L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1466)

Free Lance International Press

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  Sacrario italiano

Fiume della Francia settentrionale affluente della Vesle, che si getta a sua volta nell'Aisne, che si getta a sua volta nell Oise che confluisce nella Senna.

Sulle sue rive fu combattuta nel luglio del 1918 una violenta battaglia, alla quale partecipò, accanto alle armate francesi , il II Corpo d'armata italiano agli ordini del generale Albricci.  Per gli italiani il fronte francese significò, in poco più di sei mesi, 5.000 caduti e oltre 4.000 feriti. Oggi superate le poche case di Bligny si sale una collina sulla cui sommità troviamo il Cimitero Militare Italiano che impressiona per la sua grandezza. Al suo ingresso sventola la bandiera italiana, quella francese e quella d’Europa, all’interno un grande viale di cipressi e un piccolo tempio posto al centro di quattro sterminati campi di croci. Sul tempio la dedica: "AI CINQUEMILA SOLDATI ITALIANI MORTI IN TERRA DI FRANCIA".

  Pinot Meunier

Già nel 2016 scrissi: Situata a sud della città di Fismes, la valle dell’Ardre, con i suoi graziosi paesaggi collinari, è piena di vestigie dei tempi trascorsi. Le incantevoli chiese di Courville, Saint-Gilles, Poilly o di Crugny sono tra i monumenti della valle meritevoli di essere visitati ed ammirati per capire che siamo nella Champagne. In una Champagne diversa da quella patinata, meta di milioni di turisti”.

Siamo nella Champagne vera, quella dei contadini, abituati alle cadenze delle stagioni, quella delle cooperative dove ci si unisce per esprimere la propria individualità. Sembra un paradosso ma è proprio così.

Già  l’Ardre, un piccolo fiume che nasce dalla Montagna di Reims, corre verso nord-ovest per poi confluire nella Veisle, il fiume navigabile di Reims. Tutto un sistema idrico che crea quel micro-clima importantissimo ed essenziale per la maturazione delle vigne.  

In “quei serbatoi” d’uva che per alcuni secoli sono stati e continuano ad essere fonte di approvvigionamento per le Grandi Maison. Ricordiamoci che la Vallée de l’Ardre si trova sopra il 49° parallelo e mai come oggi c’è bisogno di frutti acidi per continuare la grande favola della produzione dello Champagne.

La Vallée de l’Ardre, Vallée de la Vesle e il distretto Tardenois, sono definiti nel loro insieme “Petite Montagne de Reims”, circa 2.500 ettari con terreni composti di argille, limo argilloso, sabbie silicee, marne calcaree.

Non troviamo solo vigne ma anche distese di cereali (grano, mais), patate, barbabietole. 

  l'Ardre

Ci troviamo tra il 49° e il 49,5° parallelo Nord. Il clima, di conseguenza è da considerarsi semi-oceanico: fresco, se non freddo, umido d’inverno, mite ma sempre umido d’estate. La maturazione complessa, lenta e talora tardiva rimane dunque un dono prezioso della natura, insostituibile nell’ottica della qualità.

Qui i tre vitigni, Pinot Noir, Chardonnay, Pinot Meunier, quest’ultimo in prevalenza, seguono la tradizione che li vogliono in assemblaggio per attenuare le asperità climatiche.

Tuttavia, da qualche anno si sta facendo spazio una moda che porta a vinificare un solo tipo d’uva e, nella Vallée de l’Ardre, il Pinot Meunier ne è il riferimento.

Sappiamo che un 

 Vallée

tempo la Champagne possedeva numerose varietà d’uva e la vinificazione prevalente era rivolta verso i vini rossi fermi, in concorrenza con la Borgogna. Pochi sanno che si contavano un’ottantina di vitigni che, a seguito della meccanizzazione, industrializzazione e fillossera, le varie cultivar sono state scartate perché meno propizie. Oggi alcune di esse ritrovano spazio, in particolare in questa valle: Arbanne, Petit Meslier, Fromentau, Blanc Vrai.

La Champagne, con i suoi inizi incerti, il suo passato bellico, la complessità dei suoi climi, la sua “aura globale”, invidiata da tutto il mondo vitivinicolo e i suoi fiumi, come l’Ardre, ambasciatori di vino.

