L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Theatre and cinema (141)

 

 

Riccardo Massaro
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July 28, 2022

 

Una narrazione ironica e autobiografica di questo simpatico e schietto artista, che a quarant’anni tira le somme sulla sua vita parlandoci della propria omosessualità, delle esperienze, della nascita e delle lotte del movimento gay e di liberazione sessuale.

L’Off Off è un bel teatro al centro di Roma, in via Giulia, una strada storica voluta da papa Giulio II nel XVI secolo; ancora oggi questa zona conserva il suo fascino storico. Tra suntuosi palazzi e caratteristici vicoli romani troviamo questo incantevole teatro, che non stona assolutamente in questa cornice.

Stasera l’Off Off è piuttosto affollato, evidentemente l’esibizione di Serafino ha attirato molto pubblico, soprattutto quello della comunità gay romana.

Un grande schermo in fondo al palco è pronto per proiettare immagini a supporto dello spettacolo. Ci appariranno foto e spezzoni di filmati di feste, scorci di Roma, ma soprattutto fotogrammi che immortalano un Serafino istrionico e trasformista, impegnato ad impersonare personaggi noti o inventati, tutti sempre ammiccanti e provocatori. Scorrono immagini della Roma degli anni '70 ed ’80, con scorci ormai scomparsi legati al racconto della sua vita gay, fino ad arrivare ai giorni nostri.

La scenografia è volutamente essenziale, scarna per concentrare l’attenzione su Serafino. Espone una bandiera arcobaleno simbolo della pace e sempre presente durante i Gay pride, una sedia con un boa piumato rosa e un paio di scarpe con tacchi piuttosto alti.

Quello di Serafino non è solo un viaggio nella sua vita ma anche in quella della comunità gay, di cui sono raccontate tutte le piccole e grandi conquiste, ma anche e soprattutto le difficoltà nel percorso. Una vera e propria storia sull’omosessualità in Italia. Serafino ci spiega che il termine “batuage” è in verità un francesismo inventato, con il quale si indicano quei posti dove gli omosessuali si incontravano per avere rapporti occasionali. Luoghi piuttosto noti e legati alla storia passata della nostra città come: Monte Caprino alle pendici del Campidoglio, il Circo Massimo, il Colosseo, i giardini intorno alla stazione Termini, ma anche i vespasiani sparsi per Roma; e poi i primi cinema pornografici come il Moderno, il Modernetta e l’Odeon, l' Ambra Jovinelli e i primi locali e campeggi per i gay nati negli anni ’80. Locali famosi come l'Angelo azzurro, l’Alibi, o lo Zanzibar e l’Easy going per le lesbiche, fino ad arrivare al più noto e contemporaneo Mucca Assassina del 2002. Non dimentichiamoci poi del Gender e del Degrado, altri locali cult.

Nei racconti dell’attore non mancano i luoghi di incontro più bucolici come il “Buco” sul litorale di Ostia, così chiamato perché una volta recintato, i gay (e non solo loro) tagliarono le reti per entrarci. Ogni spazio verde della capitale che permetteva un po’ di intimità diveniva luogo di incontri a quattr’occhi. Tutti i luoghi che saranno recintati e chiusi proprio per evitarne la frequentazione notturna e spesso, purtroppo, il degrado in parte dovuto all’incuria dei frequentatori ed in altra buona misura al pregiudizio dei benpensanti. Di certo se fossimo stati più aperti e meno bigotti, gli omosessuali non avrebbero avuto bisogno di cercare spazi come questi per nascondersi dal nostro giudizio…

Ma quello di Serafino non è solo un viaggio nel tempo alle origini dell' omosessualità romana, bensì anche un viaggio storico attraverso i monumenti, gli acquedotti, i parchi, di cui ci svela aneddoti particolari o sconosciuti. Sapevate che una volta l'area del Circo Massimo era un bosco? Venne tagliato per trasformarlo in un parcheggio! Attraverso inserti interessanti come questo, prendono posto altri aneddoti che vanno di pari passo con la storia italiana ed i fatti che ben conosciamo, in cui si insinua il racconto di Serafino che ci svela con ironia ed intelligenza questo spaccato di vita a molti di noi sconosciuto.

Non mancano i riferimenti a fatti di cronaca o alla più triste cronaca nera con gli omicidi di omosessuali o i pestaggi, fino all'arrivo di Mario Mieli e al primo Gay pride con altre piccole e grandi vittorie e conquiste sociali e sessuali.

