L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1289)

Free Lance International Press

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November 07, 2023

 

Per arrivare al Teatro di Villa Lazzaroni bisogna immergersi nel suo verde, attraversare i vialetti cosparsi di brecciolino che segnano ogni passo con un delicato e rilassante scricchiolio. Il teatro sembra volutamente nascosto in questa atmosfera bucolica. Uno staff gentile e cortese accoglie gli spettatori prima che entrino in una bella, confortevole e moderna sala.

Una volta varcata la soglia, si viene accolti da una musica che crea una strana atmosfera e che lascia in sospeso fino all’inizio dello spettacolo, quando incontreremo tre donne che ci racconteranno le loro vite. 

Sara (Patrizia Casagrande) è una donna gentile e piena di interessi; sempre disponibile con gli altri si dedica al volontariato. Suo marito è un uomo  piuttosto premuroso, ossessivo ed eccessivamente geloso e possessivo.

Rebecca (Valeria Zazzaretta) invece è una giovane e gradevole donna. Ha da poco tempo chiuso una relazione con un ragazzo gentile ma alquanto introverso, forse troppo, di quelli che non accettano la fine di una storia…

Romina (Jaqueline Ferry) è la più grande delle tre, è indipendente, una capace donna separata e in carriera. Per lenire la solitudine, ma anche per rimettersi in gioco e sconfiggere l’apatia, ha iniziato una relazione con un uomo più giovane che scoprirà essere dipendente della cocaina e avere un carattere alquanto mutevole ed altalenante. 

Le tre donne hanno in comune il peso di un rapporto malato di cui, per amore o per timore, diventano succubi fino a subire mortificazioni, ferite nell’animo e maltrattamenti fisici. Si tratta di un’escalation graduale, un circolo vizioso di cui diventano inconsapevoli vittime a al contempo passive testimoni della loro ineluttabile fine. Camminano incapaci di reagire sul bordo di questo perverso baratro, dove l’amore è uno sbiadito ricordo. È come una flebile e tremolante luce di una candela che non riesce ad illuminare i pericoli insiti nelle loro esistenze. Una luce talmente tenue pronta a spegnersi, come la loro vita, da un momento all’altro. Pongono inconsapevoli la loro esistenza sul filo di un rasoio, accecate dall’illusione. Prendono degli orchi, uomini disadattati, e ne fanno dei compagni ideali che pian piano svelano la loro vera essenza gettando la maschera.

È però ormai troppo tardi per tornare indietro, sono già cadute nella tela del ragno, stritolate dai loro tentacoli. 

Il testo è molto complesso e volutamente contorto, ciò dimostra le capacità e l’adattabilità delle tre attrici sul palco, che si avvicendano nei loro racconti con brevi ed intensi monologhi ricchi di pathos, spezzati da dialoghi tra che le uniscono e le dividono.

Prendono poi, come fossero possedute, le sembianze caratteriali e fonetiche dei loro aguzzini, alternandosi freneticamente nelle parti e rendendo ancora più duro e crudo sia il testo che l’argomento. 

Ci appaiono come bloccate in un luogo imprecisato e in un tempo indeterminato. Una sorta di purgatorio che non meritano, se non per la superficiale ma umana, anzi femminile mancanza di  riguardo e attenzione per loro stesse. Un sacrificio altruistico che sentono di dover fare ma con l’uomo sbagliato.

Sembrano qui per attendere gli eventi, sospese nel tempo mentre con una forte espressività

comunicano rabbia, paura, sofferenza. Indiscutibilmente brave.

Le luci e la musica creano un’atmosfera lugubre, pesante, tetra e pesante, spezzata da luci improvvise che illuminano le tre donne facendone risaltare le espressioni, gli stati d’animo e la recitazione.

La scenografia è inesistente, è e deve essere fatta solo del buio, quello che le circonda e le inghiotte, insieme alle loro storie. Sono scalze, forse per rappresentare il loro stato di donne indifese, di capri espiatori, di vittime sacrificali designate.

