L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Economics (246)

Roberto

Roberto Casalena
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Guardavo l'altro giorno le statistiche sul prodotto interno lordo dei maggiori paesi dell'orbe terraqueo e mi ha colpito l'assenza dell'Unione europea, ignorata dai redattori della lista stessa proprio come se, come accadeva all'Italia di tanto tempo fa, fosse poco più che un'espressione geografica e non un insieme di paesi che ospitano complessivamente 500 milioni di abitanti e che produce un PIL che, nel 2015, supera quello cinese di 2 mila miliardi di dollari ed è dietro soltanto ai potentissimi Stati Uniti d'America .
Ma quale è il motivo di questa irrilevanza che si moltiplica quando si passa a temi quali quello della politica estera e della difesa? Non è solo, e non è tanto, nelle posizioni degli euroscettici, un insieme che accomuna forze politiche e sensibilità molto diverse tra di loro, ma sta nelle posizioni di buona parte dei leaders politici dei paesi membri, che, fatta la moneta unica e fatti progressi in direzione dell'unione bancaria, non sembrano assolutamente disposti a cedere ulteriori fette di autonomia e si rinserrano pervicacemente nei loro confini sempre più circondati dagli stessi muri che erigono contro la marea umana dei migranti che al momento e sulla base delle esangui tendenze demografiche sembrano più una risorsa che una criticità, come insegnano le esperienze vincenti della Gran Bretagna e della stessa Germania, per non parlare della Francia post coloniale.

Chi pensa che un eventuale successo del referendum del 23 giugno sulla Brexit sia in realtà una questione di poco conto e afferente esclusivamente agli abitanti di quella che in tempi antichi veniva denominata Albione commetterebbe un tragico errore, perché si può discutere sull'impatto economico negativo che l'uscita della Gran Bretagna potrà avere sugli abitanti di quelle terre, ma quello che è certo è che da quella scelta verrebbero spinte all'uscita di tanti altri paesi dell'Unione i cui governanti strizzano apertamente l'occhio alle spinte nazionalistiche e a quelle pulsioni che definire euroscettiche rischia di essere sempre più un tragico eufemismo.

Non è un caso che il presidente degli Stati Uniti d'America, una nazione con un'opinione dei decision makers non proprio favorevole all'Unione europea, si stia spendendo con vigore perché la Brexit fallisca, perché, al di là delle ricorrenti divergenze su quasi tutti i temi, avverte la necessità di un interlocutore che parli con una lingua sola su temi non secondari quali la finanza, la lotta al terrorismo jadista,il rapporto con Russia e Cina, la difesa e le questioni che compongono ogni giorno l'agenda dei potenti della terra!

Ma la posizione tedesca di chiusura sulle richieste della Grecia per poter accedere alla terza tranche di aiuti a suo tempo concessi dalla Troika, Fondo Monetario Internazionale-Unione europea-BCE, rischia di determinare a luglio un default del debito pubblico del paese ellenico e potrebbe creare le condizioni per una Grexit dall'euro.

Voucher digitalizzazione 2016 per le piccole e medie imprese per l'acquisto di computer, pc, hardware. Finalmente a quasi 2 anni dall'entrata in vigore del bonus imprese con il Decreto Destinazione Italia e da quasi un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del relativo decreto, con molta probabilità, il beneficio potrebbe partire da gennaio 2016. Di seguito tutte le informazioni su cos'è e come funziona l'agevolazione, quali sono le spese ammissibili, come e quando presentare la domanda e soprattutto quali sono i requisiti che le piccole e medie imprese devono possedere per partecipare al bando e fruire del contributo economico fino a 10.000 euro.

Voucher digitalizzazione 2016 PMI: bonus imprese.

