
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
Fedora Quattrocchi
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Antonio Tajani |
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L’aula del Parlamento dovrebbe essere il luogo del confronto politico serio, anche acceso, ma sempre rispettoso delle istituzioni e del ruolo di chi le rappresenta. Quanto accaduto nelle ultime ore ai danni del ministro degli Esteri Antonio Tajani rappresenta invece uno scivolamento grave nel linguaggio e nel metodo del dibattito politico. La senatrice del Movimento 5 Stelle, Alessandra Maiorino, in un intervento dai toni volutamente provocatori, ha definito Tajani un “influencer prezzolato”, un’accusa che va ben oltre il dissenso legittimo e si inserisce in una strategia ormai ricorrente del M5S di delegittimare gli avversari, non attraverso il confronto sulle idee, ma colpendo sul piano personale e insinuando sospetti. L’On. Antonio Tajani, uomo delle istituzioni, con una lunga carriera politica alle spalle sia in Italia che in Europa, ha dimostrato equilibrio, competenza e senso delle istituzioni.
È innegabile che la sua comunicazione pubblica sia efficace e moderna, ma ridurre il suo ruolo a quello di un semplice “influencer” significa ignorare il lavoro diplomatico che sta portando avanti in un contesto internazionale sempre più complesso. Parlare di “prezzolamento”, termine che allude a corruzione o servilismo, è qualcosa di ancora più grave, che getta fango senza portare alcun contributo utile alla discussione. Il Movimento 5 Stelle, che si è fatto promotore di una politica “differente”, rischia sempre più spesso di ricadere in un populismo urlato e privo di contenuti. Invece di proporre alternative serie, preferisce colpire le figure più esposte del governo con accuse al limite della diffamazione, facendo leva sulla rabbia e sulla sfiducia. Ed è proprio in momenti come questi che la politica dovrebbe dare prova di maturità e responsabilità. L’On. Tajani, dal canto suo, ha scelto di non scendere al livello della polemica personale, rispondendo con sobrietà e fermezza. Un comportamento che conferma la sua postura istituzionale e il suo rispetto per il ruolo che ricopre. Se la politica italiana vuole recuperare credibilità, dovrebbe prendere esempio da chi, come lui, difende le proprie idee senza bisogno di insultare gli altri. L’attacco gratuito della senatrice del M5S è un segnale preoccupante e peraltro quando si esauriscono gli argomenti, resta solo l’invettiva. Tuttavia la dignità del confronto democratico merita ben altro.
Alessandro Barbero era insieme a Marco Travaglio la sera del 9 settembre 2025 nell'arena grande del Circo Massimo, ovvero neanche troppo grande abbastanza per contenere il dibattito serale gremito di gente, di quella sera della Festa del Fatto Quotidiano 2025. Erano loro due per fortuna anche su maxi-schermo a parlare di guerre giuste/sbagliate, paci giuste/sbagliate, Diritto Internazionale, genocidi, odio ancestrale/storico, "...la storia...tanto difficile da capire nel presente... " ribadiva il Prof. Alessandro.
Ottima iniziativa, ancora in corso fino al 14 settembre a tutte le ore e quella al top, di Barbaro/Travaglio, è stata catalizzante per tanti "giovani progressisti": peraltro, per quanto grande potesse essere statal'arena appunto, non tutte le persone sono entrate nello spazio adibito. Quindi - come da foto da me scattate - le persone si sono accalcate allegramente e ordinatamente, sedute, in piedi, lungo i bordi sopra-elevati del Circo Massimo, lungo le passerelle metalliche, sui prati intorno, sulle transenne e sulle impalcature! Bellissimo: un popolo sufficientemente giovane che per ben due ore e mezzo è stato in rispettoso silenzio ad ascoltare e ad applaudire il grande Alessandro Barbero e le interessanti domande del Direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio! Non sembra vero: schiere di giovani normalmente "aperitivanti seriali", sempre con il cellulare in mano a fare messaggini sciocchi e ripetitivi, ora erano, al Circo Massimo, ad "ascoltare" e non solo a "sentire". Vi è differenza. Non sembra vero: erano ad ascoltare la storia dell'Europa, in silenzio, per ore, per capire le vere origini delle guerre, sostanzialmente risultato di paci ingiuste e da scorrettezze rispetto ai trattati firmati. Si possono portare ad esempio gli accordi di Minsk da parte dei nazisti ucraini o gli accordi di Oslo e dell'ONU da parte dei nazisti sionisti, che stanno cacciando cristiani, veri ebrei e palestinesi dalle loro terre, dalla Palestina (...da Cipro, dalla Sardegna e da altri territori che gli fanno gola, adesso che scappano dai missili iraniani... che non si aspettavano a Tel Aviv...).
Quindi guerre giuste/sbagliate, paci giuste/sbagliate: circa 20.000 persone giovani, attente, la maggior parte ipnotizzate dalle parole di Barbero, che spiegava la Pace Giusta di Westfalia, dopo la guerra dei trent'anni di odio religioso assoluto, la Pace Ingiusta di Versailles, dopo la prima guerra mondiale,... Barbero, stimolato da Travaglio e dagli applausi del pubblico, spiegava "... la lama scagliata sul terreno nemico da parte dei romani ...era per dichiarare UFFICIALMENTE guerra...": cosa che ormai non si fa più! Si mandano bombe dappertutto, droni dappertutto, senza dichiarare guerra!! Si pensi alle bombe lanciate dai nazisti ucraini in Donbass dal 2014 al 2022, prima che Putin rimettesse le cose in ordine, dopo il colpo di stato di Maidan del 2014, organizzato dagli amici di Vittoria Nuland, vista in piazza nel 2014 in prima linea, senza averne la cittadinanza. In Ukraina non doveva mettere piede neppure Hunter Biden, e nemmeno i complici del servizio segreto MI6 inglese o gli amicucci NATO, piazzati lì da tempo. Purtroppo per loro però, recentemente, sono stati uccisi dai bombardamenti mirati russi in 63, ovvero mirati dopo che due ufficiali inglesi della NATO sono stati “pescati” in Ucraina: hanno "cantato" sulla posizione delle pseudo-basi NATO illecite sul territorio ucraino e i siti sono stati polverizzati. Peraltro alla NATO dovrebbe dichiarare guerra alla Ucraina visto che ormai è chiaro che gli attentati ai gasdotti tedeschi - quindi ad un membro NATO, ovvero il North-stream 1 e 2 - sono stati organizzati da ucraini insieme a servizi segreti deviati occidentali...tutto ovviamente svolto con i soldi dei cittadini europei. Sui quali Barbero giustamente ha detto, sul palco del Fatto Quotidiano, che "...sarebbero soldi da spendere per la sanità e per la scuola ... altro che per le armi per l'Ucraina...!!
