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La Svizzera dal punto di vista vitivinicolo ha solo 15.000 ettari vitati, tre quarti dei quali si trovano nei Cantoni di lingua e tradizione francese, per una produzione di 1,1 milioni di ettolitri di vino assorbito nella quasi totalità dal mercato interno. Basti pensare che, in aggiunta, ne importano moltissimo per accontentare la crescente richiesta. Agli svizzeri piace il vino!
La maggiore produzione è rivolta ai “bianchi” (distretti del Vaud e Valais in primis); c’è una discreta produzione di “rossi” come Gamay, Pinot Noir e Merlot.
È bene sapere che la vitivinicoltura riveste per gli elvetici un ruolo importante culturale, sociale, geografico ed economico.
Vigneti del Valais |
Un po’ di Storia
Furono i Romani a diffondere la vite in Svizzera oltre 2.500 anni fa. A seguire i monaci in epoca medievale che contribuirono a modellare le terrazze circondate da mura e muretti ancora presenti nel Lavaux (Vaud, Lago Lemano o Ginevra) e nel Valais (Vallese, la valle del fiume Rodano). Arrivati ai giorni d’oggi fanno parte integrante degli emozionanti paesaggi elvetici.
Pinot Noir nel Grabunden |
Le zone di produzione.
Premessa: Non è facile caratterizzare con precisione le diverse zone. Terreni molto diversi a causa della formazione geologica delle Alpi e microclimi differenti, vuoi influenzati dagli aspetti mediterranei, vuoi dagli aspetti prettamente continentali. Infine la frammentazione del territorio vitato a causa della presenza dei massicci alpini. A seguire anche l’influenza delle zone linguistiche. Proviamoci:
VALAIS: 5.000 ettari esposti al sole su pendii a volte ripidi come quelli della Mosella, lungo il fiume Rodano. Rappresenta il Cantone maggiormente produttivo di lingua francese;
Vaud: sul lato nord del Lago Lemano. Ricordato da chi conosce i vini svizzeri, per il plateau del Lavaux. Anch’esso di lingua francese;
Vully: detto anche distretto vinicolo dei TRE Laghi (Neuchâtel, Bienne e Morat) di lingua tedesca;
Ticino: che sentiamo nostro essendo di lingua italiana. Dal clima temperato, divenuto nel tempo zona vocata per l’allevamento del Merlot;
Graubünden, distretto dei Grigioni, il più interessante. Rappresenta lo scrigno del Pinot Nero. Di lingua tedesca;
Vigneti della Svizzera tedesca |
Thurgau e Aargau: nord estremo al confine con la Germania, rappresentato dal corso del fiume Reno.
VITIGNI
Quando si parla, raramente, di vini svizzeri si ricordano lo Chasselas (bacca bianca) e Merlot (bacca nera). Pochi sono a conoscenza che esistono più di 200 vitigni autoctoni, nati, cresciuti, protetti dalle vie poco accessibili delle singole zone montane. Senza dimenticare, proprio per quanto appena detto, che uno stesso vitigno prende nomi diversi a seconda del luogo dove dimora. Riporto i più importanti:
Vigneti del Lavaux |
Export
Quasi inesistente. Qualche svizzero italiano varca il confine di Chiasso e porta con se qualche bottiglia di Merlot.
Ne consegue che, per conoscerli, è necessario andare nei singoli distretti e capire le diversità delle produzioni. Un suggerimento?
Nel Cantone dei Grigioni e più precisamente nella zona di Rheintal esiste il Regno del Borgogna svizzero: il Blauburgunder (Pinot Nero) , chiamato come in Alto Adige, qui sinonimo di vino tradizionale vinificato come nella Côte de Nuits. Una vera e propria “chicca”. Pensate che bisogna prenotarlo di anno in anno. Risulterà un’esperienza unica! Chapeau!!!
Comprendere come si sta configurando la struttura delle relazioni internazionali non è una sfida semplice, considerate anche le vicende relative al conflitto tra Russia e Ucraina che rendono lo scenario mondiale turbolento e incerto. Il libro “Indagine sul multipolarismo” accetta la sfida ed impegna una serie di studiosi internazionali (russi, statunitensi, cinesi, italiani, francesi) nell’analisi del concetto. Infatti, il multipolarismo è la categoria su cui ruota tutto il contenuto del volume. Esso viene disarticolato, quasi vivisezionato, in una miriade di analisi, che richiedono un notevole impegno al lettore per essere ricomposte in un quadro di sintesi tale da fornire una guida interpretativa.
Viene dispiegato un vasto armamentario concettuale costituito da modelli e teorie di vario genere che offrono molti interrogativi e qualche risposta che illumina il cammino analitico dei lettori. Per gli esperti di geopolitica e studiosi di relazioni internazionali costituisce una palestra per esercizi teorici rivolti ad irrobustire le loro capacità speculative, per il lettore meno esperto e non aduso ad un linguaggio specialistico rappresenta sicuramente una lettura utile ma particolarmente impegnativa e sfidante. Insomma, il libro non si legge tutto di un fiato comodamente seduti su una poltrona.
Il presupposto da cui le analisi contenute nel volume si muovono è la presa d’atto che siamo in una fase storica di progressiva redistribuzione del potere e del prestigio internazionale. Pertanto, è sempre più necessaria una seria riflessione sul multipolarismo anche perché il suo contenuto nel linguaggio corrente è spesso carico di una forte ambiguità come uno degli autori (Alessandro Colombo) riconosce nella ampia prefazione.
Il multipolarismo è una categoria delle scienze politiche, ed in particolare delle relazioni internazionali, la quale unitamente a unipolarismo e bipolarismo descrive la struttura del sistema internazionale e da conto della configurazione del potere a livello mondiale sia esso militare, politico, economico, tecnologico e culturale. Insomma, ci dice come il potere è distribuito nel mondo, a quali attori statali si ascrive e i punti di concentrazione. Il valore è essenzialmente analitico descrittivo. Oggi invece a questo concetto viene attribuita una valenza anche normativa, cioè sarebbe una configurazione secondo alcuni ideale verso cui tendere al fine di avere un ordine mondiale stabile, sicuro e pacifico, ovviamente da preferire alle altre due forme.
Considerata quest’ambiguità concettuale, in cui l’essere si sovrappone al dover essere, è apprezzabile il fatto che gli autori del volume cerchino di dare un contributo per chiarire il significato e l’utilizzo del concetto stesso. Da un lato si cerca di capire quali sono le tendenze che guidano il sistema mondiale, da un altro invece si ragiona sulla efficacia di un sistema multipolare nelle relazioni internazionali.
L’interrogativo decisivo lo pone Antonio Colombo il quale domanda se ha senso chiedersi se il sistema internazionale sia unipolare, multipolare o bipolare.
Una strada analitica da percorrere è capire – sostiene Colombo – come all’interno di un’area regionale si distribuisce il potere rinunciando a rinchiudere tutte le regioni in una medesima scacchiera diplomatica e strategica dettata da unipolarismo, bipolarismo e multipolarismo.
Se si adotta questa prospettiva si percepisce l’emergere di un ordinamento spaziale alternativo (l’India in Asia meridionale, il Brasile in America Latina, il Sud Africa nell’Africa sub-sahariana, la Cina in Asia orientale, la Russia tra Europa e Asia, l’Unione Europea), edificato sulla capacità di organizzazione delle singole regioni e sulla (progressiva) esclusione di qualunque interferenza esterna nelle proprie dinamiche di pace e di guerra.
Dal 1648 al 1945 il mondo ha visto il susseguirsi di Sistemi Multipolari, dove la distribuzione del potere è a capo di un numero ristretto di attori. Dal 1945 circa in poi, durante la Guerra Fredda si afferma un sistema bipolare dominato dagli Usa e dall’Unione Sovietica. Con il crollo di Berlino emerge un sistema unipolare che intorno al 2007/2008 presenta una configurazione di transizione verso forme differenti che hanno tratti multipolari e bipolari, a seconda della prospettiva di osservazione ed in cui la dimensione regionale assume una sempre maggiore rilevanza come viene messo in evidenza da diversi autori.
In questo contesto assume una particolare rilevanza il fattore “tecnologia”. Il sistema internazionale si sta configurando su un bipolarismo tecnologico in cui gli Usa e la Cina giocano la partita principale. Gli altri attori presenti nell’arena geopolitica politica mondiale ed in particolare l’Europa, relativamente alle piattaforme digitali, infrastrutture di trasmissione, cavi e data store, intelligenza artificiale stanno cercando di recuperare il divario rispetto ai due attori principali. L’Europa gioca una partita rivolta a costruire una propria sovranità tecnologia presupposto di una autonomia strategica che ancora non riesce a sviluppare a pieno e capace di metterla in grado di scalfire la supremazia tecnologica di Pechino e Washington.
Epicentro del libro sono gli articoli dello studioso russo Andrej Kortunov, direttore del Russian International Council di Mosca e autore del saggio “Tra policentrismo e Bipolarismo” e Phil Kelly geopolitico statunitense che si confronta con il russo nell’articolo “La transizione attuale della politica globale”.
Kelly sostiene che la politica globale sta attualmente passando dall’unipolarismo a una costellazione diversa, che sarà, molto probabilmente, bipolare o multipolare. Dove tale transizione giungerà, al momento non è ben chiaro.
La multipolarità è diventata nella concezione di Kortunov- afferma Kelly- «nient’altro che un’immagine dell’ordine mondiale desiderato, tratteggiata con le linee più sottili».
Un’alternativa convincente al multipolarismo sarebbe il multilateralismo, perché si baserebbe più sulla cooperazione e sugli interessi comuni tra tutti gli stati piuttosto che su una gerarchia di potere e privilegio.