Serafino ci racconta con la sua innata ilarità di quando prendeva il bus 64, affollato di preti omosessuali, ma anche di quando ha fatto il servizio militare e si è trovato alle dipendenze di un capitano anche lui gay che, prendendolo in simpatia, lo volle come “segretaria” per poi condividere le stravaganti serate tra travestimenti e scatenate feste. Da grande trasformista qual' è, ci dà un assaggio della sua bravura nei panni della sua “foniatra”, che cerca vanamente di correggere la sua voce tendente al falsetto. Irresistibile! È divertentissimo nei suoi racconti, sempre molto espressivo, eclettico; al contempo con dolcezza riesce a far affacciare tra una storia e l’altra una certa nostalgia che lo pervade, dal sapore agro dolce, per quei tempi andati, con l’aggiunta di un retrogusto amaro che svela una certa solitudine di fondo che prova, sempre speranzoso di trovare il principe azzurro. La sua situazione sentimentale attuale però non muta neanche con l’uso della nuova app Grinder, più adatta ai soliti incontri mordi e fuggi che a trovare l’anima gemella.

Serafino è bravissimo ad interagire con il pubblico, sa improvvisare e tenere testa ad ogni imprevisto tecnico, sa bene come scherzare con se stesso ed esternarlo, è bravissimo ad ironizzare sulla sua vita privata e pubblica senza essere mai volgare o triviale nonostante l’argomento trattato ben si presti a battutacce. Non fa scivoloni di cattivo gusto, tutt’altro, ci porta con sé per mano attraverso questi quarant’anni che ha vissuto, in un mondo che almeno io non conoscevo e che ogni eterosessuale sfiora appena o ignora del tutto.

Le mie conclusioni sono che per un eterosessuale la vita probabilmente è più semplice che per un omosessuale. Discriminato, guardato con disprezzo o ilarità, ritenuto un untore e portatore di AIDS e spesso neanche in grado di potersi dichiarare come tale davanti alla propria famiglia e costretto a vivere così nell’anonimato la sua sessualità. Alla fine lo spettacolo di Serafino è anche un forte messaggio di condanna verso un mondo che non accetta l’omosessualità e che la discrimina. Un racconto pieno di ricordi piacevoli, spezzato dall’inserzione di eventi tristi e che dunque risulta sempre ben bilanciato con alti e bassi che lo armonizzano senza mai eccedere. Uno spettacolo adatto a tutti, soprattutto a chi vuole curiosare nel mondo dell’omosessualità per saperne di più. Consiglierei loro una particolare attenzione a tutta una serie di neologismi o abbreviazioni specifiche inerenti l’orientamento sessuale in questa giungla di gusti disparati e ai più sconosciuti. Di fondo Serafino si mette a nudo davanti a noi toccando argomenti che per un pubblico omosessuale sono il pane quotidiano.

Io ne esco sicuramente con una visione differente, più ricco non solo di nuove informazioni, ma anche di nuove emozioni attraverso le quali ho capito più a fondo la loro difficoltà di vivere una vita serena. Serafino la racconta in maniera personale ed originale, esaltando e sottolineando quanto sia stravagante, fuori gli schemi, border line, provocatoria, eccessiva, irriverente, sfrenata, disinibita, chiassosa; ma anche goliardica, divertente, spontanea. Senza dimenticare di aggiungere quel tocco di retrogusto amaro in cui riaffiorano l’omofobia, la repressione, la solitudine, il giudizio.

 

 

“Un bacio senza nome” - Cronache di Battuage - di e con Serafino Iorli

In collaborazione con Federica Tuzi (testi) e Luisa Merloni (regia)

Montaggio video di Lucia Pirozzi, musiche di Ugo Malatacca e Francesca Bianchi

TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (Verso la fine della pandemia?)

Teatro Off Off

 

 

 

July 06, 2022

 

Dopo la spettacolare interpretazione di una serial killer nel suo “14 Woman”, ecco Carmen di nuovo sul palco con un nuovo spettacolo. Stavolta è nei panni di Rosetta, una semplice ed umile bidella di una scuola di Napoli. Il suo dono, o forse la sua dannazione, è quella di ricordare la sua precedente vita, quando era Rosy d’Altavilla, una ragazza di grande talento vocale, riuscita a calcare le scene nazionali ed internazionali. Vive, attualmente con nostalgia, di ricordi, visto che la sua esistenza ora è piuttosto scialba, piatta e soprattutto senza amore; non ha figli né tantomeno un compagno.

 

Il suo tormento, oltre a quello di non calcare più le scene, è per il suo perduto amore, che ricorda ancora molto bene; il suo amato Alfonso che ha perso prima ancora della sua vita passata. Un baratto voluto forse dal destino: la notorietà al posto dell’amore. Sentimento che, anche reincarnandosi come Rosetta, non troverà più.

 

Questa è la sua dannazione, o forse la sua punizione, per aver scelto il successo rompendo un patto, quello che lei cantasse solo ed esclusivamente per il suo amato. Invece, dopo la partenza di lui come militare che rimane all’oscuro di tutto, Rosy raggiunge, seppur con una certa inquietudine e senso di colpa, il successo ed un’ agiatezza economica per lei e la sua famiglia prima sconosciuti.

 

La storia è farcita di brani del repertorio partenopeo accompagnati con musiche suonate dal vivo e cantate dalla stessa Carmen. Canzoni della fine del 1800 e degli inizi del 1900, che avrebbero meritato più successo di quello avuto, ma che sono rimaste a prendere polvere, almeno fino ad oggi. Ora “riesumate”, riprendono vigore riproposte con passione e professionalità.

