L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
La regista Maura Delpero e l’attore Tommaso Ragno |
Con la mia famiglia si andava verso Ortisei, in Trentino Alto Adige negli anni Sessanta, per il viaggio sul trenino della Val Gardena, condotto dal sig. Toffoli e nei cartelli stradali nella Val di Sol, vicino il torrente Noce, leggevamo l’indicazione per Vermiglio, verso il passo del Tonale. Un nome poi addormentato nella mia mente!
Ed eccomi, per forza del destino, ad assistere ad un film del ricordo, un lungometraggio, Vermiglio, di Maura Delpero. Lentamente, quel
Pietro, Giuseppe De Domenico, stringe la mano a Lucia,
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dialetto, Solànder, come ricordava mio padre, tornava alla memoria. Ed ecco nello schermo quei posti incontaminati, quei boschi di abeti imbiancati in inverno e verdi dalla primavera in su. Il racconto cinematografico si dipana magistralmente come un ricordo lontano, una carezza di piuma, verso la fine dell’ultima guerra.
Ai margini del bosco appare un soldato, Pietro, interpretato da Giuseppe De Domenico, portato lì in montagna da un altro soldato scampato alla tragedia della seconda guerra mondiale, Attilio, Santiago Fondevila, figlio del borgo di Vermiglio.
Pietro, soldato siciliano, sconvolge la tranquillità della famiglia del maestro Cesare, Tommaso Ragno, mentre Lucia, Martina Scrinzi, la maggiore delle sue figlie, alla fonte, dopo qualche titubanza, lo bacia, se ne innamora, resta incinta e decide di sposarlo.
Di profilo il maestro Cesare, Tommaso Ragno |
Lucia e la piccola Antonia |
Alla fine della guerra Pietro torna in Sicilia e Lucia dà alla luce Antonia. In famiglia si apprende dal giornale che Pietro Riso, che era già sposato con una donna siciliana, viene da questa ucciso per onore.
Lo smarrimento psichico di Lucia, induce una sua
Maura Delpero premiata con il Leone d’argento
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sorella, fatta conversa, a prendersi cura della piccola nell’orfanotrofio mentre Lucia si allontana dal borgo per arrivare in Sicilia; vuol essere rassicurata.
Le sue indagini la portano ad una casa circondariale dove la vera moglie di Pietro è in cortile, vestita a lutto, quel lutto da lei stessa procurato, Salvo, il loro bambino gioca ma si accorge che una donna è triste, Lucia viene incoraggiata dalla donna che le chiede se ha figli.
Lo sposalizio tra Pietro e Lucia |
Lucia arriva alla tomba del marito. Il suo animo si acquieta depositando, accanto alla croce, la coroncina del loro amore.
Torna a Vermiglio ad abbracciare Antonia riprendendo le sue facoltà mentali.
Linea di scrittura cinematografica ineccepibile, montaggio che anticipa i dialoghi della scena seguente, interpreti veri nella loro interpretazione, il maestro magistralmente bravo in tutte le sue sfumature.
Il cast al completo |
Vermiglio di Maura Delpero è stato presentato in anteprima mondiale il 2 settembre 2024, alla 81ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d'argento.
Selezionato per rappresentare l'Italia ai Premi Oscar del 2025 nella sezione del miglior film internazionale.
Felice di aver assaporato questo film degno di un Oscar!
D- Buongiorno Francesco, dopo un anno ricco di tante performance di successo in giro per numerosi teatri italiani sei di nuovo il pole position per nuovi spettacoli. Sarai presente come attore e come regista.
R-Sì sono stato molto fortunato quest'anno e saranno in scena addirittura sei spettacoli di cui ho curato la regia e in due sarò anche protagonista in scena e tutto questo mi riempie di orgoglio e gioia.
D- Ci saranno varie commedie e atti teatrali con nomi conosciuti del cinema e del teatro come Lorenzo Flaherty protagonista in “il visitatore” di Eric Emmanuel Schmitt. In questa precisa commedia tu sarai il regista.
Vuoi parlarmene?
R- IL VISITATORE di Erick Emanuel Smith è un testo straordinario che pone al centro della storia la figura di Sigmund Freud e ha come temi fondamentali il rapporto con Dio, la spiritualità, la scienza, la ragione e molti conflitti che attanagliano e che riguardano anche l'uomo moderno; un testo straordinario di grande tensione morale e mi auguro che abbia il successo che merita.
D-In quali teatri verrà ospitato?
R-IL VISITATORE debutterà il 19 e 20 ottobre all’ Auditorium Pierluigi di Palestrina e poi sarà in tournée nel Lazio, in Toscana e Lombardia e in molte altre regioni italiane.
D- Un altro spettacolo che prenderà il via sarà “l’onorevole, il poeta e la signora” di Aldo De Benedetti; una commedia esilarante dove tu, Isabella Giannone e Lorenzo Flaherty sarete i protagonisti e tu, anche qui sarai il regista oltre che un protagonista.
Vuoi anticiparci qualcosa?
R- "L'ONOREVOLE, IL POETA E LA SIGNORA" è un testo di Aldo De Benedetti straordinario e dalla irresistibile comicità ma che ha anche la capacità di portare in scena dei personaggi molto attuali e magnificamente descritti dalla penna magistrale dell'autore, è uno spettacolo di grande comunicabilità e il divertimento è assicurato e inoltre sono convinto che sarà molto apprezzato dal pubblico. Erano anni che volevo portare in scena un testo di Aldo De Benedetti e finalmente è capitata l'occasione ed inoltre sono entusiasta di dividere la scena con Lorenzo Flaherty e Isabella Giannone. Inoltre sono estremamente felice che lo spettacolo abbia una tournée veramente lunga e prestigiosa davvero in ogni parte della penisola.
D- Non è finita qui, altri eventi spettacoli faranno parte di un anno ricchissimo di performance teatrali;
uno molto promettente di successo sarà sicuramente “tre sul terrazzo “di Patrizio Pacioni scrittore di successo di romanzi, saggi, drammi e raccolte di racconti. In questo spettacolo ci sarà la bravissima Nadia Rinaldi e il preparatissimo Salvatore Buccafusca oltre che Andrea Zanacchi. Qui sarai regista e addetto alla scelta costumi,
Parlaci di questo spettacolo e di ai nostri lettori perché merita andarlo a vedere?
R- TRE SUL TERRAZZO con Nadia Rinaldi è uno spettacolo sul mondo della televisione molto divertente dalla comicità molto acuta e tagliente; i personaggi sono delineati in maniera straordinaria e sono estremamente divertenti ma ci fanno anche molto riflettere sul mondo dei rapporti e sul nostro presente così difficile.
D- Presente in teatro anche la commedia “Senza respiro” di David Norisco con Pamela Prati e Simone Lambertini che tu con la tua regia la renderà sicuramente magica e intensa. In quale teatro potremmo vedere questo spettacolo? Vuoi dirci qualcosa su questo spettacolo?
R- SENZA RESPIRO di David Norisco con Pamela Prati sarà uno spettacolo di grande fascino, unirà il giallo, il Thriller e ci sarà anche un pizzico di erotismo unito alla commedia; un mix che credo sarà davvero esplosivo. Lo spettacolo sarà in tournée in tutta Italia nei maggiori teatri.
D- Ho visto con piacere che torneranno di nuovo in visione nei teatri “Una come me” con Matilde Brandi, Salvatore Buccafusca e Andrea Zanacchi dove tu ne sei il regista. Verrà riproposto di nuovo anche lo spettacolo “Cose di ogni giorno” con la brillante Danny Mendez, un bravissimo Francesco Branchetti e la partecipazione di Isabella Giannone e José De La Paz . Anche in questo caso tu sarai attore e regista.
Un anno carico di grandi spettacoli per ogni gusto.
R- Si tornano in scena ancora un'altra stagione UNA COME ME con Matilde Brandi e Salvo Buccafusca e Cose di ogni giorno di David Norisco e sono estremamente felice quando gli spettacoli hanno la possibilità di continuare a vivere stagione dopo stagione nei teatri perché questo significa che negli anni precedenti sono stati graditi dal pubblico e questo è un grande riconoscimento per il mio lavoro.
D- Da sempre lascio uno spazio bianco a chi intervisto e qui vorrei che tu parlassi con i nostri lettori di queste novità che tu e le tue compagnie intraprenderete nei nostri teatri per farci trascorrere ore spensierate e ricche di emozioni.
R- Per concludere vorrei dire che sarà un anno di grandi emozioni e che finalmente sembra che un po' di ripresa ci sia per il teatro e mi auguro che finalmente possa tornare quella normalità che aspettiamo con ansia dai terribili anni del covid ed è un augurio che faccio a me ma anche a tutti i teatranti che con me hanno affrontato questi anni così difficili ed inoltre vi ringrazio per l'attenzione costante che dedicate sempre al mio lavoro.
D- Buongiorno Francesco, dopo un anno ricco di tante performance di successo in giro per numerosi teatri italiani sei di nuovo il pole position per nuovi spettacoli. Sarai presente come attore e come regista.
R-Sì sono stato molto fortunato quest'anno e saranno in scena addirittura sei spettacoli di cui ho curato la regia e in due sarò anche protagonista in scena e tutto questo mi riempie di orgoglio e gioia.
D- Ci saranno varie commedie e atti teatrali con nomi conosciuti del cinema e del teatro come Lorenzo Flaherty protagonista in “il visitatore” di Eric Emmanuel Schmitt. In questa precisa commedia tu sarai il regista.
Vuoi parlarmene?
R- IL VISITATORE di Erick Emanuel Smith è un testo straordinario che pone al centro della storia la figura di Sigmund Freud e ha come temi fondamentali il rapporto con Dio, la spiritualità, la scienza, la ragione e molti conflitti che attanagliano e che riguardano anche l'uomo moderno; un testo straordinario di grande tensione morale e mi auguro che abbia il successo che merita.
