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Theatre and cinema (165)

 

 

Riccardo Massaro
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May 12, 2025

Roma, sabato 10 maggio 2025. Un racconto intriso di passione, tensione e bellezza sospesa nel tempo. Adelchi, nella visione di Vincenzo Zingaro, unisce la potenza della parola alla forza della musica, trasformando la scena in un luogo in cui la storia si fa emozione.

 

Alcuni spettacoli scorrono davanti agli occhi e svaniscono, altre esperienze invece restano dentro, lasciando una traccia che il tempo non cancella. Non è soltanto una memoria ma una voce che continua a risuonare, anche quando il palco è ormai in silenzio. Adelchi, al Teatro Arcobaleno, è stato questo: un varco nel tempo, un soffio nell’anima, una risonanza che attraversa il silenzio.  

Ero seduta in terza fila, quasi immersa nella musica dell’orchestra che si preparava sotto i miei occhi. I musicisti erano così vicini che ogni gesto sembrava parte della scena prima ancora che questa iniziasse. E, infatti, non c’è stato un momento preciso in cui tutto ha avuto inizio, perché la musica è arrivata prima delle parole, diffondendosi nello spazio in un lento fluire, tra le sedie e nei fiati sospesi. 

Quando il sipario si è sollevato, sembrava che la storia fosse già iniziata molto prima di quel gesto. Le prime vibrazioni delle percussioni, disposte direttamente sul palco, sono giunte come un battito proveniente da qualcosa di antico e profondo. Un velo di fumo ha cominciato a scivolare sulla scena con la grazia di un sogno, mentre la luce blu, tenue e vibrante accarezzava ogni superficie, emanando nell’aria una tensione quasi sacra. 

Nel cuore di quello spazio rarefatto è apparso Adelchi, immobile e vestito di nero, figura sospesa tra realtà e visione, carica del destino che stava per compiersi.

Vincenzo Zingaro, regista e interprete, restituisce un Adelchi trattenuto, assorto, attraversato da un’inquietudine profonda. La sua voce, priva di artificio, giunge limpida e consapevole, sussurra verità con la delicatezza di chi interroga il silenzio. Ogni parola incide, ogni pausa rivela, scavando nel cuore di chi ascolta, là dove anche l’obbedienza più rigida lascia spazio al dubbio. 

Gli attori appaiono gradualmente, come presenze che emergono dal tempo stesso del racconto. Non formano un coro statico, bensì un susseguirsi di voci e volti che danno corpo, uno dopo l’altro, a una partitura teatrale in cui ogni ingresso ha il peso di una rivelazione. La scena vibra e si sviluppa, costruendo una densità narrativa che cresce, si stratifica, si moltiplica.

Il tempo drammatico si svolge nell’Italia dell’VIII secolo, quando l’equilibrio tra potere temporale e spirituale si frantuma sotto il peso dei regni in guerra. La corte di Desiderio vacilla, Carlo Magno avanza, e Adelchi, personaggio creato da Manzoni per esprimere l’inquietudine morale, si trova sospeso tra l’obbligo della dinastia e il rifiuto della violenza. Non rappresenta l’eroismo della conquista, ma quello della rinuncia: la sua battaglia interiore vale più delle guerre che si combattono intorno a lui.

Il dolore di Re Desiderio non è solo un peso interiore ma una lente attraverso cui osserviamo l’intera corte, dilaniata dalla disperazione e dall’impotenza. In questo contesto, il ruolo di Ermengarda non si limita a quello di una vittima del potere, poiché diventa simbolo di un amore tradito, di una forza che sopravvive nel silenzio della sofferenza. Annalena Lombardi riesce a donare a questa figura una voce che non è solo lamento, bensì preghiera e canto, un filo luminoso in un quadro altrimenti oscuro. La sua presenza è intensa e radiante, tutt’altro che marginale, capace di catalizzare l’attenzione e trattenere l’emozione del pubblico.

Il suo delirio nel convento è un momento fuori dal tempo, un istante sospeso che immobilizza l’intero teatro. 

E poi accade. Albino, messaggero dei Franchi, pronuncia la frase che spezza l’equilibrio:
«E tal risposta è guerra.». Il teatro trattiene il fiato. I Longobardi rispondono in un’unica voce:
«Guerra!». Le percussioni esplodono dal palco come una scarica, un battito primordiale che vibra sotto la pelle. Il suono non accompagna la parola: la completa, la rilancia, la scolpisce nell’aria. È un attimo che frantuma il tempo. Il pubblico non assiste più: viene travolto.

Mentre Desiderio tenta disperatamente di resistere e i suoi alleati progettano il tradimento, Ermengarda muore lontano, consumata da un amore che la politica ha cancellato ma i Franchi sfondano le Chiuse grazie a un sentiero segreto. Il popolo, che sogna la libertà, resta in realtà privo di voce, come quel “volgo disperso che nome non ha”, che risuona oggi più che mai attuale. 

Nel cuore della battaglia, il contrasto tra i Longobardi e i Franchi si materializza non solo nelle parole e nelle azioni, ma anche nei colori che li avvolgono. Il nero dei Longobardi racconta l’ombra della sconfitta che incombe, un’eredità di orgoglio e resistenza che non cede, ma si consuma. Di fronte a loro, i Franchi, vestiti di bianco, sono la luce gelida e determinata che avanza, come una forza venuta da lontano, portatrice di un destino inevitabile. 

E quando, finalmente, Adelchi rinuncia alla gloria, scegliendo la quiete dell’anima, un silenzio profondo e risonante cala sulla scena. Non è un vuoto, ma una sospensione che resta, come una carezza che si allontana. Il pubblico, avvolto in questo silenzio, percepisce il peso di una scelta che trascende il dramma e penetra nelle sue viscere. 

Il buio che segue non è silenzio: è sospensione. L’applauso, che lentamente prende forma, non è un atto dovuto, piuttosto un ringraziamento profondo, uno scambio intimo tra chi ha donato e chi ha ricevuto.

Questa profondità emerge non solo nella regia, ma anche nella fusione della parola e della musica, che Zingaro utilizza come veicolo per esprimere l'intensità del testo. Adelchi non è solo un racconto drammatico, è una conversazione profonda, in cui la musica di Zappalorto, delicata e penetrante, diventa un'eco delle emozioni. Le percussioni di Maurizio Trippitelli, collocate sulla scena, vibrano come risonanza profonda, mentre il resto dell’ensemble, archi, fiati e tastiere, suona da sotto il palco, evocando presenze invisibili. La scelta della lettura-concerto, che richiama il melologo, è intrisa di un’attualità che non conosce nostalgia ma rivela una potenza espressiva unica, capace di immergere lo spettatore nell’intimità del racconto.

Dei 2.100 versi composti da Manzoni, ne restano circa mille, selezionati con cura per preservare la forza lirica dell’opera anche nella sua essenzialità.

Zingaro, con una direzione misurata e sensibile, permette al testo di respirare e di trovare il suo spazio, senza essere soffocato dalla fretta. Il suo approccio evita qualsiasi eccesso, puntando a un'esperienza che invita lo spettatore a una riflessione profonda, immerso nella bellezza e nella verità del classico, rinnovato e vivo.

All’esterno del teatro, le luci della città appaiono più sfocate, quasi lontane, come se l’esperienza vissuta continuasse a vibrare nell’aria. Quello che è accaduto non si dissolve, ma si trasforma in qualcosa di più duraturo: una memoria viva, un'eco che ci accompagna. Un respiro che non finisce mai, proprio come solo il grande teatro sa fare.

 

 

 

May 11, 2025

 

Massimo (Attilio Fontana) e Damiano (Emiliano Reggente) sono fratelli; il primo, quello più grande, sta per sposarsi. Tra i due si nota un leggero attrito, forse perché il minore è più esuberante, scapestrato ed infantile del maggiore, che sembra invece essere molto più posato e stabile. Tra i due intercorrono solo due anni di differenza, eppure i caratteri e l’approccio con la vita sono palesemente diversi.

