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Economics (243)

Roberto

Roberto Casalena
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Ho dedicato diverse puntate del Diario della crisi finanziaria alle vicende della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, due banche che sono un vero e proprio ricettacolo di Non Performing Loans (una sigla che rappresenta i crediti deteriorati che ha come sotto insieme le sofferenze lorde e, al netto delle verifiche, le sofferenze nette) con un incidenza sugli impieghi vivi e sul patrimonio a livelli stellari, per poi affrontare il problema rappresentato dal Monte dei Paschi di Siena che, con i suoi 40 miliardi di euro circa di Non Performing Loans, è davvero la grande malata nella pattuglia di vertice delle banche italiane e, tramite l'acquisizione di Antonveneta, è una delle banche leader di questa disgraziata regione dell'Italia, ma ho finito per dimenticare un gigante a livello regionale come il Banco Popolare di Verona, banca che sta per fondersi con la banca Popolare di Milano, come in precedenza aveva fatto con la Popolare di Novara.

Ebbene, la somma degli NPL delle quattro banche non è lontana da quella che caratterizza quella delle banche di una nazione europea di medie dimensioni ed è considerata con grande attenzione, e lettere ultimative, da parte delle donne e degli uomini alle dipendenze del capo della vigilanza presso la Banca Centrale Europea, organismo che ha imposto aumenti di capitale per complessivi 3,75 miliardi di euro, il primo dei quali, quello da 1,75 miliardi, della Banca Popolare di Vicenza è andato notoriamente deserto e ha costretto il neonato Fondo Atlante (mentre il comitato direttivo di Borsa italiana dichiarava l'inammissibilità alla quotazione dell'azione nei mercati regolamentati) a immobilizzare in questa singola banca la metà delle sue disponibilità volte a tale scopo, mentre Veneto Banca ha chiesto tempo per il suo aumento da un miliardo e, per il Banco Popolare, i non lusinghieri dati di bilancio e l'annuncio ufficiale dell'aumento di capitale da un miliardo hanno spinto l'azione a registrare mercoledì una perdita del 15 per cento (poi limata a poco più del 9 per cento in chiusura.)

E' evidente che da una situazione del genere non si esce con misure normali e che le tre banche con sede legale nella regione richiedono una cura di cavallo, che, per il Banco Popolare, coinvolgerà inevitabilmente anche la sposa Banca Popolare di Milano, una cura che passerà attraverso un radicale taglio dei costi operativi, leggi costi del personale, multiplo di quella sensibile sforbiciata prevista dal Governo a livello nazionale, un taglio che comunque non basterà se non verranno adottate misure altrettanto straordinarie sul fronte dei Non Performing Loans per le quali Atlante non ha i mezzi e le misure previste dal Governo sono solo parzialmente applicabili, in quanto riguardano solo gli NPL di buona qualità e ho proprio l'impressione che da queste parti di crediti incagliati di categoria senior ve ne siano non tanti!

Dopo una ripresa effimera dopo l'annuncio della costituzione del Fondo Atlante guidato da Alessandro Penati, economista prestato alla finanza, è ripresa quella corsa allo squarciamento delle quotazioni in borsa dei titoli elle principali banche italiane, con Monte dei Paschi di Siena che dopo aver sostato nella parte bassa della soglia dei 70 centesimi ora si ritrova nella parte alta della quota dei 50 centesimi e Unicredit che dopo aver rivisto a portata di mano i 4 euro, ora si trova a lottare per tornare a quella dei 3 euro, per non parlare poi delle promesse spose, Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, con la prima alle prese con un periglioso aumento di capitale da un miliardo di euro e la seconda che la segue a ruota nei ribassi sempre più consistenti.