Il multilateralismo di Kortunov, sembra tradursi in una focalizzazione sui mercati comuni e sul modello di integrazione regionale.
In definitiva, sostiene Kelly, Kortunov ci offre poco per spiegare perché il suo multilateralismo segni un miglioramento negli affari esteri o come possa essere raggiunto. Una lettura contemporanea dei mercati comuni potrebbe indicare, al contrario, un progresso ritardato verso livelli più elevati di integrazione.
Le previsioni dei due autori divergono in modo sostanziale. Mentre Kelly intravede un’era di disordine e conflitto, Kortunov ipotizza che la terra andrà incontro ad un epoca di integrazione pacifica e stabilizzante. Kelly sostiene la sua tesi utilizzando la teoria dell’equilibrio del potere, il realismo e altre teorie che, come viene ampiamente illustrato, sostengono la previsione di una transizione turbolenta verso un ordine mondiale che ancora deve definire i contorni.
In conclusione, la multipolarità, riprendendo il pensiero di uno degli autori, Côme Carpentier de Gourdon, è uno dei caratteri che sovente si ritiene essere tipico dell’architettura attualmente in evoluzione del mondo moderno; soprattutto dopo la crisi del 2007/08 che ha colpito profondamente le economie occidentali dominanti e stimolato contemporaneamente l’ascesa di Cina, India, Russia e di altre nazioni emergenti.
Rispetto alle tendenze future che disegneranno le configurazioni future del sistema internazionale vale come guida l’affermazione dell’autore francese ”Le teorie sono come le carte astrologiche. Mappano le configurazioni celesti e delineano le possibili conseguenze, ma non possono fornire certezze sul futuro”.
Scheda del libro
INDAGINE SUL MULTIPOLARISMO. Pareri a confronto
A cura di Tiberio Graziani – Prefazione di Alessandro Colombo
Autori: Paolo Bargiacchi, Alberto Bradanini, Côme Carpentier de Gourdon, Aymeric Chauprade, Aleksej Gromyko, Phil Kelly, Andrej V. Kortunov, Zeno Leoni, Andrea Muratore, Igor Pellicciari, Emanuel Pietrobon, Huasheng Zhao.
Collana Giano. Relazioni Internazionali diretta da Tiberio Graziani.
Edizioni Callive, Roma 2023 – ISBN 9788889991749 – Euro 20
La mostra “Ritratti Africani” dei fotografi Seydou Keïta, Malick Sidibé, Samuel Fosso a cura di Filippo Maggia in corso al Magazzino delle idee di Trieste chiuderà fra pochi giorni, dopo aver riscontrato un ottimo successo. I tre artisti fotografi sono stati presentati nei più grandi musei del mondo, nel 1997, per celebrare il cinquantesimo anniversario dalla fondazione degli empori Tati di Parigi, Seydou Keïta, Malick Sidibé e Samuel Fosso vennero invitati dalla direzione del grande magazzino a realizzare ritratti e autoritratti replicando il tipico studio fotografico africano, con l’auspicio di incontrare il favore e l’interesse del pubblico multietnico del quartiere. La mostra di Trieste riunisce le opere dei tre fotografi presentando un’importante selezione delle stesse per ognuno di loro, evidenziando e ragionando sulle differenze stilistiche e di approccio al mezzo fotografico: ritratti classici in bianco e nero per Keïta e Sidibé, autoritratti in bianco e nero e a colori per Fosso, questi ultimi proprio dalla serie realizzata per Tati. Il ritratto, appunto, caratteristica peculiare della fotografia africana. Come la “street photography” è riconducibile alla fotografia americana e la fotografia di paesaggio è indissolubilmente legata alla tradizione italiana, il ritratto è certamente stato per tutto il secolo scorso e, evolvendosi nel suo significato, in buona parte anche in quello attuale, il genere prediletto da molti fotografi africani. Ragioni storiche, politiche, sociali e religiose sono alla base di questa pratica perseguita con costante assiduità da nord a sud, da ovest a est del terzo continente per estensione del nostro pianeta. (Filippo Maggia, dal catalogo di mostra) Seydou Keïta nasce a Bamako, capitale del Mali, fra il 1921 e il 1923; discendente del clan Soudyata Keïta che ha dato origine all’Impero del Mali nel XII e alla dinastia Touré, fondatrice della città di Bamako; ha iniziato a fotografare in modo professionale nel 1948, durante il periodo coloniale. I suoi ritratti si caratterizzano per l’utilizzo della luce naturale, dei fondali monocromi o geometrici, che lui stesso crea.
I soggetti si fanno ritrarre nei loro abiti tradizionali, famiglie al completo, vestiti a festa, adornati da gioielli e con acconciature curate. Nel 1962, due anni dopo l’indipendenza del Mali, inizia a lavorare come fotografo ufficiale del governo maliano dedicandosi alla documentazione di incontri diplomatici, culturali e politici. Si ritira dall’attività fotografica nel 1977. Il successo internazionale arriva nel 1991 quando i suoi scatti vengono portati alla luce da Andrè Magnin, curatore esperto di Arte africana, che rimane colpito da tre fotografie esposte all’interno della mostra “Africa explores: 20th Century African Arts” presentata a New York e decide di recarsi in Mali portando con sé le fotocopie delle fotografie per rintracciare l’autore di quelle immagini. Nell’arco di pochi anni seguono esposizioni alla Fondation Cartier di Parigi e alle gallerie di New York. Sceglie di fotografare in bianco e nero per tutta la sua carriera.
Muore a Parigi nel novembre 2001. Malick Sidibé, nato in una famiglia Fulani (Peul in francese), dopo gli studi alla Maison des Artisans Soudanais di Bamako, apprende i primi rudimenti di fotografia come garzone di bottega presso Gérard Guillat (detto Gégé la Pellicule). Nel 1962 apre il suo studio a a Bamako e ritrae la “Dolce vita” della Bamako anni ’60 e ’70. Vive appieno l’euforia dell’indipendenza del Mali dei primi anni Sessanta, registrando con la sua macchina fotografica la spensieratezza e la libertà dei giovani, ormai privi dei tabù che hanno influenzato i loro genitori. Racconta la gioventù ribelle e sognatrice, protagonista di feste che si protraevano fino all’alba sulle sponde del fiume Niger. Volti, pose, notti di musica, giradischi, balli, moda pop e afro-beat. Nei suoi ritratti le persone, libere di utilizzare costumi e oggetti a disposizione (occhiali, radio, fiori, e quant’altro) appaiono in tutta la loro espressività e intensità. Le sue opere, a partire dal 1994, vengono esposte in Europa e negli Stati Uniti, culminando con due importanti riconoscimenti: il premio Hasselblad, uno dei massimi riconoscimenti alla carriera per un fotografo, ricevuto nel 2003, e il Leone d’oro alla Biennale d’Arte di Venezia nel 2007 (primo fotografo a ricevere questo premio). Muore a Bamako nel 2016.
Samuel Fosso nasce in Camerun e trascorre la maggior parte della sua infanzia in Nigeria, tra la sua gente, gli Igbo. Nel 1967 in Nigeria scoppia la guerra civile del Biafra, quindi Fosso si sposta a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana per lavorare nella fabbrica di scarpe dello zio. Qui nel 1975, a soli 13 anni, apre il suo primo studio fotografico “Studio Photo
National”. Il successo riscosso tra la popolazione locale, gli permette di dedicarsi ai suoi progetti personali come l’autoritratto. Una passione iniziata come modo per terminare i rullini e spedire foto di se stesso alla nonna rimasta in Nigeria, diventa una ricerca sull’auto-rappresentazione correlata alle tematiche sociali, culturali e politiche contemporanee. Rispetto a Seydou Keïta e Malick Sidibé, le sue fotografie hanno uno spiccato senso teatrale. Nelle sue serie fotografiche rievoca e rende omaggio a importanti figure politiche e culturali (African Spirits), riflette sul rapporto post coloniale tra Francia e le sue ex-colonie (Allonzenfans), e si interroga sulle contraddizioni della religione Cristiana (Black Pope). Le sue opere sono esposte nei più importanti musei internazionali come la Tate Modern di Londra e il MoMA di New York. Dal 2014, in seguito alla scoppio della guerra civile, vive tra la Francia e la Nigeria.
Magazzino delle Idee Corso Cavour, 2 Trieste www.magazzinodelleidee.it 18.02.2023-11.06.2023 Catalogo pubblicato da Electa.
E ‘arrivata la bella stagione e le gambe si scoprono. Sia per fronteggiare un aspetto meteorologico dove le temperatura si innalzano, che per mostrare un aspetto di grande impatto visivo di grande femminilità..
La minigonna è un capo di vestiario ideale per la stagione estiva e primaverile, un tipo di gonna con l'orlo inferiore che arriva molto sopra le ginocchia, dalla lunghezza variabile a seconda dei modelli.
Questo particolare tipo di indumento che ha fatto storia nella moda, inventato nel 1963 di Mary Quant è oggi considerato un simbolo di libertà ed emancipazione femminile.
E’ un capo per tutte l’età, amato da giovanissime e da Over 50 – 60.
Da sempre gli uomini apprezzano vedere una bella donna in minigonna e nell’arco degli anni questa prerogativa è stata testimoniata anche nello spettacolo.
Nell’anno 1938 arrivò un celebre successo musicale dal titolo “ma le gambe” dall’autore Alfredo Bracchi.
La minigonna si presta ad essere indossata in ogni circostanza e quando si ritiene opportuno. La moda dell’estate 2023 sarà la minigonna a pieghe “tendenza plisse” in versione anche in lungo.
Nell’arco degli anni si sono visti tanti tipi di modelli e tessuti, eppure recentemente qualcosa è cambiato e la tendenza ormai ha preso un’altra direzione.
Oggi pare che gli Schorts abbiano surclassato la gonna che rimane un must nei momenti eleganti.