Ma veniamo al punto saliente del titolo di questo articolo: se tanti "giovani progressisti" presuntivamente più di sinistra che di destra, sono stati tanto intelligenti, saggi, rispettosi, volenterosi, strategici, intellettuali, sociali, socievoli, intuitivi, curiosi, costituzionali e aggiungete voi altri aggettivi positivi possibili per questa serata meravigliosa partecipata con Barbaro e Travaglio al Circo Massimo, come mai questi stessi "giovani progressisti", si ribadisce presuntivamente più di sinistra che di destra, non ci hanno seguito nelle manifestazioni contro le violazioni della Costituzione sul green-pass e i vaccini killer?
Come mai non ci hanno seguito ed anzi ci hanno spesso isolato, vituperato, bloccato sui telefonini per non ricevere notizie sulla verità: eppure era già chiaro intuitivamente, fin da subito, che si trattava di vaccini bio-weapon con brevetto militare, come ormai ammesso e desecretato! Erano troppo presi dalle loro palestre ed aperitivi/birrerie/stadi da frequentare? Erano troppo deboli da incalzare contro Conte, Speranza e Draghi, che proponevano fake news sull'efficacia dei vaccini e sull'eticità del vaccinarsi? Etica? Basta riascoltare le registrazioni decretate del Comitato Tecnico Scientifico COVID19: tutti da galera o quasi. Adesso dopo tre anni, sono state ammesse/ riconosciute tutte queste verità? Ed i morti da vaccino? E le famiglie rovinate da infiammazioni ovunque, ictus, turbo-cancri, miocardite, herpes Zooster, autismo? Si possono ancora svegliare? Perché quei "giovani progressisti" hanno rifiutato i dettami costituzionali ed hanno permesso ai loro aguzzini nelle università, negli ospedali, nelle scuole, di sottoporsi ad un siero sperimentale senza "Prescrizione Medica Limitativa RRL" prevista dalla lettera AIFA del 20 dicembre 2020? Comunque ora, a verità scoperte sui vaccini COVID-19, loro, ancora giovani e magari con mutui da pagare, possono avere un risarcimento per ogni dose di vaccino fatta, anche senza aver avuto effetti collaterali: basta cercarmi su Messenger/Facebook e gli spiego tutta la procedura.
Noi "popolo di controllo incontaminato", non vaccinato, ci mettiamo a disposizione per questi "giovani progressisti", che stanno risollevando la testa, su Gaza, sulle tasse universitarie, sulle liste di attesa della sanità pubblica, sui mutui speculativi... saremo insieme quindi nelle prossime elezioni politiche, con quei piccoli partiti ora fuori dal Parlamento, che ci hanno salvato dai vaccini, da nuovi lockdown, dalla presenza dell'Italia in nuovi accordi con l'OMS e, solo dopo, potremmo vincere insieme: contro sionisti, nazisti ucraini, Big Pharma banche speculative, Fondi speculativi finanziari, mutui speculativi, espropri coatti della falsa "green-economy", aste giudiziarie speculative e quant'altro. Giovani di sinistra e di destra insieme - categorie ormai inutili in questo sfascio totale dei diritti umani e del Diritto Internazionale: entrambi parte del POPOLO SOVRANO giusto, previsto dalla COSTITUZIONE italiana, negli articoli fondamentali: "... la Patria appartiene al POPOLO SOVRANO .." e l'accordo di Cassibile del 1943 si può stralciare prima della scadenza... si è esagerato troppo nel vituperare e massacrare il POPOLO SOVRANO italiano.
Nel comunicato diffuso il 28 agosto 2025, la CGIL insieme a FP CGIL e FLC CGIL denuncia quello che definisce un “attacco senza precedenti” alle pensioni dei dipendenti pubblici da parte del Governo. Il tono, come spesso accade, è apocalittico: si parla di tagli retroattivi, di violazione della Costituzione, di decurtazioni da decine di migliaia di euro su pensioni medie e alte, di oltre 700.000 lavoratori colpiti e 33 miliardi “scippati” nel tempo allo Stato sociale. Una narrazione che, ancora una volta, preferisce lo scontro alla responsabilità, il clamore alla verità, e l’ideologia alla concretezza. Il sindacato più rappresentativo del Paese si comporta da partito d’opposizione, ma senza mandato elettorale. Non si limita a rappresentare e tutelare i propri iscritti nel contesto lavorativo – cosa che dovrebbe essere il suo unico, sacrosanto obiettivo – ma si erge a giudice morale e politico, emettendo sentenze contro qualsiasi iniziativa legislativa che non rientri nel suo recinto ideologico. In questo caso, accusa il governo di voler colpire i lavoratori pubblici per riequilibrare la spesa pensionistica. Peraltro, tralascia volutamente il fatto che la sostenibilità del sistema è una priorità condivisa da ogni governo europeo, e che il pubblico impiego italiano gode di trattamenti pensionistici ancora più favorevoli rispetto a molte categorie private. La CGIL ignora, nel suo comunicato, il problema di fondo che l’Italia ha una spesa pensionistica tra le più alte in Europa, oltre il 16% del PIL, e il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è in costante peggioramento.
Il sindacato non propone soluzioni, non avanza correttivi seri, non lavora per trovare un equilibrio tra giustizia sociale e sostenibilità, ma preferisce agitare il proprio elettorato interno, alimentare il risentimento, e creare uno scontro permanente tra lavoratori ed istituzioni, come se ogni riforma fosse una provocazione e non una necessità. Ma la parte più ipocrita del comunicato è la pretesa di purezza politica: la CGIL condanna con durezza le ipotesi dell’attuale governo, ma tace o minimizza ciò che è accaduto in passato. Nessuna parola sull’autore della riforma più traumatica degli ultimi decenni, Elsa Fornero, che nel 2011 – con un governo sostenuto dal centrosinistra – ha alzato l’età pensionabile, tagliato la pensione anticipata, cancellato le finestre di uscita e generato il dramma degli esodati, veri fantasmi del sistema previdenziale. La CGIL, allora, si limitò a qualche manifestazione simbolica, accettando di fatto la logica emergenziale e scaricando il prezzo su centinaia di migliaia di lavoratori, molti dei quali suoi iscritti.
