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Quando Aldo Capitini parla della religione come “servizio dell’impossibile, rifiuto di accettare i modi di realizzarsi della vita e del mondo come se fossero assoluti e gli unici possibili” 1), ci troviamo indubbiamente di fronte ad una delle più belle definizioni che, del concetto di religione, siano mai state formulate.
La religione di cui parla il “Gandhi italiano”, padre della Marcia Perugia-Assisi, è “educazione e promovimento dell’apertura di unità amore”, è “educazione e promovimento di apertura alla realtà liberata”. E’ qualcosa che nulla ha a che vedere con quello che lui chiama il “sacro di esclusione”, caratterizzato dall’esigenza del chiudere e del chiudersi, dalla brama del gerarchizzare e contrapporre. Qualcosa che nulla ha a che vedere con quelle che gli illuministi chiamavano “religioni positive”, realtà istituzionalizzate avide di potere, dogmatizzanti e intrinsecamente intolleranti e violente, quelle, cioè, che presumono “di venire dall’alto con autorità e con assolutismo”, che pretendono di pontificare su “ciò che è bene e ciò che è male (anche il votare per certe liste politiche!)” che rifiutano la ricerca e lo sviluppo nella fondazione dei valori, imponendo il proprio credo, che vogliono “la parrocchia totalitaria, con tutti uniti nello stesso credo, negli stessi sacramenti, nella stessa sudditanza al
sacerdote, il quale mette paura con la visione dell’inferno, e getta fuori del chiuso castello, protetto dagli arcangeli, i peccatori nelle mani dei diavoli.” 2)
Papa Francesco
La religione sognata (e, per quanto fu possibile, promossa) da Capitini è un’esperienza che può scaturire soltanto dalla libera ricerca, sempre rispettosa delle opinioni individuali, dalla “voce della ragione nella coscienza”, che rigetta radicalmente ogni apparato ecclesiastico, che vuole creare liberamente amore nell’animo di tutti verso tutti, rifiutando ciò che allontana, divide e contrappone, alimentando un intimo sentimento di unione con tutto ciò che vive, anche con gli animali, anche con gli stessi morti, sentiti vicini “nel bene che facciamo” 3), parte inscindibile di una “compresenza crescente” 4), che ci rende impossibile accettare che “la morte chiuda l’essere” e risucchi veramente tutto nel nulla.
Una religione che aspira alla “liberazione di tutti” dal “peccato”, dal “dolore”, dalla “morte”, combattendo tutte le chiusure che si nutrono di odio e indifferenza e che ragionano nell’ottica dell’ ”io mi salverò e tu no”. 5)
Una religione aperta che non dovrebbe mai essere semplice “adattarsi, più o meno volentieri, al fatto che vi siano altri che pensino e agiscano differentemente”, una vera e propria “gioia per la presenza degli altri” sorretta dal sentimento sincero della compartecipazione di tutti ad “un’unità e un destino comune”. 6)
Per Capitini tutto ciò che rifiuta rapporti e che tende ad accartocciarsi su di sé è destinato ad autoannullarsi. La vita ci richiede continue e necessarie aperture: a vari livelli, in innumerevoli diverse modalità, tutto è chiamato ad aprirsi, a correlarsi, ad interagire in maniera scambievolmente costruttiva. “Apertura - dice il filosofo perugino - è vita, è maggiore vita, è migliore vita” 7). E la vita non dovrebbe essere percepita negli angusti confini di quello che Schopenhauer chiama “principium individuationis”, ma come una tensione bergsonianamente intesa verso un “oltre” che trascenda perennemente i limiti della realtà attuale.