Solo più avanti compariranno tre paia di scarpe, che accoppiate e non indossate rappresentano la violenza sulle donne, anche se non sono rosse ma nere, come il colore della morte che le insidia costantemente. Ognuna di loro porta con sé una valigia, che sembra simboleggiare la loro vita, il fardello che portano dietro, la loro condanna, o anche la loro esistenza, le esperienze e il dolore. Sembrano legate alle valigie, le trattano con cura e le portano sempre con loro come con un invisibile cordone ombelicale. Ne estraggono poi degli indumenti che sembrano la pelle che hanno cambiato, la rigenerazione. Ma ne estraggono anche dei capi maschili con cui costruiscono dei feticci, rappresentazioni dei loro uomini, vuoti e sgonfi, inoffensivi con cui parlano, si confidano, si sfogano, condannano, ma che ancora temono.

Alla fine, verso il triste l’epilogo, svuoteranno con rabbia queste valigie come un solenne atto di liberazione. Un grido silenzioso, una sorta di ribellione e senso di rivalsa se non fisica quanto meno psicologica sui loro persecutori. 

Un bel testo, intenso, profondo, complesso e difficile, duro, diretto ma anche rispettoso ed attento a non degenerare. La confusione che si avverte in alcuni passaggi è voluta e serve per ricreare lo stato d’animo delle protagoniste, reso chiari dalle capacità delle artiste che  raggiungono empaticamente lo spettatore. Le attrici si rivelano all’altezza del testo e ne restituiscono una proposta teatrale emozionante e toccante che lascia letteralmente inchiodati e col fiato sospeso sulle poltrone.

 

“Tutte le notti sono una” 

di Massimo Natale, Ennio Speranza, Mary Griffo 
regia di Fabio di Gesto 
collaborazione artistica di Massimo Natale 
con Patrizia Casagrande, Jacqueline Ferry, Valeria Zazzaretta 
musiche di Massimiliano Lazzaretti

 

 

 

November 05, 2023

 

 

 

 

E' POSSIBILE VEDERE IL NOTIZIARIO N°50 DEGLI ITALIANI DI RUSSIA AL SEGUENTE LINK 

 https://markbernardini.blogspot.com/2023/11/050-italiani-di-russia.html

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November 05, 2023

Teatro Roma:“La setta dei romani estinti” - Il varietà della romanità - Da Trilussa a Califano - Da un’idea originale di Fabrizio Giannini

 

Con Fabrizio Giannini, Stefano Ambrogi, Federica Cifola, Fabrizio Gaetani, Christian Generosi, Barbara Boscolo E con la partecipazione dell’ensemble musicale “Montanari e Targhini” e la direzione musicale di Gabriele Berretin. E ancora Adriano Giannini, Denise Alfonsi, Elisa Olivieri, Luigi Martini

 

Ci ritroviamo al Teatro Roma, a distanza di un mese dalla loro ultima apparizione, con la “Setta dei romani estinti”, in verità più redivivi che mai. C’è stato un piccolo accomodamento del cast e della programmazione, dovuto per lo più agli impegni professionali di alcuni artisti. Ma la carica comica e soprattutto la verace romanità non ne hanno minimamente risentito.

La platea è piena. Complici un'ottima organizzazione, la riuscita promozione, il valido e simpatico cast e soprattutto la brillante idea che Giannini ha avuto nel proporre uno spettacolo atto a risvegliare la romanità sopita in noi, riempiendolo la serata con aneddoti che riguardano la storia di Roma.

Apre nei panni di portabandiera, presentatore, e showman lo stesso Fabrizio Giannini che si rivelerà un ottimo padrone di casa esibendosi in sketch, canzoni e duettando a turno con il resto del cast. Viene subito raggiunto dall’insostituibile e romano fino all’osso Fabrizio Gaetani, seguito a ruota da Federica Cifola, Barbara Boscolo, Christian Generosi e Stefano Ambrogi, in una sorta di animata presentazione in cui tutti discutono con Giannini proponendo il loro asso da inserire nella formazione storico calcistica in rappresentanza della capitale. Ovviamente questa virtuale squadra sarà composta da personaggi storici e di artisti legati all’Urbe come Romolo, Nerone, Sisto V, Fabrizi, Sordi…

Appare dunque dalle quinte in una bella e riuscita imitazione di Aldo Fabrizi: è il grande Gaetani. Magistrale la sua esecuzione. Atteggiamenti, fonetica e postura riportano immediatamente alla mente l’amato artista romano. Quello di Gaetani è un vero e proprio tributo ottimamente riuscito che diverte e strappa applausi a tutti.