Gli Shorts chic e cool, ormai sono diventati di gran moda, da indossare in tutte le occasioni e si possono trovare di ogni stile, negli espositori dei magazzini nelle nostre città.
D-Ciao Sergio, intanto grazie per avere accettato di essere intervistato. Dimostra una volta in più la tua gentilezza e disponibilità a donarti al pubblico.
Grazie, lo ritengo un dovere verso il pubblico.
D-Hai iniziato a lavorare come modello dopo il tuo trasferimento in Italia da Bilbao e poi è stata tutta una salita di successi e di avventure fra televisione, cinema, musica, spot, fiction e teatro.
Protagonista in ruoli importanti e determinanti che ti hanno reso giustamente il personaggio che sei ma senza mai perdere l'umiltà che naturalmente ti appartiene.
Una domanda che rivolgo spesso ai miei intervistai è quella di chiedere cosa non avresti voluto fare e cosa invece avresti voluto fare prima nel tuo periodo artistico.
R-Avrei troppa paura a cambiare il mio passato. Basterebbe un piccolo cambiamento e il mio presente non sarebbe più lo stesso. Non cambierei niente.
Avrei voluto però fare molto più surf.
D- Indubbiamente le tue qualità sono frutto d'impegno, di studio e di grande professionalità:
Cosa è che ti fa accettare o rifiutare un lavoro?
R-In realtà studio per paura e senso d'insicurezza. Non mi piace trovarmi impreparato. anche se le sorprese sono parte della vita.
Di solito accetto un lavoro se mi piace il copione, se mi fido del regista o se -mi fanno una proposta che non posso rifiutare-.
Quando fai l'attore di professione ogni tanto può capitare di fare lavori o avere richieste che non ti convincono del tutto.
D- Ultimamente sei molto impegnato soprattutto nel teatro ei risultati sono visibilmente positivi.
Quanto riesci ad entrare in -metamorfosi- con il personaggio da interpretare? e quanto di Sergio c'è nelle tue rappresentazioni?
R- Nelle interpretazioni teatrali, hai la possibilità di entrare sempre di più nel personaggio, replica dopo replica. Per quanto riguarda invece il cinema e la televisione, devi osare tutto
subito e poi rimane per sempre. La differenza sta qui; in teatro hai più tempo, più possibilità per entrare nel personaggio. Ovviamente devo usare tutto quello che ho, sia disponibile che
intellettualmente per creare un personaggio. Indubbiamente ogni personaggio interpretato, si macchia dell'attore che lo dipinge.
D- Sergio, tu non sei solo un attore, un modello, un cantante ma una miscellanea di tutto ciò e questo è probabilmente uno dei motivi del tuo successo. Sicuramente hai un equilibrio
mentale che ti permette di sapere muovere i fili giusti al momento e nel modo giusto.
Quanto è importante lo yoga che da molti anni pratichi nella concentrazione sull'impegno lavorativo?
R-Tutti gli attori hanno altri interessi artistici. La ricerca artistica e la curiosità fanno parte del nostro lavoro. Bisogna sperimentare altri linguaggi artistici per arricchirsi ed evolversi.
Lo Yoga aiuta in tutti i lati della vita. Tutti gli strumenti dello Yoga possono essere usati per crescere, anche come attore.
D- Da pochissimo hai concluso la tournée -Cuori scatenati-che ha di nuovo conclamato un successo di pubblico e di critica.
A cosa stai lavorando in questo periodo e quali progetti hai già in attivo?
RE adesso sto portando in giro - Tango, apologia di musica e parole- di Francesco Facciolli e il mio spettacolo intitolato - La mia onda -. In entrambi gli spettacoli, si fondono la musica e la recitazione.
D- Penso che ogni forma di arte sia la forza di un'introspezione da condividere con l'altro, sia per interpretare un copione, un testo qualsiasi, una poesia, una canzone, un dipinto, e tutto quanto possa sprigionare dalla musica che ti accompagna da anni.
Quanto ami questa forma di arte? Qual è la sensazione interiore che fornisce in ogni tua interpretazione?
R-Penso che la musica sia la forma d'arte più immediata. Bastano due note per creare un'atmosfera, per farti cambiare umore, per farti tornare alla mente momenti che pensavi dimenticati per sempre.
Tutto è vibrazione. La musica, secondo me è la più diretta delle arti.
D-Non amo mai fare domande sul privato ai miei intervistati perché trovo che la sfera personale faccia parte di un mondo da non contaminare. Nel tuo caso però visto la bellezza,
l'intelligenza e la sensibilità che ha Morena tua moglie, mi permetto di chiederti quanto conta avere la donna giusta al proprio fianco in questo mondo fatto di spettacolo, di apparenza, di
tempo impegnato fuori casa.
R-Come dice mia madre. “Non esiste la persona perfetta con la quale stare, ma bisogna diventare la persona perfetta con la quale il tuo partner possa stare.”
Stando con lei non mi focalizzo esclusivamente sul lavoro.
A te Sergio che ringrazio per la tua gentilezza lascio un po' di spazio per regalarci una tua frase, un tuo motto, un tuo pensiero:
Vivere giudicando meno gli altri è un buon inizio per essere felice.
Grazie Sergio, condivido in toto questo tuo pensiero che conferma la tua bella introspezione.
Carlo Mugelli |
D- Buongiorno dottore, lei è medico chirurgo, specialista in Geriatria e Gerontologia e primario di reparto Medicina e lungodegenza della Casa di Cura Ulivella-Glicini a Firenze, che fa parte del Gruppo Giomi.
Innanzi tutto che cosa è il Gruppo Giomi?
R- Il Gruppo Giomi con una storia di 75 anni è tra le società leader della sanità’ privata italiana. E’ presente nel panorama nazionale ( Toscana, Lazio, Puglia, Calabria, Sicilia) con 8 ospedali, 16 rsa/case di riposo ed 8 Ospedali/Rsa partecipati. Gestisce inoltre 3 centri dialisi e diversi poliambulatori e centri odontoiatrici. Un gruppo a gestione famigliare, arrivato alla terza generazione, che continua a tramandare i valori di una gestione improntata sull’umanizzazione del cure e la valorizzazione del personale.
D- Dottore, lei da anni si occupa di una branca medica molto importante visto che la tipologia di pazienti da seguire sono gli anziani e i fragili .
Può spiegare esattamente cosa è la geriatria?
R- Letteralmente geriatria è una parola che deriva dai termini greci “geron”, anziano e “iatros”, cura. Quindi è la branca della Medicina che si occupa della cura degli anziani. Devo precisare pero’ alcune cose. Prima di tutto chi sono gli anziani? La definizione di uso comune definisce anziani i soggetti di 65 anni o più. E’ un criterio anagrafico, decisamente anacronistico. Oggi a 65 come a 75 anni vediamo persone sane e in grado di fare, sia sotto il profilo fisico che intellettuale, tante cose come un adulto di 40 o 50 anni, a volte anche meglio. Insomma l’età anagrafica è un criterio molto parziale e incompleto per definire un anziano, come vedremo avanti..
D - Che differenza c'è fra la geriatria e la gerontologia?
R- La Gerontologia (sempre dal greco “geron”, “anziano” e “logos”, “parola o studio”) è la scienza che si occupa dello studio dell’invecchiamento, quindi delle sue caratteristiche fisiologiche, patologiche e delle sue modificazioni rispetto alle età infantile e adulta. Invece la geriatria, come ho detto si occupa della cura di questi soggetti. E’ chiaro che per un medico i due aspetti sono complementari e un Geriatra deve conoscere bene entrambe le discipline.. Vorrei fare alcune precisazioni: la cura dell’anziano non prevede solo la presa in carico delle sue patologie cliniche. Comprende anche la valutazione e la cura del suo quadro cognitivo, degli aspetti funzionali, quali camminare, essere autonomo o meno per le normali azioni quotidiane, dello stato psicologico e anche degli aspetti sociali, familiari e relazionali. Mi spiego meglio. Prendiamo uno degli spettri della Geriatria. La demenza più classica e temuta, la Malattia di Alzheimer. Si tratta di una demenza di tipo degenerativo nella quale, lasciando stare i meccanismi che ne sono alla base, le cellule cerebrali subiscono un danno progressivo che porta il paziente in tempi più’ e meno lunghi, a una gravissima perdita delle sue funzioni cognitive, quindi memoria, attenzione e concentrazione, capacità di giudizio, di pianificare programmi e cosi’ via. Spesso i pazienti con Alzheimer per i primi anni hanno un quadro da salute clinica buono e, inizialmente, solo alcuni familiari attenti o amici notano qualche cosa che non va; e spesso lo sottovalutano, attribuendolo a distrazioni o a inevitabile segno di invecchiamento. Ecco, in questi casi l’intervento del Geriatra aiuta, se non a modificare l’esito della malattia, a consentire una qualità di vita e una gestione migliore di questi pazienti, dando anche ai familiari la possibilità di entrare in una ottica positiva per la cura di questi pazienti. Posso andare un po’ avanti Dottoressa o la mia tendenza logorroica è già da frenare?