 

Va sottolineato l’impegno nella ricerca storica di Panetteri in collaborazione con Vanacore nel ritrovare questi brani per poi riproporli con quel gusto e quell’intensità che li ha caratterizzati e che riprendono vita grazie anche alla splendida interpretazione vocale di Carmen. Come in una interminabile colonna sonora, vengono riproposti decine di brani. Un tappeto sonoro che si srotola sotto i passi vellutati di Carmen, che a piedi nudi, con leggiadria, lo percorre portandoci per mano con lei in questa dimensione.

 

I musicisti tessono con cura e delicatezza questo tappeto sonoro, lo fanno quasi in punta dei piedi, sembrano non voler disturbare e con discrezione avvolgono e accarezzano le parole di Carmen, il palco e la platea con leggiadria e un retrogusto dal sapore dolce e malinconico.

 

Questo è un viaggio nelle emozioni, nei sentimenti, nelle sfumature caratteriali di due donne, che poi sono la stessa. Entrambe tenere, dolci e nostalgiche, credono nell’amore che però sfugge loro di mano. Nonostante tutto, la passione è sempre viva in loro e sprizza con vigore attraverso i loro racconti e ricordi.

 

In realtà chi ha una vita difficile è Rosetta, mentre Rosy ha solo qualche rimpianto. Tutto sommato è stata una cantante di successo e ha coronato il suo sogno che aveva sin da bambina. Ma la vita è strana e le cose prendono una piega inaspettata forse non voluta dalla protagonista, che però, combattuta tra quella promessa e il successo, rompe quel giuramento d’amore. Questa è Rosy. Ma Rosetta non è un personaggio arido. Tutt’altro. Un po’ per colmare i suoi vuoti, la sua solitudine, un po’ perché è il suo carattere. Svolgendo il suo lavoro va oltre le sue competenze; con amore e dedizione, oltre alle pulizie della scuola, sa ascoltare i ragazzi, consigliarli, stargli vicino. Diventa dunque un punto di riferimento per questi giovani. Rosy invece è passionale, emotiva, ama l’amore e ancora di più cantare. In questo modo comunica e si libera di quella prigione fatta di vincoli sociali e di tabù spesso immaginari, ma al contempo, rispetto a Rosetta, è inconsapevolmente egocentrica. Rosetta e Rosy sono le due facce di una stessa medaglia.

 

Carmen entra ed esce dai due personaggi presentandoli entrambi con rispetto ed amore. Nei panni di Rosetta comincia a cantare nella scuola liberando quella frustrazione che la lega a questa nuova vita, con la stessa profondità e passione con cui lo avrebbe fatto Rosy.

 

Carmen è molto brava ad esprimere il suo sentimento partenopeo che la contraddistingue, attraverso l’ottima interpretazione di queste canzoni. I brani sono eseguiti con perizia dai due musicisti e la musica si fonde come in un passionale abbraccio con la soave voce di Carmen, lasciando tutto intorno a sé i sapori e le fragranze campane, e portandoci indietro a quel tempo, in questo viaggio sì nostalgico, ma ricco di emozioni, a conoscere i destini e le vite di queste due donne a cui forse la vita non ha dato tutto quello che meritavano. Due destini intrecciati di due entità distinte, o forse uno unico di un’entità con un duplice aspetto che ha la fortuna di trovarsi davanti ad una nuova occasione. Rosy rivive in Rosetta; Dio, il destino, il karma chissà, le donano un’altra possibilità…

 

Serata più che positiva, Carmen davvero brava in questi ruoli, si veste e si sveste dai suoi personaggi con destrezza, regalando una grande storia e un grande spettacolo.

 

Ricordo che quando vidi lo spettacolo la prima volta, il pubblico educatamente trovava spazio timidamente per applaudire tra un brano e l’altro, con il timore di interrompere la storia raccontata o di infrangere l’aura magica che Carmen  creava. Con discrezione ogni applauso si infilava tra una pausa e l’altra della recitazione, manifestando così il caloroso assenso allo spettacolo.

 

Apprezzabile anche il libro “La vera storia di Rosy d’Altavilla” di Vanacore, molto utile per rivivere li spettacolo, o per chi magari si fosse fatto sfuggire qualcosa, o volesse entrare nel dettaglio di alcuni passaggi.

 

 

“Rosy d’Altavilla”   -L’amore oltre il tempo- 

Giardini della Filarmonica 

8 luglio 2022 

con Carmen Di Marzo 

Testo e regia di Paolo Vanacore, musiche originali di Alessandro Panatteri 

Al pianoforte Alessandro Panatteri, al flauto Fabio Angelo Colajanni

 

July 05, 2022

 

Prende vita la storia di Regina ed Anna, due attrici non proprio fortunate, che senza saperlo hanno la stessa idea: decidere di scomparire, per farsi ritrovare da uno di quei programmi televisivi noti per ricercare le persone. Tutto nella speranza che questo regali loro quella fama che finora non hanno ottenuto. Entrambe, rivali nel mondo dello spettacolo, si ritrovano a nascondersi nello stesso teatro abbandonato, in attesa che l’attenzione pubblica si accorga di loro. Saranno costrette a convivere nell’attesa degli eventi. Inevitabile che si riaffacci la loro rivalità sopita. Tra battute sarcastiche reciproche e accapigliamenti vari, questa esperienza a stretto contatto le porterà a conoscersi meglio ed a scoprire che tutto sommato non sono così spiacevoli, diverse e distanti tra loro.