Nessuna campagna di denuncia quotidiana e nessuna crociata mediatica come quella odierna. Perché? Forse perché allora i responsabili non sedevano nei banchi della destra, ma in quelli del “campo progressista”? Il sindacato dovrebbe essere un soggetto serio, che contratta, che conosce i numeri e che sta vicino al lavoratore in modo concreto. Invece, la CGIL si comporta come un organismo politico extraparlamentare attaccando selettivamente, urlando “diritti calpestati” ad ogni riforma scomoda e non ha più il coraggio di confrontarsi con la realtà. Una realtà difficile, in cui servono correzioni strutturali, equità tra generazioni, uscita graduale e sostenibile dal lavoro, e sistemi misti di previdenza. Tutto questo è ignorato in favore di slogan, retorica e vittimismo organizzato. Il comunicato della CGIL non è un grido d’allarme in difesa dei lavoratori, ma un manifesto ideologico contro chiunque non parli il linguaggio della sinistra sindacale. La pretesa di rappresentare “tutti i lavoratori” si sgretola di fronte all’evidente strumentalizzazione politica. E il risultato è, che la voce sindacale perde autorevolezza proprio dove dovrebbe essere più forte e specialmente nei luoghi di lavoro, nella contrattazione, e nella gestione delle crisi aziendali. Se la CGIL vuole davvero tornare a essere un sindacato e non un movimento politico travestito, deve smettere di gridare al lupo ogni volta che il governo affronta un tema scomodo. Deve tornare a trattare, a costruire, a essere credibile anche per chi non vota a sinistra. Altrimenti, continuerà a rappresentare sempre meno lavoratori e sempre più slogan.
Negli ultimi decenni, l’Italia, insieme ad altri Paesi europei come la Grecia, è stata teatro di una lenta e inesorabile distruzione del proprio tessuto economico, sociale e politico, orchestrata da un Sistema di potere tecnocratico e corrotto, di cui Romano Prodi rappresenta solo uno degli attori principali. Un Sistema che non ha mai esitato a calpestare la sovranità nazionale, svendere il patrimonio pubblico e piegare intere popolazioni alle logiche di un’Europa dominata dalle élite finanziarie e dalle grandi lobby internazionali. È tempo di smascherare questo Sistema per quello che è realmente: una macchina distruttiva che, con l’ausilio di uomini politici come Prodi, Monti, Letta, Draghi, Gentiloni, Conte, Di Maio e Ursula von der Leyen, ha trasformato l’Italia da Paese sovrano e ricco in una colonia economica, politicamente sottomessa e socialmente frammentata. L’opera distruttiva di Romano Prodi fu il primo atto di questa tragedia nazionale. In pochi mesi, Prodi riuscì nell’impresa che nessuno aveva mai osato compiere prima: smontare e svendere l’IRI, la più grande holding pubblica al mondo, una colonna portante dell’industria e dell’economia italiana. Questo non fu un semplice atto di privatizzazione o riforma, ma un vero e proprio saccheggio del patrimonio pubblico. Aziende strategiche vennero cedute a prezzo di saldo a investitori stranieri, con la scusa di modernizzare il sistema economico italiano, ma in realtà per consegnare nelle mani di interessi esterni settori chiave dell’economia nazionale.
Le conseguenze furono devastanti: perdita di posti di lavoro, chiusura di stabilimenti storici, desertificazione industriale e impoverimento generalizzato. Parallelamente a questa svendita, Prodi impose l’adozione dell’euro, cancellando la nostra moneta, la Lira, e con essa ogni possibilità di manovra economica autonoma. La scelta del cambio a 1936,27 lire per euro fu un diktat imposto dall’alto, privo di qualsiasi criterio economico sostenibile per l’Italia. La perdita della sovranità monetaria si è tradotta in una trappola per l’economia italiana, incapace di rispondere alle crisi con strumenti propri e costretta ad accettare politiche di austerità che hanno tagliato servizi, diritti e futuro ai cittadini. La svalutazione della Lira, che in passato avrebbe potuto rilanciare le esportazioni e stimolare la crescita, è stata sostituita da un euro sopravvalutato che ha strangolato le imprese italiane e ha fatto lievitare disoccupazione e povertà. Ma Prodi non è che il primo anello di una catena lunga e insidiosa. Dietro di lui, un esercito di figure politiche e istituzionali ha continuato a perpetrare questa linea di distruzione. Mario Monti, Enrico Letta, Mario Draghi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Ursula von der Leyen sono tutti ingranaggi fondamentali di un Sistema che sacrifica gli interessi degli italiani sull’altare delle élite europee e delle grandi lobby. Dopo Prodi, un altro nome emblematico di questo Sistema di distruzione è Mario Monti. Nominato “salvatore della patria” da una classe politica ormai incapace di governare, Monti ha imposto con durezza le misure di austerità più pesanti mai viste nel nostro Paese. Le sue “riforme”, vendute come indispensabili per salvare l’Italia dalla bancarotta, hanno in realtà inciso profondamente sul benessere dei cittadini, tagliando pensioni, salari, investimenti pubblici e diritti sociali. Monti ha rappresentato l’apice della tecnocrazia europea, quel burocrate prestato alla politica che, senza alcun consenso popolare, ha trasformato l’Italia in un laboratorio di politiche neoliberiste, sottoponendo il Paese a una sofferenza economica e sociale senza precedenti. Il suo governo “tecnico” ha ulteriormente cementato la subalternità italiana ai diktat di Bruxelles e dei mercati finanziari, cancellando ogni speranza di rinascita reale e democratica. Un altro protagonista chiave di questo Sistema è Enrico Letta, figura che incarna perfettamente la continuità di un establishment politico distante dai bisogni reali degli italiani. Letta ha rappresentato il volto moderato e rassicurante di una politica sempre più subalterna alle direttive europee e ai poteri finanziari. Durante il suo mandato, ha promosso politiche di austerità e riforme che hanno avuto l’effetto di comprimere ulteriormente i diritti dei lavoratori e di tagliare risorse preziose ai servizi pubblici, senza però ottenere risultati concreti in termini di crescita o equità sociale.