La sera precedente il matrimonio Damiano organizza un addio al celibato, ma sarà sicuramente diverso da come se lo aspetta il fratello…

La storia si svolge nell’originale casa di Massimo, una sorta di monolocale arricchito con discutibili opere d’arte moderna. Qui Damiano, imbarazzato, arriva cercando di spiegare al fratello che il suo addio al celibato non sarà come lui immaginava. Effettivamente, oltre a non aver saputo organizzare la festa con gli amici più intimi dello sposo, rischia di far saltare il matrimonio per un dissidio creato con i testimoni di nozze. Ciliegina sulla torta, la sorpresa che Damiano ha preparato per Massimo sta arrivando a casa. È Tamara, una ballerina piuttosto conturbante ma anche molto delicata, sensibile ed insicura, afflitta dalla sindrome di Tourette che la convince di essere accompagnata da una bimba immaginaria di cinque anni con cui parla e discute perché troppo vivace.

L’incontro con Damiano è divertentissimo, Tamara si rivela subito la persona particolare che è. Il poverino coglie subito l’entità del guaio che gli sta cadendo addosso e asseconda le follie della donna con delle gag molto divertenti in cui interagisce con la bimba immaginaria. In questa turbolenta situazione, finalmente arriva Massimo. Anche lui capisce la situazione e comincia subito ad assecondare Tamara, che alterna momenti da vamp sensuale ad alterchi da madre infuriata con la bimba invisibile che girerebbe per la casa creando scompiglio. Si abbandona anche a sfoghi personali per la vita grama e sofferta che ha vissuto e che vive.

Unico affetto per questa sconsolata ragazza è la figura infantile che la segue, che poi sembra la proiezione della sua adolescenza perduta, a sottolineare il dramma della sua solitudine. Un personaggio che diventa il punto centrale della serata, rubando dapprincipio la scena ai due uomini per poi fondersi elegantemente nella storia.

La commedia si fa sempre più toccante, la distanza tra i due fratelli viene via via colmata e sembra anche che le difficoltà di Tamara vengano limitate. Tra i tre si forma un bel legame affettivo che emoziona lo spettatore quando accade un incidente domestico che provoca uno stato di regressione in Massimo riportandolo allo stato giovanile. La perdita di memoria potrebbe compromettere il matrimonio e finisce per aprire una porta ai ricordi che lo legano a Tamara conosciuta evidentemente nella sua infanzia.

Lo sviluppo della storia si fa sempre più interessante e romantica mentre i personaggi si legano sempre più in maniera inscindibile, anche perché Massimo evidenzia la sua parte più profonda e spontanea che contrasta con quella del suo personaggio iniziale. Anche Tamara e Damiano manifestano un’evoluzione nel rapporto sia con se stessi che con gli altri e questa è una parte molto interessante della commedia. Lo sviluppo della storia non è così scontato, evolve in maniera piuttosto tenera e godibile in quello che è un velato dramma presentato con magica ironia.

I due attori maschili hanno una recitazione diversa. Emiliano si è formato sicuramente con la vecchia scuola del cinema italiano; è un esuberante showman che ruba la scena, platealmente carico e travolgente. Da lui emergono echi di attori amati come Paolo Panelli, Carlo Verdone e un mix di altri artisti che hanno fatto delle pellicole in bianco e nero dei veri e propri cult. Emiliano aggiunge a questo una grande gestualità e mimica che ricorda quella dell’ avanspettacolo.

Attilio, al contrario, sembra più influenzato da una scuola italiana più moderna, espressa da una comicità più seriosa e riflessiva in cui ho rivisto reminiscenze di Pino Quartullo, con quelle piacevoli tonalità che contengono dei leggeri picchi e i modi di esprimersi che tanto lo caratterizzano. Nella seconda parte Attilio ci sorprende dando spazio alla nuova personalità emergente che prende il sopravvento, quella di un personaggio infantile, semplice e talmente dolcissimo da commuovere.

Come sempre Claudia è esuberante, frizzante, energica e prorompente. Si presenta sensuale ed accattivante come dovrebbe essere la ballerina che interpreta, inserendo l’aspetto influenzato dalla sindrome di Tourette che però ne evidenzia anche il lato più dolce, introverso e sofferto.

Già dalla prima scena si percepisce la caratura e la preparazione artistica dei due attori. Con l’ingresso plateale di Claudia, loro perdono ogni freno andando a briglia sciolta. Da qui la commedia prende il via per poi crescere piano piano ed esplodere nella seconda parte.

La regia di Francesca Nunzi enfatizza le doti del cast senza imprigionare gli attori, dona dinamismo ai personaggi e aria alle scene. Il testo di Luca Giacomozzi presenta scambi con dialoghi efficaci e ben sviluppati che gli attori sanno interpretare e personalizzare con gusto. Gradualmente fa allontanare lo spettatore dalla prima impressione sui personaggi e lo conduce a rivedere il proprio giudizio, che dapprima era influenzato dai loro difetti e in seguito coglie invece i pregi e i lati nascosti del carattere.

Bello il mutamento del legame fraterno che si rafforza mentre i ruoli si invertono: il fratello minore abbandona la superficialità, cresce e si prende cura del maggiore, che potrà tornare libero di esprimersi, spontaneo ed espansivo nella sua nuova dimensione.

La ballerina finisce per trovare la sua giusta collocazione emotiva e sociale in comunione con i fratelli e potrà formare con loro un nucleo familiare dove sentirsi protetta e sviluppare le attitudini rimaste soffocate. Abbandona la bambina immaginaria e si libera da quel rifugio perché ha superato la paura della solitudine e del giudizio altrui. Finalmente potrà dedicarsi agli altri e a sé.

Commedia gradevole con una storia partita in sordina e gradualmente vivacizzata in un riuscito crescendo fino al bellissimo quanto inaspettato epilogo.

 

TEATROVID-19 l’energia e la forza del teatro
Teatro Roma
“Si vede che era destino”
Di Luca Giacomozzi regia Francesca Nunzi
Con Attilio Fontana, Claudia Ferri, Emiliano Reggente

 

May 10, 2025

 

Una graziosissima, curata e realistica scenografia riproduce la fiancata di uno stabile con tanto di panchina e un romantico lampione sulla via. Sul muro della palazzina, alle spalle di dove si svolgerà la storia, si vedono manifesti strappati e scritte con vernice spray. Al centro un portone con un citofono il cui uso vi farà ridere a crepapelle…

 

Torna Danilo De Santis con “Sali o scendo?”, commedia che ha già dodici anni di vita senza sentirli, anzi, la sua freschezza e attualità vi sorprenderanno. Torna sul palco per le tante richieste di un pubblico affezionato che è venuto a rivederla.

Come sempre Danilo mette in scena un testo brillante arricchito con tante emozioni, in una chiave che ci permette di ridere con ironia sulle paure e le incertezze dell’amore e sulle ossessioni e le manie di personaggi psicologicamente ed emotivamente non proprio stabili.

Al suo fianco l’immancabile Roberta Mastromichele, che più volte ha condiviso il palco con lui in altre riuscite commedie. Danilo ha sviluppato uno stile molto personale che lo vede inserire nelle sue pièce un riuscito mix di comicità e sentimento, giocando con i suoi stravaganti personaggi che hanno delle caratteristiche sempre piuttosto singolari. Ama queste sue creazioni a tal punto che nonostante diano vita a situazioni bizzarre e buffissime, traspare per loro un profondo rispetto perché ne mostra il lato più estremo senza eccedere. Lui stesso impersona questi ruoli con estrema classe dando voce a quelle parti nascoste e paradossali che tutti nascondiamo dentro di noi.

Quello presentato stasera è l'incontro di due persone alle prese con le turbolenze dell'amore. Danilo si sta recando al suo primo appuntamento con quella che ritiene sarà la donna della sua vita. I motivi che lo inducono a pensarlo sono già di per sé molto divertenti, ma li lascio scoprire a voi in teatro. Quando si avvicina al portone per citofonarle in attesa che cominci la serata galante, incontra Roberta nei panni di una ragazza disperata che è giunta poco prima di lui al citofono. Anche lei in questa vicenda risponde seguendo una serie di motivazioni alquanto divertenti che non rivelerò.