Da questo macello si salva in qualche modo Intesa-San Paolo che, tra alti e bassi, rispetto all'inizio di quest'anno, permane nell'area dei due euro. Ma, a livello di sistema, siamo di nuovo a un calo delle quotazioni del 40-50 per cento rispetto a quelle registrate nel mese di dicembre che erano già in sensibile calo rispetto ai massimi toccati nella prima parte del 2015.
Certo, ha pesato il fallimento del tentativo di quotare in borsa la alquanto disastrata Banca Popolare di Vicenza e il ribaltone con vero e proprio ritorno al passato di Veneto Banca, con una nuova maggioranza raccogliticcia e inquinata dalla presenza di grandi debitori, spesso insolventi, della banca con sede a Montebelluna e con il nuovo consiglio di amministrazione che ha dovuto chiedere più tempo per procedere all'aumento di capitale da un miliardo di euro, ma anche il Monte dei Paschi di Siena che tanti crediti problematici ha ereditato dall'acquisita Antonveneta, tuttavia il buco nero delle banche venete o assimilate si riverbera su tutto il sistema bancario italiano per una serie di ragioni che tratterò di volata. Tra le banche venete, ho colpevolmente dimenticato Il Banco Popolare di Verona che ieri in borsa ha perso fino al 15 per cento per i conti in rosso e l'aumento di capitale richiesto dalla BCE.

La prima riguarda proprio il neonato Fondo atlante, con una dotazione di 4,2 miliardi di euro, quasi due in meno rispetto agli annunci, che ne ha 1,5 miliardi già immobilizzati in Banca Popolare di Vicenza e della quale si accorgerà ben presto che sarà molto difficile procedere a un a forte ristrutturazione. Ebbene, secondo fonti autorevoli, la parte del fondo dedicata agli aumenti di capitale è pari a 3 miliardi e ve ne sono in vista altri due per almeno 2 miliardi, quindi, le munizioni del fondo a questo scopo sono pressoché esaurite, mentre ne restano 1,2 miliardi per affrontare il problema dei Non Performing Loans (360 miliardi di euro circa) delle martoriate banche italiane, con la evidente conclusione che il Fondo Atlante è oramai bello che esaurito!
Agli investitori che hanno investito ai tempi d'oro nelle banche italiane non resta dunque che allacciare le cinture di sicurezza e sperare in tempi migliori.

Dopo essere stata indagata e multata per quasi tutto quello che una banca davvero globale può fare e in attesa per il processo che si terrà in Gran Bretagna dove, sulle manipolazioni dell'URIBOR sono indagati sette suoi top manager, ora il colosso tedesco è sotto indagine, presso la procura di Trani, per manipolazione di mercato, avendo venduto nel 2011 quasi tutti i BTP italiani in suo possesso proprio mentre consigliava ai suoi clienti di tenerli sia per la solidità dei conti pubblici italiani, sia perché lo spread tra questi e i Bund tedeschi era tutto sommato a valori limitati tra i 100 e i 200 punti base.
La vendita avvenne massicciamente nel primo trimestre del 2011, regnante Silvio Berlusconi e mentre al timone del ministero dell'Economia era Giulio Tremonti, l'uomo che ha svolto quell'incarico per ben tre volte, senza però lasciare grande traccia di sé, se non per i forti e frequenti contrasti con il suo capo di allora.
I fatti successivi sono noti a tutti, perché la mossa di Deutsche suonò come un campanello di allarme nelle sale operative all over the world e tutte le banche più o meno globali si misero a vendere i BTP italiani con il risultato che lo spread cominciò a salire inesorabilmente sino a raggiungere un picco a 576 punti base e costrinse Berlusconi a dimettersi per lasciare il posto ad un uomo della Trilateral ed espressione dei poteri forti italiani europei che adottò un programma lacrime e sangue senza neanche l'intervento della Troika, Fondo Monetario Internazionale-Banca Centrale Europea-Unione europea,, tanto anticipò i desiderata di questo organismo, in alcuni casi, vedi la riforma Fornero, li superò, portando il nostro sistema previdenziale ad essere tra i più sostenibili dell'Unione europea e frustrando al contempo le attese di milioni di italiane e di italiani che si credevano allora prossimi alla pensione.
Questi sono i fatti e, per chi potesse dubitare della mia fede antiberlusconiania invito a leggere il lungo pamphlet dal titolo Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi, recentemente ripubblicato sul Diario della crisi finanziaria, ma non posso non considerare il fatto che con una manovra delle banche globali europee, banche legate a doppio filo con i rispettivi governi, è stata decretata la fine di un Governo, per quanto pessimo, regolarmente eletto.
Non so quante e quali carte abbia a disposizione l'attivissima procura di Trani, anche perché è noto che il pool dei reati finanziari della procura di Milano ha lasciato cadere la cosa, ma certo ci sarà da divertirsi nel prosieguo di un indagine che vede indagati l'ex presidente Ackermann e altri uomini al vertice di Deutsche!