I voucher digitalizzazione 2016 PMI fino a 10.000 euro sono un'iniziativa introdotta dal decreto destinazione Italia, al fine di favorire la digitalizzazione delle micro e piccole e medie imprese. Il beneficio, consiste in un contributo economico, dato sotto forma di voucher di importo non superiore a 10.000,00 euro, da utilizzare per aumentare o per adottare interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico. Per poter procedere, alla domanda dei voucher imprese da 10 mila euro le PMI dovranno attendere l'emanazione del provvedimento direttoriale da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che fisserà le modalità, termini, apertura per la presentazione delle domande, oltreché i requisiti e i moduli per accedere al beneficio, dal momento che la misura massima prevista del bonus è complessivamente di 100 milioni di euro. A quasi due anni dall'entrata in vigore dell'incentivo con il decreto Destinazione Italia, ma fino adesso mai utilizzato a causa della mancata approvazione da parte di Bruxelles del PON Imprese e Competitività 2014-2020, ovvero, l'approvazione ad utilizzare le risorse economiche previste dalla Legge di conversione, pare che la misura dei voucher digitalizzazione PMI 2016 partirà da gennaio, dato che il MEF renderà operativo lo sportello per le domande, solo ad inizio anno. Attenzione però, visto che l’operatività a valere sul PON è stata solo per il momento a favore delle imprese localizzate nelle 8 Regioni del Mezzogiorno, per cui Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, per quelle ubicate nelle regioni centro nord, si dovrà attendere invece lo sblocco delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione e del Fondo di rotazione, per le quali serve una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), che speriamo possa arrivare in tempi molto rapidi.

Chi può presentare la domanda?

Le imprese e le aziende che possono fare domanda del Voucher da 10.000 euro 2016 sono: a) Micro, piccola o media impresa (MPMI) indipendentemente dalla loro forma giuridica, nonché dal regime contabile adottato; b) Non essere imprese la cui attività siano riconducibili a settori di produzione primaria di prodotti agricoli, della pesca e dell’acquacoltura; c) Avere sede legale e/o unità locale attiva in Italia (per ora solo nelle 8 regioni del Mezzogiorno) ed essere iscritte al Registro delle imprese; d) Non essere sottoposte a procedura concorsuale, fallimento, liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo ecc.; e) Non essere beneficiarie di altri contributi statali per l'acquisto e servizi concessi dal voucher; f) Non essere soggette ad un ordine di recupero dichiarato dalla Commissione Europea per aiuti illegali.

Cos'è e come funziona il voucher imprese da 10.000 euro?

Il decreto Destinazione Italia è entrato in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo del 23 settembre 2014, dell’articolo 6, commi da 1 a 3, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 che ha istituito, a favore delle micro, piccole e medie imprese, Voucher imprese fino a 10.000,00 euro per l’adozione di interventi di digitalizzazione interni all'impresa, ovvero, per l'acquisto di computer, pc, software e hardware. Il bando per accedere ai fondi, è già diventato legge ma si deve attendere l'emanazione del provvedimento ministeriale che conterrà tutte le informazioni e le modalità che le PMI dovranno seguire per presentare la domanda per accedere al bonus.

Ma cos'è e come funziona il voucher digitalizzazione PMI? A cosa serve?

Il decreto appena pubblicato GU, prevede la possibilità alle PMI di accedere a fondi finalizzati ad aumentare l'efficienza aziendale dal punto di vista digitale e tecnologico. Il voucher da 10.000 euro serve quindi per acquistare software, hardware o servizi che consentano alle micro, piccole e medie imprese di: migliorare l'efficienza aziendale; modernizzare l'organizzazione del lavoro con strumenti tecnologici, tali da consentire la messa in funzione di nuove forme di contratti e lavoro, come ad esempio il telelavoro; aumentare la produttività con e-commerce; garantire l'accesso al web con la banda larga e ultralarga; accesso alla rete internet attraverso il sistema satellitare, con l'acquisto e l'attivazione di decoder e parabole, in quelle aree geografiche in cui non arriva il segnale Adsl. Per la formazione del personale PMI nel campo delle telecomunicazioni ITC. Attenzione: I servizi sopra elencati, devono essere acquistati e adottati, solo dopo il riconoscimento e concessione del voucher.

Cosa serve e quali documenti occorrono per presentare istanza voucher PMI?

Le imprese per poter presentare la domanda devono avere obbligatoriamente una PEC valida e funzionante e la firma digitale del rappresentante o del delegato.

Quando va presentata la domanda?