Il suo governo ha favorito l’adesione a un modello europeo che sacrifica la sovranità nazionale e il benessere popolare sull’altare delle regole di bilancio imposte da Bruxelles, dimostrando come nel Sistema non esistano realmente alternative politiche, ma solo variazioni sul tema di un copione scritto altrove. Draghi, in particolare, con la sua carriera da banchiere centrale europeo, è stato l’artefice di politiche economiche che hanno reso l’Italia sempre più dipendente dai mercati finanziari, schiava del debito e incapace di pianificare uno sviluppo reale. Gentiloni e Conte hanno sostenuto e implementato scelte europeiste che hanno peggiorato le condizioni di vita di milioni di italiani, mentre Di Maio ha incarnato la trasformazione da oppositore a esecutore fedele di queste politiche. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, guida un’Europa tecnocratica che impone senza pietà austerità, tagli e subalternità agli interessi nazionali, mascherando queste imposizioni con una retorica vuota di solidarietà e progresso. Il Sistema ha trovato alleati anche in ambiti insospettabili, ma fondamentali per la sua stabilità. La magistratura, anziché essere un baluardo di giustizia imparziale, è spesso politicizzata e piegata a interessi di parte, incapace o restia a indagare sulle connessioni tra politica e grandi poteri finanziari. I sindacalisti, invece di rappresentare realmente gli interessi dei lavoratori, si sono trasformati in apparati che gestiscono proteste pilotate, spesso concentrate più sulla conservazione di poltrone e privilegi che sulla difesa concreta dei diritti sociali. Landini e, in passato, Susanna Camusso ne sono esempi emblematici, figure più vicine alla politica ufficiale che ad un’azione autentica e radicale per il cambiamento.
A tutto ciò si aggiunge la questione dei centri sociali, che, con la benevolenza di molti sindaci delle grandi città italiane, continuano a esistere come focolai di violenza e tensione sociale, alimentando divisioni e scontri tra le fasce più fragili della popolazione, e senza alcun reale contributo alla coesione o alla risoluzione dei problemi sociali. Il Sistema ha inoltre alimentato, con la complicità di governi e istituzioni, un fenomeno migratorio incontrollato e gestito in modo criminale. Dietro la retorica umanitaria si nasconde, infatti, un business economico sporco e pericoloso. Organizzazioni mafiose e criminali internazionali sfruttano il flusso migratorio per gestire traffici illeciti di droga, armi, organi umani e prostituzione, destabilizzando territori e incrementando la violenza nelle nostre città. Questo fenomeno non solo peggiora la sicurezza, ma contribuisce ad aumentare la sfiducia e il malessere sociale, alimentando tensioni che vengono spesso strumentalizzate politicamente. Il quadro si complica ulteriormente con la gestione disastrosa del conflitto in Ucraina e le relative sanzioni economiche imposte alla Russia, decisioni che hanno colpito duramente l’economia italiana senza alcun reale beneficio per i cittadini. Le sanzioni, sostenute con zelo da Ursula von der Leyen, Mario Draghi e altri esponenti del Sistema, hanno innescato una crisi energetica senza precedenti, con costi insostenibili per famiglie e imprese, aggravando una recessione che già minacciava la tenuta sociale del Paese. L’Italia si è trovata così a pagare il prezzo di un conflitto lontano e spesso gestito senza alcuna strategia chiara, in una logica di subalternità totale agli interessi atlantici ed occidentali.
Peraltro, come se non bastasse, la recente escalation del conflitto israelo-palestinese ha rappresentato la “ciliegina sulla torta” in questo quadro di destabilizzazione. Le tensioni e i moti rivoluzionari che ne sono derivati in Italia e in Europa hanno ulteriormente esasperato il malessere delle popolazioni, creando nuovi focolai di scontro e divisione all’interno delle nostre comunità. La cittadinanza italo-europea si trova invischiata in conflitti che non le appartengono, manipolata da governi e media che cavalcano queste crisi per giustificare politiche repressive, soffocare il dissenso e mantenere un ordine profondamente ingiusto, e disumano. In questo contesto, i giovani italiani sono forse le vittime più sacrificali. Cresciuti in un Paese dove le opportunità di lavoro sono sempre più scarse, dove la precarietà è la regola e la speranza di un futuro dignitoso si affievolisce ogni giorno di più, si trovano a dover affrontare un sistema che li abbandona, li sfrutta e li esclude. Questa generazione paga il prezzo più alto di un Sistema che ha ucciso il passato, il presente e il futuro del più Bel Paese del mondo, lasciando dietro di sé solo macerie e desolazione. Non si tratta di semplice scontento o di critiche di parte: è una denuncia netta, forte, giustificata da fatti e dati, contro un Sistema che ha tradito il proprio mandato e ha consegnato l’Italia nelle mani di poteri che non hanno a cuore il bene comune. Prodi, Draghi, Gentiloni, Conte, Di Maio, von der Leyen e tutti gli altri compari di questa tragedia nazionale dovranno presto rispondere davanti alla storia e al popolo italiano per ogni ferita inflitta, per ogni speranza tradita, per ogni goccia di sangue versata sull’altare della loro avidità e della loro arroganza. La storia non dimenticherà. Ai posteri l’ardua sentenza, che saranno ricordati come i peggiori distruttori della sovranità, della dignità e del futuro dell’Italia, o forse come l’ultimo campanello d’allarme per una rinascita che dovrà partire da un rifiuto totale e netto di questo Sistema corrotto, disumano ed assassino.
Nel mentre l'associazione a delinquere Europa continua con le sue masturbazioni guerrigliesche, i magistrati rossi americani cercano di boicottare le politiche di Trump, rendendolo sempre più solo nel contesto mondiale. i rappresentanti del 60% e più della popolazione mondiale si riuniscono in Cina alla corte di XI Ping per discutere delle sorti del mondo. Quello che una volta era considerato il mondo sud asiatico oggi diventa punto di riferimento delle economie mondiali. In tutto questo l'Italia viene sballottolata come una biglia da flipper sia dall'America a cui è sottomessa per gli accordi del 43...ed è legata al cancro dell'associazione a delinquere EU che ha distrutto completamente il nostro tessuto sociale e produttivo. In questo contesto internazionale l'Italia che aveva una grossa considerazione internazionale oggi grazie all'inutile ministro degli esteri Tajani, è fuori dalle decisioni...Non si può più stare attaccati al carrozzone Europa che è fuori dai 4 pilastri mondiali. L'uscita dall'Europa sulle basi che avevano creato Monti e Savona, tra il 2010 e il 2013, è ineludibile. Solo così l'Italia potrà tornare ad essere protagonista e rialzarsi dal baratro in cui è crollata.
L'uscita dall'Europa e dall'Euro e possibile e attuabile. Quando entrerà in circolazione la moneta del BRICS il Dollaro crollerà, ecco perché Trump, prevedendolo, ha inserito i dazi obbligando le aziende a produrre in America per creare una economia interna circolare…. L'euro è solo carta straccia, creato solo per un unione europea farlocca senza nulla sottostante a garanzia, sarà buono solo per accendere il camino. In tutto questo non bisogna tralasciare il problema più grande e cioè quello che le potenze come la Russia, la Cina e la Turchia, stanno appropriandosi dell'Africa svuotandola, favorendo l'immigrazione clandestina, al fine di appropriarsi delle sue ricchezze. Dobbiamo entrare nella mentalità che il mondo è cambiato e gli equilibri di anni fa non esistono più. Se vogliano sopravvivere dobbiamo adeguarci al nuovo ordine mondiale che si è creato.