D-In quali teatri verrà ospitato?
R-IL VISITATORE debutterà il 19 e 20 ottobre all’ Auditorium Pierluigi di Palestrina e poi sarà in tournée nel Lazio, in Toscana e Lombardia e in molte altre regioni italiane.
D- Un altro spettacolo che prenderà il via sarà “l’onorevole, il poeta e la signora” di Aldo De Benedetti; una commedia esilarante dove tu, Isabella Giannone e Lorenzo Flaherty sarete i protagonisti e tu, anche qui sarai il regista oltre che un protagonista.
Vuoi anticiparci qualcosa?
R- "L'ONOREVOLE, IL POETA E LA SIGNORA" è un testo di Aldo De Benedetti straordinario e dalla irresistibile comicità ma che ha anche la capacità di portare in scena dei personaggi molto attuali e magnificamente descritti dalla penna magistrale dell'autore, è uno spettacolo di grande comunicabilità e il divertimento è assicurato e inoltre sono convinto che sarà molto apprezzato dal pubblico. Erano anni che volevo portare in scena un testo di Aldo De Benedetti e finalmente è capitata l'occasione ed inoltre sono entusiasta di dividere la scena con Lorenzo Flaherty e Isabella Giannone. Inoltre sono estremamente felice che lo spettacolo abbia una tournée veramente lunga e prestigiosa davvero in ogni parte della penisola.
D- Non è finita qui, altri eventi spettacoli faranno parte di un anno ricchissimo di performance teatrali;
uno molto promettente di successo sarà sicuramente “tre sul terrazzo “di Patrizio Pacioni scrittore di successo di romanzi, saggi, drammi e raccolte di racconti. In questo spettacolo ci sarà la bravissima Nadia Rinaldi e il preparatissimo Salvatore Buccafusca oltre che Andrea Zanacchi. Qui sarai regista e addetto alla scelta costumi,
Parlaci di questo spettacolo e di ai nostri lettori perché merita andarlo a vedere?
R- TRE SUL TERRAZZO con Nadia Rinaldi è uno spettacolo sul mondo della televisione molto divertente dalla comicità molto acuta e tagliente; i personaggi sono delineati in maniera straordinaria e sono estremamente divertenti ma ci fanno anche molto riflettere sul mondo dei rapporti e sul nostro presente così difficile.
D- Presente in teatro anche la commedia “Senza respiro” di David Norisco con Pamela Prati e Simone Lambertini che tu con la tua regia la renderà sicuramente magica e intensa. In quale teatro potremmo vedere questo spettacolo? Vuoi dirci qualcosa su questo spettacolo?
R- SENZA RESPIRO di David Norisco con Pamela Prati sarà uno spettacolo di grande fascino, unirà il giallo, il Thriller e ci sarà anche un pizzico di erotismo unito alla commedia; un mix che credo sarà davvero esplosivo. Lo spettacolo sarà in tournée in tutta Italia nei maggiori teatri.
D- Ho visto con piacere che torneranno di nuovo in visione nei teatri “Una come me” con Matilde Brandi, Salvatore Buccafusca e Andrea Zanacchi dove tu ne sei il regista. Verrà riproposto di nuovo anche lo spettacolo “Cose di ogni giorno” con la brillante Danny Mendez, un bravissimo Francesco Branchetti e la partecipazione di Isabella Giannone e José De La Paz . Anche in questo caso tu sarai attore e regista.
Un anno carico di grandi spettacoli per ogni gusto.
R- Si tornano in scena ancora un'altra stagione UNA COME ME con Matilde Brandi e Salvo Buccafusca e Cose di ogni giorno di David Norisco e sono estremamente felice quando gli spettacoli hanno la possibilità di continuare a vivere stagione dopo stagione nei teatri perché questo significa che negli anni precedenti sono stati graditi dal pubblico e questo è un grande riconoscimento per il mio lavoro.
D- Da sempre lascio uno spazio bianco a chi intervisto e qui vorrei che tu parlassi con i nostri lettori di queste novità che tu e le tue compagnie intraprenderete nei nostri teatri per farci trascorrere ore spensierate e ricche di emozioni.
R- Per concludere vorrei dire che sarà un anno di grandi emozioni e che finalmente sembra che un po' di ripresa ci sia per il teatro e mi auguro che finalmente possa tornare quella normalità che aspettiamo con ansia dai terribili anni del covid ed è un augurio che faccio a me ma anche a tutti i teatranti che con me hanno affrontato questi anni così difficili ed inoltre vi ringrazio per l'attenzione costante che dedicate sempre al mio lavoro.
Chi come me è cresciuto a fumetti della Marvel e della DC, dovrà fare qualche sforzo per riuscire ad immaginare dei supereroi che si esprimono con un forte accento napoletano, tutti partoriti dalla prolifica fantasia di Alessandra Merico, che continua a sfornare a cadenza regolare fragranti pièce teatrali gradevoli e divertenti con cui intrattenere il suo pubblico facendosi accompagnare da un cast ormai più che rodato e dotato.
Questa proposta, mi diceva la stessa Alessandra, è una metafora sul mondo dello spettacolo e della vita. I personaggi sono ispirati a quegli artisti sulla via del tramonto; attori che dopo essere stati famosi ed acclamati, all'improvviso cadono nel dimenticatoio. Ma nella pièce si affrontano anche altri temi, come il trasformarsi delle abitudini e la fatica di adeguarsi, con l’età, ai nuovi trend. E poi la vecchiaia che porta con sé tutti i suoi acciacchi, a cui neanche un supereroe è indenne. Una commedia velatamente pungente che induce, almeno a fine spettacolo, ad una riflessione, un modo diverso e più umano di vedere in questi miti degli antieroi.
Avete presente gli “Incredibili”, quei buffissimi supereroi ideati dalla Pixar diventati un vero problema per la società per i danni perpetrati durante le loro azioni contro il crimine? Vengono messi al bando, costretti a nascondere le loro doti e a vivere vite banali sognando il grande ritorno.
Ecco, Alessandra sceglie di presentare il lato più umano dei supereroi: bonaccioni, sempliciotti, poveri diavoli frustrati che non sono riusciti a conservare la loro notorietà e che vivono solo di ricordi. Vecchie glorie squattrinate che palesano difetti tipicamente umani amplificati dai loro poteri. Per adattarsi sono costretti a sopravvivere in un covo che più che altro sembra uno scantinato, di cui non riescono neanche a pagare l'affitto. Mentre sognano di ritornare in auge, divengono preda dei loro difetti che non sanno più dominare; triste eredità della loro forzata inattività che li ha sprofondati nell’apatia.
Detto così sembra un dramma, ma come dicevo, Alessandra li presenta in una chiave edulcorata per farne delle macchiette assolutamente esilaranti. L’autrice, come il deus ex machina di una tragedia greca, arriva nei panni di una eroina neofita ed inesperta che presenta a tutti un'occasione di riscatto dallo stato di misera accettazione. Lei è Super Chic, una eroina partorita dai social; Alessandra la trasforma in una parodia che neanche troppo velatamente denuncia e schernisce il mondo del web, dove dei semplici “nessuno” con espedienti risibili si affermano sulla rete conquistando l’attenzione di migliaia di followers.
È proprio questa la chiave di Alessandra, che con la sua Super Chic tenta di aumentare la visibilità e notorietà, poi di far ritornare alla loro fama questi poveri dimenticati, formando con loro i “Super 5”, nome più adatto ad una band musicale dance degli anni ’70 che non a dei supereroi.
Divertendoci con questa spassosissima proposta, mette a nudo senza calcare troppo la mano, la dipendenza del mondo moderno nei confronti dei social. Tema estremamente contemporaneo e preoccupante, soprattutto quando regala notorietà in breve tempo e la toglie altrettanto velocemente.
Tra le tante risate, le battute, le gag divertenti, spiccano le buffe tutine in lycra, nascoste da pigiamoni e parannanze indossate da questi improbabili supereroi con fisici non propriamente statuari (donne a parte, Beatrice e Alessandra sono davvero deliziose, anche se buffe). Li troviamo impegnati in faccende domestiche e in puerili litigi tra una ripicca e l’altra che divertono molto, mentre vivono però una vita che ha poco di super e molto di mediocre. Sono ex-supereroi molto diversi sia per carattere che per poteri, e si impegnano alacremente in folli situazioni per divertire il pubblico, che ride molto. Paradossalmente, l’entrata in scena di Super Chic dimostra il rovesciamento dei valori del mondo di oggi, dove i supereroi sembrano essere gli influencer, persone senza formazione particolare che riescono a raggiungere la notorietà mentre tanti con notevoli competenze tecniche e artistiche rischiano ogni giorno l’oblio o fanno fatica ad affermarsi.
Due diverse generazioni si fronteggiano scatenando risate in una sequela di situazioni oltremodo esilaranti. Ma sta per accadere qualcosa di imprevisto che coinvolgerà questi malconci e improbabili eroi: la terra deve essere salvata da una terribile minaccia. Riusciranno Big Mind (Gianni Ferreri), Fast Man (Giuseppe Cantore), Strong Man (Enzo Casertano), Electric Girl (Beatrice Fazi) e Super Chic (Alessandra Merico) nella loro doppia impresa? Riusciranno a tornare eroici e a salvare la terra?