I tempi e le modalità di erogazione del bonus imprese, sono definiti dal Ministero dell'Economia che con successivo e specifico provvedimento direttoriale definirà le tempistiche per la presentazione delle istanze per fruire di questa importante agevolazione. Una volta presentata la domanda, il Ministero, provvederà a verificare il possesso dei requisiti e le spese ammissibili descritte nell'istanza, dopodiché determinerà l'importo del voucher, cui ha diritto l'impresa beneficiaria. Come viene dato il contributo? L'importo del voucher viene erogato direttamente dal Ministero in un'unica soluzione, in base alla somma richiesta dall'impresa in sede di presentazione dell'istanza e concessa e approvata dal MISE.

Cause di revoca del contributo e perdita dell'agevolazione.

Le cause che possono determinare la revoca del contributo e quindi perdita totale o parziale dell'agevolazione, sono: Il mancato possesso da parte delle impresa di uno o più requisiti che determinano l'accesso al bonus, o perdita di una delle condizioni prevista per la fruizione e mantenimento del beneficio. Se a seguito di controlli formali, l'impresa risulta aver presentato una documentazione irregolare tale da non poter essere sanata o addirittura falsa. Se non vengono rispettati i termini e le modalità per la presentazione delle richieste di erogazione del voucher. Se interviene nel frattempo una procedura fallimentare aziendale dell'impresa beneficiaria. Il mancato rispetto del divieto di cumulo dello stesso tipo di agevolazioni. Per info scrivere a : This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Per un patto non scritto raggiunto prima della sua fondazione, la Germania ospita la sede della Banca Centrale Europea ma non ne esprime il presidente, carica ricoperta, nell'ordine, da un olandese, con esiti disastrosi, da un francese, il non troppo rimpianto Jean Claude Trichet e, the basta but not the least, il nostro Mario Draghi, un uomo il cui curriculum incredibile e il cui operato gli hanno consentito di conquistare il nomignolo di Super Mario, una persona di successo che non piace né ai tedeschi, né al governo di quel potentissimo paese, ma soprattutto non piace al non più potente capo della banca centrale tedesca, un'istituzione che, prima dell'avvento della BCE, influenzava fortemente i destini economici dell'Europa.


Come ho scritto nel recente articolo sulla Banca d'Italia, parlando della perdita verticale di attribuzioni dell'istituto con sede a Via Nazionale in Roma, perdita di poteri che vale ovviamente per tutte le banche centrali dei paesi membri dell'area dell'euro, e vale, nonostante le chiare ambizioni di un uomo che non nomino neanche, anche per il capo della Bundesbank, che non perde occasione per attaccare Super Mario e la sua politica di quantitative easing e di politica dei tassi a zero, se non sottozero, quella politica che non piace ai risparmiatori tedeschi che non riescono a fare fruttare il loro denaro in banca e che vanno sotto in termini di rendimenti anche quando investono nei loro tanto amati Bund, i titoli di stato decennali made in Germany.


Ieri, venendo a casa nostra, o meglio nella sede dell'ambasciata tedesca, il nostro ce ne ha dette una per bere e una per sciacquare, affermazioni che un tempo avrebbero fatto tremare la borsa, che invece ieri gli ha risposto con un discreto rialzo e i nostri titoli di stato che, invece, hanno guadagnato qualche posizione, dicendo che il nostro debito pubblico è una minaccia per l'eurozona, che il nostro ministro dell'Economia è un inguaribile ottimiste, il che, in termini di cose economiche, significa dire che è uno stupido, e ha salvato solo quello che va in direzione del modello tedesco, e cioè il job act e il neonato fondo Atlante per garantire gli aumenti di capitale delle banche e per intervenire nel settore dei Non Performing Loans.


Che sulle banche dell'eurozona siamo di fronte ad un patto di ferro tra la Germania e la Francia è una cosa che sanno pure i bambini che sono cresciuti a pane ed euro, ma la politica di Madame Nouy ha apportato alle banche francesi e tedesche dei vantaggi competitivi immensi, pesando poco i rischi finanziari di cui queste sono strapiene e attribuendo un peso enorme ai rischi creditizi, rischi che dalle banche centrali nazionali venivano visti in modo molto diverso!