 

Uno spettacolo scritto da Marina e da Flavia durante il lockdown e che oggi porta i suoi meritati frutti. Applausi e risate sono scontati; i due personaggi sono teneri, divertenti, ma soprattutto veri e sinceri; combattono per la loro notorietà, ma anche contro il tempo tiranno che cerca di relegarle nel dimenticatoio. È incredibile come da subito ci si affezioni sia alla storia che ai personaggi. Si ride e si riflette, mentre non mancano i momenti toccanti di sublime interpretazione drammatica. Momenti che vanno addirittura a scomodare magistralmente brani di Pirandello e Checov.

 

Marina, una superstiziosa verace napoletana, schietta e diretta; Flavia più pomposa, strutturata ed altezzosa. Al primo impatto entrambe sembrano essere solo boriose e presuntuose, ma già dai primi “scontri” rivelano subito il loro carattere irresistibilmente genuino. Le divertenti battute sono solo un accento che serve a scandire le nostre risate, perché in realtà si ride sempre grazie alla loro naturale schiettezza, alla spontaneità e al clima di piacevole simpatia che instaurano. I momenti più toccanti e profondi sono perfettamente inseriti tra quelli più leggeri e creano efficaci pause riflessive. Dietro a questa storia c’è la vita pulsante, quella vera, fatta di drammi, di sfortune, di occasioni mancate, che queste due brave attrici riescono a trasmettere commuovendo, portando con tatto e delicatezza alla profonda morale, che gradualmente arriva al pubblico tra una risata e l’altra, grazie alla loro ironia, alla maestria e alla sublime interpretazione. La forza irresistibile dello spettacolo è riuscire a proporre una storia realistica addolcita da un efficace umorismo, che edulcora i tristi retroscena delle due attrici che stanno “tramontando”. Tutto con classe e ironia ed un’ottima recitazione. Flavia e Marina insieme sono irresistibili, riempiono la storia come il palco, dov’è ricostruito un realistico teatro in ristrutturazione. Trascinanti, emozionanti, divertenti, profonde. Sono un binomio vincente! Ben lontane da quel “tramonto” in cui si trovano le due attrici che interpretano. Marina e Flavia sono invece l’emblema di un’ardente e raggiante alba estiva dagli splendidi e sgargianti colori!

 

Importante e non secondario è il lavoro della regia di Francesca La Scala con il suo magistrale e concreto apporto per la riuscita dello spettacolo.

 

Per una serata all’insegna del buon teatro.

 

“Qua siamo” di e con Marina Vitolo e Flavia di Domenico

Regia di Francesca La Scala

Teatro Marconi Rassegna estiva

 7 Luglio 2022

May 11, 2022

Le ragioni di un docu-film indipendente, che farà parlare di sé. 

 

 

Perché la nostra compagnia di bandiera Alitalia è fallita tragicamente più di una volta? C’è ancora qualcosa di” non detto” che si nasconde dietro uno dei più grandi fallimenti industriali italiani? Perché quella che era considerata una delle migliori sette compagnie al mondo, asset strategico di un paese che dagli anni ’50 in poi ha esportato il “Made in Italy” a livello internazionale, è stata fatta fallire così miseramente?

 

Queste sono alcune delle domande che il docu-film prodotto dall’Associazione Culturale Ticto, da Alessandro Tartaglia Polcini, in collaborazione con Own Air e con il sostegno e il patrocino del Comune di Fiumicino, ha sollevato. Ed ha tracciato un percorso: nascita e vita luminosa e poi decadente di Alitalia fino alla sua morte. Dal 1946 al 2021. Settantacinque anni di storia in tutto.

 

I narratori di eccezione che ripercorrono questo viaggio sono Gianni Dragoni, giornalista e notista de Il Sole 24 ore che sempre ha scritto e trattato di Alitalia e Fabrizio Tomaselli, ex sindacalista storico della compagnia. Insieme  a loro, ci sono contributi e interviste a esperti del settore come Andrea Giuricin, Ugo Arrigo, Paolo Maddalena, Gianni Rossi, ed ex dipendenti, come Antonio Chialastri, che forniscono numeri, date, nomi, immagini e volti.  

 

La storia di Alitalia, è una storia unica nel suo genere. Papi, Presidenti, uomini della cultura, star di Hollywood, attori del cinema italiano e Vip hanno salito le scalette degli aerei della nostra compagnia di bandiera. E insieme a loro, tutti quegli italiani che hanno volato con il tricolore nel mondo per rientrare a casa, per lavoro oppure per andare in vacanza.

