L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Theatre and cinema (153)

 

 

Riccardo Massaro
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January 12, 2025

 

Il padel è uno sport particolarmente diffuso e conosciutissimo, allora perché non usarlo per raccontare una storia? Il Teatro Golden lascia spazio ad un vero e proprio campo da gioco in mezzo alla sala, con giocatori che scambiano qualche tiro inscenando una partita; è questo il pretesto per dare vita a una serie di dinamiche non solo plausibili, ma anche interpretate con molta naturalezza.

Dall’adolescente un po’ ribelle che parla con neologismi giovanili incomprensibili per gli adulti, ad una madre che improvvisamente si scopre più materna di quello che in realtà è, al marito bonaccione che a suo tempo ha lasciato la carriera da tennista per sposarla, fino all’amico anche lui tennista sfiorito che ormai si accontenta di fare l’allenatore e il preparatore atletico della ragazza alla quale è particolarmente affezionato e ricambiato.

Scritta e diretta dallo stesso Danilo De Sanctis, la commedia racconta le vicende di Luna (Angelica Pisilli) una giovane sportivamente dotata, la cui gioventù è sacrificata da pesanti rinunce al fine di realizzare il suo sogno: diventare una campionessa di tennis.

Un sogno che però sembra essere più la proiezione dei desideri di chi le sta intorno, di coloro che sono ancora adombrati dai loro fallimenti, dalle delusioni o da rinunce: il padre Giulio (Simone Montedoro) e il suo allenatore Armando (Danilo De Santis).

I due, oltre ad essere amici da sempre, hanno ancora in comune la forte passione per il tennis, quasi un’ossessione che investono sulla ragazza.

Luna sta per raggiungere un suo personale successo in questo campo, ma non sembra felice. Non si sente accettata né compresa dalla madre Mara (Roberta Mastromichele) che continua a trattarla come se fosse ancora una bambina piccola. Anche con il padre non ha il rapporto che vorrebbe, distratto dall’assillo di compensare con la figlia il suo mancato successo. È così concentrato su questo obbiettivo, come gli atri adulti, da tralasciare involontariamente di darle quelle amorevoli attenzioni che le mancano.

Nonostante le premesse, non siamo davanti ad un dramma teatrale, a una commedia divertente e piacevole intrisa di profonda dolcezza e da una dose di velato e appena percepibile dramma.

Una proposta, quella di Danilo, che vuole con simpatia criticare la diffusa tendenza di molti genitori ad usare come surrogato o come avatar i propri figli per raggiungere risultati e successi che non sono riusciti a perseguire, spesso senza chiedersi se quelli sono i desideri dei figli.

Non nascondo che inizialmente, prima che il vortice di riuscita comicità che riempie la proposta mi coinvolgesse, mi sono guardato intorno durante le scene incentrate sul rapporto tra figli e genitori, scrutando i volti del pubblico più maturo per carpire qualche smorfia di disappunto che rivelasse una proiezione di sé nei personaggi. Ho pensato a quante persone potessero riconoscersi nella vicenda che Danilo ha saputo proporre con eleganza ed ironia.

Danilo e il suo cast ci propongono una commedia dinamica e alquanto movimentata che si sviluppa in poco più di un’ora, ricca di vicende e di tante intense emozioni, in cui si affaccia con delicatezza e tatto un piccolo dramma familiare, presentato però con genuina schiettezza e in maniera piuttosto brillante con una bella dose di effervescente ironia e riuscita comicità, senza far mancare delle situazioni che hanno l’intento di stimolare lo spettatore ad una profonda riflessione.

La regia di Danilo è stata molto attenta ad esaltare le scene, che a volte si interrompono e riprendono accavallandosi elegantemente con altre per dare la sensazione che si svolgano contemporaneamente, in parallelo; momenti di confidenza, di scoramento, di rabbia o di allegria che si alternano incastrandosi in perfetta sincronia, danno un senso compiuto ma soprattutto di continuità alla storia. Tutto questo avviene su un bel gioco luci che permette di concentrare l’attenzione sulla scena in atto, lasciando le altre congelate in una suggestiva semioscurità.

Luna, promettente portento, è però troppo giovane per portare il peso della sua grande responsabilità, diventata un pesante fardello.

La brava e deliziosa Angelica ci presenta quest’adolescente schietta, sbarazzina, esuberante e assolutamente vera, un po’ ribelle e frustrata, e la impersona con molta naturalezza facendone spiccare il  carattere, i modi, la gestualità e l’ espressività che esprimerebbe una qualsiasi ragazza della sua età, sfruttando efficacemente anche la sua fisicità.

Roberta è la tipica mamma ancora giovanile e piacente, un po’ stressata, scontrosa e forse anche un po’ scontenta della sua vita. Atletica ma negata per il padel, alterna la sua figura a tratti aggressiva e velenosa ad una più dolce, nella quale sembra quasi far fatica a riconoscersi. È in bilico in un piacevole e bilanciato ruolo di madre e di moglie; spontanea e istintiva.

Danilo veste invece i panni di un simpaticissimo e dolcissimo allenatore che ha sviluppato un bel rapporto con la ragazza ed i suoi genitori. È un single incallito, forse perché è un profondo mammone che vive ancora con la madre, che ancora gli prepara la borsa per gli allenamenti… con Simone sono una coppia perfetta in scena. Nonostante sia entrato nel cast poco prima dello spettacolo e abbia fatto una manciata di prove, si è subito affiatato con gli altri. La sua professionalità e bravura, la naturalezza con cui interpreta questo padre un po’ smarrito non hanno fatto trasparire neanche l’ombra di un’incertezza; tutt’altro, sviluppa ottimamente un personaggio piacevole, divertente e sensibile.