Ho detto più volte che gli strapagati banchieri italiani dalla fine dell'anno scorso hanno difficoltà notevoli ad addormentarsi e fare sonni tranquilli perché hanno in mente la severa signora francese alla guida della vigilanza delle banche dell'eurozona che vuole che in tempi rapidi ripuliscano drasticamente i loro bilanci dalla zavorra dei crediti deteriorati, non facendo quasi distinzioni tra questo ampio aggregato e quelli più ridotti delle sofferenze lorde e di quelle nette, adducendo Madame Nouy il ragionamento che, in una situazione di forte stress, non sarebbe possibile per la banca sotto attacco utilizzare gli accantonamenti effettuati nel tempo, perché vi sarebbe una crisi di liquidità in parte dovuta alla fuga dei depositanti oltre i 100 mila euro, come è accaduto di recente, per ammissione del suo stesso amministratore delegato, alla disastrata e sotto aumento di capitale Banca Popolare di Vicenza.

Ma un informatissimo articolo di Rosario Dimito su Il Messaggero va ancora più nello specifico e ci informa che per i banchieri italiani, ma non solo per quelli del nostro paese, la segretezza del manuale di vigilanza e, quindi, delle modalità di attuazione dello stesso, costituisce un problema perché non consente di capire quale è il modello di riferimento, quale è il modello ideale di banca secondo le donne e gli uomini della Banca Centrale Europea, così come non si capiscono i criteri secondo cui vengono divulgati alla stampa i nomi delle banche sotto stress test, visto che alla fine dell'anno scorso sono stati resi pubblici solo quelli delle banche italiane.

E veniamo qui al corollario della insistenza della vigilanza BCE sui Non Performing Loans delle banche italiane, perché l'adeguarsi alla politica delle pulizie di bilancio porta con se la necessità di procedere ad aumenti di capitale, aumenti che non potranno essere tutti garantiti dal Fondo Atlante come è stato nel caso della Popolare di Vicenza e che portano normalmente a contrazioni, anche forti della capitalizzazione di borsa delle banche coinvolte, richieste che non tengono conto, come nota Dimito, del fatto che negli ultimi otto anni le banche italiane si sono rivolte al mercato per una cifra di circa 40 miliardi di euro!

Per non parlare delle richieste di aumentare i livelli di patrimonializzazione di grandi gruppi bancari al livello assolutamente irragionevole del 20 per cento (Unicredit), o ad abbreviare significativamente i tempi oltre i quali un credito è considerato deteriorato, per giungere all'assurdo di considerare deteriorati i crediti verso la pubblica amministrazione, tutte cose che, ove attuate, disegnano uno scenario molto fosco per l'industria finanziaria italiana.

Faceva un po' tristezza la dichiarazione di martedì del Governatore della Banca d'Italia a proposito dell'approssimarsi della fase delle offerte vincolanti per le quattro banche tecnicamente fallite e che un decreto del governo ha scisso tra good bank e bad bank, banche tristemente note perché sono state il primo banco sperimentale di un bail in che teoricamente, all'epoca dei fatti, non era ancora operante ma, su input della vigilanza della BCE, fu applicato con qualche mese di anticipo, anche perché l'alternativa era il fallimento vero e proprio delle banche con conseguenze ancora peggiori del bail in stesso.
Le quattro banche erano Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, quattro istituti che, dopo la tosatura, di azionisti, obbligazionisti e depositanti per le somme superiori alla soglia garantita dei 100 mila euro, sono ora banche ripulite di tutte le sofferenze e gli incagli che avevano e che quindi hanno suscitato l'interesse di diverse banche e fondi di investimento italiani e stranieri e verranno vendute "sfuse o a pacchetti" ad offerenti che presentino tutte le garanzie anche dimensionali di essere atte ad operare nel sistema bancario italiano, requisiti questi che verranno accertati dalle donne e dagli uomini che operano alle dipendenze di Madame Nouy, responsabile della vigilanza europea presso la BCE.

