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Music (41)


Free Lance International Press

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Nella cornice del Monk, locale romano di musica alternativa gestito da soci Arci, c’è la presentazione del nuovo disco (il terzo per quanto riguarda la carriera solistica) del giovane trentenne romano Tommaso di Giulio, vincitore di una miriade di riconoscimenti ed una promessa del cantautorato di casa nostra, autore anche di colonne sonore per cinema e teatro.

Questo nuovo disco (esce a tre anni di distanza dal precedente album “L’ora solare”) dal titolo “Lingue”, strizza l’occhio alla musica psichedelica inglese degli anni 70 mischiandolo al rock americano con spruzzi di cantautorato italiano (vedasi Graziani, Battisti, Dalla ,Battiato) e si sposa con la cosiddetta scuola romana contemporanea cito Max Gazzè (con cui ha scritto e duettato in un brano nel 2015) ma anche Daniele Silvestri e Niccolò Fabi.

Tommaso racconta: -Avevo scritto inizialmente un disco completamente differente, molto più leggero ed eterogeneo che non aveva niente a che fare con queste canzoni, poi sono successe delle cose talmente grosse nella mia vita da non riconoscere più quelle canzoni e ho sentito il bisogno di scriverne delle altre, così è nato questo “Lingue” un disco scritto di pancia, diretto, introspettivo, personale, dove si cerca di convertire la propria sofferenza in musica.

Il concerto è preceduto dall’esibizione di un gruppo emergente chiamato Galil3o che comprende nel nome volutamente quel tre rovesciato al posto della “e”, giustificato dalla band per distinguersi dal cognome del famoso scienziato.

Sostenuto e osannato da parenti e amici, oggi si gioca in casa, sale sul palco l’attesissimo Tommaso Di Giulio. Però prima di contornarsi della presenza dei musicisti che lo accompagneranno per l’intero concerto, e solo e soltanto per il primo brano, il nostro si presenta in maniera solitaria al suo pubblico; l’apertura del concerto, così come il suo nuovo lavoro discografico, inizia con “Canzone per S” (S sta per Sergio, il papà) dedicato alla malattia recente del padre, il testo parla anche di conflittualità e incomunicabilità, il cosiddetto gap generazionale tra padri e figli.

“Chi la sa più lunga” una ballata che nella versione live acquista un aspetto più tirato, di questa canzone Tommaso dice:- «È una canzone sul disperato tentativo di individuare e tenersi stretto ciò che conta veramente, o meglio: chi conta veramente per noi».

Si prosegue con “Da lontano” con il ritornello in inglese; sembra quasi di ascoltare una canzone di Zucchero Fornaciari quando quest’ultimo mischia l’idioma italico alla lingua di albione.

Torna l’ironia, il tipo di scrittura più consona al nostro Tommaso “Il mese più caldo” (Gennaio è il mese più caldo nel letto con te) protagonisti due innamorati che presi dalla passione si sentono lontani da tutto e da tutti senza percepire il freddo perché c’è l’amore a scaldare le loro vite. Così come la vivace “L’acqua su Marte” che parla di una coppia in crisi che intraprende un viaggio intergalattico su Marte,pensando di poter risolvere lì i loro problemi, per poi tornare sulla terra diversi, rappacificati, consci di aver guarito le ferite.

Il concerto va avanti con ”Le notti difficili” sull’eterna paura della morte (e portami le medicine contra la paura della morte) e la domanda è: ci saranno mai delle medicine per sconfiggere la morte?

“Prendiamo esempio” scritto di getto il giorno successivo agli attentati di Parigi al Bataclan.

“L’umidità” un rock quasi californiano da ricordare la musica surf dei Beach Boys.

“Quello nello specchio” , dove l’autore si fa tante domande esistenziali , è il brano che chiude la prima parte del concerto ed è anche l’ultima traccia dell’ultimo lavoro discografico. Rispetto alla scaletta del disco, nel concerto sono state eseguite pedissequamente tutte le tracce ad eccezione solo di “Piangi pure”, scritta in occasione di un dolore recente che è ancora troppo forte per poter essere eseguito dal vivo.

