L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Theatre and cinema (148)

 

 

Riccardo Massaro
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December 18, 2024

 

Arte allo stato puro l’altra sera al “Piccolo teatro San Paolo” a Roma. Il genio di Antonella Pagano ha colpito ancora nel segno e ha mostrato la vera arte in cui il nostro Paese primeggia nel mondo. Fantastica realtà o realtà fantastica, come ha amato definire l’autrice la sua opera, ode alla letteratura. Sincronia, armonia, di un dolce canto che scaturisce dal profondo del nostro cuore, ci conduce per mano in un mondo quasi onirico in cui l’uomo riscopre la sua bellezza, la sua luce, il suo armonico con il tutto, la Pagano riesce a farci sognare ad occhi aperti.

L’opera è di grande attualità, visti i tempi drammatici in cui gran parte dell’umanità vive. La bravissima Antonella Pagano, scrittrice-drammaturga, e Bruce Payne (Raimondin), superstar inglese e internazionale, propongono agli spettatori la metafora di Melusìne e Raimondin. Alla forza bruta, all’ignoranza, all’odio, alla paura, all’oscurantismo culturale, alla violenza generale, in cui un grande fratello’ utilizza paura e odio per mantenere il controllo sulle popolazioni, Antonella Pagano  (Melusìne) si oppone ricorrendo alle potenti arti magiche femminili  e con la bellezza in tutti i suoi attributi riesce a trasformare il vile metallo in oro.

Melusìne è una figura affascinante e misteriosa che affonda le sue radici nel folklore europeo, viene considerata l'antenata mitica della casata dei Lusignano, una delle famiglie nobili più importanti d'Europa. Si ritiene che la leggenda di Melusìne sia legata alle antiche credenze in esseri femminili legati all'acqua e alla natura, dotati di poteri curativi e profetici, che sia una fata bellissima e potente. La sua figura continua a esercitare un grande fascino, invitandoci a riflettere sulla natura umana e sul rapporto tra l'uomo e il soprannaturale.

Rappresenta la dualità tra il mondo umano e quello soprannaturale, tra bellezza e mistero, tra amore e dolore. La sua figura è spesso associata alla fertilità e alla prosperità, grazie ai suoi poteri magici e alla sua discendenza numerosa.  E’ un simbolo del potere femminile, spesso represso e temuto in una società dominata dagli uomini.

Raimondin incontra Melusìne in circostanze fortunate, spesso legate a un evento tragico o a una necessità urgente e la fata lo affascina con la sua bellezza e i suoi poteri magici fin tanto che decide di sposarla, nonostante la sua natura soprannaturale.

Altri interpreti di altrettanto talento che si aggiungono alla Melusìne narrante (Antonella Pagano) e a Raimondin: Monica Marziota, Jaquelina Barra, Claudia Pompili. Le musiche della Pagano sono arrangiate dal Maestro Daniela Brandi. le voci di Flavja Matmuja e Valdrin Gaashi. I costumi di VerbaVeste. Un cast di artisti internazionale capace di dialogare oltre i confini, con l’umanità.

 

 

 

December 18, 2024

 

L’ottimo film Il ragazzo dai pantaloni rosa, qui recensito qualche settimana fa*, sta continuando ad incontrare grande consenso di critica e di pubblico, suscitando forte interesse e sincero entusiasmo soprattutto in ragazzi e bambini.

Il film ha indubbiamente molti meriti, ma credo che il maggiore sia rappresentato dall’avere la capacità di richiamare la nostra attenzione sulla necessità di un impegno serio e sistematico, soprattutto in sede educativa, volto ad arginare e, auspicabilmente,  a debellare un fenomeno come quello del bullismo, tanto diffuso e sottovalutato, quanto incalcolabilmente gravido di effetti devastanti.

Molti sono stati i commenti positivi giuntici in seguito alla pubblicazione del nostro articolo, da parte di persone di ogni età, ad ulteriore conferma dell’ampiezza e della gravità di tale problema.

Particolarmente apprezzabile quanto scritto da Gabriele Giuliani, in arte Perso, giovane cantautore di Trevignano Romano:

                                “Il ragazzo dai pantaloni rosa è un film che racconta una storia vera, fatta di dolore, bullismo e giudizi superficiali. Mentre lo guardavo, mi rendevo conto di quanto sia facile ferire qualcuno, spesso senza pensarci, con una parola, un gesto o una risata. E oggi, con i social, tutto questo diventa ancora più crudele, perché quel dolore viene amplificato davanti a migliaia di persone.