Lui e Danilo insieme sono perfettamente in sintonia: gag, battute, sfottò, scherzi… tutto è ineccepibile. Divertono, coinvolgono, appassionano ad una storia che alla fine svela anche dei retroscena inaspettati ed interessanti che insaporiscono la vicenda. Tutti i personaggi interagiscono con naturale disinvoltura, portando gli spettatori a vivere con loro quella partita di padel o a partecipare ai discorsi nello spogliatoio. Appassionano con le loro vivaci e sentite dinamiche e coinvolgono attraverso un testo scorrevole e ben scritto che riserva sorprese inaspettate lasciando in sospeso in attesa degli eventi.

Le reazioni dei coinvolti a questi piccoli colpi di scena hanno sempre un risvolto divertente che alleggerisce le situazioni, ma non tralasciano il lato profondamente umano che porterà, nell’epilogo, a fare i conti con i loro insoluti e non detti e paradossalmente a ricevere anche un’inaspettata lezione di morale proprio da chi avrebbero dovuto educare...

 

Teatro Golden “Il Padel nostro" 

con Danilo Da Santis, Roberta Mastromichele, Simone Montedoro, Angelica Pisilli

scritto e diretto da Danilo De Santis

 

December 31, 2024
 
Una truffa di un’agenzia che vende multiproprietà mette in difficoltà la coppia formata da Mauro, rozzo e burbero macellaio romano (Giorgio Gobbi), e Beate (Annalisa Favetti), la sua compagna russa. Arrivati su un’isola tropicale quasi deserta per la loro vacanza dei sogni, si ritrovano a condividere con un’altra coppia, formata dagli insegnanti Mino (Flavio De Paola) ed Elena (Serena Renzi), lo stesso appartamento fatiscente. 
L’isola è piuttosto selvaggia, i cellulari non sono utilizzabili e quindi è impossibile risolvere il problema con l’agenzia. Il personale del residence è composto esclusivamente dall’inserviente tuttofare Carlos (Ilario Crudetti), che di volta in volta si presenta anche nelle vesti di presunti fratelli gemelli buffissimi e marpioni che si improvvisano idraulico, postino, portiere, operaio… Carlos e fratelli parlano uno spagnolo discutibile inframmezzato da parole italiane, ed è convinto che i quattro si trovino sull’isola per praticare lo scambio di coppia. 
 
I nostri disgraziati vacanzieri sono bloccati su quest’isola dove manca tutto, e l’unico collegamento con la terraferma è una nave che salpa soltanto una volta alla settimana… Non gli rimane che condividere la penosa situazione in un esiguo spazio, cercando di andare d’accordo nonostante le diversità caratteriali e sociali che li dividono e che minano da subito la convivenza, creando una situazione per loro impossibile se non catastrofica ma divertentissima per il pubblico.
La pièce porta con sé il sapore della pura commedia all’italiana del passato, che non disdegna un’ironia più attuale. Nei personaggi si amalgamano stili diversi di recitazione e comicità: Giorgio, tronfio e verace romano senza peli sulla lingua, si fronteggia con Flavio, ponderato, educato e remissivo. I due stili si incontrano, si sfidano e poi si prendono per mano per tornare a fronteggiarsi provocatoriamente con il risultato di far ridere di cuore lo spettatore e dar vita ad una storia riuscita ed esilarante.
Non da meno sono le figure femminili: Serena è una virago inviperita per la superficialità del marito che l’ha trascinata in questa situazione. Risulta indifferente, coriacea, arrogante; lo schiaccia con la sua mascolina ed altèra personalità. Si trova a relazionarsi con la povera e sprovveduta Annalisa, immigrata dalla Russia e oppressa dall’invadente e inveterato maschilista compagno. 
Ilario è il jolly della situazione; istrionico, si inserisce quando meno lo si aspetta cambiando con estrema duttilità la sua veste e intervenendo sempre con una forte comicità. 
Tutte le battute che sentirete sono genuine e spontanee, altre sono provocatorie; sempre estremamente puntuali, contribuiscono alla riuscita di un testo divertente ed intelligente. Trovano posto anche riferimenti allo sfottò calcistico, alla vecchia politica e a quella attuale, in maniera neanche troppo velata. Non manca un’irritante critica ai diversi stili di vita, allo snobismo del ceto più elevato e colto e alla spontaneità delle figure più umili e meno istruite. Questi atteggiamenti, però, non sono stucchevoli ma espressi in chiave leggera e umoristica, talvolta satirica, alimentando il divertimento e la riflessione. 
La spontaneità dei personaggi e l’esagerata personalità dell’indigeno, sempre pronto a dileggiare i truffati turisti e furbescamente convinto di essere al cospetto di scambisti e pronto a sfilargli sonore mance per ogni piccolo servigio, si esprimono con tempi comici perfetti. 
 
Alla contrapposizione tra il colto e ingenuo Flavio e il furbo e gretto Giorgio, come tra la burbera ed insofferente Serena e la sottomessa donna oggetto Beate, si manifesta la critica alla discriminazione razziale e ai pregiudizi della cultura patriarcale e maschilista. Alla fine, le figure che dovrebbero prevalere vengono messe alla berlina, poste in secondo piano. Ma quando le instabili e vacillanti sicurezze sociali dei membri del gruppo crollano, avviene un vero e proprio incontro su quelle macerie emotive che porta ad un avvicinamento tra le diverse culture. I due mondi apparentemente incompatibili trovano un’inaspettata quanto riuscita soluzione pacifica che si traduce in una mutua convivenza fatta di dialogo, comprensione e accettazione fino a un sentimento di amicizia.
Frizzante e divertente commedia, dispensatrice di risate e spunti di riflessione.
 