I nostri si muovono in una fantastica scenografia che ripropone il loro covo-abitazione futuristico ma piuttosto sgangherato ed impolverato come la loro fama, realizzata con attenzione meticolosa nei dettagli. Un monitor viene utilizzato sia come TV per i notiziari che tengono informati i nostri, sia come supporto per la storia. Qui il pubblico può seguire dei video con spezzoni di film famosi in tema con la storia, o delle animazioni con i nostri personaggi animati ben realizzati ed originali. Ingegnosi effetti scenici permettono ai protagonisti di sollevare oggetti molto pesanti, usare il teletrasporto, produrre scariche elettriche e tanto altro. Davvero esilarante. Qualcosa di veramente innovativo sia per le pièce a cui Alessandra ci ha abituato, che per il teatro. Luci, effetti scenici e musiche tratte da film su questo genere completano il resto.
Il cast, neanche a dirlo, è sempre padrone del palco, non vacilla neanche davanti a qualche piccolo problema tecnico; anzi, dimostra un grande spirito di adattamento che questi magnifici artisti, diretti dalla impeccabile regia di Luigi Russo, hanno.
Sono spassosissimi, la triade maschile che volutamente sottolinea la propria provenienza partenopea è qualcosa di travolgente. Insieme sono fantastici, esplosivi: battute azzeccate, trovate originali, tanta espressività e gestualità ispirata al teatro partenopeo. Quanto alla coppia femminile, Alessandra entra in scena con un vestitino delizioso che la fa sembrare una Winx, burrascosa ed eccentrica, buffa e divertente. Beatrice interpreta un doppio ruolo e ancora una volta dimostra tutta la sua versatilità artistica nei panni di due caratteri in antitesi tra loro seppur con dei punti in comune. Lei è Electric Girl, figlia d’arte di un altro noto eroe Marvel, ma ha una scarsa dimestichezza dei suoi poteri che perlopiù agiscono in maniera nefasta sugli impianti elettrici.
Insomma, un soggetto che fa riflettere nelle vesti di uno spettacolo brillante che alla fine raggiunge, attraverso una progressiva escalation, l’apice del divertimento. Brioso, ricco di idee, impetuoso, trascinante, irresistibile, comico. Avrete modo di divertirvi insieme agli attori, visibilmente entusiasti di interpretarne i protagonisti.
“Super” di Alessandria Merico, regia Luigi Russo
Con Alessandra Merico, Beatrice Fazi, Giuseppe Cantore, Enzo Casertano e Gianni Ferreri
Posso senza dubbi dire che è stato un Festival degno della migliore Venezia e del miglior cinema. Straordinari i film, gli interpreti, le storie e gli abiti che hanno scintillato lungo tutto il percorso. Do’ un voto altissimo a Peter Weir che sdrammatizza e fa leggerezza con l’eleganza strepitosa e l’impeccabile Borsalino.
Bellissimo ed elegante Seydou Sarr. Sconvolgente il rosso-napoletano di Cristina Donadio; sorprendente e ammaliante Stella Maxwell in un bianco sirena meraviglioso com’è meraviglioso il tailleur severamente femminile di Anna Foglietta. Buca lo schermo Kasia Smutniak e lascia senza fiato! Buca anche il rosa dell’abito di Almodovar e la colata d’oro fuso su Julianne Moore, oltre all’abito di polvere lieve di Tilda Swinton; affascina l’animalier Balenciaga luxury della Huppert che poi esploderà nel bianco luminosissimo, sarà il faro della serata celebrativa. Ma vengo ai Premi: il Leone d’oro dell’81º Festival del cinema di Venezia è andato a The room next door, di Pedro Almodóvar, protagoniste Julianne Moore e Tilda Swinton; adattamento cinematografico del romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez, primo lungometraggio in inglese del regista spagnolo. Il Leone d’argento per la miglior regia per The Brutalist è andato al regista statunitense Brady Corbet. Vincent Lindon e Nicole Kidman hanno vinto i premi come migliore attore e migliore attrice; la Coppa Volpi è andata rispettivamente per Jouer avec le feu e Babygirl. Il Gran premio della giuria è andato a Maura Delpero per Vermiglio (una coproduzione italo-franco-belga), mentre quello per la miglior sceneggiatura lo hanno vinto Murilo Hauser e Heitor Lorega per Ainda estou aqui, con la regia di Walter Salles.
Il Premio speciale della giuria è andato ad April, di Dea Kulumbegashvili - coproduzione franco- georgiana. The new year that never came, di Bogdan Mureșanu, ha vinto il premio come miglior film della sezione Orizzonti, dedicata a film e corti rappresentativi di nuove tendenze estetiche, mentre il Premio Marcello Mastroianni, che viene assegnato a un attore o un’attrice emergente, è stato vinto da Paul Kircher per Leurs enfants après eux; il Premio Leone del futuro per la miglior opera prima è stato assegnato a Familiar Touch di Sarah Friedland, che ha anche vinto il Premio Orizzonti per la migliore regia. Isabelle Huppert ha presieduto la Giuria, l’attrice francese che per ben due volte è stata vincitrice della Coppa Volpi come miglior attrice, oltre che del Leone d’oro alla carriera.
Componenti la giuria: il regista italiano Giuseppe Tornatore, l’attrice cinese Zhang Ziyi e una serie di altri registi e sceneggiatori: il britannico Andrew Haigh (il suo ultimo film è Estranei, dell’anno scorso), la polacca Agnieszka Holland, il mauritano Abderrahmane Sissako e la tedesca Julia von Heinz. La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica ha visto scintillare il Lido di Venezia; è organizzata dalla Biennale di Venezia, tra le più importanti istituzioni culturali europee. Il Festival (come la si chiama) è il più antico festival cinematografico del mondo – fu fondato un paio d’anni dopo gli Oscar, che sono però solamente premi, non prevedono, come per i festival, la proiezione dei film e il coinvolgimento allargato.
Il nostro è il più importante Festival, secondo solo a Cannes. Quanto al film di Almodovar: vede due antiche amiche, sempre estremamente franche, mai dette mezze verità: Ingrid è una scrittrice di successo il cui ultimo libro racconta la sua incapacità di capire e accettare la morte. Martha, una corrispondente di guerra affetta da un tumore alla cervice, forse curabile con una terapia sperimentale, ma, al momento intenta a prepararsi all’idea della morte, finanche di procedere con la pillola acquistata sul dark web. Infastidita dall’idea di morire da sola, chiederà ad Ingrid di accompagnarla quando deciderà di abbandonare la vita. In questo suo primo lungometraggio in inglese, il regista Almodovar sebbene affronti di petto lo scabroso tema, condisce poi il tutto con un grande pudore e una magistrale misura di ironia e leggerezza, Per quanto il tema della nostra impermanenza, la scelta di dire adesso basta siano difficilissimi, il regista spagnolo compone pagine nitide e rigorose riuscendo anche a mettere a confronto le due straordinarie attrici: Julianne Moore e Tilda Swinton, utilizzando finanche al meglio le loro differenze (l'una piccola e tenera, l'altra alta e algida).
Peculiare è il personaggio di Martha che è una donna che non ha mai aderito al modello di femminilità corrente, di fatto va in guerra come un uomo e non la vedremo fare ciò che ci si aspetta da una madre, insomma è una donna che non ha aderito ai canoni normalmente associati al suo genere. Le musiche di Alberto Igleasias, ricche di archi e di reiterazioni ossessive, caricano il pathos, la magnifica fotografia è di Eduard Grau. E’ un film denso di cultura letteraria, pittorica, musicale, cinematografica pur restando fedele ai volti e ai vissuti delle due protagoniste che pare non abbiano mai fatto uso di chirurgia estetica.
Weir |
E’ il Festival cinematografico che nello storico Palazzo del Cinema, sul Lungomare Marconi, si celebra al Lido e nella Laguna di Venezia. Manifestazione cinematografica più antica al mondo, vide la prima edizione tra il 6 e il 21 agosto del 1932. La Mostra del Cinema di Venezia va inquadrata nella più vasta attività della Biennale di Venezia, istituzione culturale fondata nel 1895 che, a far data da quell’anno, organizza l’Esposizione Internazionale d’Arte Contemporanea e dal 1930 il Festival Internazionale di Musica Contemporanea. E’ il Leone d’oro il Premio più importante che viene assegnato, onora il simbolo della città, ossia il Leone di San Marco. La critica internazionale lo classifica tra i più importanti Premi del mondo assieme alla Palma d’oro di Cannes e l’Orso d’Oro di Berlino. Ogni anno a Venezia si contano ben 140 Titoli proiettati tra lungometraggi, documentari e progetti speciali. In questo anno siamo all’81esima edizione dacchè la pensò il Conte Giuseppe Volpi insieme allo scultore Luciano De Feo (già fondatore dell’Unione Cinematografica Educativa-a quel tempo direttore dell’Istituto Internazionale per la cinematografia educativa, emanazione della Società delle Nazioni con sede in Roma) che sposò l’idea di svolgere al Lido di Venezia la rassegna e ne divenne il primo direttore-selezionatore. Quella 1^ edizione si tenne sulla terrazza dell’Hotel Excelsior; non vi fu competizione, solo la presentazione delle opere al pubblico e vantò titoli di grande importanza per la Storia del Cinema: “Proibito” del grande regista cinematografico Frank Capra, il primo Frankenstein di James Whale, Gli uomini, che mascalzoni di Mario Camerini, A me la libertà di Renè Clair e via ancora con tanti grandi registi del calibro di: Raoul Walsh, Ernst Lubitsch, Maurice Tourneur, Anatole Litvak e ancora. Le stars presenti: Grata Garbo, Clark Gable, James Cagney, Ioan Crawford, Jonh Barrymore, Leretta Young, i grandi Vittorio De Sica e Boris Karloff (passato alla storia per aver interpretato il mostro del
primo Frankenstein). Il primo film proiettato? Il dottor Jekill (Dr. Jekill and Mr. Hyde) di Rouben Mamoulian - nella sera del 6 agosto 1932. Alla proiezione seguì un grande ballo nei saloni dell’Hotel Hexcelsior. Il primo film italiano? Gli uomini, che mascalzoni di Camerini alla sera dell’11 agosto. Mi fermo alle luci
della prima edizione per fare un salto fino al 2024 in cui trionfa un glamour scintillante che mi fa pensare subito ed insistentemente ad una rinascita del Cinema nella forma e modi dei migliori tempi. Da quel lontano 1895, quando i fratelli Lumière inventarono la macchina magica, l’immaginazione del mondo è andata esplodendo grandemente e il cinema è diventato uno dei massimi miti dell’epoca contemporanea che neppure la soverchiante luce dei cellulari e dei tablet riesce a scalfirne la magnifica luminescenza. E’ il Cinema ad aver fotografato, da sempre, rivoluzioni e catastrofi, da sempre ha prestato volti e gesti agli eroi della storia e della letteratura incarnando ogni tipo di storia possibile.