La fanciulla, piangente e con il trucco che le arriva sotto il mento, si è lasciata da poco con il suo fidanzato ed è sotto casa sua per scoprire se è da solo, avvicinarlo e parlarci sperando che sia ancora innamorato di lei.

Il tira a molla sentimentale coinvolgerà altri tre personaggi interpretati da Beatrice Fazi, Piero Scornavacchi e Chiara Canitano.

Ecco che allora che le strade e i destini dei due si incrociano e si ingarbugliamo con la vita degli altri tre.

La gag iniziale è incentrata proprio sul citofono, un personaggio virtuale che prende vita grazie alle voci di Fabrizio Passerini e della scomparsa Francesca Milani. Qualcosa di davvero travolgente. Ricorda la gag della telefonata di Carlo Verdone o quella di Gigi Proietti. Semplicemente un momento fantastico di alta comicità.

Imbarazzatissimo, Danilo cerca di citofonare alla sua corteggiata e si ritrova in un duello verbale con continui scambi di battute al citofono. La scena sembra molto naturale e mi ha ricordato gli incontri con la mia vicina sul pianerottolo, quando comincia a raccontare la storia della sua vita mentre io ho i minuti contati… un mix di tenerezza e comicità esplosiva.

La scena dura molto e continua con nuove azzeccate e frenetiche battute e si ripete ogni volta che erroneamente viene premuto un tasto sbagliato. Impossibile resistere non solo ai personaggi che si nascondono dietro a queste voci, ma anche a tutte le espressioni e ai tentativi falliti di Danilo di chiudere la conversazione.

Ma non è finita perché Roberta nella sua pena d’amore coinvolge anche Danilo facendosi aiutare a contattare il fidanzato. Anche qui parte una gag fantastica con un Danilo strepitoso che cerca di parlare con l’uomo attraverso un espediente che non vi rivelerò attraverso un soliloquio mitico. Stavolta è Roberta a dar vita ad una serie di espressioni irresistibili. Dunque, avrete capito che la maggior parte della storia è incentrata sulla coppia Danilo - Roberta, ma l’entrata di altri tre personaggi “di disturbo” aggiungerà ulteriore verve e pepe.

Uno è Piero, l’energumeno ex ragazzo con serie difficoltà di gestione della propria rabbia, che scende per prendere di petto il povero Danilo. Poi c'è Beatrice nei panni di una donna bipolare che sembra proprio avere o aver avuto una relazione con l'ex di Roberta, anche lei con accentuati problemi di gestione della rabbia. I due si sono conosciuti da un terapeuta proprio per affrontare questo problema e non vi spiegherò qual è il loro riuscito sistema per contenerla…

Finalmente arriva Chiara, la ragazza che deve uscire con Danilo e che non è proprio come l'uomo l'ha sognata, soprattutto perché ha una risata stridula e particolarmente fastidiosa che Chiara rende divertentissima ricordando quella di alcune vallette un po' sciocchine della televisione.

Sotto l'indiscussa comicità si nasconde la difficoltà nel gestire i rapporti di coppia. Emergono le insicurezze, i sensi di colpa, l’egoismo, la paura di rimanere soli, le aspettative disattese, ma anche il lato psicologico dei personaggi, alcuni con particolari fragilità come la rabbia, che generalmente è l'espressione di un dolore più profondo. Poi c’è la bipolarità, uno stratagemma messo in atto dal soggetto per spostare la difficoltà di contenimento delle proprie emozioni creando un soggetto virtuale, immaginario in cui trasferire i propri irrisolti, fobie e manie che non sa gestire e contenere.

Insomma, con un po' di attenzione troverete molto più di una semplice commedia, che tra l'altro è particolarmente divertente e che mi ha fatto ridere dall'inizio alla fine. I personaggi aggiunti sono la ciliegina sulla torta. Anche se appaiono di contorno, lasciano il loro segno indelebile arricchendo e vivacizzando la vicenda.

Dirò di più: verso l'epilogo la comicità scende per lasciare spazio all'introspezione ed esaltare la personalità dei vari ruoli. D'altronde, anche il titolo “Sali o scendo?” rende l'idea dell'indecisione, della confusione emotiva.

Danilo e Roberta sono una coppia consolidata che ormai fa scintille. Lui sembra un personaggio disegnato per Carlo Verdone, lei uno per Margherita Buy. Facendo un velato tributo a questi artisti, hanno sviluppato e caratterizzato i personaggi facendone due pezzi di un puzzle che si incastrano a meraviglia.

Piero è nella parte di un rozzo ma anche delicato ragazzo, burbero quanto basta e particolarmente marpione con un lato delicato e fragile che emerge anche se cerca di soffocarlo. Portentoso.

Beatrice, camaleontica, è divertentissima in questo ruolo dalla doppia personalità; una particolarmente aggressiva e l'altra più profonda e delicata. Sono i picchi caratteriali in entrambe le parti che divertono, colpiscono e dimostrano le sue capacità artistiche. Esplosiva.

Chiara riesce a rappresentare l’antitesi della donna desiderata, sciocchina e superficiale quanto basta, che sa rendersi adorabile e divertente nella veste comico sensuale. Fortissima.

Uno spettacolo che andrei a rivedere, anche subito!

 

 

Teatro Golden

“Sali o scendo?”

Scritto e diretto da Danilo De Santis

Con Danilo De Santis, Roberta Mastromichele, Beatrice Fazi, Piero Scornavacchi, Chiara Canitano

April 29, 2025

 

Grande successo in tutta Italia della commedia “L’onorevole, il poeta e la signora” di Aldo De Benedetti
Regia di Francesco Branchetti
con Isabella Giannone , Lorenzo Flaherty e lo stesso Francesco Branchetti

     

GLI INTERPRETI

Parliamo dell’ultimo lavoro del regista e attore Francesco Branchetti, che, insieme alla bravissima Isabella Giannone e all’indiscussa professionalità di Lorenzo Flaherty, fa rivivere nei teatri del nostro Paese la commedia di Aldo De Benedetti intitolata L’onorevole, il poeta e la signora.
La commedia è stata rappresentata in numerosi teatri di tutta Italia, a partire dai primi di febbraio. Un tour che ha attraversato il paese da nord a sud, attirando un pubblico numeroso e appassionato.
Lo spettacolo ha riscosso, e sta ancora riscuotendo, un meritato successo.
Un altro grande successo del bravissimo Francesco Branchetti, che non sbaglia mai la scelta della sua compagnia dove lui stesso interpreta ruoli molto complessi, sia dal punto di vista interpretativo che linguistico.Al suo fianco, una splendida Isabella Giannone, che conferma ancora una volta la sua grande bravura anche in altri testi e commedie.Una piacevolissima scoperta è stato Lorenzo Flaherty, già grande professionista di televisione e cinema, che ha saputo recitare in modo magistrale anche a teatro. Ha interpretato un onorevole che, con disinvoltura, si destreggia tra corteggiamenti, simpatici ricatti e il desiderio di emergere attraverso la creatività di un poeta, che si rivela essere più furbo di quanto voglia far credere.La forza di Branchetti, oltre a essere il risultato di tanta esperienza e preparazione nel campo teatrale, deriva anche dalla sua astuzia e dalla sua sagacia, che gli appartengono naturalmente, così come dalla capacità di immedesimarsi pienamente nel personaggio da interpretare.

