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Malefica: trasformare la rabbia femminile – di Maura Gancitano

Malefica è la fata cattiva. È arrabbiata perché non è stata invitata al battesimo di Aurora, la figlia del Re, e per vendicarsi scaglia la sua maledizione sulla bambina appena nata. Questo ci racconta la fiaba della Bella Addormentata. Ma dove nasce questa rabbia? Il personaggio di Malefica merita che la storia venga raccontata dal suo punto di vista.

La rabbia di Malefica è antica, come ci racconta l'autrice, Maura Gancitano, una rabbia che muove dal dolore e dalla sconfitta del femminino sacro.

Il film Maleficent, uscito sul grande schermo nel 2014 (regia di Robert Stromberg e sceneggiatura di Linda Woolverton) ripercorre la storia della fata Regina della Brughiera, una fata felice che cura gli alberi spezzati, scherza, vola con le sue ali. Possiede le ali, come ogni fata, ma ha anche corna e unghie, che la rendono un trickster, una creatura di confine,un po' fata, un po' donna, un po' bestia, e come ogni figura limite non può che portare ad un'iniziazione, ad un cambiamento.

Prima di diventare cattiva, Malefica era un' Artemide completa nel suo habitat, finché non incontra Stefano, (il cui nome significa “Corona”) ragazzo che ambisce al castello, al potere, al regno. Malefica mostra a Stefano le meraviglie della Brughiera, territorio selvaggio mai esplorato, del quale gli uomini avevano timore.

Oggi è Malefica chi non accetta di appiattirsi, di aderire a un'immagine ad una dimensione, di obbedire e ascoltare. Chi non segue le norme, il quieto vivere,gli schemi. Chi accetta di vivere in autonomia, senza appoggiarsi a qualcun altro, imparando a fare ciò che ancora non sa fare, andando oltre i propri limiti, in piena libertà.

Stefano e Malefica si baciano, quel bacio per lei è il dono totale di se stessa, per Stefano, invece, è l'inizio della fuga da ciò che quel bacio-spiraglio gli aveva mostrato.

Stefano addormenta Malefica, la inganna, le strappa le ali, simbolo del movimento, della libertà. Agisce per la corona, per non indossarla solo nel nome.

La sconfitta, il tradimento, la rabbia avvicina Malefica a Lilith, prima compagna di Adamo, la quale aveva chiesto parità e accettazione, a Medea, tradita da Giasone, alla sumera Inanna, che vede il compagno Dumuzi salire al trono durante la sua assenza per incontrare (integrare) la sorella oscura. Un incontro, quello tra maschile e femminile che da un certo momento in poi è diventato paura, asservimento, rabbia, sconfitta.

Come fare per tornare a volare? Occorre riprendere possesso di sé, del proprio potere personale. Quel potere che ha fatto tanta paura a Stefano (patriarcato/Chiesa/società) tanto da portarlo a tradire Malefica.

Uno dei passi è quello di recuperare l'istinto naturale dell'aggressività che è stato soffocato dalla donna per riemergere e canalizzarsi in nevrosi (come afferma Marina Valcarenghi nel libro “L'aggressività femminile”), un istinto represso che porta, spesso, le donne carcerate a farsi a loro volta carceriere di altre donne, affermando la stessa logica di dominio patriarcale.

Perché manca un ordine simbolico al quale far riferimento, un ordine simbolico che necessita di essere creato.

E questo è il messaggio finale del libro (e del film): un’ unica terra, una nuova “Aurora” che integri i due mondi, femminile e maschile, Animus e Anima.

Dopo aver sciolto la rabbia ed essere diventate Regine, abbiamo il dovere di aiutare l'uomo nel suo cambiamento, senza allontanarlo e senza svilirlo. Si tratta di qualcosa ancora in embrione, che non tutti gli uomini sono pronti a fare. Ma è una trasformazione in atto, quasi una speciazione.

 

Maura Gancitano

Malefica: trasformare la rabbia femminile
Edizioni Arte di essere, 2015

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