Altro che città dei 15 minuti: Roma è diventata la città delle 24 ore di rabbia, 7 giorni su 7. Mentre il sindaco Roberto Gualtieri sbandiera modelli europei, strategie sostenibili, digitalizzazione e green economy, i romani vivono immersi nel degrado, strangolati da una mobilità da terzo mondo e offesi da una giunta che parla di “transizione”, ma pratica il tradimento sociale. La Capitale è “smart” solo nelle slide proiettate nelle conferenze stampa, mentre i cittadini arrancano tra cantieri infiniti, ZTL punitive, cassonetti traboccanti e periferie abbandonate.
Gualtieri, si è insediato nell’ottobre del 2021, aveva promesso di risolvere l’emergenza rifiuti entro un anno, siamo giunti alla fine 2025 e l’unico risultato concreto è il consolidamento del caos. La differenziata è ferma al 45%, la manutenzione Ama è uno spreco sistemico (peraltro, quando ritirano i cassonetti dei rifiuti presso le abitazioni, ritiro porta a porta, sono anche fastidiosi con rumori di attrito del sistema meccanico), il termovalorizzatore è ancora al centro di polemiche, mentre la città annega nella spazzatura. Una vergogna urbana che si estende anche ai trasporti a firma Atac con diagnosi negativa in stato comatoso, peraltro le metropolitane viaggiano a singhiozzo ed i cantieri del Giubileo, che dovevano rilanciare la città, l’hanno paralizzata ed imbottigliata. Nessun potenziamento reale, nessuna intermodalità, solo blocchi, deviazioni e ritardi. E poi la visione urbanistica, quella “smart city” da manuale ONU, invece della rigenerazione, si è scelto l’abbandono selettivo. Le periferie, che Gualtieri ha definito “brutte” ed “inaccettabili”, sono state insultate prima con le parole e, poi, con i fatti. Zero investimenti culturali, zero piani turistici diffusi con solo cemento per eventi centralizzati e cordoli per piste ciclabili agli utenti a due ruote della domenica. Garbatella, Ostia Antica e il quadrante Est sono aree ignorate, desertificate e disprezzate. Come se Roma finisse al confine del Grande Raccordo Anulare. Sulla casa, poi, si è giunti al grottesco. Il piano per l’emergenza abitativa della giunta Gualtieri, presentato nel 2023, premia gli occupanti abusivi con percorsi di regolarizzazione, mentre le famiglie in graduatoria aspettano immobili fantasma e subiscono l’ennesima beffa con più burocrazia, nuovi carrozzoni e nessuna soluzione (oggi, forse, sarà più difficile con la Legge 80 del 2025). Una gestione che premia l’illegalità e ignora i cittadini rispettosi delle regole. Sul fronte ambientale, il paradosso è totale poiché da un lato si promettono “un milione di alberi” e dall’altro si autorizzano tagli indiscriminati. In Commissione Trasparenza, sono piovute denunce su abbattimenti sospetti ed affidati a ditte lautamente pagate.
Riforestazione? Solo sui social. E mentre la ZTL Fascia Verde, la più estesa d’Europa, è diventata una trappola sociale con le restrizioni imposte senza consultazione, i trasporti alternativi insufficienti, con i mezzi pubblici vetusti e nessun sostegno concreto per le famiglie penalizzate. È un green solo per chi può permetterselo. Peraltro, sul piano politico, lo spettacolo è ancora peggiore. Il rimpasto in giunta è stato un blitz autocratico del sindaco Gualtieri che ha imposto le sue nomine senza consultare il PD romano (suo elettore principale), alimentando tensioni interne e rafforzando il suo cerchio magico. Emblematico il caso Ruberti, ricordate, venne cacciato nel 2022 per un episodio grottesco (“inginocchiati o ti sparo”), ed è rientrato dalla finestra con un pacchetto di incarichi pubblici.
Altro che discontinuità, è la pura restaurazione del potere personale. E tutto questo, mentre Milano, tra stanchezze e contraddizioni, cerca soluzioni, Roma continua a dormire. Peraltro, la sveglia suona ogni giorno, sotto casa, quando ci si imbatte nell’ennesimo marciapiede divelto, nell’autobus fantasma, nel traffico più assordante e nella sporcizia, ormai, diventata elemento di arredo urbano. E dietro a tutto questo non c’è solo l’incompetenza, ma un progetto preciso di trasformare Roma in un laboratorio sociale dove il cittadino viene gestito come un oggetto logistico, ottimizzato, sorvegliato e tracciato. La città dei 15 minuti, nella sua versione romana, è una gabbia con il Wi-Fi e non un modello di vivibilità, ma un meccanismo di controllo con la chiusura nei quartieri di noi cittadini, penalizzati se ci muoviamo e colpevolizzati se non ci adeguiamo ai nuovi standard verdi imposti dall’”alto”. L’Agenda 2030 e il Green Deal diventano scuse per imporre divieti, aumentare le tasse e restringere le libertà. Questa non è sostenibilità, ma una pura coercizione. Non è neppure progresso, ma è un’assurda imposizione medievale. I più colpiti? Ancora una volta i cittadini delle periferie umiliati, esclusi e dimenticati. Ed ora anche minacciati con la loro casa e la conformità con i parametri energetici europei, potranno così essere esclusi dai bonus o addirittura veder messa a rischio la proprietà. La giunta Gualtieri ha firmato un patto con la tecnocrazia e non con i romani. Agricoltori sotto attacco, cibo sintetico spinto come soluzione etica e chi produce viene criminalizzato. È un disegno anti-umano, che prende forza mentre i servizi per il Popolo crollano. E allora basta. Occorre una Class Action popolare, trasversale ed apartitica, ma radicale, contro questa amministrazione comunale. Poiché Gualtieri ha tradito il mandato ricevuto. Ha disatteso ogni promessa. Ha trasformato Roma in una simulazione di modernità utile solo a conferenze e bandi europei. Bisogna denunciarlo politicamente ed agire per le vie legali per inadempienza su servizi essenziali, per gestione opaca di appalti e rimpasti, per scelte autoritarie imposte senza dibattito, per danni materiali e psicologici causati da misure punitive. Roma non è una vetrina ideologica. È una città viva, fatta di cittadini liberi che non vogliono essere ottimizzati, tracciati e zittiti. La vera smart city è quella che serve a chi la abita e non a chi la governa. Roma ha bisogno di voce e non di algoritmi, di partecipazione e non di imposizioni, e soprattutto, di rispetto! Un sindaco che disprezza la sua città non può rappresentarla. Roma merita molto di più. E deve tornare a lottare per ottenerlo.