C’è spazio poi per una gag tra la Cifola e Giannini, che raccontano una versione rimaneggiata e tutta loro della famosa canzone “Te la ricordi Lella”, storico brano di Lando Fiorini, raccontata proprio dalla Cifola, che rivede tutto il testo in maniera davvero esilarante. Federica ha una carica notevole, spiritosa e grintosa, e rivelerà di avere anche una bella voce e di saperla usare egregiamente.

È il momento di Ambrogi e Gaetani che duettano insieme sciorinando una serie di detti romani che hanno come tema il cibo. Ambrogi, con la sua inimitabile e profonda voce, proseguirà la sua brillante performance interpretando un testo di Califano in maniera sublime.

Christian e Barbara sono una coppia inossidabile; propongono come tema l’eterna rivalità a suon di battute tra Roma e Milano, una gag assolutamente efficace e divertente. I due insieme si spalleggiano e si provocano suscitando l’ilarità dei presenti.

Apre il secondo atto il trio musicale “Montanari e Targhini”, preparati musicisti che accompagnano tutta la serata con una colonna sonora delicata e piacevole. Arriva Luigi Martini, un giovane e promettente attore che ormai fa parte di questo cast e che stasera ha uno spazio maggiore per farci conoscere le sue doti artistiche. Ci presenta il suo libro “A me gli gnocchi please”, parafrasando simpaticamente il titolo di uno spettacolo del grande Gigi Proietti. I suoi aforismi sono tutti ispirati alla cucina romana, assai divertenti.

Gaetani rientra nei panni di Aldo Fabrizi in un improbabile versione vegana. Con la Sora Lella erano rinomati per la passione per la buona cucina. Ve lo immaginate a combattere oggi con queste nuove tendenze culinarie?

Giannini ci espone altri aneddoti  sui Borgia, i re di Roma e Nerone, passando così la palla a Christian che si propone in una versione buffissima di questo imperatore nella conosciuta ma antistorica versione di maniaco piromane.  Barbara invece impersona una divertente versione di Poppea. Trascinanti e sempre estremamente comici, si rivelano inequivocabilmente una coppia molto affiatata.

La “voce di Roma” stasera è impersonata da una deliziosa Elisa Olivieri, che con un approccio nostalgico presta la sua voce alla nostra Roma permettendosi di raccontarsi. Giannini poi ci canterà “Roma non fa la stupida stasera” in coppia con una travolgente e toccante Cifola che rivela di nuovo tutte le sue doti canore.

Ma non è finita: ritorna Gaetani per raccontarci aneddoti divertenti su sua nonna, portando sul palco  una serie di oggetti legati agli anni Ottanta, che arricchiranno il suo riuscito monologo. È semplicemente un grande! Sia da solo che al fianco di altri artisti si rivela sempre una succulenta  ciliegina sulla torta.

Arriva ora un omaggio al poeta Trilussa attraverso la calda e profonda recitazione di Ambrogi, che darà vita alle sue deliziose favole dedicate agli animali. La sua non è una voce, è una vibrazione che attraversa come un fremito lo spettatore e produce una sensazione paragonabile all’ “Om” pronunciato in coro dai monaci tibetani. Travolge, conquista, ammalia, seduce…

Giannini poi, insieme a Denise Alfonsi, canta una suggestiva e toccante ninna nanna.

La serata giunge al termine e l’esuberante e camaleontico onnipresente Giannini fa salire sul palco un bambino dall’aspetto furbetto e scanzonato; è Adriano, il figlio di Fabrizio che il conduttore punzecchierà interrogandolo sulla cultura romana, dandogli modo di esternare riusciti aforismi perfettamente in tema con la serata.

Lo spettacolo sembra finito, ma lascia ancora un piccolo spazio per coinvolgere il pubblico, con il quale declamare insieme la formazione finale vincente pseudo calcistico-storico-artistica, che coinvolge l’intera platea con tanto di cori da stadio. Così Ciceruacchio, Sisto V, Adriano e Cesare, Fabrizi e Sordi appariranno su delle slide con la divisa calcistica di questa virtuale ed imbattibile formazione.

La piece è una trovata intelligente, nostalgica e romantica che risveglia l’interesse verso le nostre origini, verso quelle radici che ci legano alla nostra fantastica città.

 

 

 

Teatro Roma

“La setta dei romani estinti”

-Il varietà della romanità-

-Da Trilussa a Califano-

 

 

Partendo dal Mugello e dai suoi produttori con lo sguardo che va ben oltre questi confini. “Montagna minore per molti ma in realtà terra “preziosa” da riscoprire, riconquistare, da vivere pienamente”.