Mi sono sentito travolto da una riflessione: quanto poco ci vuole per distruggere qualcuno, ma allo stesso tempo quanto potrebbe cambiare il mondo se solo scegliessimo di essere gentili. Credo che tutti, soprattutto i ragazzi adolescenti, dovrebbero vedere questo film. E’ un grido di aiuto, un invito a guardare oltre le apparenze, a conoscere il cuore e l’anima delle persone prima di giudicarle.

Mi ha fatto capire ancora di più quanto sia importante tendere una mano a chi è in difficoltà, piuttosto che ignorarlo o, peggio, opprimerlo.

La vera forza sta nel proteggere, non nel ferire.

Questo film mi ha lasciato dentro un messaggio chiaro:

la sensibilità, l’amore, la comprensione, la gentilezza, l’altruismo sono le armi più potenti che abbiamo che possono farci fare la differenza e spesso riuscire a salvare le persone più fragili.”

 

*BULLISMO E CYBER BULLISMO: TRAGEDIE ANCORA TROPPO SOTTOVALUTATE - L’AZIONE EDUCATIVA DI AMNESTY INTERNATIONAL E IL FILM IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA   - FlipNews - Free Lance International Press

 

December 15, 2024
 
Fresco, vivace, allegro, spensierato, romantico e dolcissimo. Perfetto per una serata in allegria, un ottimo toccasana che mette il buon umore e fa uscire dal teatro rinfrancati e sorridenti.
Questo è l’effetto di questa storia, semplice delicata e se vogliamo realistica, con le sue buffe dinamiche. Nasce dalle sapienti ed esperte mani di Michele La Ginestra e Adriano Bennicelli, che spesso collaborano alla stesura di testi validi e divertenti come questo.
Michele impersona un quotato fotografo di moda che sta per inaugurare una nuova mostra fotografica dopo un lungo periodo di assenza dalle scene; appare nervoso e teso, mantenendo però la sua simpatia. Ha vicino a sé Beatrice, l’amabile ed affascinate ma anche gelosa moglie. La sua “antagonista” è Manuela, nei panni di una femme fatale francese, deliziosa e conturbante. La ragazza è la nipote di un’importante giornalista che scriverà un articolo sulla mostra dal cui esito dipenderà la sorte lavorativa del simpaticissimo fotografo.
Lo spettacolo è costruito su scene deliziose, dove sono gli stessi attori a muovere la semplice ma efficace scenografia. Sullo sfondo ci sono dei pannelli con belle foto in bianco e nero che ritraggono una bellissima donna posta di schiena; poi un letto e una sorta di muretto movibile spostato di volta in volta per cambiare assetto alla scena. In un secondo tempo apparirà una bellissima gigantografia che darà  vita alla mostra e immortala una modella in particolare, che poi svelerà parte del piccolo mistero che Michele cerca di nascondere alla moglie.
Le scene si svolgono raccontando la storia al presente, altre fanno dei piccoli passi indietro nel tempo per spiegare situazioni accadute poco prima e ricostruire così i fatti che verranno svelati man mano. Questo servirà per ricostruire le vicende che conducono Michele a svegliarsi nel suo talamo nuziale con l'avvenente francesina anziché con la moglie, dopo che alla mostra si sono presi una sonora ubriacatura.  
La moglie in precedenza si era dimostrata particolarmente gelosa della ragazza, potete immaginare i timori dell'uomo quando realizza di aver passato la notte in compagnia di questa ragazza ora completamente svestita senza peraltro avere memoria di cosa sia successo durante la notte.  Considerando poi che la moglie a momenti potrebbe entrare nella stanza… Cosa potrà succedere al povero fotografo? Lo vedremo in scena in una gag esilarante.
Insomma, il titolo “Ti posso spiegare” è più che azzeccato! E le spiegazioni si trasformano in un turbinio di alta comicità.
Sono passati dieci anni dall’ultima volta che lo spettacolo è stato in scena, eppure l’ho trovato molto attuale con la sua fresca comicità spontanea e a tratti pungente che strizza un pochino l’occhio alle vecchie commedie all’italiana, quelle con il protagonista un po’ imbranato e distratto dalle donne, la moglie gelosa e burbera e la gattamorta. 
Oltre agli equivoci e alle imbarazzanti situazioni pensate per essere particolarmente divertenti, gli attori sono spassosissimi e danno vita ad una gag dietro l’altra, sempre con idee e battute efficaci. Quello che mi ha colpito di più è proprio la spontaneità e la naturalezza con cui vengono pronunciate le battute, talmente vere da strappare sonori applausi e risate del pubblico. 
Michele veste i panni di un uomo sornione e bonaccione, semplice e schietto che cerca di fare il simpatico con la ragazza francese e siccome non conosce neppure una parola della sua lingua, utilizza una sorta di pugliese francesizzato… Le sue espressioni divertono moltissimo gli spettatori, così come i suoi buffissimi farfugliamenti quando la moglie lo mette con le spalle al muro.
Beatrice è un’altra grande interprete duttile e plasmabile, un'attrice che apprezzo moltissimo e che seguo costantemente, che ancora oggi riesce a sorprendermi svelando sempre qualche nuova sfumatura che sembra voler tener celata per l’occasione giusta. Il suo personaggio è particolarmente geloso, ogni volta che il marito gliene dà modo si abbandona a  sproloqui in dialetto napoletano vorticosi e simpaticissimi. 
Divertentissima, poi, quando parla in francese cercando di schernire la ragazza per sminuirla al cospetto del marito. Grande prova di recitazione poi, quella esibita con i dialoghi davanti agli invitati immaginari che incontra all'apertura della mostra del marito; molto realistici e vari, vengono presentati letteralmente bucando la quarta parete. Essendo solo tre i personaggi in scena, Beatrice utilizza il pubblico come fosse il suo interlocutore di turno. Non si perde così neanche un'espressione, un accigliamento, un momento di voluto imbarazzo in quei frenetici e vivaci scambi verbali. Una bella prova dell'attrice e al contempo una bella idea della regia, molto presente in tutta la proposta e che riesce a vivacizzare grazie ad una riuscita sinergia con gli attori tutta la commedia.
Manuela invece è la graziosa giovane che non parla una parola di italiano. Si aggira con il suo vestitino piuttosto ridotto e luccicante durante la mostra facendo girare la testa al povero Michele con i suoi atteggiamenti femminili, sbarazzini e provocatori. Pur non perdendo mai il suo fascino, riesce ad inserire anche della sana comicità nel suo personaggio.
Un testo gradevole, apparentemente semplice ma obiettivamente complesso ed impegnativo; molto dinamico e veloce, funziona bene anche grazie alle spiccate capacità artistiche di questo trio e al palese affiatamento tra loro.
 