 

E’ stata  “simbolo” della nostra italianità come marchio e storia industriale ed umana, per tutti i dipendenti e l’indotto che ha generato (altre imprese e altro capitale umano). Non meritava di finire così.

 

Chiusa per sempre, con un patrimonio enorme, depauperato e sperpero di denari pubblici e di professionalità.

 

Colpita al cuore e uccisa, per incapacità delle scelte manageriali, delle decisioni prese e dettate dalle banche e dai poteri forti, che andavano sempre in senso opposto all’ “eticamente giusto” e alle ragioni economiche del profitto e della crescita.

 

Come quando venivano scelti dei commissari che nulla avevano a che vedere  con l’industria aerea e con il risultato di aver bruciato miliardi di euro dei contribuenti italiani. Dragoni racconta di uno dei commissari scelti tra i tanti, come  Enrico Laghi, con CV incredibilmente dettagliato e lungo ma con attività di consulenza in 24 aziende italiane contemporaneamente ad Alitalia, per cui avrebbe dovuto occuparsi di ognuna di loro, ed una per volta, per ogni giorno del mese.

 

“ Non so se abbiamo l’assassino, però, anche i cialtroni fanno i morti, mica solo gli assassini. Anzi i cialtroni poi nemmeno si pentono”. Questa è una delle “verità assolute” a cui si arriva alla fine di questo viaggio. Anche se in questa vicenda di assoluto sembra esserci poco. Se non, il fallimento, i licenziamenti, i bilanci in rosso. 13 miliardi di denaro pubblico bruciati in 47 anni.

 Alessandro Tartaglia Polcini

Senza aggiungere le ricapitalizzazioni: dal 2008 al 2014 altri 4,1 miliardi di euro, nel 2008 un prestito di 300 milioni, e i successivi contributi dei governi che preferivano posticipare e non affrontare la “bomba Alitalia” per altri circa 7,4 miliardi di euro fino al 2015-2017. Quando entrarono in azionariato gli arabi di Etihad. Da lì, la seconda amministrazione straordinaria e il referendum dei dipendenti che bocciarono la ricapitalizzazione e il salvataggio da 2 milardi e che prevedeva 1000 esuberi. Uscita di scena la compagnia araba, il governo elargì altri 900 milioni di euro-mai restituiti- a cui si aggiungono i 13 miliardi di saldo finale aggiunti dal governo dal 2017 in poi. Fino alla chiusura.

 

La trama del film che fa la cornice a questo racconto è molto televisiva. Quattro giovani sceneggiatori che devono scrivere un docu- film sulla chiusura di Alitalia per far luce sui personaggi che hanno portato al disfacimento della compagnia. Hanno a disposizione entusiasmo, coraggio dalla loro e la capacità di analisi e di racconto degli esperti che fanno loro da guida: Dragoni e Tomaselli. Una lavagna che hanno in ufficio rappresenta il loro campo di battaglia: lì scriveranno ricerche, dati, nomi, incroceranno tabelle e cartine geografiche con rotte, passeggeri trasportati, numeri… Scoprono tra le tante fonti a disposizione, reperti, foto e video, le battaglie dei dipendenti al loro interno, le storie di licenziamento, i drammi personali e familiari, le storie di molti di noi.

 

11.000 sono i lavoratori licenziati in totale: il più grande licenziamento di massa mai avvenuto nella storia della Repubblica italiana.

 

 

 

SCHEDA

 

Titolo:                            “NOI SIAMO ALITALIA - Storia di un paese che non sa più volare”

Ideato:                           Alessandro Tartaglia Polcini

Prodotto:                       Associazione Culturale Ticto, OWN AIR e Alessandro Tartaglia Polcini

Soggetto e sceneggiatura:

Filippo Soldi, Maria Teresa Venditti, Annamaria Sorbo, Alessandro Tartaglia Polcini

Regia:                            Filippo Soldi

Direttore della fotografia:     Giuseppe Pignone

Montaggio:                              Marco Rizzo

Autore delle Musiche: Alessandro Michisanti

Genere:                documentario

Formato di ripresa:                Sony Raw XOCN-HQ

Formato di proiezione:          16: 9

Durata:                          54’ e 75' (2 versioni – una televisiva, una a destinazione

festivaliera/cinema)

Lingua originale:          italiano - sottotitoli: francese e inglese

Località:                         Italia

Data di consegna:         maggio 2022

 

Con il sostegno e il Patrocinio del Comune di Fiumicino.

Il film sarà considerato un'opera d'arte, protetto dalla legge sul diritto d'autore e dalle convenzioni internazionali applicabili.