Proprio da quest’ultimo pensiero la mia riflessione.

Terra preziosa da riscoprire: Il Mugello, identificabile sostanzialmente con l'antico lago di origine marina che era sbarrato verso valle, attraversato in buona parte dal fiume Sieve, terra preziosa per la sua Storia che si perde nella notte dei tempi. Preziosa anche per le sue tradizioni legate al mondo contadino oggi da riscoprire;

Terra da riconquistare: valorizzare, sviluppare viste le sue potenzialità;

Terra da vivere pienamente: dal  Passo della Futa al Passo del Giogo di Scarperia al Passo della Colla di Casaglia al Passo del Muraglione.

“L’idea di ‘Appenninia Wine Festival’ – ha spiegato il Sindaco di Vicchio, Filippo Carlà Campa – è nata per celebrare quella che per molti è una montagna minore, ma che in realtà è una terra preziosa da riscoprire, riconquistare e vivere pienamente. Un luogo di radici lontane, di identità perdute, di partenze e di abbandoni, ma al tempo stesso una montagna dove per secoli si sono conservati il sapere, la cultura, la spiritualità. Da qualche tempo, per fortuna e grazie all’impegno di molte persone che credono in questo territorio così particolare, l’Appennino è anche terra di ritorni, di nuovi sogni, di vigne e vini. Un nuovo Appennino sta nascendo e noi vogliamo dargli voce”.

“Appenninia nasce per essere un meta-brand ovvero un progettare luoghi, territori e contesti, ha spiegato Gianluca Lisi, City Branding Consultant del Comune di Vicchio. Una realtà identitaria che nasce da un luogo specifico, in questo caso Vicchio, per valorizzare un territorio più ampio, l’Appennino, al quale Vicchio stesso appartiene. Vogliamo costruire qualcosa che sia utile per tutte le realtà appenniniche: perché soltanto uniti alle altre realtà possiamo pienamente valorizzare la nostra.”

                           Vicchio

In questi due interventi la sintesi di una iniziativa alla sua prima edizione che è voluta partire dai nuovi sogni, dalle vigne e dai vini.

Ed ecco quella che per il sottoscritto e non solo, è un’idea intelligente. Un’occasione per far conoscere, apprezzare la coltivazione delle vigne con l’introduzione di nuovi vitigni. Il tutto finalizzato ad una produzione di vini dai profumi intensi, di notevole struttura.

Appenninia: originalità, proposta, economia dei territori montani. Chapeau!

 

October 30, 2023

 

“Poesia semplicemente poesia” è un libro dove traspare fortemente la sensibilità  dell’anima dell’autore. Enzo Casagni  negli ultimi nove anni ha scritto tre libri autobiografici,  cinque quaderni poetici e con quest’ ultimo libro  è arrivato a cinque libri di poesie. Diverse negli anni sono le sue partecipazioni  a concorsi letterari dove ha ricevuto molte menzioni di merito, targhe e medaglie.

Enzo ha sempre mostrato fin da giovane, una predilezione per la poesia, dal momento che  amava  Catullo,  Saffo e D’Annunzio, proprio con  “la pioggia nel pineto”  apprese la musicalità del verso. Nel libro precedente “il deserto dipinge la mia anima”  le poesie  risentivano molto di  due realtà molto molto aggressive e dolorose: il Covid e la Guerra in Ucraina.. Le  strofe  di “Poesia semplicemente poesia”   invece sono  intime e spirituali scritte prima d quelle gravi problematiche e colpiscono come un canto liberatorio. Alcuni prose sono frutto di meditazioni avvenute dopo incontri spirituali, altre   sono espressioni esclusive del sentire dell’autore, dal momento che  la sua anima aveva  necessità di esprimersi. Tutti i versi di “Poesia semplicemente poesia”   non sono frutto di una ricerca intellettuale, ma di  espressioni spontanee  che rivelano immediatezza e spontaneità. Il Poeta in alcuni versi con  una semplicità intrinseca, descrive la bellezza del creato e  si  commuove alla vista di  un tramonto e dell’alba..

La prefazione di “Poesia semplicemente poesia” è a cura di Cinzia Baldazzi, critico letterario di fama internazionale, l’edizione grafica  è  elaborata alla perfezione da Maria Grazia Vai di Immagine ed Arte e la pubblicazione è stata resa  possibile grazie alla  Iucant Print.