Il Cinema è un rito che incanta ancora, è arte della luce e delle ombre che affascina e continua a segnare il costume e i comportamenti fino ai modi di pensare e a plasmare nuove forme sempre più sfaccettate del sentire, facendo tutto con più pregnanza che qualunque altro strumento espressivo. Il Cinema compone altre realtà, disegna fantasmi che entrano nelle nostre vite e fa diventare nostri familiari attori che non abbiamo mai conosciuto personalmente. Il cinema ci affranca dalla noia e fa battere più forte il cuore, accelera i battiti della vita in noi e tutt’attorno a noi. Nutre la nostra fantasia il Cinema e ci porta le storie dall’altro emisfero del pianeta, alla nostra umanità aggiunge l’umanità di altri, da noi lontanissimi, che piano piano vengono a comporre -incredibilmente- la nostra memoria e aggiungendo colori, arditezza e possibilità finanche ai sogni. Sa far passare davanti ai nostri occhi tutto il possibile e l’impensabile, nella tragedia e nella violenza, nel crudo e nel soave, il fantascientifico si fa profetico e lo storico rivela verità taciute. Insomma muove tutte le nostre emozioni, soprattutto quelle che non potremmo mai provare poiché quelle circostanze non accadranno mai nella nostra vita…allora il cinema aumenta il numero di vite vissute? In qualche modo, si. Espande il tempo, moltiplica la meraviglia, ci fa vivere la realtà d’un sogno. Vale la pensa, dunque, guardarlo anche nello scintillìo di questa edizione spettacolare e grandiosa, diretta da Alberto Barbera il quale ha dichiarato: Arte, spettacolo e industria in uno spirito di libertà e dialogo con una sezione dedicata alla valorizzazione di operazioni di restauro di film classici per contribuire a una migliore conoscenza della storia del cinema, in particolare a vantaggio del pubblico dei giovani. I film vengono proiettati nella lingua originale con i sottotitoli in italiano e inglese. I Premi saranno assegnati nella serata conclusiva del 7 settembre, intanto il Leone d’Oro alla carriera è andato a Peter Weir (1944, Sydney, Australia), regista e sceneggiatore australiano (L’attimo fuggente, The Truman Show, Master & Commander) che della Mostra di Venezia ha dichiarato: è nell’immaginario di coloro che fanno il mestiere del cinema. E Alberto Barbera di Lui: cinema audace, rigoroso e spettacolare in cui c’è la costante di una sensibilità che gli consente di affrontare tematiche eminentemente moderne, come il fascino per la natura e i suoi misteri, la crisi degli adulti nelle società consumiste, le difficoltà dell’educazione dei giovani alla vita, la tentazione dell’isolamento fisico e culturale, ma anche il richiamo degli slanci avventurosi e l’istinto della salutare ribellione…un percorso artistico che ha saputo conservare la sua integrità di fondo sin dentro il successo commerciale dei film realizzati…”. ll Premio Cartier Glory to the Filmaker - dedicato a una personalità che abbia segnato in modo particolarmente originale il cinema contemporaneo- va a Claude Lelouch (1937, Parigi, Francia) (Un uomo, una donna; Una donna e una canaglia; La belle histoire)- grande regista, sceneggiatore e produttore francese; il premio gli è stato consegnato ieri, 2 settembre, in Sala Grande-Palazzo del Cinema, prima della proiezione Fuori Concorso del suo nuovo film, Finalement. Lelouch è regista ambizioso i cui film illustrano le più grandi passioni dell'uomo: l'infanzia, gli incontri, l'amore, l'amicizia, i rischi, l'ingiustizia, la morte, la reincarnazione, il ritorno a casa, i viaggi...Il cinema è sempre stato per lui una storia d'amore, un elemento indissolubile dalla vita stessa.
Alberto Barbera, di Claude Lelouch ha detto: è uno dei maggiori autori del cinema francese, molto prolifico, avendo diretto oltre sessanta lungometraggi. Cinefilo precoce, autore di corti e video musicali, direttore della fotografia, sceneggiatore, attore e produttore, raggiunge il successo internazionale nel 1966 con il film Un uomo, una donna (Un homme et une femme) vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes e di due Premi Oscar nel 1967, come miglior film straniero e per la migliore sceneggiatura originale. La colonna sonora di Francis Lai diventa refrain leggendario di un'epoca- “Chabadabada” è stata canticchiata da un’intera generazione e fa parte del mito musicale del cinema. Lelouch segna in modo indelebile il cinema, soprattutto incontrando il gusto e il favore del pubblico. Autore anomalo e
Lelouch |
inclassificabile, predilige la contaminazione dei generi (drammi, commedie, polizieschi, film d’avventura e western, fantascienza e musical, film di guerra e d’ambientazione storica), le cui convenzioni non esita a scompaginare ricorrendo a strutture narrative e temporali irrituali. Restano indimenticabili alcuni suoi successi come L'avventura è l'avventura (L'aventure, c'est l'aventure, 1972), Una donna e una canaglia (La bonne année, 1973), Una vita non basta (Itinéraire d'un enfant gâté, 1988), La belle histoire (1991), modelli di un cinema stilisticamente sofisticato, sensibile ai temi melodrammatici e alla commedia corale, dalla proverbiale capacità affabulatoria.
E’ tecnicamente all'avanguardia il cortometraggio L'appuntamento (C'etait un rendez-vous, 1976), 9 minuti di piano sequenza in steadicam sfrecciando su una Mercedes per Parigi, resta un punto di riferimento per chiunque abbia con la macchina da presa un rapporto “fisico”. In oltre 60 anni di attività, Claude Lelouch ha saputo creare con attori e attrici di eccezionale talento – da Anouk Aimée a Jean-Louis Trintignant, da Françoise Fabian a Lino Ventura, da Belmondo a Fabrice Luchini – la geografia moderna di un cinema dei sentimenti…La sua filmografia si estende per oltre sessantaquattro anni, con molti film premiati, tra cui il mitico duo formato da Jean Louis Trintignant e Anouk Aimée, che incarnano -per l’eternità- la coppia romantica. I personaggi di Lelouch sono incredibilmente umani, le sue storie di vita rimangono impresse nella nostra mente, in particolare la sua incrollabile ossessione per le belle storie d’amore. Come farebbe l’Amore, senza Claude Lelouch, a esprimere la sua forza inarrestabile? Dal 2021, Cartier collabora con La Biennale di Venezia quale main sponsor della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, contribuendo allo stesso tempo a sostenere la produzione del cinema contemporaneo. L’arte e la cultura sono sempre state intimamente legate alla storia di Cartier. In questo caso la si basa sugli impegni duraturi della Maison, volti a preservare l’eredità culturale e a sostenere la produzione artistica contemporanea. Oggi che una moltitudine alluvionale di immagini ci arriva da piccoli schermi tra le nostre mani, lo schermo di una sala cinematografica ci restituisce la vera dimensione del Cinema e soprattutto delle storie che ci regala insieme all’atmosfera che si crea solo dinanzi-dentro a quel grande schermo. Ho tanta voglia di dire e lo dico: Evviva il Cinema!
Sulla Torre dell’Orologio è andato in scena il “Melusiando”, su un palcoscenico naturale tra le vette di Orsomarso, a pochi chilometri da Scalea, territorio interno di una Calabria che ha ancora molto da dire e soprattutto da scoprire di se stessa. Orsomarso è lo storico piccolo Comune in cui si è tenuta la 1^ Edizione di “CRIVU Festival dei paesaggi straordinari e delle rive sconosciute” ideato e posto in essere da Monica Marziota e Michele Gerace. Orsomarso è una perla incastonata tra i contrafforti occidentali dell’Appennino calabrese e il Tirreno, dentro la Valle del Fiume Argentino e nel Parco Nazionale del Pollino. Cuore del Mercurion, è stato uno dei maggiori centri del misticismo dell’Italia Meridionale. Monica Marziota, Artista cosmopolita cresciuta tra l’Avana, Toronto, Gran Canaria e Roma, soprano, musicista, performer e musicologa con Michele Gerace, Avvocato, divulgatore scientifico e culturale della Scuola “cento giovani” nonchè Presidente dell’Osservatorio sulle Strategie Europee per la Crescita e l’Occupazione, coppia nella vita col figlio Agostino di soli due anni, che pensano alla roccia, alla rupe, alla verticalità, all’immanenza e alla trascendenza e ne fanno una realtà tutta da vivere e sperimentare dal 2 al 4 agosto, è davvero una notizia. In quella verticalità si è situata la pièce di Antonella Pagano. Si son dovuti salire 115 ripidi scalini per giungere sulla spianata della Torre e poterla ascoltare.