Ultimatum a Putin di 3 mesi estivi, ultimatum a Putin di 50 giorni post-estivi, ultimatum a Putin delle ultime 24 ore ... il tutto inframezzato - di contro e paradossalmente - da un "tappeto rosso" in Alaska... sempre per Putin e sempre per mano di Donald Trump ... migliore amico, peggior nemico, carta vince-carta perde, tregua vince-pace vera duratura perde... Ed il "Premio Nobel per la Pace" a Trump sempre più lontano: in Ucraina ancora si muore ma soprattutto a Gaza ancora si muore!!!
Ma invero tutto questo sarebbe nulla rispetto al fatto che Trump, nonostante invitato, non è andato in Cina, al vertice del 2-3 settembre 2025, per ricordare quella parte dei vincitori della II guerra mondiale, come han fatto invece i Premier Russo e Indiano: una "NUOVA YALTA" mancata per Trump, rispetto alle aspettative del mondo ben descritte nei miei ultimi articoli
( https://www.flipnews.org/index.php/life-styles-2/technology-3/item/4546-l-apocalisse-ovvero-la-rivelazione-trump-putin-e-xi-jinping-nel-dopo-alaska.html,https://www.stampaparlamento.it/?p=56859&preview=true ,
https://youtu.be/BCRcJH4OWEc?si=duTP59O-mehVlNlX
e dopo: https://www.corrierenazionale.net/2025/07/08/cosa-direbbe-oggi-albert-einstein-ebreo-sionista-di-allora-a-netanyahu-ed-a-trump/
e dopo:
https://www.corrierenazionale.net/2025/06/23/il-trabocchetto-di-netanyahu-per-fregare-trump/:.....).
Il boomerang, irreversibile, quale risultato più eclatante della guerra in Ucraina, ovvero Putin in braccio a Xi Jinping, è arrivato: il vertice dell'organizzazione per la cooperazione di Shanghai iniziato ieri a Tianjin in Cina è stato trattato da tutta la stampa mondiale, addirittura nei paesi baltici, pure loro "gabbati" dalla EU e dalla NATO ormai morentI.
I paesi che partecipano all'evento cinese di questi giorni rappresentano cumulativamente il 42% della popolazione mondiale PRODUTTIVA, rispetto al restante Occidente IMPRODUTTIVO, ovviamente senza ancora contare quei paesi che stanno approcciandosi lentamente verso il BRICS, ovvero gran parte dell'Africa.
"...Basta bullismo dell'Occidente..." dice oggi XI Jinping al vertice cinese in mondo-visione: un nuovo ""Ordine Mondiale" di pace commerciale e di riduzione della finanza speculativa sionista ... Un vertice multipolare decisivo in cui Trump non è andato, nonostante sia stato invitato... rimanendo nella sua Virginia a giocare a golf.... e facendo l'errore più grande della sua vita, ovvero pensando di poter essere lui il "premier del mondo", mentre ormai senza ombra di dubbio l'ago della bilancia mondiale per mantenere la "pace commerciale" voluta dalla Cina è Putin. Paese strano è la Cina comunque: si passa dal controllo h24 dittatoriale, nei bagni pubblici di Pechino compresi, ai droni carichi di viveri lanciati su Gaza.
Trump non ce la fatta a uscire psicologicamente dalla sua "prigione sionista", mal consigliato dai paggiori falchi repubblicani NEO-COM, sommessamente alleati al Deep-State dei DEM satanisti, trascurando nel contempo il pensiero sovranista del suo ex-popolo MAGA, pacifico e multipolare.
La solidarietà Europea e mondiale verso Israele tra il 1945 ed il 2023 è finita, Israele è moralmente finita, Netanyau è politicamente finito e se Trump continua a seguirlo è finito anche lui, senza NUOVA YALTA e senza premio Nobel per la Pace.
Veramente Interessanti le parole dell'intervista del Professor Glenn Dieser ad Alex Krainer, analista USA economico ed Hedge-funds Manager USA, dopo gli incontri in Alaska ed a Washington per ridisegnare il mondo, di cui abbiamo già parlato (vedi link sopra). Cerchiamo quindi di sintetizzare qui le sue parole - evidentemente non comprese in tempo da Trump per partecipare di corsa all'incontro in Cina di questi giorni - "...le conseguenze della guerra in Ucraina hanno creato enormi ripercussioni sull'economia o occidentale - prima che tutto crolli - ..." , come accennato nei miei articoli citati sopra: la posizione Europea - o meglio di questa compagine Europea deviata - è incomprensibile, come portata avanti da pseudo-politici affaristi guerrafondai, assolutamente incompetenti, accompagnati dalla biondina non votata da alcun Popolo Europeo Sovrano: dovrebbe essere al carcere preventivo per non nuocere oltre, dopo la vicenda degli "sms / vaccini Covid-19... guardata a vista per non recare ulteriore danno.
L'impatto della guerra è sempre più evidente e le conseguenze economiche in Occidente saranno sempre più gravi e disastrose, sia per l'Europa che per gli USA, che non potranno ricevere i miliardi di $/€ EU per vendere le loro armi e per il gas naturale liquefatto in arrivo con le navi dai costi quadruplicati rispetto al gas russo a buon mercato: ERA QUESTO IL MOMENTO PER TRUMP DI MOLLARE QUESTA MARMAGLIA DEFINITIVAMENTE, SENZA INVIARE I 3000 MISSILI DI LUNGA GITTATA PER L'UCRAINA ED IL MOMENTO PROPIZIO PER PARTIRE PER LA CINA.
Fine dei giochi per Trump? SI, PER I PIÙ PESSIMISTI .