La seconda parte del concerto prosegue con una carrellata di successi i così detti evergreen tratti dai due precedenti dischi da quello di esordio intitolato “Per fortuna dormo poco”, estrae ”In confidenza” in puro stile De Gregori, ”Le mie scuse sincere” dall’andamento ‘reggaegiante’ e “Farò colpo” con il simpatico ritornello (anche i nani iniziarono da piccoli). Mentre dal suo penultimo disco del 2015 dal titolo “L’ora solare” esegue “Spesso e volentieri” come sentirsi inappropriati in una storia d’amore ,“La fine del dopo” sull’inganno del tempo e come rincorrerlo ,”Dov’è l’America” che parla di confini metaforici e ancora il rock tiratissimo di “Poveri posteri”.

Chiude la serata “Novanta” un nostalgico viaggio negli anni ’90 e che al suo interno comprende un’azzeccatissima citazione di un brano di quel periodo di Corona “The rhythm of the night” .

Arriva il momento del bis, viene concesso tributando una cover al suo mentore e massimo ispiratore Franco Battiato con la celeberrima “Centro di gravità permanente”.

Il concerto finisce così; ci rimane il buon sapore di una bella serata, la sincerità di una faccia pulita e vera, i testi intelligenti ironici ed impegnati. È sicuramente il raggiungimento di una musicalità costruita attraverso una lunga gavetta che sicuramente gli aprirà le porte e ribalte ben più importanti, perché lo merita; eccome!

Eleonora Bordonaro è una cantante siciliana di Paternò in provincia di Catania.
L’occasione al Teatro Vascello, in prima assoluta a Roma, è la presentazione del nuovo disco “Cuttune e lamè - Trame streuse di una canta storie”.
La Bordonaro abbandona momentaneamente il progetto dell’Orchestra Popolare Italiana di Ambrogio Sparagna di cui è la voce, per dedicarsi a questa parentesi solistica.
La cantante siciliana si muove tra sonorità folk con predilezione allo stile dei cantastorie (quelli che con chitarra e cartellone giravano le piazze con il tetto dell’auto come palco), tra brani originali, tradizionali e poesie popolari dell’800 interpretati in lingua siciliana, nello stile ricorda molto Rosa Balistreri e Carmen Consoli quando quest’ultima canta nel proprio dialetto.
Il concerto inizia con “Sentimi Rosa” brano di apertura anche il suo ultimo disco, qui eseguito in una veste scarna solo chitarra e voce, per continuare, con l’arrivo della band sul palco con “La tassa di li schetti” che racconta (fatto realmente accaduto nel ventennio fascista) di una giovane fidanzata molto esigente che chiede al proprio spasimante una vita agiata con tanto di servitù e l’aspirazione al lusso più sfrenato; lo sventurato che non può permettersi quel tenore di vita alla fine chiederà indietro l’anello di fidanzamento, che gli servirà per pagare la tassa mussoliniana (inflitta al celibe) che lui ribattezza “ tassa per la mia libertà”.
Arriva anche “Tri tri tri” con un ospite d’eccezione il percussionista Arnaldo Vacca con la sua inseparabile tamorra, che vanta collaborazioni con Antonello Venditti, Edoardo Bennato e Teresa De Sio solo per citane alcune.


La produzione di questo nuovo disco “Cuttuni e Lamè” è affidata a Puccio Castrogiovanni membro de I Lautari, polistrumentista, presente anche lui sul palco che interviene in voce nel bel duetto “E poi ci su i paroli”, sfoggiando tra i tanti strumenti anche uno strano scacciapensieri (marranzano in siciliano) ucraino.
Il concerto prosegue con la canzone “Li fomni” (le femmine) cantato nel dialetto di San Fratello paese dei monti Nebrodi occupato fin dall’ invasione Normanna da una popolazione proveniente dalla Francia( Provenza, Bretagna e Normandia) e dall’ Italia del nord (Piemonte e Liguria),dove si parla un sorta di dialetto né francese né italiano detto anche gallo-italico utilizzato solo in questa zona, le sonorità del canto di questa misteriosissima lingua ricordano uno struggente 'fado' portoghese.
Dopo aver ascoltato i canti della tradizione del venerdì santo “Lamento di Maria”,
“Ucch’i l’arma” e ”Maria passa pi na strata nova“ si arriva alla title track in stile tango
“Cuttuni e Lamè” brano con cui l’autrice divide l’universo femminile in due categorie “donna-Cuttuni” una donna al naturale con un’innocenza disarmante, fragile e sempre in cerca di protezione e di comprensione, una sorta di vittima inconsolabile e la “donna-Lamè” astuta sofisticata con abiti eccentrici, trucco pesante, sicura di sé - la cosiddetta mangia-uomini -, ma nessuna delle due donne troverà una degna redenzione e una realizzazione personale.