LA COMMEDIA

      Si tratta di una commedia umoristica e grottesca, scritta dal commediografo romano Aldo De Benedetti (1892-1970). La storia ruota attorno a Leone,( Lorenzo Flaherty) un onorevole molto attratto da Paola, (Isabella Giannone) una giornalista elegante e astuta. Una sera, Leone riesce a invitarla a casa sua, ma non succede nulla di concreto: la donna lo provoca continuamente mettendolo continuamente in imbarazzo, e poi se ne va.
Dopo l’uscita di Paola, Leone scopre che in casa sua si è introdotto un uomo, Piero, (Francesco Branchetti)  un poeta squattrinato che, nascosto dietro un divano ha ascoltato le sue conversazioni. Da questo incontro casuale nasceranno una serie di eventi che cambieranno la vita di entrambi i personaggi. La commedia è un susseguirsi di equivoci, scambi di persona e situazioni esilaranti, con conseguenze imprevedibili.
      Il testo è ricco di allusioni, riferimenti, dispetti e velati ricatti, e mette in luce come l’intelligenza possa essere usata in modo divertente. La commedia, con una costruzione impeccabile, rispecchia quella teatralità tipica di De Benedetti, offrendo uno spaccato dei salotti dell’Italia di allora, che ospitavano  uomini di potere con relazioni complicate, di talenti svenduti e numerose ambizioni. È anche un’immagine di una società ancora molto attuale, fatta di giochi di identità e scambi sociali che rischiano di essere il male dei nostri giorni, in un contesto di caos sociale e politico.La regia mira a restituire la straordinaria capacità dell’autore di analizzare e raccontare la banalità, il quotidiano, l’inutilità delle convenzioni e la retorica spietata dei rapporti umani. Tutto questo si traduce in un balletto esilarante tra i personaggi, che rende questa commedia un vero e proprio spaccato di ironia e riflessione.

      RINGRAZIAMENTO

      Un plauso ovviamente va a chi con grande forza e vitalità ha reso lo spettacolo divertente, curioso, dove non manca l’ estro e la creatività degli attori che hanno reso vivo l’interesse del numeroso pubblico che entusiasta applaude.
      Il teatro è un’arte che rappresenta molto da vicino l’espressione e i riflessi dell’animo umano. L’attore, infatti, deve immedesimarsi completamente nel carattere, nelle movenze, negli spazi e nei respiri del personaggio che interpreta. Gli attori sono come dei corpi pronti ad accogliere le essenze dei personaggi che portano in scena e questa grande compagnia formata da Francesco Branchetti, Lorenzo Flaherty e Isabella Giannone ci sono riusciti in modo mirabile.

April 27, 2025

 Ho paura torero, spettacolo andato in scena al Teatro Argentina dal 3 al 17 aprile e tratto dall’opera dello scrittore cileno - nonché difensore dei diritti umani - Pedro Lemebel, trasporta il pubblico all’interno di una narrazione travolgente, in cui l’amore tormentato dei protagonisti si intreccia con le tragiche vicende di una Santiago del 1986 colpita dalla ferocia di Pinochet, succeduto al governo Allende.

Il regista Claudio Longhi dirige uno spettacolo corale, in cui le vicende dei singoli personaggi offrono alla pièce un tono critico e irriverente. Il protagonista, un transgender conosciuto come “la Fata dell’Angolo” - interpretato da Lino Guanciale - vive una relazione sentimentale con Carlos (Francesco Centorame), studente e militante delle forze ribelli guidate dal “Movimento di liberazione Rodrigo Martinez”. Guanciale offre un’interpretazione dotata di profondità, capace di esprimere un’alternanza tra ironia, delicatezza e fragilità. La sua presenza scenica non rende la Fata una caricatura ingombrante, bensì un personaggio dai toni struggenti, sospeso tra fantasia e amarezza.

L’intimità che si percepisce sin dall’inizio nell’incontro tra le loro storie evoca l’unione di due rivoluzioni che “camminano mano nella mano”. C’è chi crede che la libertà si conquisti con la resistenza indefessa o con atti di guerriglia, e chi invece soltanto attraverso la fede incrollabile in un romanticismo “proibito” che sfugge al peso delle convenzioni. La Fata dell’angolo è la “maschera” di questo secondo e silenzioso atto di ribellione. Frivola e a volte beffarda, La Fata è la personificazione di un desiderio sfuggente, fragile ma soprattutto umano. In effetti è proprio questo che fa della protagonista la voce e il volto di un’ingenuità che si annida nell’intimo di chiunque tenti di realizzarsi in un’esistenza semplice, libera da compromessi, miraggi e false promesse. Da parte della Fata non c’è né ideologia né rivendicazioni politiche, bensì la voglia di star bene, condividendo la spensieratezza e il piacere di un brindisi serale, circondati dalle luci soffuse del suo salotto, uno spazio raccolto ricco di elementi simbolici che sottolineano la calda e rassicurante atmosfera dell’appartamento in netto contrasto con le ambientazioni asettiche del mondo esterno. Oppure, godendosi la bellezza mozzafiato di uno scenario montano, durante un picnic, lontano dal caos cittadino e dall’immagine impietosa della realtà.

La fuga non è nient’altro che un modo per rimanere invisibili a un occhio vigile e ossessivo, che stigmatizza inorridito le “anomalie” dell’omosessualità definendola come un mero “amore tra froci”. Ed è qui che entra in scena un Pinochet caricaturale (Mario Pirello) invischiato in un rapporto grottesco con sua moglie, Doña Lucía (Sara Putignano); il dittatore è in un certo senso vittima della sua stessa reputazione, situazione che lo rende del tutto incapace di contegno e quasi sempre avvezzo ad un’isteria surreale, dettata, oltretutto, dalla consapevolezza di un futuro sempre più incerto per il suo regime. La parentesi di Pinochet offre al pubblico un intervallo esplosivo e parodistico, che pone in enfasi il lato quasi tragicomico della personalità del dittatore, e che il più delle volte è destinato a sfociare in un ridicolo battibecco coniugale condotto a suon di frasi sarcastiche e critiche pungenti. Anche qui, al di là delle smisurate sfumature comiche, si è costretti a celare sé stessi alla verità dei fatti con una maschera, ricorrendo disperatamente a quella soggezione senza la quale nessuna forma di potere avrebbe ragion d’essere.

Qui si misura l’incommensurabilità tra l’utopia del controllo assoluto e una società popolata da emarginati, reietti e desaparecidos coinvolti nella drammatica lotta per mettere fine alle vessazioni del regime. Un coro di coscienze diverse che si identificano in un’unica e pulsante volontà, che si leva come un lamento accompagnato da canzoni latinoamericane, languide e malinconiche, che fanno da eco alla resistenza. Musiche che accompagnano anche la Fata nella sua “danza” solitaria, che tra reminiscenze e sogni condivisi col pubblico, emerge l’insofferenza di un’attesa troppo lunga e la tenerezza di chi spera in un lieto fino. Carlos, tuttavia, non sembra ricambiare i sentimenti dell’amante. Nella sua compagnia, non vede nulla più che un rifugio occasionale per lenire le frustrazioni scaturite da un ideale offeso, e nel suo misero appartamento un possibile covo per chi come lui è costretto ad agire nell’ombra;addirittura, un luogo in cui riporre materiali misteriosi, utili nel proseguimento della lotta. Nel corso della narrazione, il disincanto della Fata dell’angolo traspare a mano a mano che le cose si complicano, specialmente dopo che Carlos, insieme ad altri compagni, è costretto ad abbandonare Santiago dopo un attentato non riuscito a Pinochet. È il punto di non ritorno: l’ignara protagonista si ritrova senza volerlo in quell’intrigo dal quale si è sempre tenuta in disparte, protetta dalla calma sacra e confortante del suo appartamento, prima che un frenetico via vai di militanti stravolgesse il suo angolo privato di vita. Così, anche lei è costretta a lasciare Santiago.

La Fata chiede di vedere Carlos un’ultima volta. L’incontro ha luogo, ma la parola d’ordine pronunciata dal giovane - “Ho paura torero!” - sigilla una separazione, un addio definitivo. Ora tutto è chiaro: la Fata dell’Angolo è dentro la realtà stessa, trascinata contro la sua volontà fuori dal suo mondo incantato, in cui qualsiasi elemento esterno – anche se mosso da ideali di giustizia – appariva profano. Ognuno riprenderà la propria personale rivoluzione. La flebile luce di quella favola immaginata sembra essersi spenta per sempre.