Dopo quasi tre anni di silenzi, depistaggi e interpretazioni contrapposte, la verità sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream inizia finalmente a emergere. Non lo fa per volontà dei governi coinvolti, ma perché gli equilibri geopolitici interni all’Occidente si stanno modificando. Le indagini tedesche, rimaste a lungo in stallo, sono tornate in primo piano con l’arresto in Italia di un cittadino ucraino, Serhii Kuznietsov, sospettato di essere uno degli artefici materiali dell’operazione che nel settembre 2022 ha fatto esplodere una delle principali infrastrutture energetiche dell’Europa. A distanza di tre anni, il danno economico è sotto gli occhi di tutti: i costi del gas quadruplicati, la competitività industriale tedesca in caduta libera, l’intera economia continentale piegata da un contraccolpo che ancora oggi non è stato del tutto metabolizzato. La narrazione dominante all’epoca puntava il dito contro la Russia, in un clima di isteria mediatica post-invasione dell’Ucraina, ma le prove a sostegno di quell’ipotesi non sono mai state solide. A ribaltare lo scenario è stata una serie di inchieste giornalistiche indipendenti, culminate con quella del premio Pulitzer Seymour Hersh, il quale nel febbraio 2023 ha accusato direttamente la Marina statunitense di essere l’autrice del sabotaggio, con l’approvazione della Casa Bianca, nel contesto delle esercitazioni NATO Baltops 22. Le sue fonti restano anonime, le prove non sono state rese pubbliche, e per questo la comunità internazionale ha potuto continuare a ignorare o screditare il racconto. Ma ora lo scenario si complica. Secondo fonti delle intelligence tedesca, olandese e americana, riportate da testate autorevoli e non certo filo-russe, la responsabilità materiale dell’attacco sarebbe da attribuire a un gruppo ucraino legato all’ex capo delle forze armate Valeriy Zaluzhny. La notizia, esplosiva, arriva in un momento in cui proprio Zaluzhny, rimosso dal suo incarico da Zelensky mesi fa, era oggetto di una strategia anglo-europea volta a sostituire l’attuale presidente ucraino, la cui popolarità internazionale e interna è in netto declino.
Se Zaluzhny è coinvolto nel sabotaggio, quella candidatura salta e con essa anche l’equilibrio instabile che l’Occidente ha cercato di costruire tra sostegno militare a Kiev e gestione della propria opinione pubblica. Perché il punto centrale non è solo l’identità dei sabotatori, ma la reazione dell’Europa: mentre gli Stati Uniti, secondo numerosi analisti, avrebbero avuto tutto l’interesse a interrompere la dipendenza energetica europea dalla Russia, Germania e Italia hanno subito perdite gigantesche. Eppure, né Berlino né Roma hanno mai chiesto conto a Washington, né tantomeno a Kiev, dei danni inflitti. L’Articolo 5 della NATO, che prevede la difesa collettiva in caso di attacco a un alleato, è rimasto lettera morta. Perché? La risposta è abbastanza scomoda e l’Europa non è oggi nella posizione di affermare la propria sovranità strategica. Gli Stati Uniti restano il perno della sicurezza continentale, e l’interdipendenza militare, tecnologica e diplomatica tra le due sponde dell’Atlantico impedisce qualsiasi reazione autonoma, anche quando gli interessi europei vengono colpiti frontalmente.
Il sabotaggio del Nord Stream ha funzionato come un gigantesco reset geopolitico tagliando il cordone energetico tra Berlino e Mosca, peraltro, ha spinto l’UE a rifornirsi di gas naturale liquefatto statunitense a costi esorbitanti, e ha legato, mani e piedi, la politica energetica europea, agli interessi di Washington. L’arresto in Italia di uno dei presunti sabotatori ucraini dovrebbe aprire un dibattito serio sul ruolo dell’Ucraina nel contesto NATO, ma la reazione dei governi europei è stata di nuovo il silenzio. L’Italia non ha convocato una conferenza stampa, né ha chiesto spiegazioni a Kiev. La Germania, tramite il ministro della Giustizia Stefanie Hubig, ha dichiarato che “non c’è più nulla da indagare“, una formula che sa tanto di archiviazione politica, più che giudiziaria. E mentre l’opposizione tedesca, con figure come Sahra Wagenknecht, chiede che si faccia piena luce sui danni subiti, il governo di Friedrich Merz continua a sostenere Zelensky senza mai mettere in discussione la lealtà dell’Ucraina. Il paradosso è che l’Europa, che avrebbe dovuto essere il soggetto protetto, si ritrova nella posizione di vittima consenziente. Ha rinunciato a pretendere responsabilità, ha sacrificato la verità per salvaguardare l’alleanza atlantica, e ha imposto ai propri cittadini i costi economici e sociali di una strategia decisa altrove. In questo contesto, l’idea che uno Stato europeo possa invocare l’articolo 5 non contro un nemico esterno, ma contro un alleato o un “protetto”, diventa non solo impraticabile, ma impensabile. Eppure, se i dati confermati dalle indagini tedesche e olandesi indicano che esponenti ucraini, con o senza l’avallo diretto di Zelensky, hanno organizzato e compiuto un attacco ad infrastrutture vitali europee, allora l’Europa non può più nascondersi dietro il linguaggio diplomatico. Dovrà scegliere se difendere la verità o proteggere un’alleanza che inizia a somigliare più a una sudditanza che a una partnership. E, peraltro, dovrà farlo in un momento storico in cui la credibilità delle democrazie occidentali dipende, più che mai, dalla loro coerenza con i principi che professano.
Nella capitale, la sede di Forza Italia a Montesacro subisce il quarto attacco consecutivo, mentre a Milano lo sgombero del Leoncavallo scatena nuovi scontri. Dietro le quinte, DIGOS e servizi segreti in allerta: chi vuole davvero spezzare il confronto democratico? La scritta “Fuori i fascisti da Montesacro” imbrattata sulla facciata della sede di Forza Italia in via Adamello, nel III Municipio di Roma, è l’ultimo di una serie di attacchi che la segreteria romana ha definito “vili e codardi”. A rendere evidente la gravità del gesto è il fatto che si tratta del quarto episodio consecutivo con telecamere sfondate, bandiere strappate e decorazioni vandalizzate. “Questi gesti non ci intimidiranno”, ha dichiarato Luisa Regimenti. “Chi opera nell’oscurità ricordi che la libertà trionfa sempre”. La reazione non si limita alle dichiarazioni. La Digos romana ha aperto un’inchiesta, intensificando i controlli su ambienti anarchici e antagonisti del territorio. Ma l’intreccio con le tensioni nazionali è evidente: pochi giorni prima, a Milano, lo sgombero del centro sociale Leoncavallo, dopo oltre trent’anni di occupazione, ha fatto esplodere un clima politico già incandescente. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito lo sgombero “la fine di una lunga stagione di illegalità” e difeso la linea della “tolleranza zero” con le occupazioni abusive. Concetto rilanciato anche dalla premier Giorgia Meloni: “…in uno Stato di diritto non possono esistere zone franche…”. A Milano, però, il sindaco Giuseppe Sala ha replicato indignato: “…non sono stato avvisato, il Leoncavallo aveva un valore culturale…”, denunciando una gestione politica unilaterale della Prefettura.