Prendiamo quindi un paziente con Alzheimer iniziale o lieve. Farmaci risolutivi per il progredire della perdita di memoria non ci sono o meglio possono dare un aiuto parziale. Ma alcune strategie possono aiutare; tenendo ben presente che un cervello stimolato a stare in attività funziona meglio di uno lasciato sempre a riposo, noi dobbiamo coinvolgere se possibile il paziente, i familiari e i care giver a cercare di tenere in attività questo cervello; come? Nei modi più consoni al paziente. Giocare a carte, stare con amici , uscire, fare cruciverba, lettura, cucire, fare attività fisica, vedere film (anche vecchie pellicole), ascoltare musica loro congeniale uscire a fare la spesa con il coniuge, anche semplicemente apparecchiare e sparecchiare possono essere importanti. Certo ciascuno al suo livello, ma piu’ cose fanno e meglio è; le attività che il paziente perde, difficilmente vengono recuperate. Pertanto è fondamentale assistere il paziente nelle sue attività e non sostituirsi a lui in queste. Se egli inizia ad avere problemi a vestirsi, anziché iniziare noi a vestirlo, è meglio guidarlo e assisterlo mentre lui stesso si veste, insomma mantenere il più’ possibile della sua autonomia, fin quando è possibile. Questo è un modello di malattia in cui il geriatra, il medico di base, il paziente, familiari e care giver formano una squadra, un team che affronta il problema “demenza” insieme, ciascuno consapevole del suo ruoli. Tengo molto a dire una cosa importante: ho detto che il paziente con demenza va stimolato a fare, a vedere familiari e amici, a uscire di casa, se necessario accompagnato perché quando la demenza avanza, da solo potrebbe avere problemi e causarne involontariamente ad altri. Tre cose però al paziente con Demenza devono essere imposte: non guidare auto e veicoli, tenere in casa un impianto di sicurezza per il gas e i fornelli, non deve essere lasciato solo con i bambini piccoli. La guida di auto o altri mezzi diventa pericolosa; i parenti spesso non vogliono capire e la frase è ” se gli tolgo l’auto è come togliergli le seconde gambe”. La mia risposta è seria; “e se le gambe le toglie lui a un ragazzo in motorino o in bicicletta come vivrete poi tutti voi?”, Sull’impianto di sicurezza per il gas l’opposizione dei familiari è più tenue “ no, no lui (lei) sta attentissimo-a e non è mai successo”. “Basta una volta signora e può’ scoppiare un palazzo, una strage, basta la prima imprevista volta”. D’altra parte cambiare i fornelli è semplice e utile; così che il gas anche se si spegne la fiamma, si blocca da solo. Lo consiglio a tutte le coppie di anziani e ancor di piu’ a chi vive da solo. Io francamente riterrei utile una legge che stabilisse che tutti gli impianti a gas fossero cosi, modificando gli impianti vecchi e mettendoli a norma. Avremmo meno catastrofi, almeno fra queste evitabili facilmente. Infine un punto cruciale; chiedo cortesemente a tutti i lettori (23 come diceva Guareschi) attenzione: non lasciare un anziano con problemi cognitivi solo con un bambino piccolo non vuol dire che i nonni o gli anziani con problemi cognitivi non debbano stare con i nipoti. Il nonno, l’anziano, sono una ricchezza, un privilegio; l’amore che si accende in questi incontri dà linfa vitale e gioia a nonni e nipotini, a vecchi e giovani. Dico di non lasciare un anziano con problemi di demenza DA SOLO CON BAMBINI PICCOLI; in compagnia di altri può starci, deve starci in famiglia, salvaguardando però assolutamente la sicurezza del piccolo. Perché non da solo? Perché nella demenza, a causa della ridotta capacità di giudizio, un anziano può portare fuori il bambino non tutelandolo adeguatamente dai pericoli del traffico automobilistico o potrebbe avere un episodio di psicosi (ci può essere e c’è sempre una prima volta) per cui magari scaglia involontariamente un oggetto contro il piccolo o mille altre cose. Quindi anziano e bambini si’, anziano con problemi cognitivi e bambini piccoli, loro due da soli, no.
D- Considerando che la geriatria è una specializzazione relativamente recente visto che in Italia è nata nel 1962, può dirci quanti passi avanti si sono fatti negli ultimi anni?
R- In avanti tanti: le porto alcuni esempi. Quando io ero all’Università (tanti anni fa ma l’America era stata già scoperta da molto) il cancro della mammella, che è il più frequente tumore nella donna (ma ricordiamoci che raramente può’ esserci anche nell’uomo) era considerato raramente curabile. Ora con la prevenzione e cure tempestive ed evolute, vediamo moltissime donne guarite riprendere una vita normale, a tutte le età. Il fatto che le fratture di femore vengano per lo più operate anche in pazienti di 80 e 90 anni ha migliorato molto la durata e qualità di vita dei pazienti. Gli interventi di cardiochirurgia, gli interventi chirurgici sono estesi agli anziani con benefici enormi. Mi permetta un altro esempio: i calcoli alla colecisti, alla cistifellea. Diversi anni fà si diceva di operare pazienti fino a 50, 60 anni, poi se i calcoli non davano coliche, meglio non operare e controllare nel tempo con ecografie. Un errore. Perché’? Almeno 3 motivi ma vi dico soltanto quello piu’ importante, per questione di spazio: attenzione. Il cancro della cistifellea è un tumore raro, ma di estrema malignità e gravità. Questo si sviluppa quasi sempre, ben oltre il 90% dei casi su colecisti calcolose. E ha una prognosi infausta, spesso con mortalità e sofferenze elevate. Pertanto è sempre da considerare in prima scelta l’intervento di asportazione della cistifellea in caso di calcolosi della colecisti, è terapia e prevenzione al tempo stesso. Ricordo che si tratta di un intervento oggi in genere semplice.
D- Il geriatra oltre che per l'autonomia, i deterioramenti cognitivi, i modi comportamentali degli anziani si occupa anche dei disturbi ansiosi e depressivi di questi pazienti?
R Certo, come ho accennato la salute dell’anziano comprende anche il benessere psichico. E vede Dottoressa, nella depressione e nell’ansia le terapie funzionano anche bene. I problemi sono due: uno, valutare farmaci adatti e seguire in paziente almeno telefonicamente durante la cura in modo regolare, perché dobbiamo bilanciare bene il dosaggio per avere un’azione efficace ma che senza effetti collaterali importanti; da vecchi si è più a rischio in questo senso. Ma seguendo il paziente, anche per telefono, regolarmente, si arriva a buoni risultati in genere. Attenzione: dico seguire telefonicamente ma dopo aver visto il paziente, averlo ascoltato (meglio ascoltare e coinvolgere anche i familiari, se il paziente acconsente), averlo visitato completamente anche con una valutazione del sistema neurologico, che il geriatra deve saper fare. Non mi piacciono le terapie telefoniche date senza aver prima preso visione clinica del paziente. Quindi visita e colloquio, poi seguirlo telefonicamente cosi’ che egli abbia un punto di riferimento costante. Questo aumenta anche la fiducia del paziente nella terapia; si sente, giustamente, protetto. L’altro problema è questo: se io ho davanti un paziente con una bronchite e gli prescrivo un antibiotico, in genere non c’è problema. Il paziente prende la terapia. Se invece ho davanti un paziente depresso e prescrivo una terapia il paziente accetta poco volentieri. Assumere un antidepressivo è letto come segno di debolezza, di poco coraggio. Bisogna ben specificare che la depressione non è debolezza né un semplice stato d’animo. E’ una malattia vera e propria, con basi biochimiche e come tale va curata. La forza è accettare di curarsi, non volerne uscire da solo rifiutando un aiuto essenziale. Anche sedute con Psicologi possono aiutare.
D- Come si comporta un geriatra di fronte ad un paziente che ha una multimorbidità ? Si avvale di altri specialisti? Chi?
R- La collaborazione con altri Specialisti arricchisce le strategie di cura. Gli specialisti devono stare in contatto, “remare dalla stessa parte” confrontandosi criticamente fra loro. Altrimenti se ognuno cura un apparato senza pensare agi altri aspetti del paziente, il risultato può’ non essere buono. Certo, collaboro con Colleghi di varie specialità: cardiologo, psichiatra, psicologo, ortopedico… con molti, nel modo che ho detto.
D- Può spiegarci come si svolge una prima visita geriatrica e quale è l'età per la quale conviene farla?
R- L’età: anche da 50 anni in su per la prevenzione. Prima un colloquio ampio in cui molto si deve ascoltare il paziente, pur guidandolo con alcune domande. E’ utile, se il paziente è d’accordo, parlare con i familiari, che costituiscono un punto importante nel programma diagnostico e terapeutico. L’anamnesi, diceva uno dei miei Maestri, è la regina della diagnosi. Aveva ragione. Poi la visita che, ripeto deve essere completa. Se indicata si effettua una valutazione mentale mediante alcuni test, ma bisogna stare attenti; dobbiamo capire se il paziente accetta questi test, altrimenti lo irritiamo e a volte il paziente si mortifica. Quindi valutare caso per caso. Ricordo che pochi mesi fà vidi una signora con una diagnosi di demenza grave fatta da un Collega specialista pochi giorni prima. Mi sembrava piu’ orientata e mentalmente a posto di me. Notai che al test che le era stato somministrato emergeva un particolare: su 30 domande la signora aveva totalizzato 7 punti soltanto, un punteggio che effettivamente di per sé indicava demenza grave. Ma vedevo che aveva risposto bene alle prime sette domande, mentre dalla numero 8 in poi aveva non risposto o sbagliato tutto. La cosa era particolarmente strana, perché ad esempio fra le domande cui non aveva risposto ce ne erano alcune semplicissime; ad esempio una in cui si chiedeva :” che cosa è questo” mostrandole una penna e un’altra analoga mostrandole un orologio. Attenzione: le prestazioni cognitive di un paziente con demenza possono fluttuare tantissimo anche nella stessa giornata, ma questo era davvero troppo paradossale. La paziente nel test precedente ricordava perfettamente la data, per dire, “oggi è lunedì 5 novembre 2023, stagione inverno e non riconosceva una penna biro né un orologio. Natura non facit saltus, diceva sempre un mio maestro. La natura non fa salti. Allora mi misi a parlare con la signora spiegandole le mie perplessità. Oltre a rispondermi con aria divertita anche alle domande cui giorni prima non aveva risposto, mi disse che, dopo aver detto alla Collega che lei non era demente né scema e non aveva nessuna idea di rispondere a domande che reputava offensive, aveva volutamente dato risposte negative o sbagliate. Naturalmente rivalutai la paziente in più occasioni, chiesi di valutarla anche a uno dei miei medici: nessuna demenza, solo un dispetto della paziente. Per dire: bisogna fare le cose non solo e non sempre secondo un copione rigido, sempre ricordare che siamo davanti a un paziente e ognuno ha le sua caratteristiche di cui tener conto, altrimenti si rischiano errori grossolani.