 
Teatro degli Audaci
“Coppie in multiproprietà”
Con Flavio De Paola, Giorgio Gobbi, Annalisa Favetti, Serena Renzi, Ilario Crudetti
Scritto e diretto da Pino Ammendola
 
 
December 29, 2024
 
Ogni anno questo bel gruppetto di simpatici attori ci delizia con una nuova divertente proposta. Debutta in prima assoluta, al Teatro  de Servi, la nuova commedia di Alessandro Tirocchi, Maurizio Paniconi e Simone Giacinti.
Una storia in cui i protagonisti principali sono i sogni, la voglia di riscatto e l’amicizia, quella che nasce tra persone caratterialmente e socialmente diverse ma che condividono una stessa sorte.
Valeria è nei panni della delusa Stella, ragazza che sogna di lanciare una sua linea di moda ma che lavora in un negozio di abbigliamento come commessa. Walter (Maurizio) è invece un architetto sognatore, un bonaccione tenerone, licenziato ed arrestato dopo essere stato incastrato per un reato che non ha commesso. Ora vorrebbe aprire una società edilizia e dimenticare il passato.
 
Gianni (Simone) era una promessa del calcio, ma per un infortunio ha dovuto smettere di giocare, così ora lavora nel bar dello zio anche se vorrebbe diventare un talent scout o aprire un bar suo.
Bogdan (Alessandro) è un rom laureato in economia, costretto a rubare perché nessuno gli concede un’opportunità lavorativa. Sogna di lavorare in proprio come commercialista.
Tutti i protagonisti hanno in comune un passato ma anche un presente travagliato che gli impediscono di realizzare i propri sogni. Insomma, sono tutti insoddisfatti, sottopagati e sfruttati. Nonostante la frustrazione e i pochi soldi in tasca, ambiscono ad un riscatto personale ma non hanno i fondi necessari per raggiungerlo. 
I quattro, pur avendo in comune un destino simile, non si conoscono ma frequentano tutti lo stesso bar, dove finalmente una mattina a colazione si incontreranno grazie a un evento che potrebbe tramutarsi in tragedia e che, loro malgrado, li coinvolgerà tutti. Calmata la situazione, entrano in confidenza e scoprono di avere molto in comune. 
Tutti hanno un sogno da realizzare ma nessuno ha gli strumenti economici per concretizzarlo. Quando uno di loro ha un’idea: siccome a breve verrà esposto un quadro di un famoso artista, che sul mercato nero renderebbe un bel gruzzoletto, decidono di percorrere questa strada per realizzare le loro ambizioni. Certo, sono una banda sgangherata senza esperienza, dei sempliciotti un po’ imbranati ma anche molto motivati. Riusciranno nella loro impresa? Saranno baciati dalla fortuna? Cambieranno idea o rischieranno il tutto per tutto? Tra una risata e l’altra, tra gag e piccoli momenti di tensione e trovate esilaranti, scoprirete il destino del quartetto.
 
Quando si viene a vedere uno spettacolo proposto da questo gruppo artistico, si sa già a cosa si va incontro. Le loro commedie sono tutte tenere e divertenti, e i loro personaggi, oltre che a far ridere, mirano a toccare il cuore dello spettatore. Questo è il segreto delle loro proposte, che riescono sempre ad attirare nuovo pubblico e a riempire le sale. Ci si diverte, si riflette, si viene toccati nel profondo, a volte ci si riconosce nei personaggi e poi ci si alza sempre dalla poltrona con un sorriso, il cuore leggero e una sensazione di allegria che accompagna fino a casa.
Maurizio, Alessandro e Valeria lavorano spesso insieme, sono più che affiatati, e con loro troviamo spesso anche Simone, ormai diventato uno di casa. Insieme, con la loro personalità e sensibilità danno vita sempre a personaggi buffi, simpatici, un po' sfortunati ma anche profondamente umani, veri e soprattutto dolcissimi, come quelli che conosceremo stasera. I loro personaggi prendono vita non solo grazie alla loro grande comicità, ma anche a una evidente sensibilità che vuole valorizzare e riscattare quei caratteri strampalati e sfortunati dall’animo buono. È un loro modo di dare un’opportunità ai protagonisti, che rispecchiano le persone bistrattate dalla vita e dalla società, i deboli  schiacciati da eventi più grandi di loro che trovano però nel gruppo e poi nel loro intimo la voglia di reagire. 
Così Alessandro, Maurizio, Valeria e Simone gli danno un’ anima, li inventano, li creano, gli danno vita, parola, sentimenti, permettendogli di salire sul palco e farsi conoscere, apprezzare per quello che sono, per le debolezze che non nascondono e per  gli sforzi che sostengono  per sopravvivere e affermarsi o per trovare semplicemente un piccolo posto in una società che li ignora, abituata ad accettare stereotipi ben diversi come le persone affermate, sicure di sé, realizzate, oppure i furbetti e i prevaricatori che non mancano mai e calpestano i diritti dei più deboli. 
Alessandro stasera è esteticamente improponibile; è riuscito ad indossare una serie di tute da ginnastica una più brutta dell’altra, le peggiori che si possano trovare nei mercatini dell'usato, restituendoci un personaggio più che realistico. Si è fatto crescere la barba e i baffi e ha studiato movenze e modi di esprimersi tipici di un rumeno italianizzato. Ha inserito poi, nel suo lessico, parole storpiate che suscitano un grande divertimento nel pubblico. 
 