 

Abbiamo incontrato Enzo Casagni per conoscere le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere il suo nuovo libro.  

Cosa provi Enzo dopo l’uscita del tuo libro?

Sento in fondo al mio animo una gioia profonda per essere riuscito a manifestare quello che io realmente sento e provo. Ho partecipato  recentemente ad una esposizione di libri alla  Prima Book festival  una interessante manifestazione che si è svolta a Roma nel quartiere della  Bufalotta a Roma .E’ stata grande la mia soddisfazione quando  Cinzia Baldazzi ha presentato  il mio libro. Quello che mi ha colpito soprattutto è quando ha affermato  che la distanza fra l’uomo e Dio per quanto mi riguarda è stata accorciata   dalla mia esperienza con Cristina, la mia adorata moglie che ho perso alcuni anni fa.  Per me lei è sempre stata la mia musa ispiratrice, senza fare un paragone eccessivo, quello che è stato  Beatrice per Dante e quello che è stato Laura per Petrarca.

 Cristina è sempre stata un punto fondamentale della tua vita e non la dimenticherai mai.

 

Si infatti nel libro c’è molto di Cristina. Nella prefazione c’è una lettera che io ho scritto a lei che sta lassù e le dico  “ti prego leggi questi versi lassù tra le nuvole e le stelle” e poi nell’epilogo del libro c’è un poesia che io ho scritto nel ricordare il nostro primo incontro avvenuto a Monte Follonico in Toscana.  Ricordo anche il giorno ed era il 24 luglio del 1962 quando ci incontrammo per la prima volta  in una pensione che si chiamava  Anna. Quando entrai e  vidi  Cristina seduta su una sedia la invitai ballare, era una canzone di Gino Paoli, Sapore di Sale. In quel momento è come  se intorno a noi non esisteva  più niente, soltanto noi due, poi da quel giorno, non ci siamo più lasciati..

 

Nelle poesie del tuo ultimo libro traspare ottimismo, sei d’accordo?

 

Non lo chiamerei  ottimismo,  piuttosto realismo perché la vita esiste e nessuno può distruggerla.  La vita è una forte realtà che si rivela  con la venuta di Gesù Cristo che poi con il suo sacrificio  si rivolge  all’uomo “non vi dovete preoccupare perché la vita è con Voi e vi seguirà sempre”. La morte è solo un riposo temporaneo, perché poi  lo spirito e l’anima riprenderà il corpo in cui è vissuta. Dobbiamo sempre tener presente chi è l’autore di questi doni ed io dico che bisogna ringraziare ogni momento che noi respiriamo e bisogna rivalutare quello che noi abbiamo. Oggi siamo abituati a dare tutto per scontato,   ma non è assolutamente così.

 

Sorge spontanea una domanda, ma tu quando stavi con Cristina, già scrivevi?

 

Io ho sempre avuto un grande amore per le poesia e fin da ragazzo già scrivevo. Mi ricordi di aver scritto  un piccolo libro dove c’erano annotate  diverse mie poesie ma poi smisi di scriverle  quando conobbi Cristina. Quel libricino che poi lo regalai si chiamava “sentieri”  perché attraverso questi sentieri io vedevo una piccola luce che era la nostra speranza. Con il tempo  continuai a scrivere soltanto qualche meditazione a livello spirituale, perché ho sempre frequentato gruppi spirituali. Quando stavo con Cristina ritenevo di avere tutto e quindi non avevo bisogno di scrivere, nel momento in cui  lei se ne è andata  alla vigilia dei nostri cinquanta anni di matrimonio, una parte di me si è dissolta  e la poesia  si è improvvisamente  rifatta viva. Ha cercato di aiutare a esprimermi e mi aiuta a manifestare tutto il  mio amore nella solitudine.  Il mio  dolore come scrivo in una poesia  non è fine a se stesso è anche calore, perché ha come origine, l’amore.

 

C’è vita oltre  la morte, cosa ti ha spinto a scrivere questa poesia ?