D- Quanto è importante la prevenzione?
R- Moltissimo. Riprendo quanto sopra sulla mammella. Aggiungo pochi dati. Prevenzione cutanea per il melanoma: il melanoma è un tumore della pelle, maligno. Scoprirlo presto salva la vita, scoprirlo tardi può essere fatale. Il melanoma si presenta a tutte le età, nei giovani, in adulti, in anziani. Può’ essere scambiato per un neo, può’ svilupparsi ex novo, da solo o su particolari nei precedenti. Una visita dermatologica in cui viene fatta la “mappatura dei nei” è una modalità di prevenzione efficace e permette di togliere il melanoma quando è in fase iniziale o addirittura di togliere quelle formazioni che possono diventare negli anni un melanoma. Esporsi al sole sempre con moderazione e cute protetta con appositi spray e un’altra modalità di prevenzione da usare. Una visita oculistica è sempre da fare almeno sui 40 anni, completa. Infatti ad esempio il glaucoma, malattia dell’occhio che può condurre a grave riduzione della vista e cecità in decenni, non dà sintomi finché non è molto avanzato. Una visita oculistica permette di identificare il problema e spesso l’uso di colliri adeguati permette davvero di salvare la vista. Avrei molti altri esempi, magari una prossima volta.
D- Che differenza c'è fra un paziente lungodegente e un paziente cronico?
R Lungodegenza è un setting di ricovero per pazienti che hanno bisogno di assistenza anche medica 24 ore al giorno, senza problematiche acute in atto. Un paziente cronico ha fra le sue malattie alcune che sono presenti da tempo e possono essere tenute sotto controllo, pur restando presenti.
D- Adesso caro dottore, le lascio questo spazio per poter essere libero di dire ai nostri lettori ciò che ritiene fondamentale a titolo informativo.
R- Grazie Dottoressa, vorrei approfittarne per dare indicazioni pratiche. Primo per la prevenzione: c'è’ un regola, chiamiamola pure la “regola d’oro”. Eccola 0,5.30. Ovvero: 0 sigarette, 5 porzioni di frutta e verdure da consumare al giorno, 30 minuti di passeggiata all’aperto, quotidianamente; questa passeggiata possiamo farla da soli o in compagnia, a passo normale a noi consono o veloce, cellulare silenziato e scarpe adeguate. Il tempo lo si trova. In particolare è dimostrato che una camminata di 30 minuti al giorno all’aperto aumenta la durata della vita, ne migliora la qualità, migliora l’equilibrio, ha effetti positivi sul tono dell’umore, migliora la massa muscolare, riduce l’eccesso di peso, la pressione arteriosa e la glicemia. Ricordatevi la regola d’oro. Vale anche in patologie come la demenza. Concludo con alcune considerazioni su un pericolo importante per l’anziano: le cadute.
-Dottore, stavo bene fino a un anno fa; 78 anni ma facevo tutto; poi quella caduta…. e da lì tutto è cambiato - Questa frase l’ho sentita mille volte dai miei pazienti: stare bene poi una caduta, una serie di problemi che si innescano l’uno sull’altro e portano a un peggioramento fisico e della qualità della vita. Le cadute sono un evento che coinvolge tutta la popolazione ma l’anziano è maggiormente esposto a questo rischio e subisce conseguenze peggiori. Vediamo quindi di conoscere meglio questo nemico e le strategie per ridurne il rischio. Diversamente da quanto si pensa, più spesso le cadute dell’anziano avvengono nell’ambiente domestico, nella propria casa. Ma perché un anziano cade? Quali conseguenze può avere una caduta sulla nostra vita? Come posso prevenire questo evento? Diciamo che un anziano cade per molti motivi; intanto con l’avanzare dell’età la stabilità si riduce per fenomeni di invecchiamento a carico dei nostri organi; sono più frequenti malattie che peggiorano le capacità motorie e l’equilibrio: patologie neurologiche come Malattia di Parkinson, ictus cerebrale, demenze. Artrosi di ginocchia, piedi, colonna vertebrale; alluce valgo. Il diabete, che può causare una ridotta sensibilità e motricità delle gambe. L’obesità aumenta il rischio di cadute e le sue conseguenze. Anche una ridotta nutrizione, con riduzione della forza e della massa dei muscoli degli arti inferiori, favorisce le cadute; la permanenza a letto per periodi lunghi, l’incontinenza urinaria, l’uso o abuso di certi farmaci, la riduzione della vista, anche dell’udito. Le conseguenze di una caduta possono essere gravi: fisiche (frattura del femore, bacino, arti superiori, trauma cranico, emorragie cerebrali) e psicologiche (depressione, paura di uscire e di camminare, immobilizzazione). Ecco alcuni consigli pratici per ridurre il rischio di cadute. Prima cosa l’assunzione dei farmaci deve essere seguita scrupolosamente come stabilito dal curante; terapie “fai da te”, autogestite o con modificazioni attuate senza consultare il medico, prese da internet o da consigli di amici, sono pericolose. La terapia deve essere seguita secondo il programma che il medico vi ha illustrato; ogni dubbio, variazione o altro deve essere condivisa con lui; dovete parlare con il vostro medico di fiducia apertamente, dire a lui i vostri dubbi serenamente. Il vostro parere può aiutarlo a scegliere farmaci e dosaggi adeguati. L’esercizio fisico, una passeggiata all’aperto di 30 minuti aiutano. Evitare l’uso di ciabatte o calzature aperte, anche in casa; scegliere scarpe comode e adeguate per uscire. Non tenete tappeti, tanto meno ripiegati e rialzati; sono un ostacolo. Se avete difficoltà a sedervi o ad alzarvi dal water, una staffa di metallo solidamente posizionata nel muro può aiutare. Non indossare in casa vestaglie troppo lunghe che entrino fra i piedi durante il cammino. Lo stesso per gonne troppo lunghe. Accendere la luce quando ci si alza di notte: il buio favorisce le cadute. L’illuminazione deve essere adeguata. Possiamo tenere puliti i pavimenti senza esagerare con l’uso di cera per pavimenti o sostanze che li rendono scivolosi. Non camminare sul pavimento bagnato. Evitare, in età avanzata, manovre quali salire su una sedia per pulire le finestre o le tende, o addirittura salire sulle scale per faccende domestiche o magari per la raccolta delle olive. Non sottovalutare episodi di vertigini, giramenti di testa; possono ripetersi o essere spia di qualcosa e dobbiamo segnalarli al medico. Se abbiamo problemi di vista ed è necessario, portare gli occhiali: devono essere adatti al nostro caso, con prescrizione dell’oculista; se ci sono problemi di udito importanti, le protesi acustiche, oggi anche “invisibili” agli altri, sono utili. Ricordo che l’udito con l’età tende di per sé a peggiorare (cosiddetta “presbiacusia”) per cui il problema va affrontato con serenità e senza inopportune vergogne In sintesi alcune semplici misure possono aiutarci ad evitare questi eventi, dei quali non dobbiamo avere paura e quindi ridurre le nostre attività, ma che dobbiamo imparare a gestire e prevenire nel modo e con le strategie più adatte..
Grazie mille dottor Mugelli per il suo tempo. E' sempre importante conoscere. Spesso anche le parole possono salvare la vita!
Ad maiora semper!
Non c'è nulla di cui sorprendersi. È tutto scandalosamente normale: una masnada di ignorantoni eterodiretti, rappresenta le istituzioni europee occupandone i più alti Uffici. Costoro non sono sfiorati dalla vergogna perché presi da una condizione di imbarazzante quanto sconcertante inadeguatezza sia culturale sia morale. Ma andiamo per gradi...
… come alcuni di voi sapranno, gli scontri tra Ucraina e Russia si sono concentrati nell'oblast di Belgorod (di cui è anche toponimo), importante snodo ferroviario a due passi dal confine. Tali scontri hanno impresso una certa stampa ma soprattutto i reparti militari coinvolti a vario titolo. Dunque, tale situazione delicata, ha preteso un chiarimento ufficiale. Chiarimento ufficiale che è stato affidato al cosiddetto “alto rappresentante dell'ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza”, lo spagnolo Josep Borrell. Un giornalista accreditato alla conferenza stampa ufficiale dell'UE ha chiesto a Borrell quale fosse l'attuale situazione nell'oblast di Belgorod. Egli ha risposto di non essere a conoscenza di nulla che riguardasse Belgrado (Serbia).Gelo in sala, il giornalista scandisce il nome B elgorod ma l'
Non sono a conoscenza di nulla. Né di Belgrado né di BelgorF. Non posso commentare cose di cui non sono a conoscenza!
Semplice, no? Lui non ne sa nulla e quindi non ne parla! Lui, la nostra “guida politica estera e di sicurezza comune dell'ue” di cui è pure vicepresidente, grazie alla modifica introdotta nel 2008 dal trattato di Lisbona. E pensare che la guerra in corso è giunta alla fine del quindicesimo mese consecutivo e il fenomeno post-nogheriniano, giusto 24 ore prima di questa figuraccia aveva dichiarato che l'addestramento dei piloti ucraini al pilotaggio degli F-16 è già iniziato in molti Paesi , come la Polonia. Questo prenderà tempo ma prima si inizia meglio è. All'inizio si discute, i Paesi sono riluttanti, come per i Leopard, ma alla fine ci si arriva. Ed è una misura ulteriore per far sì che l'Ucraina si possa difendere.