Lassù in cima sorgeva il monastero, proprio come i monasteri delle Meteore in Grecia, a 200 chilometri da Salonicco; oggi il monastero non c’è più, e neppure ci sono più la fortificazione longobarda e la roccaforte romana, si sono anche dissolti i pregevoli affreschi che ornavano l’ultima parete esposta per oltre un millennio ai sette venti, perciò le quinte sono state le lussureggianti montagne mentre il fondale è stato l’illuminata frattura tra quegli orizzonti ricamati. Il “Melusiando” è andato in ridotto su quella spianata per poi andare in integrale nella sottostante Piazza dell’Orologio. E’ lassù, dove il cielo è più cielo e la terra più terra, che la Pagano ha evocato i suoi mentori, gli stessi che hanno suggerito il Festival: roccia, rupe, onda, immanenza, trascendenza, quella che la Pagano chiama la femminil sostanza. Vi convoco tutte! Ha cantato, voi tutte Melusine già invocate da Goethe e Alvaro. Ha auspicato il melusinovivere in verticalità piuttosto che la minimale oriozzontalità. Ha composto un’Ode alla Calabria melusina abbracciata dal Maschile Mediterraneo con tutti i suoi fertili abissi! Ha inneggiato alla Calabria melusina solida d’Appennino, sostanza maschile che l’attraversa.
CalabriamelusinamelusinaCalabriamelusina la sua innamorata litania insieme all’ormai noto Calla bellezza calla Kalos cantate il canto che il vento orchestrò- Calla bellezza calla Kalos canta il canto che il vento cantò! Grazie a questo poetico canto la leggenda s’è incastonata con maggiore significazione tra quelle vette; Melusina, che quel gran Maestro che fu il rivoluzionario Medioevo, da donna-uccello la volle donna-pesce, ha convocato a sua volta tutte l’ardite immortali Melusine…fate d’Acqua, donne or serpenti or draghi! Attraverso queste presenze mitiche la Pagano -drammaturga e interprete- ha inteso dire ai contemporanei che vi sono territori che non tutti possono attraversare, quelli che dividono i due mondi; e che conoscere il soprannaturale è rompere il tabù, è rompere il patto con la divinità.
Occorre di fatto, dirà nella Pièce, che non si approdi casualmente, brutalmente, poiché è indispensabile che prima ci si alleni in tre esercizi, in quei tre termini spirituali e culturali di cui è maestro il Prof. Claudio Strinati: la Conoscenza, il Riconoscimento e la Partecipazione. Solo attraverso quest’umana accurata ‘ginnastica’ si potrà attraversarli rispettosamente, sia i territori fisici che i territori dell’anima. Melusiando, dunque, benchè consapevole d’essere in controtendenza, tenta, suggerisce con parole, musica, testi e nenie la via maestra che sta proprio lì, nella controtendenza. L’interprete, facendosi Melusina, narra del suo castello infinito, che ha stanze su tutti i territori del pianeta e che in questi primi giorni di agosto abita la stanza della Calabria, regione femminile abbracciata da due mari! 115 scalini da salire, in ripida ascesa fino a dominare il susseguirsi di vette per un Teatro che trova il suo palcoscenico più straordinario anche perché vive l’INCONTRO più autentico con la Natura, la Cultura e il possibile Sviluppo.
E’ il palcoscenico dello stare IN: dentro le cose, dentro il mondo, dentro l’Umanità; CON: Tutti e con il Tutto che è magistrale nel bene e nel male; TRA: gli alberi che disegnano i labirinti forestali e i gomitoli di strade e straderelle che s’insinuano in Orsomarso, come in tutti i piccoli paesi di questa Italia delle mille e mille Italie, facendo scoprire, incontrare e percepire i palpiti dei cuori altri e delle anime nuove e antiche. Melusiando è stato scritto in poesia, prosa poetica e musica appositamente per Orsomarso, per il suo peculiare altrove e per l’insieme generato dall’organizzazione che ha coinvolto tanti meravigliosi cuori e luminose anime che hanno fatto crescere il forziere di tesori di quel territorio; Melusiando invita anche ad incontrare l’altrove che sta nel profondo di noi stessi là dove attende che ce ne occupiamo; Melusiando è il canto di gratitudine verso tutta la Bellezza che è data a tutti nella più assoluta delle gratuità.
Con 2.000 presenze dal vivo e oltre 15.000 in streaming si è conclusa a Roma la XVII edizione del Festival “Tulipani di Seta Nera”, la rassegna dedicata al racconto cinematografico del sociale e della sostenibilità. La rassegna presenta storie sulla diversità, sulla fragilità e sull’unicità delle persone e dei luoghi. Durante quattro giornate il Festival ha visto la partecipazione di personaggi del mondo dello spettacolo che si sono avvicendati in sala, tra cui: Stefano Fresi, Antonio Catania, Alessandro Benvenuti, Toto’ Cascio, Andrea Roncato, Marzio Honorato. Il Festival anche stavolta ha presentato cortometraggi di grande qualità.
La serata conclusiva è stata condotta da Lorena Bianchetti e andrà in onda su Rai 2 il prossimo 3 luglio. Nello specifico di quest’anno in una multisala nel centro della Capitale, sono stati consegnati i Premi Sorriso Diverso ai vincitori assoluti dell’edizione 2024. Il Miglior Cortometraggio ad Alberto Marchiori per Colorcarne sul tema della discriminazione e del razzismo; per la sezione Social Clip, è stato premiato come Miglior #SocialClip Vestito Male del regista Paolo Stippoli sul tema del bullismo; il Miglior Documentario è stato assegnato all’opera curdo- iraniana Il Cielo è mio di Ayoub Naseri sul tema della disabilità; il premio Miglior Digital Serie a Fabio Garofalo e Luca Cetro per Cartoline dal Futuro sul tema dei cambiamenti sociali e sulle tecnologie. Quest’ultimo lavoro è entrano nella lista dei superpremiati poiché ha ottenuto anche i premi come Miglior Regia per Fabio Garofalo, Luca Cetro, Matteo Fossati, Jacopo Santambrogio; Miglior Fotografia a Gianluca Ceresoli; Miglior Attrice a Marica Pace, infine il Premio Sorriso Asvis.
I temi di cortometraggi si sono intrecciati, suscitando interesse attraverso migliaia di visualizzazioni. MariaStella Giorlandino, Presidente della Fondazione Artemisia e Diego Righini Presidente del Festival, hanno consegnato poi il Premio alla carriera a Ricky Tognazzi e Simona Izzo, per il “Perfetto esempio di come la fusione di talenti personali e professionali possa raggiungere nuove vette creative.”
La manifestazione è ormai un appuntamento consolidato dove le tematiche sociali, della sostenibilità, della forza di chi non dispera, si saldano al futuro, alla individuazione di strade che non discriminino. Dal razzismo di Colorcarne all’intelligenza artificiale di Cartoline dal Futuro opera collettiva della dontmovie.it, alla diversità della disabilità gestita da volontari, il futuro che ci attende con radici nel presente, è stato pienamente rappresentato.
La nostra concezione del matrimonio è legata a quella classica: l'unione tra uomo e donna. In seguito, nella nostra società si è allargata anche al matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Ma se a sposarsi fosse chi è semplicemente legato da un profondo affetto? Non è amore anche questo? Danila si pone e ci pone questo quesito con velata simpatia...
È sempre un piacere rivedere sul palco attori che apprezzi e stimi per dedizione, impegno e capacità. Stasera sono di scena Leonardo Bocci, Antonia Di Francesco e Danila Stàlteri che seguo volentieri da tempo, ed ho anche la possibilità di conoscere ed apprezzare Roberta Grazia in quella che si presenta come una commedia divertente, ma che in realtà racchiude ben altro.
La storia parla di Sara e Valentina, due amiche quarantenni che hanno scelto di vivere insieme dopo una serie di brutte esperienze con gli uomini. Profondamente amiche, condividono un appartamento. Con loro, di tanto in tanto, c'è Maria, una domestica piuttosto indiscreta che ama più chattare al telefono e impicciarsi dei fatti altrui che tenere in ordine la casa.
Valentina da qualche tempo, all’insaputa di Sara, frequenta Santo, più giovane di lei e arrivato da un fantomatico paese nei dintorni di Roma. L’uomo, si capisce subito, è uno scansafatiche che si arrangia a lavorare come cameriere quando proprio non può farne a meno. Inoltre, sembra nascondere un torbido segreto…
Sara non è del tutto convinta della sincerità e dei sentimenti di Santo nei confronti dell’amica, anzi, è alquanto dubbiosa. Quando casualmente scopre il segreto dell’uomo, che inspiegabilmente scompare senza preavviso, da buona amica cerca di stare vicino a Valentina e di consolarla senza rivelarle quanto ha scoperto, ma questo le costerà un caro prezzo quando Valentina scoprirà che era a conoscenza del segreto. Fino a qui, penserete, sembra una trama come tante altre… E invece ci saranno delle sorprese…
La commedia ha un inizio un po’ lento, spiazzante, per crescere gradualmente e raggiungere il picco con l’entrata in scena di Maria, la governante, un’Antonia piuttosto in forma, a cui Daniela ha cucito addosso un personaggio perfetto che con disinvoltura ed ironia porta avanti magistralmente e che viene particolarmente apprezzato dal pubblico ogni volta che entra sul palco.
Dal suo arrivo si nota un cambiamento: tutti i personaggi cominciano a sbocciare, ad esprimere una maggiore vitalità e personalità, pur rimanendo sempre contenuti e mai eccessivi. Così, quella che sembrava una commedia comica, si rivela tutt’altro. Con una sottile e pungente intelligenza ed una buona dose di ironia, la pièce affronta tutta una serie di argomenti molto seri. Tra un sorriso e l’altro si sviluppano temi come l'amicizia e l'amore, ma soprattutto quello dell’affetto profondo e genuino tra due persone dello stesso sesso legate da un amore amicale, a cui Danila ha voluto dare spazio e voce. Sì, perché si sorride, indubbiamente, ma soprattutto si riflette grazie ad un testo profondo e non sempre immediato, sicuramente originale, che fa emergere il tema poco considerato della famiglia come nucleo di persone che scelgono di vivere insieme per un’amicizia incondizionata. Quello tra le protagoniste è un amore alternativo che rompe gli schemi ed esplora nuovi confini, al di là della coppia classica o arcobaleno, e ci restituisce una realtà poco conosciuta.