 

 

April 07, 2025

April 07, 2025

 

E' Margot Wölk, la donna che a novantacinque anni,  tedesca, rivelerà cosa è capitato a quindici donne (7 nel film) durante il potere di Adolf Hitler. Lei è stata una di quelle quindici assaggiatrici; lei la rivelatrice della  storia  che ha ispirato il romanzo di Rosella Postorino, uscito nel 2018; una storia tutta vera che varrà alla scrittrice il Premio Campiello e il Premio Rapallo Carige. Un inesplorato punto di osservazione dal quale guardare e raccontare la guerra, purtroppo non inesplorato rispetto alla violazione del corpo delle donne.  Dunque, non una trincea scavata nella terra, bensì l'orrore d'una tavola imbandita dove dovranno pranzare e cenare -giorno dopo giorno- rischiando l'avvelenamento, la morte o una lontanissima possibilità di sopravvivenza.

Quindici  donne tedesche, assolutamente, indubbiamente tedesche, studiate e analizzate fino a certificarne il perfetto stato di salute atto ad assaggiare -con assoluta inoppugnabilità- il cibo destinato ad Hitler.  Siamo nel Wolfsschanze, primo quartier generale militare del Fronte Orientale, costruito appositamente per l'operazione denominata "Barbarossa" - il cui scopo era quello di invadere l'Unione Sovietica; siamo nel 1941 e stiamo vivendo l'angoscioso, angosciante  tormento moltiplicato dai sapienti colori della pellicola, dai costumi e da quei sempre piccoli spazi angusti, sempre privi di orizzonti lontani e men che meno vicini; assisteremo al colmarsi di quegli spazi  della rabbia di molti spettatori che vorrebbero abbandonare la visione dell'assurdo pasto e di quegli altrettanto assurdi personaggi maschili, militari tedeschi tanto tronfi quanto buffi, macabri, crudelissimi e miserrimi esecutori dei folli ordini di un Furer che non comparirà mai. Scelta più che mai opportuna, nell'assenza si riesce a misurare verosimilmente la sua follìa e, strano ma vero, anche a misurare la sua ingombrante presenza nella storia dalla quale, come nella pellicola, lo si vorrebbe cancellare.

La miseria d'un omuncolo sopraffatto dalle sue paure, dalle paranoie che riusciva a vincere grazie al velenosissimo sidro del potere assoluto, l'antidoto che funzionava, ma solo parzialmente tant'è che è illuminante il passo con il quale il regista e lo sceneggiatore hanno voluto  denunciarlo: un Hitler che ordina di cercare e catturare tutte le rane possibili e disporle negli acquitrini tutt'attorno al suo nascondiglio perchè è solo il loro gracidare che gli consente di prendere sonno, mentre il silenzio lo uccide. L'attentato subìto, infatti, aveva fatto saltare in aria tutto  e aveva finanche ucciso tutte le rane. E così, dalle 11 alle 12 di ogni giorno, Margot era prelevata dalla casa dei suoceri, o cognati, dove s'era rifugiata quando aveva lasciato Berlino, e portata nella Tana del Lupo. Mai carne fu loro servita, pare che Hitler fosse vegetariano, benchè vi siano altre tesi che sostengono fosse ghiotto di stufato di piccioni. Una storia a tratti allucinante che, peraltro, non finisce con il film. Nella realtà, infatti, accadrà che tutte le altre assaggiatrici saranno trucidate dai soldati sovietici  e Margot, la protagonista del film, catturata a Berlino dai soldati sovietici, sarà violentata ripetutamente per due settimane intere; riporterà ferite tali da non aver mai potuto generare un figlio.

Sebbene i tempi e la narrazione non si armonizzino con il ritmo che la storia merita; la potenza drammatica deve aver schiacciato il regista, provato la sua anima; magnifico è invece il commento musicale che, al contrario, è entrato profondamente nei fatti conferendo pienezza di significato alla storia, esaltandone la potenza e rendendo giustizia all'originale punto di lettura della guerra e del femminile dentro la guerra. Credibilissima l'interpretazione della protagonista, sia nelle scene di solitudine e di assenza del giovane marito, che quando si concede al militare tedesco, anzi meglio: concede a se stessa il rapporto amoroso che ha conosciuto una sola volta con l'amatissimo sposo, che all'epoca dei fatti risultava disperso; si concede alla magnificenza dell'amore dentro una storia di crudezza e disumanità, forse sperando anche di salvare l'alto ufficiale, redimerlo dai peccati che le confessa, aveva ucciso a sangue freddo tanti bambini e ucciderà ancora, anche una delle quindici donne allorchè un'altra delle assaggiatrici, invasata di Hitler, forse anche incaricata di spionaggio, scoprirà che Alfride, in verità, nascondeva un'altra identità, era ebrea, e lo rivelerà ai militari.