Come responsabile dell'ufficio studi di un sindacato del settore finanziario ho scritto decine di pagine su quelle che allora chiamavamo pressioni commerciali esercitate dai vertici sui dipendenti delle banche che avevano l'ingrato compito di piazzare a ignari clienti delle banche, ma anche nelle compagnie di assicurazioni non si scherza, prodotti più o meno a rischio di ogni genere e natura, prodotti che spesso hanno rovinato più di un malcapitato e hanno certamente messo a rischio la reputazione di più di una banca.

Non mi ha stupito dunque quanto è emerso ieri nel corso delle indagini sul crac di Banca Etruria, una delle quattro banche salvate dal Governo nel novembre dell'anno scorso con la prima applicazione del micidiale meccanismo del bail in che ha visto l'azzeramento del valore delle azioni, delle obbligazioni e dei depositi per la soglia oltre i 100 mila euro, un applicazione in anticipo di mesi sull'introduzione delle nuove procedure di risoluzione e che tanto è costato in borsa ai titoli dell'intero settore finanziario, è emerso, dicevo, che, secondo gli inquirenti della procura di Arezzo, esisteva nell'ambito della banca una cabina di regia volta a vendere anche ai piccoli risparmiatori, anzi in prevalenza a loro, decine e decine di milioni di euro di bond subordinati, quelli appunto più a rischio se le cose si fossero, come poi è puntualmente accaduto, messe male!

Con singolare tempismo, sempre ieri Giuseppe Vegas, presidente della CONSOB, l'organismo che dovrebbe appunto vigilare sul fatto che cose del genere non accadano, ha detto, nella sua relazione annuale, due cose: la prima è che i risparmiatori erano perfettamente informati, la seconda è che l'organismo da lui presieduto ha fatto (sic) tutto quello che doveva fare in questa circostanza, dimenticando che era stata emanata una disposizione che autorizzava le banche a non inserire più nei prospetti le simulazioni che indicavano esattamente i rischi connessi con gli stessi bond subordinati offerti ai risparmiatori e dimenticando, altresì, quello che era già emerso anche nei mesi scorsi su quanto era avvenuto in moltissimi casi, quando i risparmiatori erano stati volutamente raggirati in sede di sottoscrizione dei bond medesimi.
Non c'è, quindi, da meravigliarsi se, pur in un quadro di debolezza dell'intero sistema bancario europeo, le banche italiane quotate in borsa stiano soffrendo dall'inizio di questo anno disgrazia 2016 in modo ampiamente supplementare e i guai delle due non quotate venete hanno determinato l'azzeramento di fatto del valore delle loro azioni, con Veneto Banca che ha dovuto far slittare di una settimana le procedure per l'aumento di capitale.
Mi ponevo ieri l'interrogativo sulla solidità del sistema bancario italiano e credo proprio che vicende come queste, e soprattutto i retroscena delle stesse, non aiutino di certo!

Dal settembre del 2007 ho tenuto il diario di bordo del sistema finanziario all over the world sommerso dagli alti mari della tempesta perfetta nelle sue tre fasi principali, della quali la terza, quella che stiamo vivendo a partire dai mesi a cavallo del capodanno di questo anno di disgrazia 2016, risulta a mio avviso la più pericolosa e spero di averlo spiegato nelle puntate con le quali ho dato il via alla ripresa del Diario della crisi finanziaria dopo tre anni di voluto silenzio, e, in tutte e tre queste perigliose congiunture, ho sentito sempre un mantra dalle autorità monetarie e da quelle politiche italiane e questo mantra recitava che il sistema italiano era solido e per questo non era stato necessario ricorrere alle massicce ricapitalizzazioni facilitate dalla mano pubblica che in altri paesi europei avevano salvato i rispettivi sistemi creditizi e finanziari dal collasso; ma quanto c'è di vero in questo ritornello che non diventa più reale solo perché è stato ripetuto fino alla noia da governi di destra e di centro sinistra che si sono succeduti alla guida del nostro Paese?