Ci si trova di fronte a una proposta originale, anche coraggiosa, che vuole mettere in primo piano due anime, due esseri umani che si sono incontrati e che rompendo ogni schema culturale predefinito, hanno deciso di unirsi rispettandosi, ascoltandosi, aiutandosi in quanto amici.
Lo spettacolo è arricchito da frequenti cambi di scena con inserti originali, fatti di balletti e intermezzi musicali godibili e brani cantati dal vivo da Danila che ci delizia con la sua voce.
Leonardo, come sempre, esprime una romanità simpatica e spigliata nei passaggi più leggeri ma anche profondità nei momenti più toccanti.
Roberta è deliziosa nella parte di donna dal cuore infranto; vivace, coinvolgente, naturale e brillante, si rivela una valida artista.
Danila sembra una donna coriacea, diretta e pragmatica, che maschera con un apparente distacco una grande sensibilità dietro una corazza emotiva.
Una proposta che non può essere catalogata, a mio avviso, né come una commedia né come un dramma, bensì come una pura rappresentazione di sentimenti umani profondi e granitici.
Teatro De Servi
"Ti va di sposarmi?”
Scritto e diretto da Danila Stalteri
Con Roberta Garzia (Valentina), Leonardo Bocci (Santo), Danila Stàlteri (Sara) e Antonia Di Francesco (Maria)
“Esterino” è una commedia delicata e deliziosa adatta sia ai grandi che ai più piccoli. Dirò di più: sembra studiata per farci tornare in contatto con il bambino che è rimasto in noi. Esterino è un bambino di otto anni molto curioso, brillante e perspicace che si pone domande mettendo in crisi gli adulti. Questo aspetto si evidenzia soprattutto quando si relaziona con il suo analista. Con l’insolito e prematuro pensiero critico, riesce a mettere in difficoltà il discutibile specialista da cui è aiutato ad affrontare la dolorosa morte del tanto caro nonno.
Il bambino inizierà una sorta di viaggio onirico e profondamente introspettivo attraverso un dialogo interiore volto a creare una realtà fiabesca ed irreale, che gli permette però di continuare a relazionarsi con l’amata figura di nonno Lello. I genitori, preoccupati per gli insoliti comportamenti del figlio e al corrente dei suoi immaginari incontri notturni con il defunto nonno, lo metteranno nelle mani di uno psicoterapista piuttosto incompetente: il dottor Bellachioma.
Non si può in questa proposta non ritrovare quel sapore de “Il Grande Grabski”, sempre di Marco Rinaldi, dove trovavamo un particolare psicologo impegnato nel suo confutabile lavoro. A Marco, evidentemente, piace mettere alla berlina gli psicanalisti poco seri. Stavolta lo fa provocatoriamente con la complicità di un bambino nomen omen, perché il nome Esterino significa “saggezza e coraggio”. Io lo vedo come un moderno Pinocchio, o un Peter Pan, che con la loro brillante spontaneità scalciano contro la dura realtà che gli ha tolto figure importanti e fondamentali per la sua inevitabile crescita.
La scenografia essenziale ripropone tre ambienti diversi e separati tra loro, in analogia con la trina personalità di cui parla Freud (che peraltro apparirà in veste onirica alquanto provocatoria). Troveremo la sua teoria spiegata con difficoltà dal terapeuta al bimbo, visto che anche lui sembra averla capita poco. L’ Es, l’Io e il Super-Io vengono spiegati come tre bambini, “uno che fa le cose, uno che controlla, e un altro che fa come gli pare perché non lo vede nessuno...”
In uno dei tre ambienti si muove Esterino con il nonno ancora vivo, in quello all’altro estremo del palco Esterino si relazionerà con lo psicologo cialtrone, mentre sullo sfondo, dietro un telo che solo quando debitamente illuminato, svela la stanzetta di Esterino. Questo spazio sembra rappresentare il suo inconscio, dove infatti il ragazzino incontra il nonno in sogno.
I tre interagiscono, ma quello che succederà e che si diranno non voglio svelarlo. Mi limito a dirvi che le dinamiche sono molto divertenti, originali, coinvolgenti e profonde. Grazie a un bel testo, il sogno e la realtà si inseguono e si sposano in maniera sublime con l’uso di una piacevole ironia dai ritmi serrati alternati a momenti più posati e riflessivi, che esprimono una genuina comicità e tanta tenerezza.
La figura di Esterino è deliziosa, rispecchia la personalità di tanti fantasiosi bambini della sua età. Figlio unico, adora il nonno che, nonostante sia anziano e svampito e lo intrattenga con fantasiosi ed irrealistici racconti delle sue passate esperienze, rimane il suo punto di riferimento. Figura perfetta per confidarsi, divertirsi e sentirsi protetto. Il bambino non può proprio fare a meno di lui, e così lo materializza nei suoi sogni. Questa tenera e dolce fuga dalla realtà evidenzia però anche la grande solitudine e l’incolmabile vuoto di cui soffre il bambino. Inutili, per alleviare la sua pena, saranno le risposte ricevute al catechismo sulla vita e sull’aldilà, e anche quelle dello psicologo con la sua illogica psicoanalisi. Il nonno, che rivive attraverso il ragazzino come il suo alter ego, consente alla mente brillante del nipote di confrontarsi con il truffaldino dottor Bellachioma mettendolo continuamente in difficoltà. Che anche Bellachioma sia stato suggestionato da questa figura? O che empaticamente sia entrato in contatto, attraverso il bimbo, con i suoi nodi irrisolti?
La storia è dolce, tenera, simpatica e molto profonda. La recitazione? Neanche a parlarne! Roberto, Riccardo ed Antonello sono una possente macchina da palcoscenico che funziona perfettamente, diverte, esalta, commuove, fa brillare i tre diversi caratteri dei protagonisti e le loro sfaccettature evidenziandone difficoltà e punti di forza in maniera sempre divertente. Quello che mi ha colpito di più è l'atmosfera magica, incantata, eterea che culla lo spettatore riportando in contatto con la sua parte infantile sopita. Le sinergie in campo riescono a produrre un felice connubio tra storia, recitazione, musica, regia e ambientazione. Bella la figura del nonno, simpatico con i suoi esagerati racconti. Accattivante, grazie all’espressività travolgente, Riccardo; dolcissima la figura del bambino, così realistico e tenero nella recitazione di Alessandro; simpaticamente antipatica è la figura dello psicologo cialtrone costruita con grande capacità da Roberto.
Questo cast esprime la bellezza di un testo appassionato e profondo coinvolgendo in un’ atmosfera in cui ci si sente coccolati e accarezzati in compagnia di figure ironiche, che seppur con tratti esagerati e caricaturali, rispecchiano le esagerazioni dell'essere umano, le debolezze e i punti di forza. Esterino crescerà e si forgerà attraverso questa esperienza che lo ha toccato profondamente.
Mi piace pensare che imparerà a convivere con l’ineluttabilità della morte, a mantenere il ricordo del nonno senza cadere nelle sue esagerazioni portandolo nel suo cuore, e ad imparare a relazionarsi senza soccombere a loschi figuri come il terapeuta e tirare fuori il meglio di sé per inserirsi nella società in maniera sana… in Esterino vedo l’opportunità del libero arbitrio. Voi?
Roma - Teatro 7 Off -
“Esterino”. Scritto da Marco Rinaldi e diretto da Paolo Vanacore.
Con Riccardo Bàrbera, Roberto D’Alessandro, Antonello Pascale
Regia di Paolo Vanacore
Musiche originali di Alessandro Panatteri
Scene di Alessandro Chiti
Disegno luci Camilla Piccioni
Foto e grafica di Manuela Giusto
Assistente alla regia Cinzia Corsetti,
Produzione CMR Project Camera Musicale Romana srls
Ebbene sì, siamo arrivati al quarto episodio di questa divertentissima sagra, che ad ogni episodio si arricchisce inesorabilmente in un crescendo di idee sempre più geniali e divertenti. In questo capitolo, in realtà più sobrio e ponderato del solito, oltre i video con Massimiliano Bruno, Pasquale Petroli e Claudio Gregori nei panni dei mariti delle Stremate, si inserisce per la prima volta nel cast tutto al femminile, una vera e propria novità: un maschietto, che risponde al nome di Vito Buchicchio. L’attore veste u panni di un buffo, ma anche ambiguo maggiordomo. Dopo la classica apertura di Stremate a base di rimproveri reciproci e lamentele personali, è Vito che si inserito come ciliegina sulla torta nella storia da quel tocco di originalità alla storia e un po’ di pepe.
Devo dire però, che ho assistito a questo nuovo episodio con una certa amarezza di fondo, questo perché alla fine della programmazione di “Tre stremate e un maggiordomo”, la serie verrà interrotta. Peccato, perché oltre ad essere molto divertente, ben fatta e ben recitata, la proposta è un unicum. È infatti al momento, una vera e propria novità nell’ambito teatrale, cioè la prima e unica serie ad episodi mai proposta in teatro e che ha riscosso anche un bel successo di pubblico… peccato davvero.