Nella vita vera, nel 1946, Margot ritroverà il marito e vivranno insieme, a Berlino; il marito morirà nel 1980. Ancora una volta sono le donne e i loro corpi a pagare le ragioni della vita e della morte decisa dagli uomini, le donne e i loro corpi a pagare le assurde ragioni di tutte le guerre. Storia vieppiù terribile, questa, in cui Hitler non ha scelto donne ebree o zingare o lesbiche, ma donne sane e tedesche! Non che quelle valessero meno, ma per dire quanto valore avesse per lui la vita anche di appartenenti a quella razza che considerava eletta, la più e unica a meritare considerazione. Margot Wölk rivelerà tutto quanto solo al compimento del suo 95esimo compleanno, al giornalista del Berliner Zeitung. Confesserà anche quanto il cibo sia stato per moltissimo tempo solo metafora di paura e morte e che occorreranno  decenni per tornare ad essere nuovamente gioia e ritorno alla vita. Inutile chiedersi quanto un regime possa farsi scudo con uomini... quanto con donne le cui vite valgono niente di più che un cucchiaio di minestra... e quanto diritto si sia negato e si neghi alle donne di essere nella storia...ciò pesa come un macigno sull'anima!  Penso a quanto debba essere stato assurdo quel primo giorno in cui quelle  donne, non conoscendo la ragione per la quale erano state sottratte alla vita familiare, realtà in cui tutti -chi più chi meno- stentavano a poter disporre di pasti, mentre,  a loro, senza una ragione plausibile, veniva offerto un ottimo cibo, che avrebbero voluto vomitare appena dopo aver appreso la "ragione".

Il cibo, prezioso per la vita, era la mitragliata destinata alla  loro dignità e alla loro vita! Una sola delle quindici donne era invasata, aveva la ragione spenta e mangiava quel cibo con l'avidità di colei che si gloriava tal quale fosse un atto eroico, salvare la vita del suo idolo! Una sola la figura maschile accudente, semplice, gentile, quel cognato o padre presso cui Margot s'era rifugiata. Un film che cade a proposito in questi tempi insanguinati, un film che accende la rabbia e ingigantisce la consapevolezza di quanto, alla fine, tutta la violenza e lo strapotere della storia, anche recente, non abbia insegnato, nè abbia disinnescato la voracità di coloro che ora per un territorio, ora per terre rare, ora per il petrolio o per qualcosa d'altro... schiacciano bambini, donne...uomini inermi che hanno solo la vita e alcun altro interesse ... e distruggono territori sui quali, un giorno dopo l'altro,  tanti uomini hanno creato la magnificenza delle opere d'arte e dell'ingegno, hanno creato bellezza sulla quale rovesciare macerie. 

 

April 04, 2025

 

A causa di un vecchio litigio mai risolto, ma anche per forti incompatibilità caratteriali fin dall’adolescenza, i fratellastri Lisandro (Alessandro) e Demetrio (Maurizio) non si frequentano più da anni. Ma un giorno il padre morente li convoca perché prima del trapasso vorrebbe rivederli riappacificati. Se i due non troveranno il modo di andare d'accordo, minaccia di dissipare tutto il suo patrimonio lasciandoli senza eredità.

Il testamento prevede che i due debbano vivere insieme e dimostrare di sapersi lasciare alle spalle i conflitti passati e ricongiungersi da buoni fratelli. Per aiutarli, dovranno affrontare delle prove che li obbligheranno a collaborare e ad avere una certa intimità. 

Le prove saranno indicate da Elena (Lorenza), un’affascinante notaia incaricata per questo singolare compito. Ai tre personaggi si aggiunge Barbara (Patrizia), la compagna di Demetrio, assai gelosa e possessiva, dal carattere dominante ed autoritario, che schiaccia letteralmente il dolce e remissivo compagno. Le scene dei loro incontri sono esilaranti.