Se la vigilanza sul sistema creditizio italiano fosse ancora attribuita alla Banca d'Italia, sottoscriverei questa apodittica affermazione, ma sin dal 2014 le cose in materia sono radicalmente cambiate e la vigilanza sulle banche dell'eurozona è stata attribuita all'ex responsabile della vigilanza della Banca di Francia, Daniéle Nouy, che si avvale come braccio operativo di Frau Koening e che, dopo una fase relativamente breve di studio, ha fatto chiaramente chiarito con gli atti e con le interviste che l'aria era radicalmente cambiata e che le banche dovevano rapidamente attenersi alle prescrizioni delle draft con cui si intima, pena ricorso alla procedura di risoluzione, di riportarsi su parametri europei per quanto riguarda l'adeguatezza patrimoniale e la massa dei Non Performing Loans espressi in percentuale dei crediti sani che, per le banche italiane, è attualmente intorno a valori doppi se non tripli di quelli della media dell'eurozona.

Ovviamente, una pulizia, anche non radicale, dei bilanci delle banche italiane che, seppure a fatica, hanno superato gli stress test della Banca Centrale Europea nella passata edizione (mentre per la prossima si attende a breve il risultato) comporterà, nella maggior parte dei casi, di procedere ad aumenti di capitale necessari per restare nell'ambito dei parametri patrimoniali imposti e che, in alcuni casi, possono essere aumentati fino a valori intorno al 20 per cento, come si vocifera per un importante gruppo creditizio nostrano.
Ma quello che preoccupa davvero è lo stato delle casse del Fondo interbancario dei depositi, ossia l'organismo che deve garantire i depositi fino alla ormai arcinota soglia dei 100 mila euro, che pochi giorni fa, per bocca del suo direttore, ha dichiarato che i 300 milioni in cassa sono tutti impegnati per le obbligazioni subordinate delle quattro banche medie tecnicamente fallite e che le disponibilità precedenti sono state interamente utilizzate per garantire, appunto, i depositi di quelle stesse banche nella soglia garantita dei 100 mila euro. Ricordo sommessamente che, secondo la Banca d'Italia, i depositi fino a 100 mila euro a livello di sistema sfiorano i 500 miliardi di euro e non oso immaginare cosa accadrebbe se ad andare in procedura di risoluzione fossero una o più banche di grandi o grandissime dimensioni!

Al termine di una lunghissima e infuocata assemblea, gli azionisti hanno eletto con una maggioranza che sfiora il 60 per cento la lista antagonista a quella del presidente Bolla e che esprimeva anche l'attuale amministratore delegato Carrai, lista che ha ottenuto il 37 per cento, e ha dato, quindi, all'avvocato Stefano Ambrosini, ex commissario straordinario dell'Alitalia, la carica di presidente della disastrata Banca Veneta e dodici posti nel nuovo consiglio di amministrazione della banca.

La sorpresa è aumentata dal fatto che da parte degli uomini e delle donne della vigilanza presso la Banca Centrale Europea c'era stato nei giorni scorsi un intervento a banca tesa che ammoniva che sarebbero stati esaminati con grande rigore i requisiti di professionalità e onorabilità degli eletti nel nuovo consiglio di amministrazione della banca veneta, lasciando trasparire il sospetto, espresso a gran voce dall'ormai ex presidente Bolla che ha dichiarato che le due liste che appoggiavano Ambrosini erano infarcite di clienti della banca che dovevano alla stessa una cifra complessiva nell'ordine di centinaia di milioni di euro (938 di cui 738 a vario titolo a rischio e spesso concessi senza garanzie) crediti per i quali in molti casi non si sarebbe proceduto, nella molto discussa gestione Consoli precedente a quella di Bolla, con la solerzia e l'impegno dovuti ad un'attività di recupero crediti.

Ho scritto più volte in queste settimane delle due alquanto traballanti banche venete, ma, mentre per la Banca Popolare di Vicenza c'è la soluzione rappresentata dal Fondo Atlante che ha investito un miliardo e mezzo di euro per entrare in possesso del 99,33 per cento del capitale e rivolterà quella banca come un calzino, nel caso di Veneto Banca quello che si apre, per usare le parole del neo presidente Ambrosini è un percorso ad ostacoli da compiere per di più avendo lo status di "vigilati speciali" da parte della ben poco accomodante vigilanza della BCE che controllerà le loro mosse passo passo, in particolare in vista di quell'aumento di capitale da un miliardo di euro per il quale la CONSOB ha inviato ieri una lettera nella quale si intima alla banca di avviare le procedure entro una settimana.