Dicevo all'inizio di un sentimento di tristezza perché, avendo operato in un grande banca italiana, ricordo bene il timore reverenziale che si aveva nei confronti della Banca d'Italia, in particolare se la vigilanza della stessa interveniva con un'ispezione per controllare che la governance e l'agire concreto della banca oggetto dell'interesse della vigilanza fossero efficaci e improntati alla massima correttezza e conformi alle leggi e alle disposizioni normative che venivano via via emanate da Via Nazionale, tutte cose che oggi Francoforte fa in maniera più incisiva e con tempi non paragonabili a quelli del passato italico.
Attualmente, la Banca d'Italia è poco più di un gigantesco ufficio studi impegnato a sfornare statistiche e analisi sul sistema bancario italiano e non a caso sia il Governatore che il direttore generale sono stati responsabili dell'Ufficio Studi di Via Nazionale e ci si chiede a che serva avere un organico intorno alle 10 mila unità per svolgere tali attività. Ma questa scarsa rilevanza non impedisce di fare danni, come è accaduto martedì scorso quando, intervenendo nel corso di un'audizione, Visco ha fatto scendere i titoli bancari che erano impegnati in un vigoroso rally delle quotazioni dei loro rispettivi titoli azionari, in particolare il Monte dei Paschi di Siena, a causa di frasi contorte e non comprese dagli operatori.

Nel frattempo, il nostro vero Governatore, Super Mario, ha difeso ieri brillantemente, e con l'unanimità del consiglio direttivo, la Banca Centrale Europea dagli attacchi scomposti provenienti dalla Germania alla sua politica monetaria e, soprattutto alla politica dei tassi zero/negativi, e la cancelliera Merkel ha dovuto abbozzare!

Questo non è il primo articolo e non sarà nemmeno l'ultimo nel quale mi occupo delle banche che operano in quella sventurata terra, almeno dal punto creditizio, che è diventata il Veneto, occupandomi in particolare modo di quelle che hanno sede legale in questa regione, come la Banca Popolare di Vicenza e Veneto banca con sede a Montebelluna, ma ho poi fatto mente locale sul fatto che, acquisendo la Banca Antonveneta, il Monte dei Paschi di Siena è diventata una banca di casa, prendendo i depositanti di quella banca che nella fase più acuta del risico bancario italiano cadde nelle mani di Emilio Botin, patron del Santander e che in 24 ore ore fu ceduta al Monte dei Paschi di Mussari che la pagò qualche miliardo in più di quanto l'avesse pagata il capace e anche un po' rapace banchiere spagnolo.

Ma mentre parte dei depositi sono migrati verso altri lidi, gli impieghi di Antonveneta sono rimasti tutti lì e una parte di essi si sono trasformati in Non Performing Loans, andando ad appesantire quelli, già di per se non lievi dalla banca senese, che, a giugno dell'anno scorso presentava un esposizione complessiva di crediti deteriorati che sfiorava decine di miliardi di euro, così ripartite 11,8 miliardi di sofferenze garantite da immobili, 6,5 miliardi miliardi, una cifra enorme per una banca che vanta impieghi vivi per 117 miliardi di euro.
Ma scendiamo un po' nel dettaglio e vediamo che, al lordo degli accantonamenti, il Monte dei Paschi di Siena ha sofferenze per 26,6 miliardi di euro così ripartite: 11,8 miliardi di sofferenze garantite da immobili, 6,5 miliardi assistiti da garanzie personali e 8,3 miliardi non assistiti da nessuna forma di garanzia, mentre, al netto di quelle rettifiche di cui la mastina Daniele Nouy non vuole sentire nemmeno parlare perché in una situazione di stress non sarebbero utilizzabili, le sofferenze scendono a qualcosa di meno di 10 miliardi di euro.

Ho espresso più volte il mio personale apprezzamento per le capacità dell'amministratore delegato del Monte dei Paschi, Fabrizio Viola, ma ritengo francamente che quella sua sia la classica mission impossible e che solo misure straordinarie con adeguati aumenti di capitale possono far sì che la banca non venga travolta dall'eredità veneta che già tanto è costata in questi anni.