Con questo spettacolo, Claudio Longhi e la sua compagnia firmano un’opera che fa leva sulle nostre coscienze con grazia e una buona dose di satira, dando voce a chi la storia ha cercato di mettere a tacere. È un omaggio alla libertà fragile ma caparbia, al desiderio di essere amati e riconosciuti. Ed è anche un monito: che proprio l’amore, in tutte le sue forme, resta il più audace atto rivoluzionario possibile.

 

di Pedro Lemebel
traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
trasposizione teatrale Alejando Tantanian
regia Claudio Longhi
dramaturg Lino Guanciale

con Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame
Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Sara Putignano, Giulia Trivero

April 13, 2025

Non credo si possa dire che il Nonostante con cui Valerio Mastrandrea esordisce in qualità di regista sia un film particolarmente riuscito: piuttosto noioso, scarsamente ironico, con momenti di indubbia debolezza …

Nello stesso tempo, però, al film vanno riconosciuti una nobile eticità di ispirazione, una  non comune originalità ed alcuni  pregi contenutistici di un certo rilievo:

  • ci presenta una realtà pluridimensionale, molto più complessa di quello che, nella prospettiva materialistica imperante, siamo portati a concepire, una realtà in cui si entra e si esce, in cui è possibile passare da un piano ontologico all’altro;
  • ci suggerisce di diffidare delle apparenze, ci induce a non credere che chi è incatenato ad un letto di ospedale, incapace di aprire gli occhi e di parlare, sia diventato una “cosa” (privo di coscienza, di pensiero, di emozioni), un “vegetale” o, peggio, un mero contenitore di organi trapiantabili;
  • ci suggerisce che la coscienza non sa dormire, ma che è sempre in viaggio in continenti inesplorati e dai labili confini;
  • ci guida a pensare che il viaggiare della coscienza sia un eterno nascere e morire, un continuo passaggio da una all’altra dimensione, un perenne aprirsi e chiudersi di porte;
  • ci guida a pensare che tutto sia immerso nel mistero e che, a salvarci dall’angoscia e dall’assenza di senso di questo nostro andare, siano sempre i sentimenti più grandi, quelli che riempiono il cuore, quelli che ci legano all’altro: Amicizia, Solidarietà, Amore;
  • ci fa comprendere che, dentro di noi, questa capacità di aprirci all’altro e di esperire l’incontro amoroso non scompare mai e che questa capacità è ciò che più riempie di significato il nostro grande viaggio, in ogni suo momento … è ciò che più potrà guidarci fra gli infiniti mondi della nascita e della morte, fra tutte le infinite nascite e le infinite morti degli infiniti mondi.

Insomma, un film che, nonostante i suoi limiti,  riesce a farsi apprezzare per l’esprit metafisico e per il delicato afflato lirico …

Sì, certo … Nonostante

 

April 07, 2025

 

E' Margot Wölk, la donna che a novantacinque anni,  tedesca, rivelerà cosa è capitato a quindici donne (7 nel film) durante il potere di Adolf Hitler. Lei è stata una di quelle quindici assaggiatrici; lei la rivelatrice della  storia  che ha ispirato il romanzo di Rosella Postorino, uscito nel 2018; una storia tutta vera che varrà alla scrittrice il Premio Campiello e il Premio Rapallo Carige. Un inesplorato punto di osservazione dal quale guardare e raccontare la guerra, purtroppo non inesplorato rispetto alla violazione del corpo delle donne.  Dunque, non una trincea scavata nella terra, bensì l'orrore d'una tavola imbandita dove dovranno pranzare e cenare -giorno dopo giorno- rischiando l'avvelenamento, la morte o una lontanissima possibilità di sopravvivenza.

Quindici  donne tedesche, assolutamente, indubbiamente tedesche, studiate e analizzate fino a certificarne il perfetto stato di salute atto ad assaggiare -con assoluta inoppugnabilità- il cibo destinato ad Hitler.  Siamo nel Wolfsschanze, primo quartier generale militare del Fronte Orientale, costruito appositamente per l'operazione denominata "Barbarossa" - il cui scopo era quello di invadere l'Unione Sovietica; siamo nel 1941 e stiamo vivendo l'angoscioso, angosciante  tormento moltiplicato dai sapienti colori della pellicola, dai costumi e da quei sempre piccoli spazi angusti, sempre privi di orizzonti lontani e men che meno vicini; assisteremo al colmarsi di quegli spazi  della rabbia di molti spettatori che vorrebbero abbandonare la visione dell'assurdo pasto e di quegli altrettanto assurdi personaggi maschili, militari tedeschi tanto tronfi quanto buffi, macabri, crudelissimi e miserrimi esecutori dei folli ordini di un Furer che non comparirà mai. Scelta più che mai opportuna, nell'assenza si riesce a misurare verosimilmente la sua follìa e, strano ma vero, anche a misurare la sua ingombrante presenza nella storia dalla quale, come nella pellicola, lo si vorrebbe cancellare.

La miseria d'un omuncolo sopraffatto dalle sue paure, dalle paranoie che riusciva a vincere grazie al velenosissimo sidro del potere assoluto, l'antidoto che funzionava, ma solo parzialmente tant'è che è illuminante il passo con il quale il regista e lo sceneggiatore hanno voluto  denunciarlo: un Hitler che ordina di cercare e catturare tutte le rane possibili e disporle negli acquitrini tutt'attorno al suo nascondiglio perchè è solo il loro gracidare che gli consente di prendere sonno, mentre il silenzio lo uccide. L'attentato subìto, infatti, aveva fatto saltare in aria tutto  e aveva finanche ucciso tutte le rane. E così, dalle 11 alle 12 di ogni giorno, Margot era prelevata dalla casa dei suoceri, o cognati, dove s'era rifugiata quando aveva lasciato Berlino, e portata nella Tana del Lupo. Mai carne fu loro servita, pare che Hitler fosse vegetariano, benchè vi siano altre tesi che sostengono fosse ghiotto di stufato di piccioni. Una storia a tratti allucinante che, peraltro, non finisce con il film. Nella realtà, infatti, accadrà che tutte le altre assaggiatrici saranno trucidate dai soldati sovietici  e Margot, la protagonista del film, catturata a Berlino dai soldati sovietici, sarà violentata ripetutamente per due settimane intere; riporterà ferite tali da non aver mai potuto generare un figlio.

Sebbene i tempi e la narrazione non si armonizzino con il ritmo che la storia merita; la potenza drammatica deve aver schiacciato il regista, provato la sua anima; magnifico è invece il commento musicale che, al contrario, è entrato profondamente nei fatti conferendo pienezza di significato alla storia, esaltandone la potenza e rendendo giustizia all'originale punto di lettura della guerra e del femminile dentro la guerra. Credibilissima l'interpretazione della protagonista, sia nelle scene di solitudine e di assenza del giovane marito, che quando si concede al militare tedesco, anzi meglio: concede a se stessa il rapporto amoroso che ha conosciuto una sola volta con l'amatissimo sposo, che all'epoca dei fatti risultava disperso; si concede alla magnificenza dell'amore dentro una storia di crudezza e disumanità, forse sperando anche di salvare l'alto ufficiale, redimerlo dai peccati che le confessa, aveva ucciso a sangue freddo tanti bambini e ucciderà ancora, anche una delle quindici donne allorchè un'altra delle assaggiatrici, invasata di Hitler, forse anche incaricata di spionaggio, scoprirà che Alfride, in verità, nascondeva un'altra identità, era ebrea, e lo rivelerà ai militari.