Se la regione Veneto fosse una nazione, il suo sistema bancario sarebbe già bello che fallito, ma per fortuna fa parte dell'Italia che, a sua volta, è nell'Unione europea e nell'eurozona, ma se i nuovi amministratori di Veneto Banca si illudono di avere sconti hanno fatto male i loro conti, perché non è più tempo di queste manovre all'italiana, spesso orchestrate per evitare che si riesca finalmente a scoprire gli scheletri nell'armadio.

Forse solo in Veneto poteva capitare che due grandi produttori di vino, Zonin e Bolla, avessero un ruolo di così grande rilievo nel mondo del credito, solo che il primo viene accusato da più parti di aver portato la sua banca sull'orlo del baratro, mentre il secondo ha cercato in tutti i modi di salvare il salvabile!

Come uno di quei fastidiosi mal di stagioni, torna ad esplodere la crisi greca, una nazione oppressa da un debito pubblico che, espresso in percentuale del prodotto interno lordo, non ha paragoni in Europa, nonostante la massiccia tosatura avvenuta pochi anni orsono per 100 miliardi di euro e che ora è alle prese con i mancati impegni nei confronti della Troika, Fondo Monetario Internazionale-Unione Europea-Banca Centrale Europea, impegni molto duri, in particolare sul caldissimo fronte della riforma delle pensioni, e che potrebbero pregiudicare la concessione della terza tranche di aiuti, fondamentali per ripagare i creditori per qualche miliardo di euro nel prossimo mese di luglio e, in assenza dei quali, si potrebbe verificare una situazione di default del debito pubblico dello stato ellenico.

Ho volutamente evitato di esprimere giudizi sull'operato della Troika in questi anni, anni che hanno catapultato un partito alquanto inesperto come quello di Tsipras al potere ad Atene, e non l'ho fatto anche perché bastano e avanzano le critiche espresse da due economisti dello stesso Fondo Monetario Internazionale in un paper che ha avuto risonanza mondiale e nel quale si mettono in evidenza i nessi tra la politica di austerità a dosi massicce e la recessione profonda in cui le stesse hanno precipitato l'economia greca, con costi sociali difficilmente quantificabili ma tremendi, così come si è visto che hanno contribuito a peggiorare gli stessi saldi di finanza pubblica. Insomma una cura peggiore del male!

Ma c'è una considerazione che indurrebbe i diversi soggetti chiamati al capezzale della Grecia a fare uno sforzo aggiuntivo ed è dato dall'approssimarsi della scadenza, il 23 giugno prossimo, del referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, e questo Tsipras, che sarà non esperto ma è molto, ma molto abile, lo sa e non è un caso che stavolta sia lui a fare fuoco e fiamme perché si tenga un vertice dei capi di Stato e di Governo per discutere le sue richieste in merito ai diktat della Troika, così come non è un caso che la Merkel stia facendo di tutto per non concedergli questa chance, non bastando più l'abbaiare del suo cane da guardia, il ministro tedesco delle finanze, Schauble che ha impedito ai ministri dell'economia e delle finanze dell'eurogruppo di discutere le richieste greche.

Per quanto riguarda la Brexit, non è bastato il fermo endorsment del presidente Obama in favore delle posizioni di quanti vogliono restare nell'Unione europea, in quanto l'autorevolezza del primo ministro Cameron è fortemente minata dal suo coinvolgimento nei Panama Papers, ma, nonostante questo, ha parecchie frecce al suo arco per vincere in questa difficilissima competizione referendaria.

Mai una missiva della vigilanza BCE è giunta più gradita ai vertici di una banca sorvegliata ed è questo il caso della lettera di Francoforte giunta ieri a Veneto Banca, l'alquanto disgraziata banca di una regione che sembra proprio avere un rapporto tormentato con il credito per le gestioni passate che hanno reso quelle banche le madri di tutti i crediti deteriorati, spesso crediti elargiti agli amici degli amici che erano anche azionisti della banca stessa determinando un corto circuito esiziale per la salute delle banche stesse.