 

 

 

 

August 01, 2021

 

 

Intervista alla cantante lirica nonchè maestra di yoga Irene Rinaldi  

 

 

video sull'artista

per saperne di più: www.hamsa.it

August 27, 2020

A Roma fino al 20 settembre all’Ara Pacis

 

 

C’era una volta Sergio Leone: è il titolo evocativo della grande mostra all’Ara Pacis con cui si celebra, a 30 anni dalla morte e a 90 dalla sua nascita, uno dei miti assoluti del cinema italiano e internazionale. Il percorso espositivo racconta di un universo sconfinato, quello di Sergio Leone, che affonda le radici nella sua stessa tradizione familiare: il padre, regista nell’epoca d’oro del muto italiano, sceglierà lo pseudonimo di Roberto Roberti, e a lui Sergio strizzerà l’occhio firmando a sua volta “Per un pugno di dollari” con lo pseudonimo anglofono di Bob Robertson. Nel corso della mostra un interessante viaggio attraverso l'immaginario creativo di un artista irregolare e rivoluzionario, popolare e sperimentale, capace di rielaborare miti e sogni d'infanzia utilizzando la memoria del cinema e la libertà della fiaba, attraverso il filone cinematografico storico-mitologico, il western, per culminare con “C’era una volta in America” e con un film incompiuto dedicato alla battaglia di Leningrado, del quale rimangono, purtroppo, solo poche pagine scritte prima della sua scomparsa. Leone, infatti, non amava scrivere.

 
 Sergio Leone

Era, piuttosto, un narratore orale che sviluppava i suoi film raccontandoli agli amici, agli sceneggiatori e ai

 
 Federico Fellini con Sergio Leone

produttori ma ciò nonostante il suo lascito è enorme, un’eredità creativa di cui solo oggi si comincia a comprenderne la portata. I suoi film sono, infatti, “la Bibbia” su cui gli studenti di cinema di tutto il mondo imparano il linguaggio cinematografico, mentre molti dei registi contemporanei, da Martin Scorsese a Steven Spielberg, da Francis Ford Coppola a Quentin Tarantino, da George Lucas a John Woo, da Clint Eastwood ad Ang Lee continuano a riconoscerne l’insegnamento e gli spunti creativi ricevuti dal suo stile cinematografico. Visitando la mostra si percepisce chiaramente come il cinema di Sergio Leone affondi le proprie radici nell’amore per i classici del passato, rivelando un gusto per l’architettura e l’arte figurativa che ritroviamo nella costruzione delle scenografie, delle inquadrature e dei campi lunghi dei paesaggi metafisici suggeriti da De Chirico. Grazie ai preziosi materiali d’archivio i visitatori entreranno nello studio del regista, dove nascevano le idee per il suo cinema, con i suoi cimeli personali e la sua libreria, per poi immergersi nei suoi film attraverso modellini,

 
 Ennio Morricone con Sergio Leone

scenografie, bozzetti, costumi, oggetti di scena, sequenze indimenticabili e una costellazione di magnifiche fotografie di Angelo Novi, che ha seguito tutto il lavoro di Sergio Leone a partire da C’era una volta il West. La mostra potrà essere visitata fino al 20 settembre presso lo spazio espositivo del Museo Ara Pacis di Roma. Da non perdere.

 

Per infowww.arapacis.it

 

 

 

February 10, 2020

Un magico viaggio tra sogni, ricordi e fantasie…

 

 

Dopo il debutto in Francia, Italia e Svizzera ritorna a grande richiesta sui palcoscenici europei Arturo Brachetti nel suo coinvolgente one man show SOLO. Un vero e proprio assolo del grande artista, dopo il trionfo dei suoi precedenti spettacoli, L’uomo dai mille volti e Ciak!, applauditi dagli spettatori di tutto il mondo. Un ritorno alle origini per Brachetti che, in questo spettacolo, apre le porte della sua casa, fatta di ricordi e di fantasie; una casa senza luogo e senza tempo dove ognuna delle stanze racconta un aspetto diverso del nostro essere e gli oggetti della vita quotidiana prendono 

vita, conducendoci in mondi straordinari dove il solo limite è la fantasia. È una casa segreta, senza presente, passato e futuro, in cui vengono conservati i sogni e i desideri… Brachetti apre la porta di ogni camera, per scoprire la storia che ne è contenuta e che prende vita sul palcoscenico. Reale e surreale, verità e finzione, magia e realtà: tutto è possibile insieme ad Arturo Brachetti, che mette in scena un varietà surrealista e funambolico, in cui immergersi. Protagonista è il trasformismo, con oltre 60 personaggi, molti ideati appositamente per questo show. Ma in SOLO Brachetti propone anche un viaggio nella sua storia artistica, attraverso le altre discipline in cui eccelle: grandi classici come le ombre cinesi, il mimo e la chapeaugraphie, e sorprendenti novità come la poetica sand painting e il magnetico raggio laser. Il mix tra scenografia tradizionale e videomapping, permette di enfatizzare i particolari e coinvolgere gli spettatori nello show. Dai personaggi dei telefilm celebri a Magritte e alle grandi icone della musica pop, passando per le favole e la lotta con i raggi laser in stile Matrix, Brachetti da vita a 90 minuti di vero spettacolo pensato per tutti. Il Tour prosegue in Italia ed Europa https://brachetti.com/tour-spettacoli/

Per info www.brachetti.com

 

 written by Giovanni Cavaliere

February 04, 2020

Dopo essere stato presentato al Torino Film Festival, uscirà nelle sale il 20 febbraio 2020

“Per cambiare vita non si è mai troppo vecchi” è il leitmotiv del nuovo film di Gianni Di Gregorio (Pranzo di Ferragosto): Lontano Lontano, presentato in prima mondiale nell’ambito della 37° edizione del Torino Film Festival, nella sezione Festa Mobile, uscirà nelle sale il 20 febbraio, distribuito da Parthénos.