Nella vita vera, nel 1946, Margot ritroverà il marito e vivranno insieme, a Berlino; il marito morirà nel 1980. Ancora una volta sono le donne e i loro corpi a pagare le ragioni della vita e della morte decisa dagli uomini, le donne e i loro corpi a pagare le assurde ragioni di tutte le guerre. Storia vieppiù terribile, questa, in cui Hitler non ha scelto donne ebree o zingare o lesbiche, ma donne sane e tedesche! Non che quelle valessero meno, ma per dire quanto valore avesse per lui la vita anche di appartenenti a quella razza che considerava eletta, la più e unica a meritare considerazione. Margot Wölk rivelerà tutto quanto solo al compimento del suo 95esimo compleanno, al giornalista del Berliner Zeitung. Confesserà anche quanto il cibo sia stato per moltissimo tempo solo metafora di paura e morte e che occorreranno  decenni per tornare ad essere nuovamente gioia e ritorno alla vita. Inutile chiedersi quanto un regime possa farsi scudo con uomini... quanto con donne le cui vite valgono niente di più che un cucchiaio di minestra... e quanto diritto si sia negato e si neghi alle donne di essere nella storia...ciò pesa come un macigno sull'anima!  Penso a quanto debba essere stato assurdo quel primo giorno in cui quelle  donne, non conoscendo la ragione per la quale erano state sottratte alla vita familiare, realtà in cui tutti -chi più chi meno- stentavano a poter disporre di pasti, mentre,  a loro, senza una ragione plausibile, veniva offerto un ottimo cibo, che avrebbero voluto vomitare appena dopo aver appreso la "ragione".

Il cibo, prezioso per la vita, era la mitragliata destinata alla  loro dignità e alla loro vita! Una sola delle quindici donne era invasata, aveva la ragione spenta e mangiava quel cibo con l'avidità di colei che si gloriava tal quale fosse un atto eroico, salvare la vita del suo idolo! Una sola la figura maschile accudente, semplice, gentile, quel cognato o padre presso cui Margot s'era rifugiata. Un film che cade a proposito in questi tempi insanguinati, un film che accende la rabbia e ingigantisce la consapevolezza di quanto, alla fine, tutta la violenza e lo strapotere della storia, anche recente, non abbia insegnato, nè abbia disinnescato la voracità di coloro che ora per un territorio, ora per terre rare, ora per il petrolio o per qualcosa d'altro... schiacciano bambini, donne...uomini inermi che hanno solo la vita e alcun altro interesse ... e distruggono territori sui quali, un giorno dopo l'altro,  tanti uomini hanno creato la magnificenza delle opere d'arte e dell'ingegno, hanno creato bellezza sulla quale rovesciare macerie. 

 

April 04, 2025

 

A causa di un vecchio litigio mai risolto, ma anche per forti incompatibilità caratteriali fin dall’adolescenza, i fratellastri Lisandro (Alessandro) e Demetrio (Maurizio) non si frequentano più da anni. Ma un giorno il padre morente li convoca perché prima del trapasso vorrebbe rivederli riappacificati. Se i due non troveranno il modo di andare d'accordo, minaccia di dissipare tutto il suo patrimonio lasciandoli senza eredità.

Il testamento prevede che i due debbano vivere insieme e dimostrare di sapersi lasciare alle spalle i conflitti passati e ricongiungersi da buoni fratelli. Per aiutarli, dovranno affrontare delle prove che li obbligheranno a collaborare e ad avere una certa intimità. 

Le prove saranno indicate da Elena (Lorenza), un’affascinante notaia incaricata per questo singolare compito. Ai tre personaggi si aggiunge Barbara (Patrizia), la compagna di Demetrio, assai gelosa e possessiva, dal carattere dominante ed autoritario, che schiaccia letteralmente il dolce e remissivo compagno. Le scene dei loro incontri sono esilaranti.

Il titolo “Scioglilingua” della commedia racchiude il succo di questa movimentata e divertente proposta, che oltre ad avere una forte impronta comica, inserisce nella elementi romantici ed una ricca dose di dolcezza. I due intanto saranno videosorvegliati nella casa perché la notaia possa controllarne i progressi e riferirli al padre. Ma mentre il gretto Lisandro è ben disposto a fare questo percorso soprattutto per ottenere la sua parte di eredità, per la sua superficialità non si rende conto della fatica a riallacciare i rapporti da parte di Demetrio, che ha ancora le ferite doloranti per i comportamenti subiti negli anni dal fratello sciatto, facilone e rozzo.

Nonostante la mancanza di tatto di cui è palesemente privo, pian piano riesce però a tirare fuori il suo lato migliore anche grazie a particolari situazioni inserite nella pièce. Situazioni che faranno emergere sia i difetti che le virtù di entrambi. Il testo presenta così diverse occasioni per un continuo crescendo nel rapporto affettivo e la giusta collaborazione per il raggiungimento dell’obiettivo, il tutto attraverso momenti particolarmente  ironici, divertenti o esilaranti e alle capacità recitative di tutto il cast.

La scena in cui Lisandro aiuta Demetrio a corteggiare la bella notaia con un escamotage che ricorda Cyrano De Bergerac, quando attraverso Cristiano corteggia l’amata Rossana, ma con l’approccio di Gigi Proietti in quella memorabile scenetta del Conte Duval, quando non conoscendo la parte si ritrova sul palco, prendendo fischi per fiaschi i suggerimenti del collega attore scatena l’ilarità del pubblico. Ecco anche questa scena è particolarmente esilarante.

Godrete poi di altri espedienti divertenti che Lisandro metterà in atto per tenere lontano la minacciosa fidanzata dominatrice del fratello.

Altra divertentissima scena è  quella in cui il povero Demetrio viene quasi violentato da Barbara. In tutto lo sketch i due non sono presenti sul palco, ma fanno intuire attraverso rumori fuori scena ed esclamazioni cosa accade nel retroscena, mentre sul palco ci diletteremo con le inequivocabili e spassose espressioni di Lisandro.

Da evidenziare anche la prova di recitazione per accontentare il padre, grande appassionato di Shakespeare… immaginate Maurizio ed Alessandro alle prese con una discutibile quanto esilarante interpretazione di “Romeo e Giulietta”…

 

Il cast

Maurizio ed Alessandro lavorano insieme da sempre, affiatati e rodati, sono una coppia di artisti che sa come divertire il pubblico e coinvolgerlo. Alessandro, più sfrontato e diretto, veste un personaggio schietto e poco colto che resta comicamente perplesso davanti alle parole forbite del fratello e alle sue esternazioni da uomo di cultura. È uno che si arrangia per tirare a campare. Esuberante e tronfio, si esprime con battute semplici ma dirette ed efficaci.

Maurizio presenta un personaggio docile e remissivo, una vittima della vita e di chi lo circonda. La voce tremolante ed insicura come gli atteggiamenti impacciati cozzano con quelli più sicuri ma poco accorti di Alessandro. Insieme formano una bella coppia sulla scena.

Lorenza è l’affascinante e dolcissima notaia. Sicura di sé e disinvolta, svicola dalle petulanti attenzioni del grande amatore Alessandro con charme, rimanendo ammaliata dalla semplicità e docilità di Maurizio. Dapprima professionale e distaccata, muta il suo approccio con classe inserendosi sempre più tra i due.

Patrizia ha una voce inconfondibile che adoro; è molto personale e la usa per dar vita a un personaggio in bilico tra il grottesco e il comico, ma che mostra anche il suo lato profondo. Rude e rigida, ha un atteggiamento da dominatrice antipatica e prepotente che nel corso della storia, attraverso una ponderata recitazione, svelerà una personalità profonda e gradevole.

Questo è uno dei punti di forza della commedia: saper svelare i retroscena di ogni personaggio rendendolo comico nella sua indiscutibile umanità. Piacevoli ed amabili, tutti si muovono su una trama semplice ma efficace che porta ad un lieto fine ma dai risvolti inaspettati.

 

Teatro Golden 

Lui che bacia lei che non bacia lui che bacia lei 

di Massimo Natale e Ennio Speranza 

regia di Massimo Natale 

Con Maurizio Paniconi, Alessandro Tirocchi, Lorenza Giacometti, Patrizia Casagrande

produzione Goldenstar AM srl

 

 

 

 

March 13, 2025

Roberta Skerl riesce a scrivere un testo drammatico in cui ricrea magistralmente le stesse dinamiche di una famiglia che sembra presa dall'estrema periferia di Roma e trasportata sul palco.