 

Questa poesia è il frutto di incontri spirituali, perché dobbiamo riflettere  al sacrificio che Gesù ha fatto per noi, quando  si è incarnato e ha detto  all’uomo “guardate che la morte è stata sconfitta da me  e quindi oltre la morte c’è la vita”.  Questa è una realtà che  molti  non riconoscono, oltre la morte c’è sempre vita ed è anche una legge fisica perché siamo fonte di una energia che non si  può distruggere. Questo è un esempio per chi ci vuole credere:  la vita esiste  oltre la morte e l’anima non può morire e  continua a vivere.

 

Cosa ci puoi dire del tuo modio di intendere la poesia?

 

Oggi compio 82 anni e vorrei ringraziare chi ha creduto in me e mi ha concesso di vivere  questa realtà che  non avrei mai immaginato. La poesia io credo che aspettasse solo l’occasione giusta per manifestarsi. Quando ho un’idea, scrivo di getto la poesia, la lascio in un file e poi la riprendo dopo qualche tempo per vedere la sua musicalità, ma in genere non modifico quasi   niente. C’è stato un periodo in cui scrivevo quasi esclusivamente di notte e quando sentivo un’emozione, andavo subito al computer a fissare l’idea.  Tu sai che io per abitudine mi porto con me copie delle mie poesie e alcune volte le faccio leggere a persone che incontro occasionalmente, così  la gente rimane sorpresa, si commuove e alcune  volte mi abbraccia. E’ questo che apprezzo maggiormente, vedere nei loro volti la soddisfazione. 

Grazie Enzo Casagni

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October 24, 2023

 

 

Debora Caprioglio veste i panni di Artemisia Gentileschi in un emozionate monologo che prenderà vita nel suo studio di pittura. Un luogo dove svolge l’attività che più ama, ma anche suo rifugio.

Il Teatro Arcobaleno è per me una sorpresa inaspettata, non c’ero mai stato. Ben tenuto e accogliente, in questa stagione propone spettacoli incentrati sui classici greci, latini e in generale storici, come quello di oggi.

Si entra nella sala e ci accoglie una delicata musica barocca in tema. Il palco è molto spazioso, il sipario è già aperto per lo spettatore che può saggiare subito l’atmosfera seicentesca, quasi fatata.

La scenografia è composta da cavalletti che sorreggono delle tele, al momento tutte coperte perché verranno svelate durante la storia. Due sedie e uno sgabello, pennelli e tavolozza completano la scena. Tutto è già suggestivamente illuminato.

Debora appare in scena con un bel costume, in linea con il periodo rappresentato. Si muove con dinamismo sfruttando tutto il palco e mentre si racconta nei panni della Gentileschi, scopre le sue tele una ad una rivelando e i capolavori e facendone stazioni che scandiscono il suo racconto.

L’ottima regia di Roberto D’Alessandro si avvale di questa bella scenografia e di un gioco di luci molto suggestivo che esalta il monologo. La recitazione è ricca di contrasti che sottolineano i vari passaggi della vita della pittrice.

Debora, attraverso un testo articolato e ben strutturato, racconta con passione tutta la vita di Artemisia: l’adolescenza, la famiglia, gli esordi nella pittura, i contrasti con il mondo artistico maschile, fino ad arrivare alla violenza subita e alle terribili conseguenze. Si prosegue con il racconto del suo matrimonio fallimentare che le darà la figlia Palmira e del suo lavoro che la porterà da Roma a Firenze, poi a Venezia, Genova, Napoli, fino a Londra.

Ogni passo è ben raccontato da Debora, che dona al personaggio tutte quelle sfumature che la rendono oltre che. viva, credibile, anche grazie al testo che si caratterizza per l’uso moderato ma funzionale di termini e inflessioni del parlato seicentesco. Ne esalta ogni sentimento, da quello più drammatico a quello più toccante, non senza qualche istante di ironia.

L’attrice si sofferma su alcune tecniche e materiali della Gentileschi usati per mescolare i colori e ne descrive opere e momenti di vita, mentre si muove nello studio impegnata nella pulizia dei pennelli o nella pittura. Questo approccio ci permette di conoscere la Gentileschi sia dal punto di vista artistico che umano.

Non ci dimentichiamo che Artemisia è una pioniera nel suo ambito, vive in un mondo che non le appartiene, è una figura scomoda ed insolita perché l’arte è appannaggio degli uomini. Anche se è figlia di Orazio Gentileschi, un artista di fama, troverà davanti sempre porte chiuse. Il padre, però intuendo il suo talento, cercherà lo stesso di avviarla nel campo della pittura. Nonostante sia molto portata, attenta, perspicace, alacre e dotata, si scontrerà con un mondo maschilista, chiuso e misogino.