Maurizio porta sempre con sé quella personale comicità che lo caratterizza: introversa, mai eccessiva, oserei dire timida ed educata, che spesso non ha bisogno neanche di battute riuscite per divertire. Gli bastano la sua spontaneità, la semplicità e la tenerezza, quell’ aspetto un po’ sottomesso e riservato mai invadente che colpisce e fa ridere. 
Valeria questa sera mostra una sua comicità particolarmente esuberante ed aggressiva, sprizza energia ed allegria da tutti i pori e si impone attraverso un personaggio divertentemente prepotente e caotico. Strilla, salta, balla, lotta. Così facendo, impone il suo ruolo femminile e tiene testa ai tre maschi in scena pur rimando deliziosa e femminile, esaltando le doti di una donna che vuole reagire ed essere sé stessa.
Simone, con la sua vivace romanità, veste un personaggio inizialmente sottomesso ma che al momento giusto sa diventare brioso ed effervescente. Gioca da protagonista e da spalla a seconda dei momenti, sfoderando uscite ricche di comicità che colpiscono proprio perché inaspettate e nascoste dietro ad un’apparente rassegnazione caratteriale.
I nostri cambiano spesso costume e colorano le varie scene che si susseguono senza fine. Il bar è ben ricostruito dalla scenografia, azzeccata e sfiziosa la scelta delle musiche. Da sottolineare l'attento e riuscito uso delle luci, determinante nella maggior parte delle scene perché da una parte crea gli spazi giusti che esaltano ogni personaggio e situazione, dall’altra crea l'atmosfera ideale e suggestiva per la storia.
Uno spettacolo adatto a trascorrere una piacevole e spensierata serata.
 
 
Teatro de Servi
“Ci prendesse un colpo”
-La svolta della vita-
Di Alessandro Tirocchi, Maurizio Paniconi, Simone Giacinti
Con Valeria Monetti, Alessandro Tirocchi, Maurizio Paniconi, Simone Giacinti
Regia di Andrea Palotto
December 26, 2024

 Davvero un momento alquanto delicato per i cinefili di orientamento piagnon-pessimistico-cinico-catastrofistico …

E sì, perché nelle italiche sale cinematografiche si aggirano due terribili film in cui, in maniera insolitamente e straordinariamente felice, non muore (quasi) nessuno; dove non si assiste a tarantineggianti cascate di sangue, con relativo contorno di frattaglie e materia cerebrale; dove la gente è in grado di aiutarsi, di abbracciarsi, di pensare alla vita degli altri, soprattutto di quelli che stanno peggio; dove le persone sanno godere dello starsi accanto, dello starsi vicine nell’affrontare i tanti guai della vita, dell’inventarsi strade e ponti per andare oltre gli immancabili momentacci, tenendosi per mano e procedendo, piangendo e ridendo, insieme; dove quelli che sembrano cattivi sanno scoprire, dentro di sé, insperati raggi di luce, e aprirsi ad un nuovo cammino; dove chi si odiava riesce a farsi conquistare dal piacere della condivisione e dello scambio solidale; dove, messe da parte le gabbie egocentriche dell’ “uomo lupo all’uomo”, l’umanità sa farsi empatica famiglia; dove le ostilità e i conflitti possono essere benedetti da generosi brindisi di ironia; dove, soprattutto, il dolore, la solitudine, l’odio, la rabbia e la vendetta non appaiono invulnerabili trionfatori della storia e unici itinerari percorribili del destino comune.

Quindi, se tutto questo vi appare un insopportabilissimo guazzabuglio di buonismo melenso ed ingenuo, nonché di irrealistico moralismo, evitate attentamente:

Diamanti di Ozpetek (una ludica sinfonia di affetti)

e Napoli-New York di Salvatores (un poeticissimo sogno di fiabesca allegria).

Vi potrebbero persuadere (chissà!) che, in questo triste mondo, nonostante tutto, c’è ancora posto per quella strana cosa che chiamiamo

 il BENE!

December 21, 2024
 
 
Non so se avete visto questo thriller girato da Alfred Hitchcock… 
Ebbene, teoricamente, ma solo teoricamente, la commedia vorrebbe riproporne il copione in una versione super comica.
 
Ricordo che cercai appositamente il film sul web, proprio per confrontarlo con quanto avevo visto a teatro. Nonostante l’originale fosse un film serio, ad ogni scena ridevo ricordandomi della versione teatrale. 
 
Ricordo anche che appena finito lo spettacolo, prenotai un altro biglietto per rivederlo il giorno dopo…
Tutto è proposto in chiave estremamente comica sforando i limiti del demenziale, per una rocambolesca commedia che raggiunge i vertici della follia. Si rimane colpiti dalle geniali idee e dalla poliedricità degli attori che interpretano ben trentanove personaggi diversi. 
 
C’è davvero di tutto! Donne ammalianti, spie, poliziotti, personaggi ambigui; elementi esplosivi per un giallo basato su un intrigo internazionale che si trasforma in qualcosa di esilarante ed estremamente originale, ricco di gag dissennate che stupiscono e divertono continuamente lo spettatore.
 
Sul palco i nostri, oltre a cambiarsi repentinamente e continuamente di abito, si avvicendano per interpretare una masnada di personaggi e ad ogni scena utilizzano gli oggetti più semplici e stravaganti. 
Il cast è lo stesso da anni, quando però lo vidi circa cinque anni fa per la prima volta, il posto di Yaser era stato occupato momentaneamente da Matteo Cirillo. 
Sono due attori che si assomigliano per certi punti di vista, ma hanno una loro spiccata personalità. Oggi Yaser ritorna al suo posto travolgendoci in sinergia con i suoi spettacolari colleghi e la loro inesauribile verve comica.
 
Un povero uomo d’affari, caduto per errore in un intrigo spionistico internazionale, viene braccato come un animale dopo aver incontrato una… “bellissima” donna, poi assassinata perché a conoscenza di un complotto internazionale di cui rivela alcuni particolari. Così il disgraziato non solo viene accusato e ricercato per la morte della donna, ma anche dalle terribili spie che vogliono zittirlo per sempre. 
 