La cosa più bella della concezione capitiniana di religione aperta è la sua commossa e commovente convinzione che un mondo come quello in cui siamo gettati, sia per quanto riguarda le cosiddette leggi della natura (selezione del più forte, “pesce grosso mangia pesce piccolo”, ecc.), sia per quanto riguarda il vivere dell’uomo insieme agli altri (con tutte le incalcolabili violenze ed ingiustizie), non meriti di continuare ad esistere, non potendo degnamente ambire alla eternizzazione di sé. L’animo autenticamente religioso non può non vedere la realtà presente come qualcosa di provvisorio, come qualcosa, cioè, di destinato ad essere trasformato, ad essere trasceso. Religione aperta è, quindi, prima di ogni altra cosa, desiderio, volontà, capacità di rifiutare quanto attacca l’unità del Tutto e cerca di sottrarsi alla unificante potenza cosmica dell’Amore. E’ ribellione al male e a tutto ciò che semina dolore. E’ schierarsi sempre dalla parte degli sconfitti, dei sofferenti, degli esclusi, in vista di altri mondi possibili. E’ cercare di costruire “una società senza classi, fondandone religiosamente sia le motivazioni sia il metodo di avvicinamento, nonviolento, amorevole anche verso i ricchi, anche verso gli oppressori, ma non in quanto ricchi e oppressori, bensì in quanto esseri umani, peccatori, da amare non accettando però il loro peccato, e con la fermissima apertura che essi stessi, prima o poi, si avvedranno del loro peccato, aiutati in ciò da una lotta che usa un metodo puro, amorevole, di sacrificio, facente appello alla comune e intima realtà di tutti, e alla speranza di una realtà liberata di cui siamo partecipi tutti, quale che sia stato il passato di ciascuno.” 8)
Quando Capitini elaborava e generosamente divulgava le sue tesi, la Chiesa di allora (anni ’50 dello scorso secolo) lo trattava - assai comprensibilmente - come un pericoloso nemico, meritevole delle più severe rampogne e deprecazioni. Il suo Religione aperta (1955), senza alcun dubbio una delle opere più interessanti dell’ intero panorama filosofico novecentesco, venne messo prontamente all’Indice da Pio XII, e il decreto - come lo stesso filosofo tenne a ricordare con amara ironia - uscì “proprio nel giorno anniversario 1956 della Conciliazione tra il Vaticano e il Governo fascista” 9).
Ma i tempi, si sa, cambiano. A volte, fortunatamente e alquanto inaspettatamente, anche in meglio. E il papa venuto da molto lontano, che, non certo per caso, ha scelto di chiamarsi Francesco, ora ci parla di una Chiesa “chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre”, di una Chiesa che “non è una dogana” bensì “la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” 10), e dichiara di considerare anche coloro che non si riconoscono in alcuna tradizione religiosa, ma che sinceramente ricercano verità, bontà e bellezza, “come preziosi alleati nell’impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato”. 11)
Piace pensare che un papa così, che, oltre a ravvivare e sviluppare la svolta epocale di Giovanni XXIII 12), sembra voler far risorgere il sogno tragicamente naufragato di Celestino V, che non perde occasione per insegnare che la misericordia è, nella Sacra Scrittura, “la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi” 13), che l”’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia” 14), che tale virtù è “il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore” 15) e che la misericordia del Padre “non ha confini” 16) e “dura in eterno” 17), se avesse la ventura di imbattersi negli scritti capitiniani (nel caso non gli fossero già di occulta ispirazione), potrebbe anche, senza troppe esitazioni (e scandalizzando non pochi alti prelati), citarli nei suoi appassionati discorsi e nelle sue splendide encicliche.
E piace anche molto immaginare che il mite e pugnace filosofo della nonviolenza, di fronte a tante affermazioni di papa Francesco, in merito alla “pienezza del perdono di Dio” (a cui nessuno potrà mai porre un limite) e alla sua misericordia che “sarà sempre più grande di ogni peccato” 18), si sarebbe trovato festosamente in sintonia, e che, magari, gli sarebbe corso incontro, offrendogli in dono un irenico affratellante abbraccio …
NOTE
- Aldo Capitini, Religione aperta, Editori Laterza, Bari 2011, p, 11.
- Ibidem, p. 19.
- Ib. p. 21.
- Ib. p. 10.
- Ib. p. 16.
- Ivi.
- Ib. p. 8
- Ib. pp. 44-5
- Aldo Capitini, Discuto la religione di Pio XII, edizioni dell’asino, Roma 2013, pp. 19-20.
- Evangelii gaudium, 47.
- Ivi.
- In apertura di Concilio, papa Giovanni XXIII volle contrapporre nuova a vecchia strategia della Chiesa: “la medicina della misericordia” alle “armi del rigore”.
- 13)Misericordiae vultus,
- 14)Ibidem, 10.
- 15)Ib, 11.
- 16)Ib, 26.
- 17)Ib, 32.
- 18)Ib, 3.
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