Concludono il concerto una struggente “Vuci” e “A partita” quest’ultima con una chiara impronta blues.
La cantante concede il bis proponendo un brano della sua prima formazione musicale quella dei Majaria Trio “Niura mi dicisti”.
Ho assistito a una serata ricca di tradizione, musica folk, melodia e suoni contemporanei al profumo degli agrumi di Sicilia.


Lattanzio: grande emozione dopo anni di lavoro


Mosca, 7 mag. (askanews) – Concerto al Cremlino e tra i cantanti c’è anche una voce italiana. Si tratta di Luca Lattanzio, di Numana (Ancona) invitato a partecipare al concerto dello scorso 5 maggio. L’artista, attivo da anni in Russia, si dice fiero di aver avuto l’onore di rappresentare l’Italia. Ha cantato la celebre canzone Russa “Katiuscia” sia in italiano che in russo, accompagnato dal celebre coro dell’Armata Rossa e dalla grande orchestra del Cremlino. “Una grande emozione dopo anni di lavoro e studio all’estero” ha detto. “Un momento della mia carriera che ricorderò per sempre” ha aggiunto.
L’esibizione molto applaudita ed apprezzata dal pubblico in sala verrà trasmessa sul primo canale della Tv russa in prima serata davanti a oltre 60 milioni di telespettatori.

 

AL ''Piper'', locale storico romano, Massimo Di Cataldo ha celebrato 25 anni di attivita' e il suo 50esimo compleanno insieme ad amici e colleghi, ma soprattutto fans, venuti ad assistere anche al concerto.

L' intervista e' curata dall'attrice Antonella Salvucci conduttrice della serata (video)

 

Marcorè ritorna a Roma stavolta al Teatro Brancaccio con lo spettacolo “Quello che non ho” titolo anche di una canzone di Fabrizio De André.

Forte del successo delle 4 repliche, arriva all’ultima serata, che si conclude con un tutto esaurito.

Sarà per la bravura dell’eclettico Neri Marcorè, che utilizza una sorta di teatro-canzone tanto cara a Gaber (brani musicali intervallati da monologhi), sarà per i testi dei due più grandi poeti italiani contemporanei, le canzoni di Fabrizio De André e le visioni, quasi profetiche, di Pier Paolo Pasolini, che lo spettacolo prova a costruire uno spaccato e dà una visione tutta personale della società attuale; dove si denunciano con ironia e sarcasmo lo sfruttamento dell’uomo e dell’ ambiente, di guerre e di illegalità tra passato che non torna è il futuro che non arriva.

Quello che l’attore marchigiano porta in scena con cortese indignazione rasenta una comicità grottesca, bizzarra e surreale.

Racconta storie emblematiche, parabole del presente, storie di esclusione e di ribellione, di conflitti e di razzismo.

Storie in cui si favoleggia di un’enorme isola di rifiuti di plastica chiamata “il sesto continente” che galleggia al largo delle Hawaii; di evoluti roditori che sono diventati i nuovi capi del mondo; di guerre civili causate dal coltan, minerale che si estrae dalle miniere del Congo, indispensabile per il funzionamento dei nostri telefonini; di economia in “decrescita felice” che propone la pizza da un euro, una normale margherita, grande però come un euro.