Sinceramente mi auguro ci sia un ripensamento, perché questo prodotto artistico merita veramente molto. Giulia Ricciardi come Patrizio Cigliano, ma come anche tutto il resto del cast, hanno messo il cuore in questa proposta, che merita di raggiungere platee sempre più numerose e non certo di rimanere congelata…
Marisa, per il suo compleanno, stanca della vita coniugale, ha lasciato suo marito ed ora vive in un mini appartamento da sola. Come al solito le due eterne ed immancabili amiche per starle vicino la vanno a trovare, per sondare il suo stato d’animo e per vedere la sua nuova sistemazione. Si tratta di una casa un po’ arrangiata e raffazzonata, che strapperà da subito i sorrisi del pubblico, che si troverà immerso in una semplice scenografia formata da scatoloni che testimoniano il recente trasloco e da una essenziale e misera mobilia.
Le amiche ascoltano il suo sfogo, in cui la donna accusa il marito di essere pigro ed indolente nella gestione familiare che è sempre ricaduta sulle sue spalle. Dunque si è trovata costretta sotto la costante pressione del marito, a lasciare il suo lavoro di arredatrice di interni per dedicarsi alla casa.
Ovviamente, per non smentire la serie, si gioca subito sul provocatorio ed ironicamente indolente carattere delle donne, ormai ben conosciuto dai fedelissimi di questa serie. Si parte con un iniziale sfogo di Maria a cui uniscono quelli di Elvira e Mirella in cui le donne liberano le loro frustrazioni e delusioni nei confronti dei rispettivi mariti. Uomini che pretendono che la propria moglie sia sempre efficiente, determinata e presente, ma soprattutto relegata ad un ruolo subordinato e dipendente dal maschio. In questo si evidenzia ironicamente l’inefficienza dei tre uomini che avremo modo di conoscere attraverso le video chiamate dirette alle rispettive mogli e in cui ascolteremo le loro puerili lamentele.
Questi simpatici video vengono inseriti dalla pièce e dalla regia nella storia in maniera molto efficace, non solo per spezzare le scene, ma anche per dare modo alle tre protagoniste di spostare gli oggetti in scena per nuove situazioni e per cambiarsi gli abiti, peraltro davvero belli ed eleganti che ne esaltano la femminilità. I costumi sono stati forniti dall’elegante e raffinata RS Boutique dell’estroso Raffaele Marchese, che oltre stilista si rivela inaspettatamente anche un valido costumista.
La nuova location di Marisa (Milena Miconi), si rivelerà un ottimo escamotage per le altre due donne (Beatrice Fazi e Giulia Ricciardi). Permetterà loro di dare vita ad una sorta rivincita sui loro mariti, allontanandosi dalle loro famiglie per trasferisi nell’appartamento di Marisa, li obbligheranno ad autogestirsi e potranno respirare e disintossicarsi dall’ombra prevaricatrice e nefasta degli strampalati ed inetti mariti.
Neanche a dirlo Lillo, Greg e Massimiliano ci appariranno sempre più smarriti, esauriti ed incapaci di autogestirsi e con le loro gag ci faranno sbellicare dalle risate.
Ma non è tutto, Marisa decide per sfizio, di assumere un maggiordomo, ovviamente uomo, forse per cercare di prevalere almeno figurativamente sulla figura maschile e godersi quello che almeno all’inizio sembra una rivalsa sul sesso forte. Intanto ogni marito dovrà impegnarsi e dimostrare di sapersela cavare da solo e accettare poi di essere disposto a servire con attenzione e cura la propria consorte.
Le Stremate daranno vita come di consueto a tutta una serie di divertenti battibecchi, dispetti reciproci e toccanti confessioni, tutto con ritmi veloci ma anche molto realistici, arricchiti di simpatiche trovate partorite dalla prolifica mente di Giulia, coadiuvata dall’inconfondibile regia di Patrizio Cigliano che esalta ogni scena.
Ormai le tre veterane attrici del mondo spettacolo, sono più che affiatate, si direbbero una cosa sola. Ognuna di loro porta avanti il suo personaggio esaltandone pregi e difetti evidenziando una palpabile passione e indiscutibile professionalità e capacità personali, frutto di un profondo lavoro artistico e una evidente maturazione artistica, di cui giova sia il gruppo che lo spettacolo.
Non vanno però dimenticati anche tutti coloro che hanno collaborato alla riuscita di questa proposta, come la regia, l’ aiuto regia, la fonia e le luci, che hanno creato questa magica e professionale sinergia.
Speriamo che la serie venga ripresa, me lo auguro profondamente.
Teatro Golden
“Tre Stremate e un maggiordomo”
di Giulia Ricciardi
Con Giulia Ricciardi, Milena Miconi, Beatrice Fazi e Vito Buchicchio
regia Patrizio Cigliano
aiuto regia Claudia Genolini
special video guest Massimiliano Bruno, Greg, Lillloscene Fabiana Di Marco
luci e fonica Elisa Martini
Quanti sono 7 minuti? Abbiamo riflettuto su quanto poco tempo sia rispetto al trascorrere di una giornata? O al contrario, a quanto invece possano essere lunghi o preziosi in una situazione critica?
Probabilmente non ci si fa caso, oppure ognuno di noi associa questo tempo a qualcosa di personale. Ebbene, è un po' quello che accade sul palco: sacrificare sette minuti per una pausa, in fondo, non è poi un grande sacrificio rispetto al rischio di un licenziamento. Ma è davvero questa la motivazione che sta dietro a una rinuncia del genere? Quanto una decisione di questo tipo può influire invece su chi ci è vicino, o paradossalmente su chi non conosciamo, determinando un drastico cambiamento a causa di una superficiale decisione, o come in questo caso, di una reazione istintiva?
Il peso di questi “7 minuti” grava sulle spalle di ognuna delle povere operaie che sembrano non rendersi conto di quanto vitale ed importante sia la scelta a cui stanno per essere sottoposte.
Stefano Massini in questa pièce ci presenta una storia vera, ispirata ad un fatto accaduto in Francia, a Yssingeaux, nel 2012, e da cui è stato anche tratto un film con lo stesso titolo.
In una fabbrica tessile francese, alle operaie fu proposta una riduzione del tempo dell’intervallo da quindici a otto minuti. Undici donne, che fanno parte della rappresentanza sindacale della fabbrica e diverse per età, cultura, provenienza, idee, verranno poste di fronte a questa decisione. Si confronteranno e si scontreranno animosamente attraverso dialoghi spesso aspri, serrati, concitati, ma non privi di qualche apertura delicata, profonda e toccante. Grazie al testo che lascia spazio ad ogni personaggio, e grazie ad un’attenta regia che dirige ottimamente ben undici attori, emergeranno il vissuto, la personalità, le speranze, le convinzioni, i timori, ma soprattutto il peso di quella che man mano si rivela un’enorme responsabilità.
Le donne temono che il rifiuto della proposta possa metterle a rischio di licenziamento. Sono quindi disponibili ad accettare, seppur con qualche remora, questo piccolo sacrificio richiesto dell’azienda. Ma è attraverso la visione di Bianca (magistralmente interpretata di Viviana Toniolo), la più anziana e la portavoce del gruppo, che cominciano a farsi strada considerazioni profonde maturate dopo una lunga e posata riflessione, che mette da parte i sentimenti più umani per concentrarsi su una visione obbiettiva della situazione.
Quest'analisi indurrà tutto il gruppo a comprendere che una decisione può nascondere una serie di insidie. Assisteremo ad un “Dividi et impera” che subdolamente i nuovi proprietari scatenano tra le operaie per affermare il potere del padrone sull’operaio.
Lo spettacolo si rivela avvincente, ricco di suspense e colpi di scena che lasciano col fiato sospeso fino all’epilogo drammatico della decisiva votazione finale. Lo svolgimento della storia riporta alla mente il film “Il Giurato”, in cui un esponente della giuria, attraverso un’attenta e profonda riflessione, spinge tutti i componenti della giuria, dapprincipio unanimi su un verdetto, a cambiare opinione. È esattamente quello che vedrete accadere sul palco.
Ognuna attraverso se stessa, arriverà per una diversa strada alla propria decisione uguale o diversa a quella di Bianca. L’anziana donna rappresenta in fondo una sorta di coscienza di gruppo, è la giusta spinta che mancava ad ognuna per trovare il coraggio di guardarsi dentro con obiettività e senza preconcetti, facendo prima i conti con i propri conflitti interiori ed interpersonali per poi liberamente fare una scelta che altrimenti potrebbe trasformarsi in un pericoloso precedente.
Un bel cast formato da undici attrici molto diverse come i loro personaggi. Si muovono dinamicamente, incrociandosi continuamente tra loro e creando concitate e animate discussioni ricche di rivendicazioni, che spesso cadono velenosamente sul personale. Riempiono una scenografia sobria, scarna ed essenziale in cui spicca un enorme orologio fermo ormai da anni, che forse rappresenta la staticità dei diritti in ambito lavorativo e al contempo il peso della decisione che dovranno prendere su quella manciata di minuti.
Mi rendo conto che sarebbe giusto e meritevole poter parlare singolarmente di ognuna di loro, ma ci sarebbero troppe cose da dire su ciascuna. Posso però evidenziare la perfetta sinergia che tutte insieme creano, dando vita ad una superlativa “prima” scevra da quelle piccole imperfezioni che caratterizzano sempre un esordio. Professionalità e capacità spiccano immediatamente. Queste artiste, poi, riescono a trasmettere forti emozioni, ma soprattutto a far riflettere su questa apparentemente semplice scelta.
È bello e stimolante scrivere un articolo su uno spettacolo come questo, che riflette la triste realtà del mondo del lavoro e la vulnerabilità del lavoratore da parte della classe dirigente.
È obiettivamente difficile restituire per iscritto tutti i miei stati d'animo, del pubblico e quelli provenienti dal palco. Ognuno di noi avrà provato emozioni differenti. Questo è il bello del teatro, questo è il bello di uno spettacolo riuscito che esalta il coraggio e la rivalsa dei diritti del lavoro e delle donne.