Ormai è certo: il neonato fondo Atlante toglie dalle spalle di Unicredit la fatica improba per una sola banca di garantire integralmente l'aumento di capitale della molto disastrata Banca Popolare di Vicenza, sì quella banca veneta che la gestione monocratica dell'ex presidente Gianni Zonin ha portato a un passo oltre il ciglio del precipizio, e l'altro ieri la borsa. invece di brindare allo scampato pericolo per la prima banca italiana, ha punito sonoramente i titoli della banca di Piazza Cordusio con un rotonda flessione del 3 per cento, proprio in una giornata nella quale la borsa superava con facilità lo scoglio dello stacco dei dividendi e il fallimento del vertice di Doha dei paesi produttori di petrolio aderenti all'OPEC, fallimento determinato dalla posizione iraniana contraria a qualsiasi congelamento della produzione fino a che non raggiungerà i livelli del 2011, quando, prima delle sanzioni, esportava tre milioni di barili di greggio al giorno.

Eppure Atlante, costituito nell'ambito del Fondo Quaestio sgr, è nato fondamentalmente per garantire gli inoptati dei tanti aumenti di capitale che le banche italiane dovranno effettuare o per situazioni pregresse alquanto disastrate, è il caso della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, o per far fronte alle perdite derivanti dalle alienazioni di crediti deteriorati impostati dalla vigilanza europea costituito presso la Banca Centrale Europea e guidata da Madame Nouy, e già si sa che, dopo il passo indietro di Unicredit sulla banca di Vicenza, ci sarà quello di Intesa-San Paolo sull'aumento di capitale di Veneto Banca con sede a Montebelluna, anche qui si parla di cifre miliardarie che il mercato non vuole assorbire, né tantomeno i precedenti azionisti stremati da un rally delle loro azioni da 72 euro alle poche decine di centesimi che l'operazione verità dei valutatori meno compiacenti di quelli che hanno attribuito quei valori stellari alle azioni delle due banche venete vorranno assegnare alle azioni delle future società per azioni.

Per il fondo Atlante, invece, queste operazioni potrebbero rappresentare una notevole fonte di guadagni, anche perché, partendo da questi valori anche troppo realistici , la possibilità di upside sono davvero significative, e non è un caso se la lista degli aderenti al fondo cresce ad ogni giorno che passa, attirati dalla promessa di un rendimento stellare del 6 per cento l'anno, una remunerazione dei fondi versati alquanto credibile sia sul fronte degli aumenti di capitale, sia su quello dei Non Performing Loans acquisti ad un valore intorno al 20 per cento ma che hanno garanzie per un 70 per cento medio del loro valore nominale, circostanza che rende credibile un valore finale di recupero intorno al 36 per cento!

Ma allora, si chiederà il lettore più smaliziato si chiederà, perché quest'azione di recupero non la fanno direttamente le banche che quei soldi li hanno prestati? E' una domanda che può fare solo chi non conosce gli apparati interni alle banche che non hanno l'agilità e il modus operandi delle società i recupero crediti e si accontentano spesso di transazioni scandalose facilitate da intermediari molto smaliziati, ma di questo parlerò più diffusamente nelle prossime puntate.

Occorre introdurre flessibilità in uscita nel sistema pensionistico "in tempi stretti" anche perché "c'é una penalizzazione molto forte dei giovani e, dato il livello della  disoccupazione giovanile, c'é il rischio di avere intere generazioni perdute all'interno del nostro Paese". Lo ha detto il presidente dell'Inps, Tito Boeri, sottolineando
come in Italia i livelli della disoccupazione giovanile siano "assolutamente intollerabili".

"Questa settimana partono le prime buste arancioni, saranno 150 mila e conterranno le informazioni di base" con la stima dell'estratto conto contributivo, e la previsione del rapporto tra contributi versati, pensione futura e possibile data di uscita". Così il presidente dell'Inps parlando a margine del 'Graduation Day all'Università Cattolica. Per Boeri si tratta di una operazione "importante, perché in Italia c'è una bassa cultura previdenziale e una consapevolezza finanziaria ancora più bassa, soprattutto fra i giovani".

"Abbiamo trovato tantissimi ostacoli, soprattutto per l'invio delle buste arancioni perché, lo voglio dire con sincerità, c'è stata paura nella classe politica, paura che dare queste informazioni la possa penalizzare". Così il presidente dell'Inps, Tito Boeri, parlando dei ritardi e delle difficoltà per la campagna informativa con cui l'Istituto diffonde le proiezioni sulla pensione futura. Per Boeri ha pesato "la paura di essere puniti sul piano elettorale".

