto dal portale della Fondazione GianGiacomo Feltrinelli
VIDEO-INTERVISTA A A. MIGUEL ALTIERI