Propone un dramma intenso, una sorta di versione pasoliniana moderna, che racconta una storia non diversa da quella di molte famiglie nascoste dietro le mura di una casa popolare.

Sfortuna, malattia, difficoltà economiche, incomprensione e solitudine portano allo svilimento questi esseri umani, che abbandonano ogni speranza o sogno e si lasciano andare ad una apatia mentale che finisce per annichilirli, oppressi da una realtà che li priva di ogni iniziativa atta a migliorare la propria esistenza.

Quello che viene portato sul palco, e che funziona così bene, è questa realtà  triste, disperata, dura, espressa da un’efficace, continua e monotona tristezza che spegne i protagonisti, che sopravvivono come naufraghi in balia delle proprie sventure, avvelenandosi mentre si cibano di rabbia, dolore e rassegnazione.

Sono anime perse che come mosche imprigionate in una stanza, sbattono contro il vetro dell’indifferente destino. 

Serena e Mirko sono due fratelli interpretati da Francesca Bruni Ercole e Gabriel Durastanti. Entrambi hanno sulle spalle il peso di una famiglia al limite e il fardello di un destino avverso. Lei, dopo aver vissuto un’esperienza tremenda, vive abbandonandosi agli eccessi alimentari, apatica e sempre e sdraiata su un divano. Oggi si direbbe che risponde ai canoni di una hikikomori. Non si prende cura di sé, non esce di casa, non parla con i familiari. Tristemente ipnotizzata davanti alla tv, segue il programma di un sedicente medico, il dottor Soltz, una figura più vicina ad un imbonitore televisivo, una sorta di motivatore truffatore interpretato da Pietro Becattini. Nelle sue trasmissioni vorrebbe convincere con il motto ridondante “Belive It!” (Credici!) che basta credere in qualcosa ardentemente perché si concretizzi. In realtà non sarebbe un consiglio erroneo, ma gli atteggiamenti e la personalità dell’uomo lasciano perplessi sul suo vero scopo.

Serena è l’immagine della dolcezza. Seppur non proferisca parola per tutto lo spettacolo, parla con gli occhi e con le sue espressioni tristi.  Spenta e apparentemente vuota, sembra un cristallo incrinato pronto a frantumarsi, si direbbe che viva in un mondo parallelo dove niente sembra sfiorarlo, neppure i consigli del dottore.

Anche il fratello, dietro l’atteggiamento scostante e duro, nasconde un trauma che ha rovinato lui  ma ha  trascinato anche la famiglia in una situazione drammatica. Con il suo migliore amico Tullio (Francesco Stella) tenta di dare una svolta alla sua vita, ma peggiora le cose scivolando con i suoi cari nel baratro.

Tullio si porta dietro una serie di drammi e fallimenti che condizionano lui e chi gli sta intorno. Seppur poco gradito, è diventato quasi un figlio adottivo della famiglia, con cui ha in comune la stessa sorte.

Lorenza Guerrieri è Elvira, una nonna dal cuore grande, amabile, acciaccata dagli anni e dalla vita difficile. Una bella figura, direi stupenda, profonda e sensibile, che cerca inutilmente di essere l’ago della bilancia nelle controversie e dispute familiari e riesce sempre a mettere una buona parola.

Alessandro Salvatori e Veronica Milaneschi sono Elia e Sara, una coppia che vive il peso di un grande senso di colpa. Lui, malato e disoccupato, è ormai mantenuto dalla povera moglie che si distrugge di lavoro. Insieme sono qualcosa di tragicamente sublime, il dramma fatto persona. Le loro dinamiche lasciano ammutoliti, guardandoli si sente un grosso peso sullo stomaco e ci si sente a disagio.

La storia è bella, intensa, pesante e opprimente, e di tanto in tanto si intravede un flebile bagliore, una speranza, forse avvertito più dallo spettatore che dai protagonisti. Si spera che accada qualcosa di positivo a cambiare le sorti di questa sventurata famiglia.

Ad intermittenza riappare la figura del dottor Soltz che spezza e allevia il dramma, o almeno ci prova. Non mancano momenti ironici che strappano qualche risata, come le battute ed esternazioni molto spontanee che sentiremmo nella vita reale e che danno respiro al dramma, fino all’epilogo intelligente, che non so se possa definirsi lieto fine tanto è realistico e vero.

Tirando le somme, “Belive It!” è una tragi-commedia che parla di sogni infranti e irrealizzati, di speranze soffocate, di vita vera ed immaginata.

 

Il cast

La coppia Veronica Alessandro è straordinaria, per quanto terribilmente drammatica. Sono intensi, dolci, romantici, profondi ed angoscianti. Commuovono e colpiscono.

Bellissima la figura della nonna interpretata da Lorenza, i cui atteggiamenti, movenze e la voce roca fanno venire i brividi, così come l'intensità dei sentimenti che mostra quasi in punta dei piedi. La sua presenza è  fondamentale anche quando si pone al margine di una situazione. Dona completezza grazie alla sua forte presenza scenica.

Serena, nonostante possa sembrare un soprammobile, è viva e ricca di espressività. La sua non presenza diviene ingombrante quanto un macigno, così come i suoi non detti, che sembrano riuscire a parlare pur senza proferire parola. Deliziosa.

Gabriel e Francesco interpretano in modo realistico le loro dinamiche accese e penetranti, come i loro toccanti sfoghi.

Pietro sembra un piccolo diavoletto, una figura buffa ma anche perversa e fastidiosa. Spezza le scene con i suoi interventi inducendo la riflessione su quanto alcune figure televisive siano dannose per le menti fragili. Istrionico.

Infine la dolcissima Francesca, che farà un'apparizione fugace sul finale come speaker per dare una notizia che chiuderà la storia, rubando un liberatorio sorriso finale.

Una bella e drammatica storia interpretata da un cast che ha saputo donare la giusta intensità e lasciare lo spettatore sulle spine fino all’ultimo.

 

 

Teatro 7   “Belive It!”  -Credici-

Di Roberta Skerl Regia di Vanessa Gasbarri

Con Alessandro Salvatori, Veronica Milaneschi Pietro Becattini, Francesca  Bruni Ercole, Gabriel Durastanti, Francesco Stella e Lorenza Guerrieri

Aiuto Regia Maria Francesca Galasso, Musiche Momo

 

 

 

February 15, 2025

 

Amo Carlo Verdone, ho visto tutti i suoi film. Alcuni sono dei veri e propri cult divertenti, toccanti e a tratti anche drammatici.

Ha ben ventisette film all’attivo, forse non tutti allo stesso livello, ma Carlo rimane un’icona del cinema italiano.

È indubbiamente una scelta rischiosa riproporre un film divenuto parte del nostro bagaglio culturale, con il quale molti di noi sono cresciuti. Non so cosa abbia spinto Giancarlo Fares e Sara Valerio a proporre, e in parte personalizzare, una pellicola ormai storica; se sia stata una scelta affettiva o commerciale, oppure pensata per invogliare il pubblico più pigro e meno propenso a frequentare il teatro. Credo che in questo siano riusciti appieno, vista l’alta affluenza di spettatori.

Lo spettacolo è liberamente tratto dall’omonimo film. Nonostante le battute che il pubblico conosce bene e si aspetta, pronunciate in coro dagli attori, ho avvertito una certa amarezza che pervade questa réunion, per certi aspetti più chiara ed incisiva rispetto a quella del film.

Il tempo, come ricorderete, segna tutti i protagonisti che, attempati, si ritrovano dopo gli anni spensierati della gioventù a una rimpatriata e dietro l’allegria nascondono una certa dose di tristezza.

Tutti portano con sé le cicatrici della vita e l’ombra pesante dei fallimenti, sia professionali che umani. Qualcuno ha mancato tutti gli obiettivi della vita, altri hanno fallito come esseri umani nonostante una brillante carriera. Poveri d’animo e irrisolti, si nascondono pirandellianamente dietro una maschera che presto si sgretola davanti agli altri.