Il part-time in uscita per chi è vicino alla pensione "è una sperimentazione e come tale va studiata, non si può dare un giudizio prima". Comunque, ha spiegato Boeri, "ci sono dei limiti di stanziamento, quindi in ogni caso non potranno esserci più di 30 mila lavoratori nel giro di 3 anni". E assicura: "valuteremo la misura con estrema attenzione".

Inps, +911.000 contratti stabili in 2015 - Nel 2015 i contratti a tempo indeterminato sono aumentati di 911.000 unità rispetto alla fine del 2014 (saldo tra attivazioni e  cessazioni). Il dato arriva dall'Inps che ricorda come nell'anno scorso abbia inciso l'esonero contributivo per le assunzioni e le trasformazioni di contratto a tempo indeterminato. Nell'anno sono stati oltre 1,57 milioni i contratti attivati con l'esonero, un numero molto superiore all'iniziale previsione (un milione). In pratica il 61% delle assunzioni stabili ha goduto del beneficio contributivo.

Nei primi due mesi del 2016 sono stati venduti oltre 19,6 milioni di voucher del valore nominale di 10 euro con un aumento del 45,2% rispetto allo stesso periodo del 2015 (13,5 milioni). Nei primi due mesi del 2014 erano stati venduti meno di 8 milioni di buoni di lavoro accessorio. Lo si legge sul Rapporto sul precariato dell'Inps.

Nei primi due mesi del 2016 sono stati stipulati 291.387 contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni) mentre le cessazioni, sempre di contratti a tempo  indeterminato sono state 254.274 con un saldo positivo di 37.113 unità. Il dato è peggiore di quello dell'anno scorso (-74% rispetto ai +143.164 contratti dei primi due mesi 2015), risente della riduzione degli incentivi sui contratti stabili e della grossa accelerazione nelle assunzioni stabili a dicembre. Il dato è peggiore anche del 2014 (+87.180 posti stabili).

Un’attenta analisi della situazione attuale continua a tenerci con il fiato sospeso sulle sorti dell’Italia. La crisi economica che ci ha affossati per un ventennio non può ancora dirsi superata, nonostante le continue rassicurazioni del Presidente Renzi. La ripresa risulta ancora di modesta entità e debole portata. Fiato sospeso anche per la valutazione che la Commissione europea dovrà dare a maggio sulla Legge di Stabilita, sulle correzioni che con la lettera inviata di recente al Governo ha sollecitato. Una ipotesi di relazione, si dice, relativa all’Italia del 2016 che parte dalle tre raccomandazioni che riguardano le priorità che la Commissione aveva indicato: rilanciare gli investimenti, proseguire le riforme strutturali per modernizzare le economie degli Stati membri ed attuare politiche di bilancio responsabile.

Il potenziale di crescita dell’Italia è stato considerevolmente limitato da alcune debolezze strutturali profondamente radicate: la crescita annua del PIL reale italiano attesta in media all’1,5%, ossia 2/3 di punto percentuale al di sotto della media europea, soprattutto a causa della modesta produttività locale dei fattori, l’elevato rapporto debito pubblico / PIL ed il saldo negativo della partite correnti che hanno limitato ulteriormente la capacita dell’economia italiana di resistere agli shock economici avversi. Sia a livello nazionale sia europeo fino al 2014 l’economia ha continuato a contrarsi. Nel 2015 il PIL reale dell’Italia è tornato ai livelli dei primi anni 2000, mentre il PIL della zona Euro era superiore a quei livelli di oltre 10%. Per quanto attiene il fisco il rapporto gettito fiscale – PIL nel 2014 era tra i più elevati della UE anche a causa del costo del debito pubblico. continua ad essere attesa la revisione delle agevolazioni fiscali, ad essere poco incisiva e coerente la politica fiscale, aumentando cosi l’incertezza degli operatori economici. Il sistema fiscale è complesso e la bassa percentuale degli adempimenti degli obblighi tributari aumenta ulteriormente l’onere gravante su imprese e famiglie.