Figlia d’arte, avrà l’opportunità di conoscere i grandi pittori del suo tempo, tra cui Caravaggio che molto la ispirerà. Il padre la affiderà alla bottega di un suo amico, Agostino Tassi perché ne curi le doti e possa fare con lui esperienza. Ma il Tassi abuserà di lei. Questo dramma segnerà inevitabilmente la vita e la pittura della donna, e sarà un trauma che porterà con sé insieme al peso di un lungo ed umiliante processo che la vedrà addirittura sotto accusa. Debora Caprioglio interpreta Artemisia con rabbia, amore, grande forza d’animo e forte tempra.

Le vicissitudini di Artemisia e lo studio dei grandi pittori contemporanei la porteranno a seguire il modello pittorico di Caravaggio, con cui peraltro ha in comune una vita travagliata. Riprenderà dal Merisi i suoi caratteristici chiaroscuri rotti dal raggio di luce, che forse per entrambi rivela la speranza o una particolare e profonda fede in Dio e nella sua giustizia. Questo aspetto artistico verrà riproposto sulla scena con un suggestivo uso delle luci laterali che conferiranno drammaticità al racconto.

Così Artemisia, come Caravaggio finirà per esorcizzare le sue paure e i suoi drammi attraverso la pittura, in cui sarà possibile ritrovare il loro mondo interiore.

Toccanti i momenti in cui Debora ci parla della violenza subita, così  come la descrisse Artemisia; dell’umiliante e sofferto processo, del rapporto conflittuale con gli uomini e del tradimento subito dal padre, che per motivi lavorativi ritirerà la denuncia.

L’attrice evidentemente ama questo personaggio e vivendone gli stati d’animo, riesce ad ammaliarci con un testo profondo in cui mette tutta sé stessa. Ci intrattiene con grande impegno per quasi un’ora e mezza senza stancarci, regalandoci di continuo forti emozioni ma soprattutto facendoci conoscere un importante pezzo di storia dell’arte con le vicende della prima donna che con la sua tenacia è riuscita a scardinare le porte di un settore esclusivamente riservato agli uomini, entrandovi di prepotenza e lasciando il suo segno indelebile.

 

"Non fui gentile fui Gentileschi” -La vita “di Artemisia Gentileschi-
Di Roberto D’Alessandro e Federico Valdi
Regia Roberto D ’Alessandro
Con Debora Caprioglio

 

 

October 22, 2023

October 21, 2023
 
 
 
Questo è il primo spettacolo teatrale del simpatico Leonardo Bocci da “One man show”, ormai conosciuta ed apprezzata web star romana. Lo seguo da tempo; lo vidi in “Omicidio nell’hotel delle celebrità” e in “Natale criminale”, spettacoli in cui lo apprezzai per come aveva dato vita ai suoi personaggi con i quali mi aveva molto divertito.
 
Stasera lascia di nuovo il web per intrattenerci di persona sul palcoscenico del Teatro degli Audaci, dove sarà per alcune date. Leonardo è molto seguito perché sa dare voce alle vicende quotidiane o della cronaca reinterpretandole ed arricchendole con il suo inconfondibile stile. Divertente e politicamente scorretto, prende di petto senza remore la nostra società con le sue ipocrisie e contraddizioni.
 
Stasera sembra voler uscire dal solito personaggio per raccontare la sua vita e quella dei suoi coetanei trentenni, di cui affronta i disagi e i problemi esistenziali. La sua inconfondibile, graffiante e pungente ironia lo fa amare dal pubblico del web, che stasera è qui per lui e riempie questo bel teatro.
 
Lo spettacolo all’inizio lascia spiazzati perché si discosta dalle passate proposte e si concentra sul suo lato più intimo e profondo. C’è da dire, però, che se avete fatto attenzione ai suoi video, si può cogliere il suo lato interiore e introspettivo ricco di sensibilità che forse, “distratti” dalla sua grande e travolgente ironia, può passare in secondo piano.
 
Stasera Leonardo ci regala una piece assolutamente piacevole a base di battute ma anche profonda.
 