Di consumismo occidentale e dell’autodistruzione dell’ uomo; nel 2014 per la prima volta nella storia sono morte più persone per eccessi alimentari che per mancanza di cibo, sostenendo che lo zucchero è più letale della polvere da sparo ( L'eccesso di cibo uccide più delle guerre)

E ancora Marcorè racconta : “Tra meno di 20 anni il peso complessivo dei rifiuti non degradabili depositato negli oceani sarà pari a quello dei pesci”.

Di Pasolini i brani sono tratti dal film/documentario ”La rabbia” e brevi brani da "gli Scritti Corsari".

Dal repertorio di De André si ascoltano le canzoni in gran parte tratte dal concept album “Le Nuvole” ma anche “Se ti tagliassero a pezzetti” “Una storia sbagliata” dedicata a Pasolini, “Khorakahanè” “ Smisurata Preghiera” “Dolcenera”, “Volta la Carta”,“Canzone per l’estate”, in scena Marcorè è accompagnato da tre bravi cantanti/chitarristi, Pietro Guerracino,Vieri Sturlini e Giua, quest’ultima ha alle spalle diverse collaborazioni (Riccardo Tesi, Adriana Calcanhotto, Pippo Pollina, Fausto Mesolella, per citarne alcuni) ed anche una apparizione anni fa al festival di Sanremo.

Insomma lo spettacolo “Quello che non ho” cerca di costruire, sotto forma di recital sostenuto dalla guida di De André e Pasolini, una visione personale dei tempi che viviamo.

Un consiglio spassionato se vi capita di incrociare questo evento, nella vostra città non indugiate, non perdetelo, ne uscirete indignati perché ci sbatte in faccia i mali del mondo riguardo inquinamento, razzismo, scandali bancari, sfruttamento minorile, cattiva politica e contestualmente non da soluzioni, però ci fa riflettere e ci obbliga ad essere migliori e ad ogni spettatore chiede di prendere coscienza e seppur nel proprio piccolo, di attuare un deciso e personale rimedio per un futuro migliore.

L'argomento “432 hz”, o “LA Verdiano”, è diventato da qualche anno oggetto di discussioni, dibattiti e scambi di opinioni nei più disparati ambiti e ambienti pseudo-culturali. Quasi un chiacchiericcio di moda.

Certo è che la stragrande maggioranza delle persone non conosce l'oggetto del contendere. Se domandi cosa è la 432hz a qualcuno è possibile che ti risponda: "forse è una legge del codice civile o penale". Oppure puoi sentirti dire: " si tratta forse di una distanza fra un punto e un altro misurato in hz invece che in chilometri o miglia".

In realtà si tratta semplicemente della frequenza sonora con la quale Giuseppe Verdi, da qui “LA Verdiano”, intonava il diapason di riferimento per accordare l'intera orchestra con la nota LA . Nel 1884 Verdi, con una famosa lettera, chiedeva alla Commissione Culturale Italiana di unificare come unico diapason o intonazione, su tutto il territorio nazionale, il LA a 432 hz.

Date le differenti dominazioni subite dal popolo italiano, francesi, spagnole, austriache, l'Italia non aveva un unico riferimento musicale a riguardo. Il suono della nota FA, piuttosto che del MI o del DO, non risultava lo stesso se eseguito a Torino invece che a Palermo. Era d'obbligo una misura per tutti uguale.

Verdi, esperto di canto, propose la frequenza 432 hz in quanto si accorse che la voce umana trova in questa intonazione il miglior ambiente sonoro per esprimere il meglio di sé. Dal punto di vista del colore, del calore e dell'espressività nessuna intonazione offre tale opportunità alla voce umana, che in questa condizione è perfettamente naturale.

La bellezza estetica e la piacevolezza percettiva di un'esperienza d'ascolto in intonazione 432 hz era già ben nota a Stradivari, il quale progettava e costruiva i suoi violini per essere intonati a 432 hz ed era voluta da Mozart per le esecuzioni delle sue Opere.