Il titolo “Scioglilingua” della commedia racchiude il succo di questa movimentata e divertente proposta, che oltre ad avere una forte impronta comica, inserisce nella elementi romantici ed una ricca dose di dolcezza. I due intanto saranno videosorvegliati nella casa perché la notaia possa controllarne i progressi e riferirli al padre. Ma mentre il gretto Lisandro è ben disposto a fare questo percorso soprattutto per ottenere la sua parte di eredità, per la sua superficialità non si rende conto della fatica a riallacciare i rapporti da parte di Demetrio, che ha ancora le ferite doloranti per i comportamenti subiti negli anni dal fratello sciatto, facilone e rozzo.

Nonostante la mancanza di tatto di cui è palesemente privo, pian piano riesce però a tirare fuori il suo lato migliore anche grazie a particolari situazioni inserite nella pièce. Situazioni che faranno emergere sia i difetti che le virtù di entrambi. Il testo presenta così diverse occasioni per un continuo crescendo nel rapporto affettivo e la giusta collaborazione per il raggiungimento dell’obiettivo, il tutto attraverso momenti particolarmente  ironici, divertenti o esilaranti e alle capacità recitative di tutto il cast.

La scena in cui Lisandro aiuta Demetrio a corteggiare la bella notaia con un escamotage che ricorda Cyrano De Bergerac, quando attraverso Cristiano corteggia l’amata Rossana, ma con l’approccio di Gigi Proietti in quella memorabile scenetta del Conte Duval, quando non conoscendo la parte si ritrova sul palco, prendendo fischi per fiaschi i suggerimenti del collega attore scatena l’ilarità del pubblico. Ecco anche questa scena è particolarmente esilarante.

Godrete poi di altri espedienti divertenti che Lisandro metterà in atto per tenere lontano la minacciosa fidanzata dominatrice del fratello.

Altra divertentissima scena è  quella in cui il povero Demetrio viene quasi violentato da Barbara. In tutto lo sketch i due non sono presenti sul palco, ma fanno intuire attraverso rumori fuori scena ed esclamazioni cosa accade nel retroscena, mentre sul palco ci diletteremo con le inequivocabili e spassose espressioni di Lisandro.

Da evidenziare anche la prova di recitazione per accontentare il padre, grande appassionato di Shakespeare… immaginate Maurizio ed Alessandro alle prese con una discutibile quanto esilarante interpretazione di “Romeo e Giulietta”…

 

Il cast

Maurizio ed Alessandro lavorano insieme da sempre, affiatati e rodati, sono una coppia di artisti che sa come divertire il pubblico e coinvolgerlo. Alessandro, più sfrontato e diretto, veste un personaggio schietto e poco colto che resta comicamente perplesso davanti alle parole forbite del fratello e alle sue esternazioni da uomo di cultura. È uno che si arrangia per tirare a campare. Esuberante e tronfio, si esprime con battute semplici ma dirette ed efficaci.

Maurizio presenta un personaggio docile e remissivo, una vittima della vita e di chi lo circonda. La voce tremolante ed insicura come gli atteggiamenti impacciati cozzano con quelli più sicuri ma poco accorti di Alessandro. Insieme formano una bella coppia sulla scena.

Lorenza è l’affascinante e dolcissima notaia. Sicura di sé e disinvolta, svicola dalle petulanti attenzioni del grande amatore Alessandro con charme, rimanendo ammaliata dalla semplicità e docilità di Maurizio. Dapprima professionale e distaccata, muta il suo approccio con classe inserendosi sempre più tra i due.

Patrizia ha una voce inconfondibile che adoro; è molto personale e la usa per dar vita a un personaggio in bilico tra il grottesco e il comico, ma che mostra anche il suo lato profondo. Rude e rigida, ha un atteggiamento da dominatrice antipatica e prepotente che nel corso della storia, attraverso una ponderata recitazione, svelerà una personalità profonda e gradevole.

Questo è uno dei punti di forza della commedia: saper svelare i retroscena di ogni personaggio rendendolo comico nella sua indiscutibile umanità. Piacevoli ed amabili, tutti si muovono su una trama semplice ma efficace che porta ad un lieto fine ma dai risvolti inaspettati.