Da vedere!
7 minuti” di Stefano Massini regia di Claudio Boccaccini
“con Viviana Toniolo, Silvia Brogi, Liliana Randi, Chiara Bonome, Chiara David, Francesca Di Meglio, Mariné Galstyan, Ashai Lombardo Arop, Maria Lomurno, Daniela Moccia, Sina Sebastiani.
musiche originali Massimiliano Pace
scene Eleonora Scarponi
registi assistenti Fabio Orlandi, Andrea Goracci
tecnico luci e fonica Francesco Bàrbera
produzione Attori & Tecnici
in collaborazione con Associazione Culturale Pex
ZONA DI INTERESSE . (The Zone of Interest ) Cast: Sandra Hüller, Christian Friedel, Ralph Herforth, Max Beck, Stephanie Petrowitz, Marie Rosa Tietjen . Regia di Jonathan Glazer. Film 2023 - Drammatico, Storico - 105 min. Uscita 22 febbraio 2024.
Siamo ad Auschwitz negli anni ‘40. L'eleganza estetica della pellicola non può supplire alla mancanza di una trattazione chiara e specifica della relazione tra: la Germania, i suoi capi del tempo, e i campi di concentramento. L’ arte concettuale, che sembra essere il primo scopo del film, non sempre può essere accettata e soprattutto premiata.
Non è giustificabile che un film, che pretende in qualche modo di trattare l'argomento delicato della realtà del campo di concentramento di Auschwitz, possa essere privo di qualsiasi riferimento ai fatti: la storia insegna ma questo film non rappresenta la storia. Soprattutto perché manca la narrazione.
È un collage di momenti lunghi, e spesso noiosi, che vogliono sottolineare la pacifica vita familiare di un signore che non pare affatto sia un mostro. È educato, si comporta bene con moglie e figli. La sua realtà di vita, orrenda, il suo cuore, la sua iniquità, non viene affatto evidenziata. Se il film venisse visto da una persona completamente ignara dei fatti essa non potrebbe assolutamente comprendere cosa c'è dietro questa vicenda.
Assolutamente diseducativo per i giovani e totalmente privo di emozioni, risulta solo un giocattolo intellettualistico di cui parlare nei salotti.
I cenni ai momenti drammatici dello sterminio sono troppo brevi e rarefatti. Ad esempio la protagonista che dice alla sua domestica che potrebbe essere trasformata in cenere, la mamma che si stupisce che tenga degli ebrei al suo servizio. Oppure i bambini che giocano con i denti d'oro degli ebrei, Hoss che si lava dopo il rapporto fisico con un ebrea ecc. Durano solo pochi secondi e non hanno alcun impatto sul resto delle scene.
La sequenza del tecnico che parla della progettazione di nuovi forni di sterminio o il trasferimento di Rudolf Hoss a dirigere tutti i campi tedeschi, risultano essere, non evidenziati in maniera chiara e narrativa ma restano solo una traccia non sviluppata.
Le cose che vediamo nelle sequenze sono soprattutto immagini estetizzanti della vita del comandante di Auschwitz e sua moglie nei pressi del campo di concentramento, le gite sul fiume, i suoi fiori e i suoi giardini. Sullo sfondo il fumo dei forni del campo che bruciano. Troppo poco per giustificare questa pellicola che esalta la quiete borghese in una tenuta fuori città.
Sono passati dieci anni dal film Under the Skin dove lo stesso regista ha trattato i problemi e le inquietudini del mondo di oggi. In questo caso Jonathan Glazer prende spunto da un romanzo di Martin Amis, ma le parole non sono come le immagini e su di esse è più facile meditare. Un film piuttosto irrisolto, dove lo spettatore non fa altro che aspettare, per tutta la durata della pellicola, che accada qualcosa di significativo. Un’ opera che spreca le occasioni di poter raccontare, in maniera efficace, degli anni '40 e dell’ esecrabile vicenda dell' olocausto. In questo caso il vero protagonista è una simpatica cagna nera che gironzola dappertutto...e scusate se è poco!
Mi aspettavo una storia particolarmente drammatica e cupa, invece questa vicenda reale (forse ai più sconosciuta), è raccontata in maniera intensa e profonda ma in chiave leggera, ariosa e a tratti ironica, senza però perdere quella sua punta di drammaticità. La proposta così risulta fruibile e piacevole.
Conosciamo un uomo che sembra avere una doppia personalità e soffrire nel nasconderla, impelagato suo malgrado con il nazismo e a rischio di condanna per collaborazionismo; dovrà decidere se passare per un traditore o rivelare chi è veramente: un falsario di opere d’arte ma anche un grande artista che preferirebbe morire pur di non far disconoscere i suoi “originali”, ormai esposti in famosissimi musei.
Questa è la vera storia di Han Van Meegeren, accusato nel 1945 di collaborazionismo per aver venduto alcune opere d'arte di maestri olandesi del Seicento a Göring, il numero due del Terzo Reich. Si ritrovò all’improvviso ad essere osannato come un eroe nazionale per aver venduto dei falsi da lui stesso dipinti ed essere riuscito a frodare i tedeschi ottenendo, con un apparente scambio equo, la restituzione di altre opere d'arte precedentemente trafugate in Olanda dai nazisti per restituirle alla sua nazione.
Han è interpretato da un efficace e coinvolgente Mario Scaletta che lo propone come un uomo tenero, combattuto, un po’ svampito e confuso ma consapevole delle sue capacità di cui, a tratti, fa emergere il suo ego spavaldo. Rivive, attraverso una dinamica recitazione, la figura di questo valido falsario di opere d’arte che prediligeva emulare, tra i tanti, il pittori l’olandese Johannes Vermeer, tanto da arrivare a creare delle nuove opere mai esistite, gabbando famosi critici, esperti d’arte ed importanti musei.
Alla fine, per salvarsi la vita, Han deciderà di svelare il suo segreto grazie alla spinta dell’ex moglie, impersonata da una deliziosa e amorevole Tiziana Sensi, di un capitano medico militare olandese piuttosto convincente ed insistente, interpretato da un serioso ed amabile Felice Della Corte, e di una timida ma convinta giornalista a cui Caterina Gramaglia dona una serie di piacevoli sfumature. La giornalista segue con interesse e passione le vicende di quest’uomo dapprima come accusatrice, e in seguito, svelato il segreto, come aiutante.
Han sarà messo alle corde da un alacre pubblico ministero, severo ed incalzante impersonato da Paolo Gasparini, che renderà il suo personaggio provocatorio, antipatico ed odioso in maniera realistica nel suo impegno volto a smontare le tesi difensive del falsario.
Tiziana e Caterina efficacemente impersonano nei modi, negli atteggiamenti e nell’aspetto, due donne tipiche di quel periodo. Quasi si somigliano per l’approccio e l’abnegazione con cui cercano di aiutare Han. Acconciature, costumi, recitazione sono perfetti per l’epoca che ripropongono, ed insieme creano un quadretto idilliaco sul palco.
Han, secondo le testimonianze, era un bugiardo, un imbroglione, un grande bevitore, arrogante, donnaiolo dalle tasche bucate. Ma sapeva come apparire gentile ed affascinare con la sua passione per la pittura. Soprattutto per Vermeer. Mario fa trasparire questa indole, trasmette quella magica sintonia che unisce lui al famoso pittore fiammingo, presentandolo perlopiù con un carattere simpatico, amabile, un tenerone un po’ stralunato ed indeciso sul da farsi. Qualsiasi scelta faccia, autoaccusarsi di collaborazionismo o di falsificazione, ha davanti un processo ed una sicura condanna.
Ho molto apprezzato come il testo sviluppi e sottolinei l’umanità del trittico formato dal capitano e dalle due donne, e come loro si prodighino con scambi di vedute e confronti intesi ad ammorbidire la rigidità e la chiusura dell’uomo per indurlo a riflettere.
Avvincente il confronto tra Han e l’accusatore, dove il primo mostrerà tutta la sua forza d’animo nel tenere testa all’altro così pungente e sempre pronto a smontare le sue argomentazioni. Paradossale che nonostante si autoaccusi, non viene creduto, perché illustri critici riconoscono i suoi falsi come originali.
È qui che il testo approfondisce, con interessanti spiegazioni sia da parte del falsario che del procuratore, le tecniche in uso dei pittori del Seicento e quelle della contraffazione. Vengono spiegate con estrema semplicità e senza troppi tediosi tecnicismi, restituendo un quadro chiaro allo spettatore attraverso un linguaggio comprensibile.
Inoltre viene approfondita in maniera interessante la psicologia del protagonista, sempre in bilico tra verità e apparenze, in cui non manca un pizzico di ironia nel dramma che vede un uomo dalle grandi doti artistiche esprimersi come un falsario e costretto a vivere all’ombra dei grandi artisti che imita perfettamente senza però poterlo manifestare.
Alla fine il processo si rivelerà una liberazione da questo dualismo. Il bel testo di Letizia Compatangelo sottolinea questo conflitto interiore facendo spiccare il lato psicologico ed emotivo non solo di Han, ma anche dei personaggi coinvolti in questa particolare vicenda riproposta in una riuscita ed accattivante ricostruzione teatrale.
Teatro Marconi“
Il Grande inganno - La cena di Vermeer”
di Maria Letizia Compatangelo
Regia Felice Della Corte
Con Felice Della Corte, Mario Scaletta, Tiziana Sensi, Caterina Gramaglia, Paolo Gasparini
Costumi Lucia Mirabile, Tecnico luci e fonica Andrea Goracci
Grafica MDesign Studio
Foto di scena Valerio Faccini