Attilio, Giorgetto e il Professore, tre romani sulla settantina, variamente disastrati, un giorno decidono di mollare la vecchia vita di quartiere e andare a vivere all’estero. Ma il quesito è: all’estero dove?

E questa è solo la prima di una lunga serie di questioni da risolvere. Ma i tre non demordono, perché il Professore, in pensione, dopo una vita a insegnare il latino, si annoia moltissimo; Giorgetto, ultima scheggia del popolo di Roma, non riesce ad arrivare a fine mese; e Attilio, robivecchi e fricchettone, vorrebbe rivivere le emozioni dei tanti viaggi fatti in gioventù. Sono tutti decisi a dare una svolta alle loro vite e le buona notizia è che ci riusciranno, anche se forse non nel modo che si aspettavano.

L'idea di questo film nasce da una conversazione con Matteo Garronedichiara Gianni Di Gregorioche conoscendomi profondamente mi stimolò a scrivere di un pensionato povero che è costretto ad andare all'estero per migliorare le sue condizioni di vita. L'idea mi folgorò e dopo tre anni di lavoro sono arrivato a scrivere prima un racconto, pubblicato da Sellerio e poi la sceneggiatura del film. Da questo spunto sono arrivato a parlare di un tema che mi sta molto a cuore: l’istinto buono, quello che abbiamo tutti, certo chi più e chi meno, ma tutti, io credo. Mentre scrivevo queste storie individuali, la realtà delle cose e in questo caso specifico le tragedie in mare legate all'immigrazione, sono entrate prepotentemente nella storia. Ed è nato un nuovo personaggio, il vero viaggiatore dei nostri tempi, incarnato nel nostro film da Abu, un giovane africano arrivato in Italia con un gommone. Ho avuto la fortunacontinua il registadi avere due grandi attori al mio fianco: Giorgio Colangeli ed Ennio Fantastichini. Ennio è stato un uomo e un attore straordinario, che nascondeva dietro la sua spumeggiante leggerezza una grande tensione artistica e morale e ha trasformato il suo personaggio in un archetipo. Per tutti noi che abbiamo fatto questo film è un'enorme assenza”.

Lontano Lontano, interpretato dall’indimenticabile Ennio Fantastichini, insieme a Giorgio Colangeli e Gianni Di Gregorio, con la partecipazione di Galatea Ranzi e Roberto Herlitzka, da una sceneggiatura di Marco Pettenello e Gianni Di Gregorio, è una coproduzione Italo - Francese BIBI FILM - LE PACTE con RAI CINEMA, prodotto da Angelo Barbagallo.

December 18, 2019

C’è chi ha scritto che l’ultimo film di Woody Allen, Un giorno di pioggia a New York sarebbe “un film stupefacente” che “si srotola con la cadenza adorabile di un gatto che fa le fusa(Simona Santoni, https://www.panorama.it/cinema/giorno-pioggia-new-york-woody-allen-recensione/), oppure che, in esso, saremo chiamati a sperimentare l’ incommensurabile gioia di trovare “una sceneggiatura destinata a fare scuola”, con un “cast di giovani, seducenti nuove icone”, nonché, sopra ogni altra cosa, “un cineasta ultraottantenne che ha trovato la formula per un nuovo incanto”, ritornando alle origini “senza ripetere sé stesso” (Marta Zoe Poretti, https://www.lascimmiapensa.com/2019/11/23/un-giorno-di-pioggia-a-new-york-recensione-woody-allen/).

         

 Ecco, in simili circostanze, vorrei poter intingere la penna (o la tastiera) nel curaro e cimentarmi in stroncature di una ferocia schopenhaueriana … Perché fa una tristezza immensa - e anche tanta rabbia - essere costretti a constatare come un regista del calibro di Allen non riesca ancora a capire che il suo voler continuare a produrre film a raffica, senza ispirazione e senza idee, semplicemente appellandosi alla bellezza dei luoghi, alla capacità degli attori e all’eleganza formale, possa sì svolgere una qualche funzione lenitiva nei confronti delle proprie ansie esistenziali, ma non sia certo operazione artisticamente degna, e neppure eticamente onesta nei confronti di quanti lo hanno amato e ancora, nonostante tutto, continuano ad amarlo.

Insomma, di quest’ultimo film, cosa dire?