Dopo un’introduzione con la colonna sonora di “2001 Odissea nello spazio”, comincia il nostro viaggio nella sua vita. L’artista recita a suo modo un brano di Shakespeare con un approccio che velatamente ricorda quello di Gigi Proietti. Ci fa poi partecipi di tutta la sua trasudante passione per il mestiere di attore, in cui si avvertono inevitabilmente gli echi delle influenze dei grandi Gigi Proietti, Alberto Sordi, Carlo Verdone, con una spruzzata di Ettore Petrolini; il tutto, ovviamente, rivisto, corretto modernizzato e soprattutto “leonardizzato”.  
 
Tanti gli argomenti affrontati che lasciano spazio sia a momenti leggeri e divertenti, sia a passaggi più profondi ed introspettivi. Quando ci parla dei suoi genitori assistiamo a un tributo amorevole e toccante, anche se non manca l’ironia.
 
Non si può non toccare il tema dei cellulari, ormai onnipresenti, e dell’influenza dei social con i suoi improponibili influencer. Alle sue spalle vengono proiettate immagini e video con i quali spesso interagisce creando delle simpaticissime gag. Divertentissimo il messaggio audio mandatogli da un folle “follower”, o forse è più corretto dire un “hater” scatenato e piuttosto stressato, davvero esilarante. Piacevole la trovata dello scambio di idee tra lui e la sua “coscienza social”, con cui comunica attraverso un video.
 
Non mancano un tributo a Roma e agli stereotipi dei suoi abitanti che tanto lo hanno reso famoso, e la sua relazione con la propria ipocondria.
 
Lo spettacolo si incentra anche sulla sua visione del decadimento fisico e morale del trentenne di oggi, in una chiave ironica in cui si riconosce l’impronta di questo originale attore.
 
In tutto questo ci accompagna una piacevole scenografia, che riproduce con cura e attenzione l’interno di una casa. Altrettanto attenta è la regia, che ha saputo valorizzare il talento di questo attore forsennato e prorompente mostrandocelo sotto un’altra luce.
 
 
 
"Ao"
Di e con Leonardo Bocci
Regia Danila Stalteri
 
 
 
 
 

 

  Mimmo Castellano

Ormai è un evento riconosciuto. Il Premio di giornalismo "Mimmo Castellano" si svolge domani 20 ottobre a Pagani in provincia di Salerno.

E' organizzato per la XII volta dell'Assostampa Campania della Valle del Sarno. Mimmo Castellano è stato un autorevole giornalista della carta stampata, scomparso nel 2008. Per lunghi anni è stato Segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa e Vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti della Campania.

Il 20 ottobre con inizio alle ore 15,30, al  Teatro S. Alfonso M. dei Liguori si ritroveranno giornalisti, personalità della cultura e delle istituzioni per ricordare il collega ma anche per riflettere sui mali della professione in Italia.

La libertà di informazione corre rischi molto seri, sia per gli effetti della crisi economica generale, che per errori strategici degli editori.

In questi due estremi si inserisce  la qualità dell'informazione sempre più alla ricerca di scoop e con notizie prive di approfondimento.

 E' noto che nelle redazioni dei giornali il clima non è sereno se solo si considera il ricorso a cassa integrazione, prepensionamenti, precariato, revisione di contratti di collaborazione. Più della metà dei giornalisti italiani, risulta iscritta all'INPS con l'altra metà stressata da vendite che calano, bilanci in rosso e proteste senza efficacia.

Dove si andrà a finire di questo passo? Si fanno i conti con le storiche battaglie per la libertà e la tutela della professione.

Anche una libera organizzazione come la FLIP contribuisce a difendere il prestigio di una professione fondamentale per la democrazia.

A Pagani si parlerà di tutto questo a partire dal ruolo della stampa locale. Il focus è dedicato a : " Il valore Il valore della stampa locale, attraverso l'etica e la deontologia del giornalismo in un mondo rivoluzionato dalla comunicazione-informazione. Due universi in contrasto". 

L’evoluzione dei sistemi di comunicazione e delle tecnologie non può andare a danno della correttezza e della pluralità delle voci.

La stampa locale resta un presidio di civiltà e di cultura per chi vive il territorio.

In Campania ci sono testate giornalistiche regolarmente in edicola o on line da 40 anni.

La loro testimonianza farà da cornice al dibattito tra il tesoriere del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti, Gabriele Dossena, il presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli, il presidente del Movimento Unitario dei Giornalisti, Mimmo Falco.

 

 

   

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