Ho scritto in diverse puntate passate del Diario della crisi finanziaria che questa prassi sta affossando le due banche con sede legale nella regione veneto, La dissestata Banca Popolare di Vicenza che ha subito lunedì scorso l'affronto di vedersi rifiutata la quotazione nei mercati regolamentati da parte del comitato direttivo di Borsa italiana e ha reso necessario un intervento da un miliardo e mezzo di euro da parte del neonato fondo Atlante, Veneto Banca, appunto, e la costola veneta del Monte dei Paschi di Siena, sì quell'Antonveneta che tanti lutti addusse ai senesi e che ha determinato l'uscita di fatto dell'omonima fondazione con sede a Rocca Salimbeni dall'azionariato di una banca che un tempo controllava completamente.
Ma veniamo ai fatti. Ieri il presidente di Veneto Banca, Pierluigi Bolla, il capo della cordata di risanatori dell'istituto di credito, ha tenuto una soddisfatta conference call per rendere noto di aver ricevuto una lettera della vigilanza BCE che ha puntualizzato che vigilerà sui requisiti professionali e di onorabilità dei candidati al consiglio di amministrazione della banca in vista dell'assemblea del 5 maggio che dovrà, appunto. procedere al rinnovo delle cariche sociali.

Anche se la BCE non fa esplicitamente nomi e cognomi, il pensiero di tutti è andato alle due liste Per Veneto Banca e Azionisti di Veneto Banca, due associazioni che esprimono 51 persone indebitate con la banca per 510 milioni di euro, e si tratta in prevalenza di crediti deteriorati, crediti per i quali le passate gestioni non avrebbero fatto i passi necessari per ottenere il recupero del dovuto, quindi, hanno tutto l'interesse a interrompere il processo di risanamento avviato da Botta.

Quello di ieri rappresenta l'ennesimo caso di vigilanza tempestiva e puntuale da parte delle donne e degli uomini agli ordini di Madame Nouy, un'attività di vigilanza che oscura quella esercitata a suo tempo dalla Banca d'Italia e dalle altre banche centrali nazionali dell'area dell'euro!

C'era molta attesa per quello che avrebbe deciso ieri il comitato direttivo di Borsa italiana in merito alla richiesta di ammissione ai mercati regolamentati della Banca Popolare di Vicenza appena trasformata in società per azioni e con l'ombrello del neonato Fondo Atlante che si era impegnato a rilevare il 92 per cento dell'offerta ad un prezzo che, molto irrealisticamente, era stato fissato in una forchetta compresa tra i 10 centesimi e i tre euro ad azione e che ieri, in sede di bocciatura, è stata fissata a 10 centesimi appunto, con buona pace degli azionisti che le aveva in carico a 62 euro e che non rivedranno mai i loro soldi pur non essendo stata assoggettata la loro banca alla procedura di bail in e non si sa, al momento, quale sarà la sorte degli obbligazionisti semplici e subordinati.

La decisione negativa di Borsa italiana all'ammissione dell'azione della Banca Popolare di Vicenza era prevedibile, perché si sapeva benissimo che il flottante, ossia il quantitativo di azioni disponibili per le operazioni di compravendita sarebbe stato inferiore a quel 25 per cento richiesto dall'attuale normativa.

In risposta alla decisione dell'organismo di gestione di Borsa italiana, il Fondo Atlante ha comunicato che porterà la sua sottoscrizione dell'aumento di capitale, l'unico capitale della banca perché il resto è praticamente bruciato, al 99,33 per cento restando il residuo a un pugno di azionisti preesistenti e ristrutturerà l'istituto vicentino avendo le mani completamente libere da lacci e laccioli derivanti da minoranze azionarie, una situazione che era stata largamente prevista da Alessandro Penati e dai suoi collaboratori che, non a caso, nei giorni scorsi avevano già fatto presenti le loro intenzioni di rivoltare la banca come un calzino per portarla poi molto probabilmente a una fusione con qualche istituto più in salute, riuscendo, per soprammercato, a realizzare una plusvalenza stimabile in qualche centinaia di milioni di euro.
Si riapre anche la spinosa questione della mancata azione di responsabilità nei confronti dei precedenti amministratori, segnatamente l'ex presidente della banca, Gianni Zonin, un uomo che, per giudizio pressoché unanime dei suoi alquanto infuriati concittadini, ha distrutto il capitale dell'istituto in una presenza ventennale ai suoi vertici. I vertici attuali non hanno sponsorizzato l'azione che è infatti stata bocciata dall'assemblea, ma i nuovi azionisti molto probabilmente non guarderanno in faccia a nessuno.