Ma veniamo a noi. Chi ha voluto e perché il diapason (ovvero lo strumento che offre l'odierna intonazione) a 440 hz? Ormai la storia ci consegna i fatti come certi e dimostrati. Il Ministro della cultura e della propaganda nazista Paul Joseph Goebbels dopo aver verificato l'effetto eccitante delle marce militari russe sui soldati sovietici eseguite a 440 hz decise di imporre, nel 1939, in tutta la Germania e successivamente in Europa il diapason a 440 hz. Più avanti nel '57 Londra ratificò con molta leggerezza questa intonazione come ufficiale in tutto l'occidente.

Si assiste oggi ad un nuovo interesse nei confronti della 432 hz per arginare una ulteriore, irresponsabile, volontà di alzare ulteriormente il diapason. Oramai le orchestre, i gruppi e i cantanti accettano di intonarsi a 442 hz pur di ottenere maggiore attenzione, tensione, ed eccitazione da parte di un pubblico sempre più saturo ed affamato di momenti di esaltazione emotiva.

Si racconta di un esperimento eseguito nel 2015 a Milano con una Carmen a 445 hz. Le persone all'uscita erano eccitate, nervose, reattive oltre il normale. Un pubblico così “drogato” avrà sempre più bisogno di dosi massicce per appagare il desiderio di una vita adrenalinica.

Ora, a voler recitare la parte del complottista sarebbe semplice imputare tutto questo alla volontà di "QUALCUNO" che ha l'obiettivo di creare una forma di dipendenza per meglio gestire i comportamenti della massa. Ma lasciamo questi argomenti ai sovversivi. Che magari hanno pure ragione.

Il fatto è che se usciamo dal mondo naif della New Age commerciale e banalizzata, ci togliamo di dosso gli abiti orientali, ci sfiliamo dal capo improponibili turbanti che dovrebbero legittimare improbabili pseudo guru indiani delle borgate romane, e rivolgiamo lo sguardo alla ricerca seria chiedendo aiuto alla scienza, troveremo risposte esaustive e convincenti sulle buone ragioni per un ripristino salutare della 432 hz.

Cercando di rimanere comprensibili per un ampio pubblico, evitando quindi di entrare in tecnicismi, cercherò di illustrare quanto è stato scoperto in riferimento al rapporto tra l’intonazione 432 hz e la sostanza di cui siamo fatti per il 99 %, L’ACQUA ( il 99 % di acqua si riferisce al numero di molecole di cui siamo composti e non alla massa o peso).
I numeri che confermano la perfetta risonanza tra gli atomi della molecola di acqua, idrogeno e ossigeno, e le frequenze della nota DO intonata a 432 hz sono impressionanti.
Dividendo il numero del peso atomico dell’idrogeno per il numero del peso atomico dell’ossigeno, stabiliamo il loro rapporto frequenziale ottenendo il coefficiente 0,125.
Moltiplicando il numero atomico dei due atomi , idrogeno e ossigeno, per questo coefficiente 0,125 scopriamo che la cifra risultante è perfettamente uguale al numero della frequenza della nota DO grave e di un altro DO a tre ottave superiori intonate sempre a 432 hz.
Ma se non bastasse questo a dimostrare la naturale relazione risonante fra l’acqua e il “La Verdiano”, un’ulteriore scoperta ha dato certezza all’idea di quanto sarebbe salutare l’ascolto della musica intonata a 432 hz.
Se prendiamo lo stesso coefficiente 0,125, utilizzato per gli atomi di idrogeno e ossigeno, e lo impieghiamo proponendo la stessa operazione con l’atomo di Carbonio (elemento presente in tutta la materia esistente compreso l’essere umano) ci sorprenderemo scoprendo che la cifra risultante sarà uguale al numero della frequenza della nota più importante legata al famoso DO dell’acqua. Ovvero la nota SOL, naturalmente intonata a 432 hz.
Questo argomento scientifico dovrebbe bastare per convincere i più scettici, ma soprattutto i musicisti, a prendere in seria considerazione l’opportunità di schierarsi compatti per affermare la validità di un ripristino dell’intonazione 432 hz. Prima di tutto per fermare questa folle corsa alla tensione sonora alla quale siamo sottoposti che ci crea distrazione, dipendenza da eccitazione, stati d’ansia e stress e in secondo luogo, per riproporre quello che sarebbe salutare per il nostro organismo.
Basterebbe leggere, a suffragio di quanto sopra esposto, quanto viene riportato da Graham Jackson nel suo importante saggio musicale “The Spiritual Basis of Musical Harmony” sulle esperienze d’ascolto della pianista Maria Renold che per vent’anni ha sperimentato test d’ascolto con lo stesso pubblico sottoposto ad audizioni a 440 hz e gli stessi brani a 432 hz. Invito tutti a leggere le osservazioni della Renold riguardo le reazioni del pubblico inconsapevole.
La stessa Maria Renold, nel suo libro “ Intervals, Scales, Tones and the concert Pitc c = 128 Hz”, racconta che quando il suo pianoforte era intonato a 432 Hz, gli astanti osservavano non solo un incremento della ricchezza del timbro e qualità del tono, ma che quest'ultimo sembrava provenire da alcuni punti imprecisati al centro della stanza, piuttosto che dal pianoforte stesso riferendosi al celebre “LIBERO TONO ETERICO” citato da Rudolf Steiner.