Con le sue sole forze, cerca di raggiungere in Scozia un luogo indicato dalla donna assassinata, che al solo nominarlo scatena tuoni e fulmini. Una gag sulla falsariga di quella con la Frau Blucher di Frankenstein junior, che al solo pronunciare il suo nome, scatena i nitriti nervosi degli equini presenti. Reazione simile quando si fa il nome della villa dove avviene il dramma comico di “Che disastro di commedia”, di cui questa proposta ricorda la comicità.
 
Arrivato in Scozia dopo innumerevoli divertentissime peripezie, Marco, nei panni di questo poveraccio un po’ marpione che cede inevitabilmente al fascino femminile di tutte le discutibili donne impersonate da Yaser, Alessandro e Diego, finalmente troverà la chiave del mistero. Il questo folle viaggio incontrerà una pletora di variopinti personaggi stravaganti e  bizzarri che lo aiuteranno o lo ostacoleranno nel suo tentativo di dimostrare la sua estraneità all’intrigo.
 
Le scene sono tutte di una comicità estrema; ad esempio quella del vagone del treno in moto, ricreato con due panche ed un appendiabiti; o quelle del viaggio in auto e dell’inseguimento aereo, tutte ricostruite con elementi di scena semplici e tanta fantasia. 
Yaser, Diego, Marco ed Alessandro sono geniali, ben diretti dall’accurata regia di Leonardo Buttaroni che costruisce scene ben legate tra loro con l’aiuto di effetti sonori e scenici a sottolineare le continue e repentine entrate ed uscite di scena con un impegno che definirei ginnico, in cui vengono inseriti anche momenti di devastante e riuscita improvvisazione.
 
Sono gli stessi attori che creano le scenografie in cui si muovono, cambiandosi direttamente sul palco e rendendo più divertenti le trasformazioni di ogni personaggio. 
Se riuscite ad immaginare un paradossale mix di Monty Python, Mel Brooks e i Fratelli Marx elevati all’ennesima potenza, forse avrete una pallida idea di cosa vi aspetta.
 
 
Spazio Diamante
 
“39 scalini”
Di Patrick Barlow
Scene Paolo Carbone
Foto Manuela Giusto
Disegno luci Pietro Frascaro
Aiuto regia Gioele Rotini
Produzione Lea Production
 
Regia Leonardo Buttaroni
Con Alessandro Di Somma, Diego Migeni, Marco Zordan, Yaser Mohamed 
 
December 18, 2024

 

Arte allo stato puro l’altra sera al “Piccolo teatro San Paolo” a Roma. Il genio di Antonella Pagano ha colpito ancora nel segno e ha mostrato la vera arte in cui il nostro Paese primeggia nel mondo. Fantastica realtà o realtà fantastica, come ha amato definire l’autrice la sua opera, ode alla letteratura. Sincronia, armonia, di un dolce canto che scaturisce dal profondo del nostro cuore, ci conduce per mano in un mondo quasi onirico in cui l’uomo riscopre la sua bellezza, la sua luce, il suo armonico con il tutto, la Pagano riesce a farci sognare ad occhi aperti.

L’opera è di grande attualità, visti i tempi drammatici in cui gran parte dell’umanità vive. La bravissima Antonella Pagano, scrittrice-drammaturga, e Bruce Payne (Raimondin), superstar inglese e internazionale, propongono agli spettatori la metafora di Melusìne e Raimondin. Alla forza bruta, all’ignoranza, all’odio, alla paura, all’oscurantismo culturale, alla violenza generale, in cui un grande fratello’ utilizza paura e odio per mantenere il controllo sulle popolazioni, Antonella Pagano  (Melusìne) si oppone ricorrendo alle potenti arti magiche femminili  e con la bellezza in tutti i suoi attributi riesce a trasformare il vile metallo in oro.

Melusìne è una figura affascinante e misteriosa che affonda le sue radici nel folklore europeo, viene considerata l'antenata mitica della casata dei Lusignano, una delle famiglie nobili più importanti d'Europa. Si ritiene che la leggenda di Melusìne sia legata alle antiche credenze in esseri femminili legati all'acqua e alla natura, dotati di poteri curativi e profetici, che sia una fata bellissima e potente. La sua figura continua a esercitare un grande fascino, invitandoci a riflettere sulla natura umana e sul rapporto tra l'uomo e il soprannaturale.

Rappresenta la dualità tra il mondo umano e quello soprannaturale, tra bellezza e mistero, tra amore e dolore. La sua figura è spesso associata alla fertilità e alla prosperità, grazie ai suoi poteri magici e alla sua discendenza numerosa.  E’ un simbolo del potere femminile, spesso represso e temuto in una società dominata dagli uomini.

Raimondin incontra Melusìne in circostanze fortunate, spesso legate a un evento tragico o a una necessità urgente e la fata lo affascina con la sua bellezza e i suoi poteri magici fin tanto che decide di sposarla, nonostante la sua natura soprannaturale.

Altri interpreti di altrettanto talento che si aggiungono alla Melusìne narrante (Antonella Pagano) e a Raimondin: Monica Marziota, Jaquelina Barra, Claudia Pompili. Le musiche della Pagano sono arrangiate dal Maestro Daniela Brandi. le voci di Flavja Matmuja e Valdrin Gaashi. I costumi di VerbaVeste. Un cast di artisti internazionale capace di dialogare oltre i confini, con l’umanità.

 

 

 

December 18, 2024

 

L’ottimo film Il ragazzo dai pantaloni rosa, qui recensito qualche settimana fa*, sta continuando ad incontrare grande consenso di critica e di pubblico, suscitando forte interesse e sincero entusiasmo soprattutto in ragazzi e bambini.