In Italia il potere di acquisto delle famiglie consumatrici,ovvero il loro reddito resale, è aumentato nel 2015 dello 0,8%. Si tratta del primo rialzo da otto anni, dal 2007, prima dello scoppio della crisi. Lo rileva l’Istat che però guardando all’ultimo trimestre dello scorso anno registra una flessione della capacità di spesa, almeno a livello congiunturale (-0,7%). La variazione si mantiene invece positiva su base annua.

La spesa delle famiglie per consumi finale invece ha registrato un aumento dello 1% nel 2015; nell’ultimo trimestre dell’anno il rialzo è stato pari allo 0,4% a livello congiunturale. Scende la pressione fiscale che, nel 2015, si attesta al 43,5% in calo dello 0,1% su base annua. L’Istat spiega: “la correzione riguarda le operazioni connesse alla risoluzione della crisi delle quattro banche”. In conseguenza della revisione delle entrate, la pressione fiscale risulta rivista al rialzo di 0,2 punti percentuali. L’Istat, nel conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche, rileva inoltre che nel 2015 il rapporto tra indebitamento netto e PIL è stato pari al 2,6%, in diminuzione di 0,4% punti percentuali rispetto a quello del 2014. Nell’ultimo scorcio del 2015, l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL (dati grezzi) è stato pari al 2,2%, risultando inferiore di 0,2% rispetto a quello del corrispondente trimestre del 2014.

Come era largamente prevedibile, il vertice dell'OPEC di Doha di domenica scorsa si è chiuso senza un accordo e il petrolio e le altre materie prime energetiche hanno pagato prezzo già all'apertura dei mercati in Asia lunedì mattina, con il WTI, che nelle settimane precedenti aveva ritrovato un miracoloso prezzo di qualcosa di più di 42 dollari al barile, risprofondato verso la soglia dei 38 dollari, per poi ritornare a 40 dollari al barile, ma di strada, con il passo del gambero, ne dovrà fare ancora tanta e l'unica speranza sarà quella della vacillante offerta di petrolio statunitense, stretta tra chiusure di giacimenti e ricorsi di compagnie a stelle e strisce alla protezione dell'accomodante legge fallimentare in vigore negli Stati Uniti d'America.

Sembra proprio che i nodi al pettine della crescita mondiale, ieri parlavo del contributo dell'anemica crescita cinese (ovviamente per gli standard cui quel paese ci ha abituato in questi anni) alla possibile stagnazione secolare secondo la recente definizione del Fondo Monetario Internazionale, e già oggi vi sto tediando con la bolla scoppiata del prezzo del petrolio in virtù di un mancato accordo di cartello tra i produttori, flop peraltro largamente previsto dalla potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, una banca globale che di petrolio ha dimostrato davvero di intendersi, come quando guidò, via derivati, la carica che portò il greggio al prezzo record di 143 dollari al barile, per poi girare opportunamente le proprie posizioni per guidare il ritorno quasi repentino a quotazioni che non si discostavano dai 40 dollari al barile e guadagnò una montagna di soldi sia in una direzione che nell'altra!

Del resto, che le cose a Doha si stessero mettendo male lo si è capito quando si è saputo che la delegazione iraniana al tanto strombazzato incontro sarebbe stata guidata da un funzionario e non dal ministro del petrolio di quel paese, un malcapitato che ha potuto solo ribadire che l'Iran non avrebbe accettato nessun incontro fino a che il paese non avesse recuperato la produzione ante sanzioni del 2011, il che significa in soldoni che intende porre sul mercato una produzione aggiuntiva pari all'attuale sbilancio che vede l'offerta superare la domanda per 1-2 milioni di barili al giorno e ai presenti non è restato che prendere atto di una situazione che non rendeva possibile nessun accordo a meno di un sacrificio forte da parte dell'Arabia Saudita e di altri importanti produttori arabi, né era pensabile che venissero in soccorso altri disastrati produttori fuori del cartello, come la Russia di Putin o il Venezuela del traballante Maduro.

In questa terza ondata della tempesta perfetta, ogni elemento si tiene con l'altro e, già a partire da questa settimana, dovremmo assistere a una nuova corsa verso i "beni" rifugio, quali l'oro, il franco svizzero e i titoli di stato di Germania e Stati Uniti, facendo tendere i rendimenti del Bund tedesco ancor più verso lo zero!

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