Potrei continuare mettendo in scientifica relazione la frequenza 432 Hz alla replicazione del DNA, alla sincronizzazione dei due emisferi celebrali, alla frequenza del pianeta Terra, al numero de battiti cardiaci o della vicinanza della 432 Hz al RAPPORTO AUREO e alla SEQUENZA DI FIBONACCI.
Credo che quanto detto sia sufficiente per porsi qualche domanda e suggerire alcune riflessioni sull’argomento.

Non è semplice essere la cover band di Joe Bonamassa, uno tra i più grandi chitarristi americani e di chiara origine italiana, ma i Black Rock esibitisi ieri sera al ''Let it beer'' (piccolo pub romano, una piazza per concerti cover di molti gruppi rock) riescono a rappresentarlo al meglio grazie alla magica chitarra di Giorgio Meletti, al possente basso di Leo Cuomo, alla forza della batteria di Gianni Campanella e alla splendida voce solista di Francesco Volpe.

Il chitarrista Giorgio Meletti ci raccontava che secondo la sua opinione, Joe Bonamassa sarà il chitarrista che prenderà il primo posto sul podio negli States, ricordando anche i famosi Steve Ray Vaughan ed Eric Clapton sempre grandi interpreti del rock-blues. Giorgio ci spiegava con tanta energia e gioia, la sua passione per le chitarre, il suo hobby principale è quello di assemblare chitarre di ogni genere. Per avere il suono di Joe si devono utilizzare l’accoppiata Gibson per la chitarra e Marshall per l’ampli, utilizzando una Custom Shop modello Joe Bonamassa, la quale la Gibson ripropone in commercio su specifiche dello stesso Joe Bonamassa riprodotta in soli 300 esemplari.
Giorgio ci ricordava che non dobbiamo dimenticare l’effettistica, anche se Joe ne usa davvero poca, per saper suonare e studiare a fondo Bonamassa, bisogna capire i diversi modi di stili usati . Figlio di un negoziante di strumenti musicali di New York, come insegnante Joe prendeva lezioni da un grande come Rick Derringer e nientemeno che da B.B. King e all'età di soli 13 anni, Joe gli apriva i suoi concerti.... B.B.King, il re indiscusso del blues !

Concludendo Giorgio consiglia ai giovani che amano e vogliono suonare pezzi di Joe Bonamassa di avere tanta passione e senza l'applicazione giusta non si possono avere risultati decenti, ma la fortuna dei giovani di oggi e' che con internet possono vedere decine di video su come suonare qualsiasi pezzo. In altri tempi tutto era più difficile se si voleva studiare qualche musicista si avevano solo i vinili o le cassette, i quali impegnavano le persone a pulire o sostituire le puntine dei giradischi e le seconde a riavvolgere nastri nei registratori a cassette o le piastre stereo.


Noi di Freelance International Press abbiamo filmato alcuni spezzoni dei ''Black Rock e ne siamo usciti veramente entusiasti !...Grandi veramente !

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