Alcune malelingue hanno fatto notare che tra l'abborracciato iberico ed il di Maio scorra buon sangue e larga intesa. Ed anche su questa chiosa, non c'è nulla di cui sorprendersi.
PS
Diffidate dell'articolo capzioso apparso sul sito aperto che ancora non è chiaro se sia un sito che si occupa di satira o meno. In quelle righe, si portano i lettori a credere che sia stato un lapsus, avrebbe solo confuso una località con un'altra. La verità invece è che non ne sa nulla perché costui è una zappa.
PS bis.
L'unica testata ad aver pubblicato il video – democraticamente fatto sparire di mezzo per evidenti ragioni di alta sicurezza, verrebbe da pensare – è stata quella di Visione TV che ha recuperato e mandato in chiaro l'estratto presente su tiktok: url https:/ /www.youtube.com/watch?v=stUuNNZz9cI&t=713s
Con: Marco Capretti, Fabrizio Gaetani, Lallo Circosta, Alberto Farina, Antonio Covatta, Fabio Baldieri.
Non conoscevo questo locale alquanto nascosto; si tratta di un ex magazzino, oggi adibito a luogo di intrattenimento con bar e sala per gli spettacoli, a cui è stato donato un aspetto originale e suggestivo. Il locale è per soli soci, ma è semplicissimo affiliarsi.
Lo staff è molto simpatico e gentile, e fornisce le esatte indicazioni per raggiungerlo. Io, che ho giocato la carta del fai da te, non l’ho trovato, ma l’errore mi ha permesso di arrivarci tramite un accesso secondario, cioè da un’uscita di emergenza... Entrato in un palazzo attraverso il portone condominiale che affaccia sulla via parallela e seguendo un allegro vocio che arrivava da una porta metallica, ho bussato, e ad aprirmi sono stati niente popò di meno che Marco Capretti, Fabrizio Gaetani e Lallo Circosta! Di fronte alla mia inconsapevole invasione, hanno cominciato a ridere! Mi sono ritrovato immerso in un ambiente con luci soffuse e musica di sottofondo, con gli artisti a conversare amabilmente mentre cenavano e forse mettevano a punto gli ultimi dettagli prima di iniziare la serata. Ho avuto la sensazione che lo spettacolo fosse già cominciato e che io ne facessi parte!
Riesco a partecipare solo ora al “Chaltron Show”, organizzato da comici che stimo ed apprezzo molto, a cominciare da Marco Capretti, Lallo Circosta e Fabrizio Gaetani che ho seguito in passato; finalmente ho potuto vedere dal vivo anche Alberto Farina, che ho sempre seguito in spezzoni fruibili sul web. E ho avuto anche il piacere di incontrare Antonio Covatta e Fabio Baldieri.
I nostri partono con un abbozzo di copione, per poi improvvisare continuamente. Immaginate sei amici folli che avete invitato a cena che, lasciati a briglia sciolta, sfruttano qualsiasi espediente per fare comicità e rallegrare la serata, prendendo spunto da qualsiasi cosa. Partendo da poche tracce preparate, divagano in continuazione interagendo non solo tra loro ma anche con il pubblico, coinvolto per inscenare continue gag spassosissime. Ad esempio quelle che nascono dal ricordo di frasi o scene di film come “Testa o croce”, “Fracchia la belva umana” oppure “Il marchese del grillo”, che hanno fatto la storia della comicità italiana.
Antonio alla chitarra stravolge in modo geniale i brani più conosciuti della canzone italiana e ci fa ascoltare “Grazie Lazio” di Venditti; oppure ci fa conoscere un’Orietta Berti come non la immagineremmo mai, Vasco Rossi nerd, Gigi D’Alessio che canta in milanese e Achille Lauro in napoletano. E poi Pierangelo Bertoli che corre senza la sua sedia a rotelle, Guccini un convinto fascista, Patty Pravo rimasta vergine e Renato Zero diverso… Si ride a crepapelle.
Marco, che veste il ruolo di presentatore e collante del gruppo, a più riprese ci legge pillole del suo “Libro delle soluzioni”, un concentrato di comicità in cui questo artista si mostra capace di inventare di tutto...
Fabio invece si cimenta in una serie di barzellette assai divertenti, e strappa risate e applausi.
Lallo e Fabrizio richiamano la nostra attenzione sulla contaminazione, a cui non pensiamo mai, tra il linguaggio culinario e i detti e le espressioni popolari. Lallo, poi, ci guida in città con il suo navigatore impostato sulla voce di Lando Fiorini, che dà le indicazioni stradali cantando! Bella e potente, la sua voce, e tanta la simpatia. Si presenta anche in versione Cannavacciuolo, con una ricetta davvero divertente!
Esilarante è il momento in cui Alberto racconta, con ricchezza di particolari, come sia riuscito a rovinare il matrimonio di un amico. E poi passa in rassegna alcuni episodi del suo fantomatico paese, Cupinio. Ci propone anche dei pezzi preparati per alcune trasmissioni televisive, che però sono stati tagliati… Una risata continua…
Antonio, improvvisando sulle richieste del pubblico, si cimenta nella sovrapposizione dei testi di poesie famose sulle note dei brani dei nostri cantautori. Avete mai sentito “Il cinque maggio” di Manzoni sulle note di “Vita spericolata? Ce ne ha fatte sentire diverse... Bravissimo e geniale.
Fabrizio si diletta ad elencare i nomi di alcuni farmaci, sottolineando come siano assurdi, seppur funzionali all’intuizione del loro utilizzo…
La serata si chiude con un blues cantato da Antonio, su un testo pazzesco che viene improvvisato con le parole suggerite a caso dal pubblico.
Finisce così questo folle e divertente “incontro”, ricco di quell’ improvvisazione che solo tanta maestria e professionalità possono produrre, e che mi fa rimpiangere di essermi perso le precedenti. Tenete d’occhio la programmazione di questo locale, sicuramente interessante e varia. E se in futuro vi trovaste a passare da queste parti quando i “cialtroni” sono in scena, fermatevi.
Buongiorno Gloria, tu hai curato un progetto fotografico dal titolo -Vite di seconda scelta - La storia dei Celestini di Prato-.
D- Vuoi dirci e spiegarci chi erano i Celestini?.
R- I Celestini erano i piccoli ospiti del rifugio -Maria Vergine Assunta in Cielo-, un istituto con sede in Prato, zona Castellina, che si occupava di ricevere i bambini cosiddetti -problematici-. Mi spiego meglio: si trattava figli di famiglie numerose o di genitori che dovessero lasciare la città per lavoro piuttosto che bambini non desiderati, orfani, etc. Il nome deriva dal fatto che indossassero un grembiulino celeste, il colore scelto in onore alla purezza della Madonna , al culto della quale tutto l'operato di Padre Leonardo (il reggente della struttura) era dedicato.
D- Come era venuta a Padre Leonardo l'idea di fondare questo istituto?
R- Padre Leonardo era un frate cappuccino, l'unica figura appartenente ad un vero e proprio ordine religioso. L'idea di fondare l'istituto gli venne durante uno dei suoi viaggi -missionari- in Puglia: entrato dentro una chiesa ebbe una visione di un angelo con in mano la scritta -Lasciate che i pargoli vengono a me-. Tornato a Prato, nel 1934, decise di mettere su un rifugio dove potesse accogliere -soltanto chi non essendo fornito di mezzi economici neppure modesti fosse a se stesso abbandonato-. E' un istituto di natura privata, che si auto-sostenta grazie alle numerose e generose donazioni di benefattori più o meno noti. La gestione è affidata a due società: l'immobiliare civile pratese e la MA.VE.
D- Sappiamo che la storia giudiziaria alla quale è andata incontro a questo Istituto è stata lunga e difficile. Vuoi parlare?
R- Partiamo dall'inizio. La vicenda ci mette un bel po' di anni per venire alla luce: le prime denunce da parte degli insegnanti (esterni alla struttura) sono di circa dieci anni prima della chiusura dell'istituto, ma rimangono lì, inascoltate, chiuse in un cassetto. Tutto esplode quando si cominciano a registrare delle fughe di bambini che fanno notizia sui giornali locali ma non vengono denunciate alle autorità e quando, a causa di un'appendicite non curata se non, secondo alcuni, con impacchi di santini e con olio santo, un ragazzino muore tra atroci sofferenze. Parliamo di Santino Boccia, era il 30/03/1965. I pratesi, da frequentatori della domenica, cominciano a farsi domande. Questo genera un dibattito che ha ampio spazio sui quotidiani e che fa arrivare il caso fino all'amministrazione comunale, all'interno della quale viene poi nominata una commissione di inchiesta con il compito di far luce, per quanto possibile, sulle vicende che ormai sono sulla bocca di tutta la città. Dopo qualche settimana di indagini, i capigruppo consiliari redigono un rapporto piuttosto dettagliato su quella che era la situazione dell'istituto, alla conclusione del quale si scrive -…La commissione concludendo i suoi lavori ha riscontrato l'inadeguatezza dei locali e delle norme igienico- sanitarie, l'insufficienza della dieta alimentare, la non qualificazione del personale addetto sia a funzioni direttive che esecutive e infine l'inidoneità dei metodi educativi. Inizia una sorta di -riqualificazione- dell'istituto ma il Ministro della sanità Mariotti decide per la chiusura definitiva. Contestualmente vengono denunciati cinque dei sorveglianti (Vincenza Perrotta, Lucia Napolitano, Alighiero Banci, Luciano Pacini, De Lucia Angela) la dott.ssa Fernanda Oliva e Padre Leonardo. Le accuse sono rispettivamente: abuso di mezzi di correzione, abbandono di incapace, omicidio colposo. Una giovane avvocatessa (Bianca Guidetti Serra) ha registrato qualche bambino e le relative famiglie e li fa costituire parte civile al processo penale, denunciando anche come sia stata omessa la responsabilità di tutta quella parte di istituzioni che dovevano vigilare ma non lo hanno fatto (ONMI e prefetto di Firenze in modo particolare).