Questo era ciò che spiccava nel film e che ritroviamo in questa proposta: opportunismo, egoismo, superficialità, immaturità… insomma, un gruppo di eccentrici subumani, a parte qualche eccezione.

 

La commedia ricrea la stessa nostalgia aggiungendo una buona dose di ironia pungente che spinge a fare una profonda riflessione su quel che resta dell’amicizia, ma anche sul tempo passato e su come abbia lasciato segni tangibili nei comportamenti e atteggiamenti fastidiosi e stucchevoli.

Sono passati oltre trent’anni dall’uscita del film e “Compagni di scuola” rimane attuale. La sceneggiatura vivace e brillante rimane godibile grazie ad un susseguirsi di scene divertenti e paradossali, dialoghi irriverenti e pungenti con personaggi talmente riusciti da essere divenuti memorabili.

Diverse generazioni di spettatori possono riconoscersi nelle dinamiche, negli atteggiamenti, nelle esternazioni ed essere toccati dai temi trattati legati alla crescita e all’identità, lasciando spazio a riflessioni spesso amare sui protagonisti per i loro discutibili comportamenti anche troppo realistici, che vediamo affogare nei loro sogni irrealizzati.

Si muovono tra amicizie che si rivelano sterili se non tossiche, mostrando una serie di non risolti che questa sera vengono riproposti con la stessa ironia e con battute efficaci che strappano risate ed applausi ma lasciano un forte retrogusto amaro per la storia.

Lo spettacolo teatrale vuole riproporre l’essenza del film attualizzandolo attraverso riferimenti più moderni e riportandolo in vita con attori completamente diversi da quelli che interpretarlo i personaggi di allora.

La regia ha voluto mantenere alcune caratteristiche più spiccate, permettendo però agli artisti una certa libertà nel personalizzare i propri ruoli.

È il caso della bravissima Emy Bergamo, in cui non si possono non riconoscere alcuni aspetti che ricordano fortemente l’interpretazione di Nancy Brilli, la padrona di casa.

Dopo un corposo assaggio, dà una svolta al suo ruolo, si stacca dal fantasma di Nancy rendendo il suo personaggio più genuino e personale.

È sua l’apertura dello spettacolo in cui la vediamo esibirsi in un leggiadro balletto che lascia trasparire tutto il dolore, la rabbia e la cocente sconfitta inflittagli dalla vita.

Forse organizza questa réunion per tirare le somme della sua esistenza, o forse per lenire quel dolore constatando che anche gli altri non hanno incontrato una sorte migliore. Deliziosa e prorompente.

Personaggio riuscitissimo è quello proposto da Stefano Ambrogi, un interprete perfetto per la figura del macellaio spocchioso e vanitoso, ruolo che fu di Angelo Bernabucci venerato nei luoghi di lavoro di mezza Italia, dove le sue sagaci battute ormai divenute storiche vengono scambiate tra colleghi. Stefano ha una grande personalità ed esuberanza molto apprezzata dal pubblico italiano. Un capace attore e una persona in antitesi con il suo personaggio, perché molto solare e simpatico. Un vero ladro della scena.

Il triste personaggio rappresentato da Christian De Sica viene interpretato da un Matteo Cirillo come al solito esplosivo ed esuberante, con una personalità ed indole tempestosa che cancella quella triste e frustrata del suo omonimo, dandogli un taglio molto più comico e simpatico. Matteo dà ancora prova di saper caratterizzare i suoi ruoli.

Marco Blanchi veste i panni che furono di di Alessandro Benvenuti; si tratta del personaggio che finge una paresi presentandosi su una sedia a rotelle. Più che riuscito nel suo antipatico e poi nostalgico ruolo. Movenze ed atteggiamenti sono ben interpretati e in linea con quelli del film, se non anche più fastidiosi ed odiosi.

Annalisa Favetti interpreta la figura che fu di Eleonora Giorgi; si presenta un po' svampita e smemorata, ma a tratti sa come essere pungente per poi nascondersi di nuovo nella sua ingenuità. Con capacità recitative indubbio gioca sui due lati caratteriali, arricchendo il personaggio e rendendolo brillante ed originale.

Leonardo Bocci è nei panni di Piero Natoli, quello che cerca di recuperare il rapporto con l’ex moglie. Di conseguenza in questa pièce si affianca opprimente Annalisa Favetti. Sfuggevole, come un cane bastonato cerca di rientrare nelle grazie della sua amata attraverso una fallimentare insistenza. Leonardo Bocci è un attore di carattere e talento che stimo e apprezzo molto e che avrei sfruttato meglio in questa parte. 

Viene relegato ad un ruolo che a mio avviso ne imprigiona indole ed esuberanza di cui è piuttosto ricco. Chi lo conosce sa di cosa parlo.

Gigi Palla è nel ruolo del logorroico Luigi Petrucci; qui si presenta scapigliato, dolcissimo e simpaticamente chiacchierone, sembra quasi la controfigura di Einstein con il suo aspetto buffo. Molta attenzione è affidata a questo personaggio effervescente.

Sara Valerio è nei panni di Athina Cenci, la psicologa del gruppo. È una delle figure che si discosta di più, a parte alcune battute, dal film. Sara gli dona un taglio molto più personale, abbandonando buona parte di quello che caratterizzava quel soggetto.

Una scelta coraggiosa che ridisegna quel ruolo.

Pietro Romano invece è l’alter ego di Carlo Verdone, ma mostra un approccio completamente differente dal personaggio originale e ci regalerà un monologo finale piuttosto toccante e ben interpretato che chiuderà lo spettacolo. Dolce, timido, insicuro, meno comico ma più umano e profondo.

Stefano Thermes è sicuramente il più odiato; reso ancora più viscido dell'originale da Massimo Ghini, è il politico senza scrupoli dagli atteggiamenti altezzosi, gli stessi riproposti da Stefano, con i quali sarà in grado di infastidirvi quanto basta. Personaggio sicuramente riuscito.

Ultima, ma solo per ordine di apparizione, è la dolcissima Marta Gagliardi nel ruolo di Natasha Howey, la ragazza impacciata e timida che subisce le moleste attenzioni del politico. Dolcissima come lei, si muove timidamente come nel film. È come un pesce fuori d’acqua tra quei miseri esseri, è l’unica che nonostante l’età dimostra di avere moralità. Deliziosa.

Il tutto si svolge in due atti: il primo più lento, preparatorio; il secondo più dinamico e movimentato. La scenografia ben curata nella prima parte ripropone il giardino della grande casa, nella seconda la spiaggia antistante la villa. Questa trasformazione è molto efficace e suggestiva come lo sfondo, che riproduce un cielo terso che cambia di colore a seconda dell'orario.

Le scene si susseguono a ritmo di battute e confessioni, in alcuni momenti la scenografia viene inghiottita dal buio per illuminare solo quella porzione del palco che vuole immortalare gli attori in azione.

Per il resto dello spettacolo rimane sempre affollata, aggiungendo un’altra particolarità: mentre si svolge la vicenda principale che focalizza l’attenzione dello spettatore, gli altri continuano nelle loro facezie come contorno attivo ma in sordina, animando sempre il contesto. Le luci svolgono un ruolo determinante in questo, piacevole la scelta dei brani musicali che fanno da sottofondo.

Nonostante i protagonisti sono della stessa generazione, non tutti gli attori rispondono alla caratteristica di avere la stessa età. Ma devo dire che grazie alle capacità del cast, i più neanche abbiano notato questa forzatura.

Uno spettacolo per chi vuole rivivere il film attraverso un'esperienza diversa.

 

 

Teatro Nuovo Orione

“Compagni di scuola”

Liberamente tratto dall’omonimo film di Carlo Verdone

Diretto da Giancarlo Fares Prodotto da Lea Production, Adattamento di Sara Valerio

Con: Stefano Ambrogi, Emy Bergamo, Sara Valerio, Gigi Palla, Marco Blanchi, Annalisa Favetti, Leonardo Bocci, Matteo Cirillo, Stefano Thermes, Pietro Romano e Marta Gagliardi.

 

 

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