Il film ha indubbiamente molti meriti, ma credo che il maggiore sia rappresentato dall’avere la capacità di richiamare la nostra attenzione sulla necessità di un impegno serio e sistematico, soprattutto in sede educativa, volto ad arginare e, auspicabilmente,  a debellare un fenomeno come quello del bullismo, tanto diffuso e sottovalutato, quanto incalcolabilmente gravido di effetti devastanti.

Molti sono stati i commenti positivi giuntici in seguito alla pubblicazione del nostro articolo, da parte di persone di ogni età, ad ulteriore conferma dell’ampiezza e della gravità di tale problema.

Particolarmente apprezzabile quanto scritto da Gabriele Giuliani, in arte Perso, giovane cantautore di Trevignano Romano:

                                “Il ragazzo dai pantaloni rosa è un film che racconta una storia vera, fatta di dolore, bullismo e giudizi superficiali. Mentre lo guardavo, mi rendevo conto di quanto sia facile ferire qualcuno, spesso senza pensarci, con una parola, un gesto o una risata. E oggi, con i social, tutto questo diventa ancora più crudele, perché quel dolore viene amplificato davanti a migliaia di persone.

Mi sono sentito travolto da una riflessione: quanto poco ci vuole per distruggere qualcuno, ma allo stesso tempo quanto potrebbe cambiare il mondo se solo scegliessimo di essere gentili. Credo che tutti, soprattutto i ragazzi adolescenti, dovrebbero vedere questo film. E’ un grido di aiuto, un invito a guardare oltre le apparenze, a conoscere il cuore e l’anima delle persone prima di giudicarle.

Mi ha fatto capire ancora di più quanto sia importante tendere una mano a chi è in difficoltà, piuttosto che ignorarlo o, peggio, opprimerlo.

La vera forza sta nel proteggere, non nel ferire.

Questo film mi ha lasciato dentro un messaggio chiaro:

la sensibilità, l’amore, la comprensione, la gentilezza, l’altruismo sono le armi più potenti che abbiamo che possono farci fare la differenza e spesso riuscire a salvare le persone più fragili.”

 

*BULLISMO E CYBER BULLISMO: TRAGEDIE ANCORA TROPPO SOTTOVALUTATE - L’AZIONE EDUCATIVA DI AMNESTY INTERNATIONAL E IL FILM IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA   - FlipNews - Free Lance International Press

 

December 15, 2024
 
Fresco, vivace, allegro, spensierato, romantico e dolcissimo. Perfetto per una serata in allegria, un ottimo toccasana che mette il buon umore e fa uscire dal teatro rinfrancati e sorridenti.
Questo è l’effetto di questa storia, semplice delicata e se vogliamo realistica, con le sue buffe dinamiche. Nasce dalle sapienti ed esperte mani di Michele La Ginestra e Adriano Bennicelli, che spesso collaborano alla stesura di testi validi e divertenti come questo.
Michele impersona un quotato fotografo di moda che sta per inaugurare una nuova mostra fotografica dopo un lungo periodo di assenza dalle scene; appare nervoso e teso, mantenendo però la sua simpatia. Ha vicino a sé Beatrice, l’amabile ed affascinate ma anche gelosa moglie. La sua “antagonista” è Manuela, nei panni di una femme fatale francese, deliziosa e conturbante. La ragazza è la nipote di un’importante giornalista che scriverà un articolo sulla mostra dal cui esito dipenderà la sorte lavorativa del simpaticissimo fotografo.
Lo spettacolo è costruito su scene deliziose, dove sono gli stessi attori a muovere la semplice ma efficace scenografia. Sullo sfondo ci sono dei pannelli con belle foto in bianco e nero che ritraggono una bellissima donna posta di schiena; poi un letto e una sorta di muretto movibile spostato di volta in volta per cambiare assetto alla scena. In un secondo tempo apparirà una bellissima gigantografia che darà  vita alla mostra e immortala una modella in particolare, che poi svelerà parte del piccolo mistero che Michele cerca di nascondere alla moglie.
Le scene si svolgono raccontando la storia al presente, altre fanno dei piccoli passi indietro nel tempo per spiegare situazioni accadute poco prima e ricostruire così i fatti che verranno svelati man mano. Questo servirà per ricostruire le vicende che conducono Michele a svegliarsi nel suo talamo nuziale con l'avvenente francesina anziché con la moglie, dopo che alla mostra si sono presi una sonora ubriacatura.  
La moglie in precedenza si era dimostrata particolarmente gelosa della ragazza, potete immaginare i timori dell'uomo quando realizza di aver passato la notte in compagnia di questa ragazza ora completamente svestita senza peraltro avere memoria di cosa sia successo durante la notte.  Considerando poi che la moglie a momenti potrebbe entrare nella stanza… Cosa potrà succedere al povero fotografo? Lo vedremo in scena in una gag esilarante.
Insomma, il titolo “Ti posso spiegare” è più che azzeccato! E le spiegazioni si trasformano in un turbinio di alta comicità.
Sono passati dieci anni dall’ultima volta che lo spettacolo è stato in scena, eppure l’ho trovato molto attuale con la sua fresca comicità spontanea e a tratti pungente che strizza un pochino l’occhio alle vecchie commedie all’italiana, quelle con il protagonista un po’ imbranato e distratto dalle donne, la moglie gelosa e burbera e la gattamorta. 
Oltre agli equivoci e alle imbarazzanti situazioni pensate per essere particolarmente divertenti, gli attori sono spassosissimi e danno vita ad una gag dietro l’altra, sempre con idee e battute efficaci. Quello che mi ha colpito di più è proprio la spontaneità e la naturalezza con cui vengono pronunciate le battute, talmente vere da strappare sonori applausi e risate del pubblico. 
Michele veste i panni di un uomo sornione e bonaccione, semplice e schietto che cerca di fare il simpatico con la ragazza francese e siccome non conosce neppure una parola della sua lingua, utilizza una sorta di pugliese francesizzato… Le sue espressioni divertono moltissimo gli spettatori, così come i suoi buffissimi farfugliamenti quando la moglie lo mette con le spalle al muro.
Beatrice è un’altra grande interprete duttile e plasmabile, un'attrice che apprezzo moltissimo e che seguo costantemente, che ancora oggi riesce a sorprendermi svelando sempre qualche nuova sfumatura che sembra voler tener celata per l’occasione giusta. Il suo personaggio è particolarmente geloso, ogni volta che il marito gliene dà modo si abbandona a  sproloqui in dialetto napoletano vorticosi e simpaticissimi. 
Divertentissima, poi, quando parla in francese cercando di schernire la ragazza per sminuirla al cospetto del marito. Grande prova di recitazione poi, quella esibita con i dialoghi davanti agli invitati immaginari che incontra all'apertura della mostra del marito; molto realistici e vari, vengono presentati letteralmente bucando la quarta parete. Essendo solo tre i personaggi in scena, Beatrice utilizza il pubblico come fosse il suo interlocutore di turno. Non si perde così neanche un'espressione, un accigliamento, un momento di voluto imbarazzo in quei frenetici e vivaci scambi verbali. Una bella prova dell'attrice e al contempo una bella idea della regia, molto presente in tutta la proposta e che riesce a vivacizzare grazie ad una riuscita sinergia con gli attori tutta la commedia.
Manuela invece è la graziosa giovane che non parla una parola di italiano. Si aggira con il suo vestitino piuttosto ridotto e luccicante durante la mostra facendo girare la testa al povero Michele con i suoi atteggiamenti femminili, sbarazzini e provocatori. Pur non perdendo mai il suo fascino, riesce ad inserire anche della sana comicità nel suo personaggio.
Un testo gradevole, apparentemente semplice ma obiettivamente complesso ed impegnativo; molto dinamico e veloce, funziona bene anche grazie alle spiccate capacità artistiche di questo trio e al palese affiatamento tra loro.
 