Nel dicembre 1968 furono condannati quattro sorveglianti su cinque e Fernanda Oliva; Padre Leonardo invece fu assolto per insufficienza di prove. Furono concessi a tutti due anni di condono e nel 1971 ottennero tutti un altro sconto di pena, a parte la dottoressa.
D- Hai mai avuto contatti diretti con ex celestini? senza farne ovviamente i nomi, puoi dirci cosa ti hanno detto di quel loro infernale periodo?
R- Beh si. Alcuni di loro li ho incontrati di persona, con qualcuno ho parlato per telefono. Contrariamente a quanto mi aspettassi, conservano ancora abbastanza nitidi i ricordi di ciò che hanno dovuto subire, episodi da far rabbrividire e che chiaramente lasciano e hanno lasciato tracce nei comportamenti di queste persone sia nell'immediato che a distanza di molti anni. Uno di essi, MT (uso solo le iniziali per questioni di privacy), mi ha raccontato che, uscito dall'istituto perché portato via dal padre, aveva perso completamente l'uso della parola. Gli ci è voluto un annetto per tornare a parlare, abbastanza forte era stato lo shock di questo suo vissuto. Oltretutto anche in età adulta ha continuato ad avere degli incubi riconducibili a quel periodo della sua vita. Ricorda in maniera molto chiara il sasso enorme all'interno del bosco retrostante l'istituto, dove andava a piangere disperatamente. Un altro, LM, mi ha raccontato che ogni bambino aveva dei lavori da svolgere; a lui ad esempio toccava svuotare il -bottino-. LB invece è stato punito perché si era rifiutato di picchiare il fratello con la sistola dopo che era stato legato al letto dai -fratelli- e -sorelle- (colpevole di aver fatto la pipì a letto). Nei racconti dei testimoni che ho ascoltato è una costante inquietante quella delle botte e delle punizioni: tutti mi hanno detto che non passava un giorno senza buscarne, e che, quando ti picchiavano, lo facevano con qualsiasi cosa si trovassero per le mani. Le punizioni più gettonate invece erano le croci in terra con la lingua, oppure il leccare la pipì in terra, le docce gelate, le secchiate di acqua fredda se non ti svegliavi la mattina. Un altro aspetto rilevante era la vita che questi bambini conducevano: una vita totalmente religiosa, scandita dalle preghiere e dai rosari. All'interno dell'istituto non c'erano distrazioni per i piccoli ospiti, non un giornalino, un pallone, un film alla tv. Queste erano considerate deviazioni dalla retta vita religiosa. Gli unici svaghi erano la -barauffa-, cioè quando Padre Leonardo, dopo la messa della domenica, si ritirava nella sua stanza e dalla finestra lanciava una manciata di caramelle (solo il quantitativo che entrava in una mano) ai bambini che aspettavano sotto e si azzuffavano per acchiappare qualcosa, ei gomitoli di spago annodato: ad ogni giaculatoria recitata si faceva un nodo allo spago: chi faceva il gomitolo più grosso vinceva.
D- Tu, dal momento in cui hai saputo di questo Istituto situato a Prato, ti sei veramente impegnato per la ricerca di tutto quanto è affine all'argomento. Puoi dirci fino a che punto hai scavato per informare chi ancora non conosceva tale delirio?
Ho iniziato nel più classico dei modi: cercando su Google notizie inerenti all’argomento. Poi ho scoperto dell’esistenza del gruppo Facebook che riunisce ex celestini e da lì sono passata ai contatti diretti con alcuni di essi. Sono stata in biblioteca (Lazzerini, a Prato), ho contattato la Nazione, un fotografo (Ranfagni) che ha scattato alcune foto all’epoca dell’esistenza dell’istituto. Ho cercato negli archivi online dei quotidiani locali, trovando molti articoli in merito alla vicenda. E’ stato interessante leggere come l’opinione pubblica e le varie figure in gioco si scambiassero battute tramite articoli di giornale. Al momento sto cercando di approfondire un po’ di più la parte inerente alla vicenda giudiziaria, ma è una strada in salita, essendo un fatto accaduto molti anni fa è difficile risalire alle carte. Io ci provo però.
D- Vuoi parlarci liberamente di quanto tu sia rimasta sconvolta e cosa ti ha dato maggiormente fastidio?
R- A mio parere la parte più fastidiosa di tutta questa vicenda è la cattiveria, la violenza riversata su creature innocenti, colpevoli solo di non essere state abbastanza agiate o fortunate nella vita. Cito testualmente dalla prefazione a -Il paese dei celestini - Istituti di assistenza sotto processo- (a cura di Bianca Guidetti Serra (che poi è la giovane avvocatessa che fece sì che i bimbi e le loro famiglie potessero costituirsi parte civile al processo) e di Francesco Santanera:
-Purtroppo i -celestini-, e diamo a questo termine un significato simbolico, nasceranno sempre nelle classi povere o poverissime, dove l’insufficienza di cibo si manifesta spesso in termini di fame; dove i più elementari interventi igienico-sanitari sono insufficienti se non assenti; dove l’istruzione, anche quella dell’obbligo, è ancora privilegio... Lo -scandalo- primo e vero sta nel fatto che i -celestini- esistano e se ne creino di continuo-.-
Questo è un pensiero che condivido e che purtroppo è sempre attuale. Viviamo in un mondo che viaggia a più velocità e dove chi sta dietro non avrà quasi mai la possibilità di passare avanti perché non può permettersi gli strumenti per farlo.
Altrettanto fastidioso è per me il fatto che i veri responsabili siano stati in qualche modo salvati dal processo. La giurisprudenza non è il mio campo, ma insomma, credo che non solo i sorveglianti dovessero essere indagati, processati e poi puniti, ma anche coloro che il proprio mestiere non hanno saputo farlo, non avendo vigilato.
D- Pensi che ancora ci sia qualcosa e qualcuno da identificare per dare una forma di giustizia a chi ha sofferto in quel periodo doloroso per molti bambini?
R- Ormai i responsabili della vicenda sono tutti morti, essendo passati molti anni. Credo però che la massima forma di giustizia sia riportare alla luce questa vicenda, farla conoscere, nella speranza che ciò che è accaduto in passato non si ripeta. In fin dei conti è una storia che appartiene al substrato culturale della mia città, trovo giusto che almeno i pratesi la conoscano.
D- Hai progetti futuri per quanto riguarda l'informazione legata a questi fatti ormai storici?
R- Mi piacerebbe che questo mio lavoro fotografico e di indagine arrivasse a più persone possibili. Il sogno sarebbe di farlo diventare un libro, all’interno del quale vorrei raccogliere testimonianze, immagini, articoli, documenti. Insomma, tutto ciò che sono riuscita a trovare, a ricostruire, a fotografare.
D- Pubblicizza il tuo progetto per chi vorrà approfondire visibilmente l'argomento.
R- Sto lavorando al mio sito web, spero a breve possa essere online.
Li potrete approfondire un po' l'argomento. www.gloriamarras.it
Vorrei approfittare di questo spazio per lanciare un appello: se siete ex celestini o se siete a conoscenza di un ex celestino, vorrei intervistarlo e fotografarlo. Il mio progetto è ancora in corso… ed ogni testimonianza è preziosa!
Grazie della tua preziosa testimonianza
Grazie a te, Marzia!
Non so se sia impossibile sconfiggere la Russia sul campo di battaglia, come ha affermato il Presidente della Federazione Russa. Forse sarebbe meglio dire che è molto difficile. In ogni caso, non ho mai visto - e lo dico da studente universitario che ha anche studiato storia delle relazioni internazionali - così tanta miopia e incoerenza e ipocrisia da parte dei Paesi europei e non, che negano l'evidenza storica più recente, dimenticano impegni presi e accordi diplomatici e tentativi di negoziato e di mediazione per fermare una guerra civile pericolosissima (gli Accordi di Minsk sulla guerra in Donbass, disattesi dal Governo di Kiev nonostante avesse firmato), e sostenere una geopolitica strategica che sta precipitando il mondo verso una escalation militare globale, e tutto ciò viene fatto con una narrazione menzognera della verità dei fatti, sostenuta da mass media che violano il loro dovere deontologico di cronaca e di rispetto della verità dei fatti, deformando e manipolando la ricostruzione storica. La decisione della Federazione Russa di sospendere la sua adesione al Trattato New Start sulle armi nucleari è un altro passo di escalation provocato dal progressivo e continuo sostegno militare che l'Occidente garantisce al Governo di Kiev, fornendo non solo sistemi di difesa ma anche armi offensive (aerei caccia e missili a lungo raggio), e istruendo e addestrando il personale militare ucraino. Giocano con cose di cui non hanno coscienza nelle gravi implicazioni di lungo periodo. Una guerra per procura volutamente in Ucraina da forze atlantiste, sta conducendo il mondo a un passo da un conflitto su vasta scala che potrebbe divenire termonucleare anche a causa di un incidente o di un equivoco. Un atteggiamento arrogante, irresponsabile e stolto da parte dell'Occidente - oltre che eticamente censurabile - di cui rischiamo di subire tutte le conseguenze nella nostra vita quotidiana. Prima gli Europei - e in primis gli italiani - apriranno gli occhi e agiranno protestando in modo civile, pacifico ma fermo, e prima usciamo da questa delicata crisi a spirale che rischia di danneggiare tutti e farci pentire amaramente di essere rimasti distratti e indifferenti a guardare . Occidente - oltre che eticamente censurabile - di cui rischiamo di subire tutte le conseguenze nella nostra vita quotidiana. Prima gli Europei - e in primis gli italiani - apriranno gli occhi e agiranno protestando in modo civile, pacifico ma fermo, e prima usciamo da questa delicata crisi a spirale che rischia di danneggiare tutti e farci pentire amaramente di essere rimasti distratti e indifferenti a guardare.