A voler essere magnanimi (e col vecchio adorato Woody, come non esserlo?), si potrebbe parlare di estrema fragilità del soggetto, di una sceneggiatura inzeppata di una lunga serie di banali luoghi comuni, di personaggi goffi e poco credibili: il tutto sfociante in un film di mesta scialbezza e di mal sopportabile noiosità …

Un film, soprattutto, desolatamente senza una battuta folgorante, senza un sorriso, senza una forte vera emozione …

October 21, 2019

Chi è, veramente, il clown? E cosa vuole rappresentare la figura del clown nella società?E' semplice: il clown siamo proprio noi, il clown cioè è la persona normale, ordinaria, direi, che è costretta a portare una maschera, ogni singolo giorno - fare buon viso a cattivo gioco, si dice - per poter partecipare alla società, al sistema del lavoro, che spesso non si digerisce.Maschera dietro alla quale si nasconde tutta la propria sofferenza, incessante.
Questo appunto, giusto come introduzione alla mia lettura del film Joker.

Joker è senza dubbio un grande film, forse anche una perla rara, cinematografica, (sulla scorta di un “Fight Club” o di uno “Shining”), destinato ad essere rivisto tante volte dagli spettatori, negli anni a seguire.

Di questo ne sono più che certo. Tantissimi altri film, spesso stracolmi fino all'orlo di clichè e pattern, riadoperati mille volte - oggi il cinema, ricordiamolo, qualche rara volta è cultura, spesso solo un bene di consumo - sono scomparsi senza lasciare traccia alcuna, nello spettatore, nella memoria collettiva.

Nonostante venga indicato come un film violento, non è un film di violenza, non è una pellicola, cioè, dove, nonostante un discreto numero di scene in cui la violenza sia presente (alcune anche certamente forti) , è la violenza il cuore o il tema vero e proprio, trattato.

La violenza, nella società di Joker, infatti è semplicemente il pane quotidiano, il caffè per colazione, come lo è, nella nostra società occidentale moderna, la comunicazione di massa, tanto per dirne una. La violenza qui insomma è qualcosa di intestino, di proprio, e di inscindibile dalla società in cui vive e si manifesta.


Volendo, Joker, lo si potrebbe anche considerare un “prequel” di Batman, ma è in realtà un film che si discosta grandemente dalla serie, non solo perché qui Batman non ha praticamente posto (se non uno appena tangenziale); non solo perché non è un film strettamente di azione, ma sopratutto perché qui è il Joker - o meglio la figura dell'uomo che diventerà passo dopo passo il Joker - ad essere totalmente centrale, tanto appunto da lasciare uno spazio marginalissimo al Batman che verrà.

Qui lo si intravede, Batman, nelle vesti di bambino, figlio del miliardario Wayne, e lo si vede ancora nel drammatico evento che lo porterà, nei film/fumetti successivi, a diventare il supereroe: l'assassinio dei genitori, per mano di criminali di strada, sospinti dal “vento del Joker”.

Ma questo non intacca di un centimetro la totale centralità del Joker e della sua storia di vita, che domina appunto il film.

Credo che questo film sottenda agevolmente una serie di tematiche diventate centrali e sempre più “pulsanti” nella nostra società, ragion per cui merita una attenzione speciale, che va oltre l'uomo raccontato e la sua storia.

 

Parlo del ruolo dei deboli, all'interno di una società sempre più lontana dai veri bisogni dell'uomo; dalle concentrazioni di ricchezza e di proprietà privata che fanno il bello e il cattivo tempo sugli interessi pubblici; della rabbia, ovunque serpeggiante fra le classi meno abbienti e gli esclusi, ecc.. Una serie di tematiche che ci mettono davanti allo specchio - lo schermo cinematografico - quella che, con un certo margine di approssimazione, potrà diventare la nostra società, se un certo tipo di globalizzazione continuerà ad essere sostenuta e perpetrata dalla maggioranza.

Passando al protagonista, c'è da dire che quella di Joachim Phoenix, molto più che una interpretazione, è una vera e propria identificazione completa col personaggio, tanto è forte e pervasiva la sua parte, che lo ha costretto a dimagrire di ben venticinque chili, ma che lo ha obbligato, ancor di più, ad avere orrende crisi di risate, auto-soppresse e ricorrenti, nelle immagini. Come appunto quelle di un malato neurologico, vero e proprio, che deve giustificarsi, davanti al prossimo, per il comportamento, mostrando un bigliettino da visita plastificato che ne spiega la condizione patologica.

 

Per concludere, ma ritengo che sarebbe davvero utile ed interessante aprire un dibattito su questo film, cosa può mai dirci, o insegnarci, in fondo, Joker? Forse, che chi si segue, fino in fondo, segue sè stesso, alla fine, per quanti errori possa avere compiuto, per quanto abbia dovuto fare i conti con i propri limiti e la pazzia, sarà comunque destinato a trionfare sulla massa. Oppure, invece, sarà destinato ad una stolida camicia di forza..

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