Teatro 7
“Ti posso spiegare” 
di Michele La Ginestra e Adriano Bennicelli  
regia Roberto Marafante
Con Michele La Ginestra, Beatrice Fazi e Manuela Zero 
 
November 25, 2024

 

 

Ha debuttato il 23 novembre alla Casa del Cinema in Roma il docufilm di Esther Barroso Sosa, nell’ambito della XII Mostra del Cinema Iberoamericano - promosso dall’Istituto Cervantes e prodotto da Cubavision. Protagonista la cantante e compositrice italo-cubana Monica Marziota, autrice anche della colonna sonora: “Se la vita fosse un libro”. In una sala pienissima e dentro un sacrale silenzio le immagini hanno aleggiato riportandoci poetici scorci di Roma, Sanremo e L’Avana. Filo conduttore le lettere magicamente scritte da Calvino che, una dietro l’altra, raggiungono la protagonista. Poesia e letteratura che si fanno cinema mentre sposano la musica, questi gli ingredienti che compongono l’ omaggio inusitato a Calvino. Cosa lega Calvino alla splendida protagonista Monica Marziota? Cuba e Santiago de las Vegas mentre realtà e immaginazione s’intrecciano sapientemente; mentre mondi e generazioni incontrano sostanze simili e le chimiche moltiplicano la creatività.

E così conosciamo Calvino da un intrigante nuovo aggraziato punto di vista. Camminando sui suoi passi in terra di Cuba, tra i luoghi e le persone che ha frequentato. Esiste, dunque, un surplus di meraviglia che sa far lievitare e fare più grande ciò che definiamo poesia, ciò che chiamiamo letteratura, ciò che è il cinema e i suoni della musica. C’è un surplus di meraviglia in input-output allorché le immagini vengono impastate con la sostanza del cuore! E’ la maniera raffinata di scrivere in immagini un documentario-film che ha conferito alla letteratura, alla musica e al cinema stesso un altro importante metodo, in verità più che di metodo, forse è più corretto parlare di ricetta che ha utilizzato qualcosa di assoluto, la sostanza urgente e preziosa che surclassa tutto il tecnicismo del mondo, anche quello ancora da venire, e la protagonista possiede quella sostanza.

 Monica Marziota, infatti, trasmette un tasso d’empatia ed una qualità empatica che -frammista a quella Sua personalissima componente emozionale- la fa nobile, talchè nobilita la pellicola e consente alle immagini di profondersi con una semplicità destabilizzante ed estasiante insieme! Quel suo camminare dentro i luoghi, lungo le strade, dentro le citta’, quel toccare le pagine, l’adagiare le note sui pentagrammi mentre il suo piccolo bambino emette le prime sillabe e sgambetta nella carrozzina, quel camminare dentro la vita dello scrittore, dentro la scrittura, e dentro la scrittura di un grande della scrittura, quel camminare elegante alla scoperta e, soprattutto, quel “ricevere”, il saper ricevere intimo, il saper leggere il ricevere e riceverlo intimamente, il generoso ricevere, il rispettoso ricevere QUELLE LETTERE! Lettere e ricevere che vanno finanche molto oltre quello che mostra la fabula cinematografica e la magistralità della regista, sto parlando del ricevere la vita e farsene carico, meravigliosamente; accogliere il fatto della vita e “ricercare” per saperla, per capirla, per farne tesoro nel mentre le cammina dentro… perché è quel camminare che serve a sapere di più e meglio.