«Questa Nato serve agli Stati Uniti, ai noi europei no». Ad affermarlo è un’autorità assoluta nel campo della politica internazionale: l’ambasciatore Sergio Romano. Nella sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, è stato, tra l’altro, ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca (1985-1989), nell’allora Unione Sovietica. È stato visiting professor all’Università della California e a Harvard, e ha insegnato all’Università di Pavia, a quella di Sassari e alla Bocconi di Milano. Tra i suoi numerosi libri, ricordiamo, Merkel. La cancelliera e i suoi tempi (con Beda Romano, Longanesi, 2021); Processo alla Russia. Un racconto (Longanesi, 2020); Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018); Il rischio americano (Longanesi, 2003); Il declino dell’impero americano (Longanesi, 2014); Trump e la fine dell’American dream (Longanesi, 2017); Il suicidio dell’Urss (Sandro Teti Editore, 2021); La scommessa di Putin. Russia-Ucraina, i motivi di un conflitto nel cuore dell’Europa (Longanesi, 2022). L’ultimo libro ha un titolo che ben si attaglia alla realtà d’oggi: La democrazia militarizzata. Quando la politica cede il passo alle armi (Longanesi, 2023). Con l’Unità, l’ambasciatore Romano sviluppa una riflessione, che molto fa discutere, che concludeva un suo recente articolo sul Corriere della Sera: «L’Alleanza atlantica ha avuto una parte utile e rispettabile. Ma la guerra fredda è finita, il comunismo è sepolto, gli Stati Uniti hanno avuto un presidente come Trump e sarebbe giunto il momento di fare a meno di un’istituzione, la Nato, che ha ormai perduto le ragioni della sua esistenza». Una considerazione che attualizza quanto lo stesso Romano aveva sostenuto nel 2016, quando la guerra d’Ucraina era molto in là a venire: «La sola scelta di sicurezza per l’Europa dovrebbe essere quella della neutralità. L’Europa non può essere una potenza militare interventista e aggressiva. Credo che se l’Europa scegliesse la strada della neutralità metterebbe in discussione l’esistenza della Nato». E ancora: «Oggi i suoi compiti non sono più indispensabili, certi obiettivi non ci sono più e non c’è motivo di cercare di raggiungerli. Il patto è ancora in piedi perché gli Stati Uniti hanno interesse a mantenere la gestione militare di una grande parte del pianeta. L’Alleanza è una conquista americana, alla quale Washington non intende rinunciare. Sarei stato contento se la Nato fosse stata sciolta alla fine della Guerra Fredda».
Ambasciatore Romano, chiunque provi a proporsi come “facilitatore” negoziale – sia esso il Papa, Lula, Xi Jinping viene subito colpito e affondato. Perché?
Una persona può essere detestata, invidiata, considerata un intralcio. Vi sono ragioni che sfuggono all’analisi politica. E ci sono circostanze in cui la politica deve farsi da parte per lasciare spazio alla psicologia.
Esiste a suo avviso uno spazio negoziale oppure tutto è affidato alle armi?
Prima o dopo verrà il momento del negoziato. Ma per ora e per un futuro indeterminabile le armi sono ancora quelle che dettano legge. Vede, questa è una guerra non soltanto tra alcuni Paesi ma è fondamentalmente diventata una guerra fra due grandi personalità – il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelenski, che stanno giocando se stesse. In questa circostanza è molto difficile che uno dei due si abbandoni a un negoziato in cui lui, in questo caso il discorso vale soprattutto per Zelensky, finisce per avere un ruolo minimo perché entreranno in gioco altre persone, altre motivazioni, altri interessi. Questa per il momento rimane una battaglia tra due leader e lo sarà probabilmente fino al momento in cui o i due si renderanno conto di non poter essere vincitori e allora accettano in qualche modo una soluzione finale o addirittura finisce quando finisce fisicamente uno. Non si tratta di essere pessimisti, ma realisti. Immaginare una soluzione diplomatica è uno sforzo titanico destinato per il momento a rimanere tale, non solo per quanto detto prima, lo scontro tra due leader che si stanno giocando il loro futuro, ma anche perché in gioco sono entrati di terze parti, nella fattispecie gli Stati Uniti.
Lei è uno dei pochi in Italia ad aver cercato in questo tempo di guerra di andare oltre lo schema aggredito-aggressore e andare alle radici delle ragioni profonde, che non nascono certo il 24 febbraio 2022, della guerra.
Non c’è dubbio che dietro la vicenda ucraina vi è il desiderio della Russia di riconquistare quella autorevolezza, quel prestigio, quello spazio di potere che aveva quando ancora si parlava di impero russo. Questa aspirazione mi sembra essere una delle grandi motivazioni di questa vicenda. Se un Paese come la Russia aspira a ridiventare la grande potenza che è stata in passato, è inevitabile che molte altre medie potenze o addirittura in qualche caso piccoli Stati possano essere preoccupati e temere che questa grande Russia a un certo punto toglierà loro qualche cosa. Partirei da questa considerazione e cercherei di capire esattamente quali siano le motivazioni nei casi specifici. La ragione fondamentale è quella di un’aspirazione imperiale e questo non può certo piacere agli Stati Uniti che si sono visti coinvolti in una vicenda che teoricamente non avrebbe mai dovuti coinvolgerli. Eppure così è stato.
Perché, ambasciatore Romano?
Se la Russia non ha soltanto un “piccolo” problema da risolvere con l’Ucraina ma vuole approfittare di questa circostanza per diventare nuovamente una potenza imperiale, beh a Washington questo non va giù. Quanto a noi, noi Europa, le ribadisco quanto ho avuto modo di scrivere poco tempo fa sul Corriere: dopo avere avuto in altri tempi ambizioni imperiali ed essere stata anche un nido di nazionalismi prepotenti e aggressivi, l’Europa dovrebbe essere ormai una confederazione di Stati politicamente saggi e maturi, una grande potenza economica e sociale, una “grande Svizzera” composta da amici e reciproci clienti. Per l’efficacia di una tale confederazione tuttavia, la Russia non dovrebbe essere un nemico, ma un compagno di strada nel cammino verso un’Europa sempre più confederale. Non dovremmo vedere nella Russia soltanto un pericoloso concorrente, ma anche un utile interlocutore verso obiettivi che possono essere pacificamente condivisi. So bene che in tempi come questi può apparire un sogno, ma coltivarlo e provare a realizzarlo sarebbe buona cosa.
Quando si fa riferimento all’atteggiamento del mondo nei confronti di questa guerra, sottolineando una avversione condivisa nei confronti dell’aggressore russo, non pecchiamo di “occidentalismo” o di eurocentrismo?
Le confesso che il concetto di “occidentalismo” mi sembra poco rilevante. Se siamo di fronte ad un forte desiderio della Russia di riconquistare un ruolo, quel ruolo non è “occidentale” né “orientale”. Sono delle ambizioni che vanno molto al di là della singola questione regionale.
Ambasciatore Romano, la metto giù seccamente. Perché il solo ragionare di un superamento-scioglimento della Nato sembra essere un’eresia, una bestemmia e chi prova a ragionarci su viene additato come un sodale di Putin?
Sempre continuando a ragionare con la mia tesi: è inevitabile che gli Stati Uniti in questo momento si guardino attorno e vogliano avere ancora quei consensi, quelle amicizie, quelle alleanze che avevano negli anni della Guerra fredda. Noi abbiamo pensato che la Guerra fredda fosse finita, e la Guerra fredda è finita. Ma ne è cominciata un’altra. Questo desiderio imperiale della Russia non ha più nulla a che vedere con i criteri della Guerra fredda, ma è inevitabile che gli Stati Uniti considerino dal loro punto di vista l’ambizione russa inaccettabile, pericolosa. Non mi ha sorpreso la reazione di Washington. Non va dimenticato, peraltro, che anche gli Stati Uniti hanno ambizioni imperiali e forse in questo momento tali ambizioni sono più realistiche di quelle della Russia. Gli Stati Uniti stanno praticando queste ambizioni imperiali e lo fanno utilizzando quegli strumenti che noi consideravamo divenuti inutili, come la Nato, in quanto la Guerra fredda era finita. Ma siccome la Nato è una istituzione in cui gli Stati Uniti hanno un enorme potere, ecco che la Nato diventa lo strumento per praticare queste ambizioni imperiali, al servizio di un Paese – gli Usa – che vuole conservare quello che aveva all’epoca della Nato-Guerra fredda.
Reiterare quella funzione, motivandola come la lotta delle democrazie liberale contro le autocrazie, a cominciare da quella russa. È corretto, ambasciatore Romano?
Non ho avuto l’impressione che questo tema venisse molto frequentemente utilizzato. Detto questo, non sarei sorpreso se gli Stati Uniti facessero appello a questi vecchi concetti che in questo modo possono essere rinfrescati e rimessi sul tavolo. Da un punto di vista europeo, questo non ha più niente a che vedere con la Nato.
Perché?
Perché la Nato serve agli Stati Uniti. Non serve a noi. Poi se qualcuno è più amico degli Stati Uniti di quanto sia necessario esserlo, probabilmente suonerà la musica che piace maggiormente a Washington. Ma io non mi unisco a questo coro.
Da L’Unità del 21 maggio ’23