 

Teatro Golden 

Lui che bacia lei che non bacia lui che bacia lei 

di Massimo Natale e Ennio Speranza 

regia di Massimo Natale 

Con Maurizio Paniconi, Alessandro Tirocchi, Lorenza Giacometti, Patrizia Casagrande

produzione Goldenstar AM srl

 

 

 

 

March 30, 2025

                                                                                                   

 Alfredo Savini, Accompagnando le reti, 1904, olio
su tela, 121 x 145 cm, Fondazione Cariverona

Pur condividendo quanto asserito da Benedetto Croce  in merito al “giudizio dell’arte” che, pur prendendo le mosse dalla  “ingenua impressione”, non dovrebbe mai esaurirsi “nelle cosiddette prime impressioni”, è impossibile negare che, nella contemplazione estetica, siano quest’ultime, di fatto, ad

 Alfredo Savini, Albori primaverili, s.d., olio su cartone,
69 x 62 cm, collezione privata

infiammarci, a prenderci per mano, oppure a respingerci con più o meno forte vigore.

E le prime impressioni, a volte, sono quelle che più di ogni altra cosa importano, quelle che, senza mediazioni filtranti (e a volte annebbianti), riescono a farci entrare in subitaneo contatto con l’oggetto del conoscere.

Per quanto mi riguarda, impressioni sorprendentemente belle mi sono cadute addosso nella recente visita al bolognese Museo dell’Ottocento*, grazie alla  Mostra dedicata ai tre pittori della cosiddetta Dinastia Savini**, passando dagli ameni paesaggi dell’arcadicheggiante Giacomo (1768-1842) alle scene neo-pompeiane e alle sognanti figure femminili di Alfonso (1838-1908), per approdare, infine, con inaspettata gioia, alle numerose opere ritrattistiche e paesaggistiche di Alfredo (1868-1924).

Di quest’ultimo, nella cui poetica si mescolano influssi molteplici dall’ evidente respiro europeo (da Segantini a Mucha, da Pellizza da Volpedo a Klimt, da Millet a BÖcklin), ho molto apprezzato, sopra ad ogni altra cosa, la delicata attenzione alla quotidianità del vivere, particolarmente tangibile in quadri come Accompagnando le reti del 1904 e Lavandaie di vent’anni dopo.

Davvero felici, soprattutto, le opere in cui bambine e giovani donne si trovano calate in contesti bucolici, abbracciate da una flora agreste gaiamente colorata.

Ci sono, nelle esperienze degli uomini, - scrive Giovanni Papini - ubriachezze, ebbrezze, pazzie, estasi di più gradi e nature. Tra quelle di origine terrestre – cioè tralasciando i rapimenti dei mistici e le illuminazioni dei beati – nessuna, forse, avvicina l’anima umana all’anima dell’universo quanto l’esaltazione totale che solleva una creatura sensibile in mezzo alla natura in fiore, in alto, vicino al cielo, in un tacito e solitario mattino di primavera.” (G.Papini, Figure umane, Vallecchi, Firenze 1940, p. 200)

 Alfredo Savini, Bambina con pecore (serie Sole ed ombra),
1897 ca., olio su tela, 116x150 cm, MAMbo

 Le saviniane creature sensibili non saranno forse immerse in simile condizione di panica osmosi, ma di certo, credo, ben sintonizzate con l’anima dell’universo.

 Alfredo, ci rivela la figlia Laura, amava conversare con i pescatori dell’amatissimo lago di Garda, con i genuini figli del popolo, in quanto portatori di una nobile ed austera dignità. “Signorilità e umiltà - ci dice - si fondevano assieme in lui che, schivo di onori, preferì vivere nell’ombra lontano dal fasto e dalla ricchezza, convinto che nella vita semplice consiste il vero valore dell’esistenza.”

Di lui, l’allievo Antonio Nardi, in una lettera scritta dopo la sua morte, ci lascerà un suggestivo quanto toccante ritratto, definendolo “maestro saggio” capace di aprire “l’intima vita degli spiriti”, come “il raggio tiepido, ma senza violenza, del sole, schiude i fiori e li colora delle più graziose sfumature”.

Insomma, la Mostra è un vero piccolo scrigno di scoperte e di gemme rare, curata con intelligenza e con gusto raffinato. Elegante nella veste grafica e ricco di sostanza contenutistica anche l’ottimo Catalogo a cura di Francesca Sinigaglia e Ilaria Chia.

 

 Alfredo Savini, Lavandaie, 1924, olio su tela,
110 x 92,5 cm, Fondazione Cariverona

NOTE

*Il Museo Ottocento di Bologna è patrocinato dalla Regione Emilia Romagna e dal Comune di Bologna, ed è inoltre sostenuto da Confcommercio Ascom Bologna.