 Camminare nella vita! Camminare nelle altre vite e continuare a camminare anche dopo che la storia ha esaurito i fatti che l’hanno fatta “essere”. Camminare dentro le parole e i gesti con rispetto e consapevolezza profondissimi. Il gioiello più prezioso del docufilm? E’  l’aver incastonato, centellinato, qua e la’, con sapiente dosaggio, la madre: il seno originario, una delle terre della sua origine - la stessa del Calvino narrato - perché Monica Marziota non interpreta un personaggio, assolutamente no, Monica Marziota è Monica Marziota, è se stessa nel film come nella vita; lei che incastona il frutto di Monica-donna-madre, Agostino, e incastona il compagno di Monica-donna-sposa: Michele, il Michele che lascia sulla pellicola e rinvia al pubblico e alla storia una frase, un’importantissima piccolissima domanda: come stai? Rivolta a Monica. E’ il compagno di vita che chiede alla sua compagna di vita: come stai? Prova di consapevolezza del camminare di Monica, e nello stesso tempo del suo esserci e dell’esserci stato sempre vicino a Lei, pur a migliaia di km di distanza; prova di consapevolezza del camminare di Monica dentro la vita, dentro la parola, la letteratura, la citta’, la strada, il mondo da cui Monica, a sua volta, non ha escluso, non ha lasciato fuori nessuno. C’è una rituale intensa spiritualità in questa pellicola e mi piace finanche usare questo materico artistico termine: pellicola…sa di epidermicità. Di sensibilità più autentica e concreta, finanche tattile, e ci serve anche questo per comprendere di più Calvino, il suo essere nato a Cuba e aver compiuto la magia…le lettere spedite da chissà dove ma nella certezza che sarebbero arrivate proprio in quella cassetta postale, la cassetta di Monica Marziota… nata in terra cubana come Lui. 

 

November 09, 2024

Diversi e contrastanti i giudizi della critica a proposito di Parthenope, l’ultimo film di Sorrentino. Di intonazione prevalentemente severa quelli della stampa internazionale, mentre fondamentalmente positivi, con impennate di  estatico entusiasmo, quelli di casa nostra. Nell’insieme, comunque, nonostante il prevalente quanto ricorrente italico conformismo, la tavolozza delle opinioni fin qui espresse si presenta assai ben variegata:

esaltato come capolavoro di sublime bellezza, considerato uno spottone ridondante e barocco, oppure erotico e seducente, fonte di stupore e commozione, esuberante e magnetico, rassegna di luoghi comuni, dissacrante e blasfemo, spudorato e pieno di dolore.

Qualcuno ha saggiamente consigliato di evitare di mettersi nell’ottica del “che vorrà mai significare”, per lasciarsi invece abbandonare al mero flusso del gioco pirotecnico di un estetismo bizzarro, ricercato e morbosamente intrigante. Forse la spaccatura fra i due fronti scaturisce proprio dalla basilare differenza di atteggiamento e di prospettiva:

chi si pone troppe domande sul cosa potrà mai voler dire questo e cosa quell’altro probabilmente rimane deluso, insoddisfatto e pure infastidito; chi invece si lascia trasportare dalla sarabanda delle immagini, degli sguardi e delle invenzioni scenografiche, probabilmente finirà per sentirsi sommerso da un bombardamento di forti emozioni.

Al di là dei differenti approcci e punti di vista, credo comunque che su alcune cose, almeno, sia possibile non nutrire troppe incertezze.

  • L’ estrema bravura degli interpreti, con, al di sopra di tutte e di tutti, la sbalorditiva Celeste Dalla Porta, capace di reggere con inattaccabile leggerezza l’intera narrazione su di sé, sorprendendoci in maniera crescente per la proteiforme molteplicità di registri interpretativi. 
  • L’elevatissima sapienza tecnica e (nonostante gli scivoloni cartolineggianti e i compiacimenti manieristici) l’efficace eleganza della costruzione formale. 
  • Il modo ostentatamente gratuito quanto sciattamente blasfemo con cui viene trattato il culto di San Gennaro con relativi annessi e connessi.

In Sorrentino, infatti, a dispetto dei ricorrenti e alquanto forzati confronti,  ben poco possiamo incontrare dell’ indagatrice religiosità di Federico Fellini, del suo serissimo senso della trascendenza e della sua attenzione-attrazione verso la sfera dell’Oltre. Il mondo ecclesiastico e quello della pietas popolare finiscono, nella Napoli sorrentiniana, per essere grottescamente ridotte e ricondotte ad un variopinto minestrone di molto terrene pulsioni ancorate alla dimensione dell’ ”Avere”. 

  • Insopportabilmente irritante il modo pressoché apologetico con cui viene presentato il potere della criminalità organizzata: le scene del giovane boss che incede negli oscuri meandri delle viscere della città, ossequiato e venerato dalle masse dei ”fuori casta”, finisce per costituire (al di là delle possibili intenzioni) un incomprensibile quanto imperdonabile regalo all’immagine della camorra.

Nel complesso, il mondo umano rappresentato è un mondo imbevuto di amara infelicità, oscillante fra lusso sconfinato e atavica miseria, immerso in una becera realtà materialistico-edonista, a cui soltanto si riescono a contrapporre, come unica via di salvezza, la forza della cultura e la serietà della ricerca accademica.

Come a dirci che, dal nichilismo etico e dalla rassegnazione alla inesorabilità del male di vivere, potrà salvarci, allora, la sola intelligenza (educata nello studio) capace di “vedere” al di là delle apparenze? 

Ma sarà forse questo, poi, il vero (forse l’unico degno) messaggio di Parthenope?

 

 

 

 

 

 

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