Questa escalation, vandalismo politico a Roma e sgomberi forzati a Milano, assume contorni inquietanti. I servizi segreti interni (già SISDE oggi A.I.S.I.) sono chiamati a monitorare non solo i gruppi più radicali, ma anche possibili strategie orchestrate per minare la libertà di associazione e il confronto politico nelle sue forme più visibili. Il rischio è l’indebolimento delle istituzioni democratiche, sostituite con atti simbolici di intimidazione e sgombero. Nel contesto romano, la scritta non è una protesta sfrenata: è una sfida diretta all’identità stessa del partito. In parallelo, lo sgombero del Leoncavallo, storico centro alternativo, assume un valore simbolico: si inviano messaggi politici a tutta la galassia antagonista e con conseguenze concrete sul terreno dei conflitti urbani. Dichiarazioni provocatorie punteggiano il dibattito: Matteo Salvini ha parlato di “decenni di illegalità tollerata dalla sinistra”, citando il suo passato da frequentatore del centro. Dal fronte antagonista, l’occupazione vissuta come presidio culturale assume valore simbolico, mentre gli sgomberi diventano terreni di scontro tra legalità istituzionale e memoria politica. Un utente su Reddit osservava, con testo diverso, ma stesso spirito, che imbrattare un simbolo politico “non porta alcun vantaggio alla causa”, invitando piuttosto a cambiare le cose con azioni di massa concrete (si tratta di un sito web di social media/forum dove gli utenti possono pubblicare domande e risposte, discussioni, esperienze personali, e molto altro). Il cuore della provocazione resta la domanda: qual è il confine tra dissenso legittimo e delegittimazione politica? La Digos ha il compito di sorvegliare le scritte, i movimenti notturni, nonché le connessioni politiche tra gli atti. I servizi segreti, da parte loro, sono chiamati a vigilare su discorsi di tensione premeditata o strategie di destabilizzazione invisibile. E la politica? Qualunque sia l’ideologia di chi scrive, occorre chiedersi: si alimenta confronto o si agita caos? Questa non è cronaca, è un momento di riflessione su quanto fragili siano oggi i simboli, le sedi e le storie. Roma e Milano offrono due facce di un’Europa urbana spaccata, una città imbrattata e l’altra svuotata. Ed in mezzo, la Legge e la Politica rischiano di restare schiacciate tra vernice messa bene e quella colata male.
Mentre si parla di transizione ecologica e mobilità sostenibile, Roma sprofonda tra strade dissestate, lampioni spenti, piste ciclabili pericolose e una rete viaria soffocata. Una città eterna, ma sempre più in declino. Roma è una capitale che si spegne, letteralmente.Quartiere dopo quartiere, la città vive nell’oscurità a causa di un sistema di illuminazione pubblica che alterna lampioni accesi a tratti interi completamente al buio. Non si tratta di episodi sporadici: la discontinuità dell’illuminazione è diventata sistemica. Un giorno è il turno di una zona residenziale, il giorno dopo tocca a una trafficata arteria periferica. E quando il buio arriva, si porta dietro disagi alla circolazione, senso di insicurezza e un netto peggioramento della
qualità urbana. La manutenzione degli impianti è, nella migliore delle ipotesi, reattiva. Nella peggiore, inesistente. L’efficienza energetica non può essere una scusa per lasciare interi quartieri abbandonati a se stessi ed un’illuminazione pubblica efficace è un requisito minimo per una città vivibile. Eppure Roma sembra averlo dimenticato. Al disastro dell’illuminazione si aggiunge quello, ancora più grave, della mobilità. La città ha assistito negli ultimi anni a un proliferare disordinato di piste ciclabili, in molti casi realizzate senza un piano organico e senza tener conto delle caratteristiche urbanistiche delle zone coinvolte. In nome della sostenibilità, concetto nobile, ma troppo spesso abusato, si sono ridotte carreggiate già congestionate, inserendo cordoli rigidi in prossimità di rotatorie e svincoli, proprio dove servirebbero visibilità e margini di manovra. Il risultato? Un caos assicurato, soprattutto, con l’inizio dell’anno scolastico e il rientro di massa dei cittadini in città.
Il traffico, già di per sé ingestibile, sarà aggravato da strettoie artificiali che non migliorano la sicurezza dei ciclisti, ma, anzi, la compromettono, creando conflitti diretti con auto, bus, motocicli e monopattini. Non serve imporre ciclabilità a forza dove mancano le condizioni minime di sicurezza e convivenza, bensì serve pianificazione e non propaganda. Nel frattempo, le strade romane continuano a essere disseminate di buche, rattoppi, cantieri aperti e mai chiusi. La viabilità privata e pubblica è ostacolata quotidianamente da lavori scollegati tra loro, senza alcun coordinamento tra municipi, assessorati e aziende di servizio. I mezzi pubblici subiscono ritardi cronici, i cittadini rinunciano all’autobus per disperazione, e il traffico privato torna ad aumentare, alimentando un circolo vizioso che peggiora inquinamento, tempi di percorrenza e frustrazione collettiva.
A ciò si somma la gestione del verde pubblico, che definire, approssimativa, è un eufemismo. Marciapiedi invasi da arbusti, rami che ostruiscono la visuale agli incroci, erba alta che nasconde segnaletica e semafori: la vegetazione urbana, non gestita, è diventata un ostacolo. E non solo per chi passeggia con una persona con disabilità, per un genitore con passeggino e per un anziano, ma, anche il semplice atto di camminare a Roma può trasformarsi in un percorso ad ostacoli. Tutto questo, mentre si moltiplicano gli annunci su “smart city”, rigenerazione urbana e investimenti per il Giubileo. In questo modo una città non è “intelligente” se non riesce nemmeno ad accendere le luci. Roma non ha bisogno di promesse roboanti né di piste ciclabili calate dall’alto. Ha bisogno di manutenzione ordinaria, visione tecnica e rispetto per i suoi cittadini. Un piano serio di illuminazione, strade sicure, segnaletica chiara, mezzi pubblici puntuali e spazi verdi curati, questo si, che è il vero progresso, non il maquillage elettorale a colpi di cantieri estivi. Roma merita di più di un restyling di facciata. Merita amministratori che conoscano la città, che ascoltino i cittadini e che tornino ad occuparsi delle fondamenta della vita urbana. Perché non c’è bellezza, non c’è innovazione e non c’è futuro senza la dignità delle cose semplici. Anche accendere un lampione può essere un atto politico. Ed, oggi, sarebbe già una rivoluzione.