Ora rimane aperta la questione dell'aumento di capitale di Veneto Banca, aumento che non è garantito dal Fondo Atlante, ma continua ad essere sulle spalle di Banca Intesa-San Paolo i cui vertici da stasera hanno davvero poco da stare allegri in vista di giungo, mese nel quale sarà valutata quell'operazione da parte, oltre che della CONSOB, ancora una volta da parte del comitato direttivo di Borsa italiana.

In un recente studio, la Banca d'Italia "misura" il rischio dei risparmiatori italiani rispetto all'ipotesi di bail in degli istituti di credito dei quali gli italiani, o anche gli stranieri residenti, sono azionisti, obbligazionisti o depositanti per la parte del deposito che supera la soglia dei 100 mila euro, una cosa che si sapeva, ma della quale si ignoravano le dimensioni che, espresse in lire, sono nell'ordine di qualcosa di più di 800 mila miliardi e che dimostrano come alcuni deflussi di capitale dalle banche siano dovuti da un lato alla propensione dei risparmiatori ad emigrare verso quelli che, a torto o a ragione, vengono considerati porti sicuri, cioè banche di maggiore affidabilità e solidità patrimoniale, mentre dall'altro alla nuova tendenza di spezzettare i depositi tra più istituti in modo da rimanere per ognuno di essi al di sotto della fatidica soglia dei 100 mila euro.
Scendendo nel dettaglio, scopriamo che la somma dei depositi al di sopra dei 100 mila euro è stimatia da Via Nazionale in 225 miliardi di euro, le obbligazioni non garantite sono pari a 173 miliardi, mentre le obbligazioni subordinate sono nell'ordine dei 29 miliardi, un dato in calo dopo le tristi esperienze delle quattro banche salvate in novembre dal Governo, ma con la prima applicazione del bail in che ha comportato perdite per centinaia di milioni di euro a carico dei detentori delle tre categorie di attività finanziarie colpite dalla nuova normativa che invano Governo e Banca d'Italia stanno cercando di addolcire in sede europea.

Ma la vera notizia sta nel fatto che, rispetto al 2011, gli strumenti di debito bancario sono calati da 1.017 miliardi di euro a 921 miliardi, complice un vero e proprio crollo delle obbligazioni bancarie non garantite passate, nel breve volgere di quattro anni, da 341 a 173 miliardi di euro, un deflusso che solo in piccola parte si è dirottato verso le altre forme di debito bancario, veleggiando quindi per altri lidi (molto probabilmente, verso l'investimento in titoli di Stato, azionario non bancario e fuga di capitali all'estero), anche se c'è un significativo aumento dei depositi entro la soglia dei 100 mila euro, segno che lo spezzettamento dei depositi sta avvenendo.

E' in questo quadro che si inserisce l'azione della nuova vigilanza europea, un'azione che non lascia nessuna banca italiana, a prescindere dalla dimensione, al riparo dagli strali delle donne e degli uomini capitanati da Daniéle Nouy che possono in ogni momento, tramite una semplice lettera, avviare quel percorso che, in casi estremi, può portare alla risoluzione della banca sotto esame, con conseguente applicazione delle drastiche misure previste dal nuovo meccanismo che vede colpiti per primi azionisti, obbligazionisti di ogni tipo e depositanti per la soglia, come ho ripetuto più volte,, superiore ai centomila euro.
Il fatto che una quota di poco superiore al 10 per cento della ricchezza finanziaria degli italiani sia oggettivamente a rischio non significa che si aprono scenari apocalittici, ma è soltanto un esercizio statistico della nostra banca centrale che ha diviso i 921 miliardi di euro di strumenti di debito bancario tra i 427 non garantiti e i 494 miliardi che invece, per fortuna dei loro possessori, sono garantiti (verrebbe da dire che, se si verificasse un crisi sistemica, sarebbe ben difficile garantire alcunché)

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