L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Barbara Collevecchio - Il male che cura

 

di Silvia Pietrovanni

 

Il pensiero simbolico, afferma Eliade, precede il ragionamento discorsivo. I simboli collegano, e nel farlo, possono aprire feritoie/ferite, che necessitano di essere integrate.

Il rito del serpente a Cocullo si colloca in questa cura simbolica; esso affonda le radici nell'inconscio collettivo, e drammatizza archetipi quali l'Ombra, l'Eroe e la Grande Madre.

Con l'addomesticamento del serpente si attua un processo terapeutico che innalza l'uomo al di sopra della sua condizione elementare.

Il serpente, in quanto simbolo archetipico, conquista lo spettatore, poiché il rito esprime processi paralleli nel suo inconscio che possono così essere reintegrati nella coscienza.

La festa sembra risalire al XVII secolo, ed è un tentativo di cristianizzazione del culto della Grande Madre Angizia, la dea dei serpenti, i cui caratteri sono stati assunti da San Domenico che visse tra il X e l'XI sec, incarnando a pieno l'idea di semplicitas benedettina. Sono suoi attributi la cura dei morsi di serpenti, dei lupi, dei cani idrofobi, del mal di denti.

Angizia sembra derivare dall'indoeuropeo Ang, col significato di “soffocamento”, e da anguis, “serpente”. In terra greca all'interno del culto di Esculapio, che nell'iconografia è accompagnato da un serpente attorcigliato al bastone, i serpenti circolavano all'interno dell'Asklepeion, e venivano in contatto con gli ammalati durante il sonno risanatore.

I Marsi erano chirurghi, farmacisti, maghi, medici, taumaturghi e incantatori di serpenti, (anche detti ciaralli); discendono, secondo la leggenda, da Marso, figlio di Circe e si stanziarono attorno all'ex lago Fucino. Erano devoti della dea Angizia, negli stessi luoghi era presente anche il culto di Ercole.

Le dee antiche erano spesso accompagnate da animali selvaggi, sottolineando in questo modo la natura istintuale e selvaggia della psiche che la Dea sa comprendere.

Il nome “ciarallo” deriva dal corno con il quale i Marsi addomesticavano gli ofidi, secondo una leggenda che molto si avvicina alla favola del pifferaio magico. I ciaralli dediti al culto di San Domenico erano in rivalità con i Sanpaolari, anche loro immuni al morso delle serpi. Dal “male”, dal veleno, si estraeva la cura- antidoto.

La festa si svolge il primo giovedì di maggio, nelle settimane precedenti i “serpari” raccolgono i serpenti che vengono riversati nella statua del santo il giorno della processione. La statua è seguita da due ragazze che portano sulle testa ceste con cinque ciambelle e pani rituali.

All'interno della chiesa la gente raccoglie la terra della cappella del santo e tira una catenella collegata ad una campana con i denti.

Il serpente urobotico si ricollega alla Grande Madre nei suoi due aspetti: dispensatrice di vita e dispensatrice di morte, Mater Terribilis che soffoca il figlio prigioniero. Stessa ambivalenza si riscontra nel serpente: come animale ctonio si lega agli abissi, a loro volta portatori di saggezza o di follia.

Il percorso dell'Eroe ci ricorda l'importanza di avere il coraggio di affrontare la paura di vivere un'esistenza autentica, un percorso individuale, senza temere la morte del nostro uomo sociale, o la solitudine che spesso deriva da scelte indipendenti.

 

Barbara Collevecchio
Il male che cura
Persiani, 2011

 

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Last modified on Monday, 31 August 2015 06:36
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