Il Museo persegue finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale: tutela, conserva, valorizza e promuove fondi artistici, librari, archivistici e qualsiasi testimonianza che abbia valore di civiltà degli artisti felsinei facenti parte di correnti artistiche espresse appieno tra l’Ottocento e il Novecento, in un filone che può essere ricondotto in modo semplificativo ai cosiddetti “Ottocentisti”.

               

Titolo Mostra

Dinastia Savini Giacomo (1768-1842) Alfonso (1838-1908) Alfredo (1868-1924)

Città

Bologna

Sede

Museo Ottocento Bologna (Piazza San Michele)

Date

Dal 18/10/2024 al 05/05/2025

Artisti

Alfredo SaviniGiacomo SaviniAlfonso Savini

Curatori

Francesca SinigagliaIlaria Chia

Temi

OttocentoBolognaMuseo dell'Ottocento

 

L’attualità è piena di belle sorprese. I cronisti che ancora vanno a caccia di notizie sentono la responsabilità di diffonderle. Di recente abbiamo scritto che il web è diventato per gli italiani la fonte di informazione privilegiata e dentro questa macchina complessa e affascinante ci va tutto e il contrario di tutto. Per non venire schiacciati bisogna saper selezionare le notizie, intercettare le curiosità dei lettori e impossessarsene nel migliore dei modi. Il mondo è pieno di guerre e di brutalità compiute in nome di un Dio adorato in modi contrastanti e contorti. Sono notizie che trattiamo ad ogni ora del giorno. La religione aiuta, ma a volte ostacola anche il progresso. Scoprire come le due modalità si mostrano è coinvolgente per chi ama il racconto vero e immediato. Questa sera nella diocesi di Nola, cittadina di origini preistorica pochi chilometri da Napoli, lo psicoanalista Massimo Recalcati e monsignor Francesco Iannone, vicario della diocesi di Nola dialogheranno sul Concilio di Nicea del 325 d.C.. E’ un appuntamento dei “ Dialoghi in Cattedrale a 1700 anni dal Concilio di Nicea”, organizzati nell’anno del Giubileo di Papa Francesco. Cosa intriga il cronista a scriverne e a seguire il confronto? Il dialogo, una conversazione profonda intorno a eventi, date e circostanze che hanno avvicinato o allontanato gli uomini dalla Chiesa. E’ un evento italiano per l’autorevolezza dello psicanalista e per il bisogno che ha la Chiesa di  non chiudersi in posizioni dogmatiche. Il pensiero cristiano è segnato da  fenomeni di  accelerazione e di chiusura e dentro la storia della cristianità ci sono locuzioni, parole, che sono diventate patrimonio di milioni di uomini. Ogni giorno scriviamo o comunichiamo parole in forza delle quali si combattono guerre assurde. A Nicea nacque il termine consustanziale, per esprimere la fede in Gesù Cristo. La Chiesa nei secoli  ha reso il termine concreto e intrinseco alla religiosità. Certo, i cristiani che vanno in chiesa e seguono la liturgia non si dichiarano ogni giorno consustanziali a Cristo. Sarebbe anche banalizzare il termine. D’altronde non bisogna indebolire termini generati per sedimentare il magistero di Cristo.

Il confronto di stasera si annuncia suggestivo per tutta la Chiesa cattolica. Recalcati e monsignor Iannone, partiranno dal tema “Fissando lo sguardo su Gesù”. In quel Concilio fu concepita una parola- pietra miliare per la Chiesa. Per la prima volta per esprimere la fede nella divinità di Gesù, i padri usarono un termine che non apparteneva alla Bibbia, ma alla filosofia. Se ne discusse, il Concilio fu un incontro riuscito, un condensato di fede e cultura, valori giunti fino a noi. La cronaca usa le parole per raccontare avvenimenti che lacerano le coscienze ma dentro le quali ci sono anche segnali di pace.  Le parole vivono nel tempo e noi “siamo convinti che dall’ascolto reciproco di voci apparentemente così diverse può nascere una nuova passione, un desiderio rinnovato di impegno a favore dell’umano autentico, cui il Vangelo non è estraneo” ha detto monsignor Iannone. Il dialogo è il sistema migliore per capirsi.

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