Teatro 7
“Ti posso spiegare” 
di Michele La Ginestra e Adriano Bennicelli  
regia Roberto Marafante
Con Michele La Ginestra, Beatrice Fazi e Manuela Zero 
 
November 25, 2024

 

 

Ha debuttato il 23 novembre alla Casa del Cinema in Roma il docufilm di Esther Barroso Sosa, nell’ambito della XII Mostra del Cinema Iberoamericano - promosso dall’Istituto Cervantes e prodotto da Cubavision. Protagonista la cantante e compositrice italo-cubana Monica Marziota, autrice anche della colonna sonora: “Se la vita fosse un libro”. In una sala pienissima e dentro un sacrale silenzio le immagini hanno aleggiato riportandoci poetici scorci di Roma, Sanremo e L’Avana. Filo conduttore le lettere magicamente scritte da Calvino che, una dietro l’altra, raggiungono la protagonista. Poesia e letteratura che si fanno cinema mentre sposano la musica, questi gli ingredienti che compongono l’ omaggio inusitato a Calvino. Cosa lega Calvino alla splendida protagonista Monica Marziota? Cuba e Santiago de las Vegas mentre realtà e immaginazione s’intrecciano sapientemente; mentre mondi e generazioni incontrano sostanze simili e le chimiche moltiplicano la creatività.

E così conosciamo Calvino da un intrigante nuovo aggraziato punto di vista. Camminando sui suoi passi in terra di Cuba, tra i luoghi e le persone che ha frequentato. Esiste, dunque, un surplus di meraviglia che sa far lievitare e fare più grande ciò che definiamo poesia, ciò che chiamiamo letteratura, ciò che è il cinema e i suoni della musica. C’è un surplus di meraviglia in input-output allorché le immagini vengono impastate con la sostanza del cuore! E’ la maniera raffinata di scrivere in immagini un documentario-film che ha conferito alla letteratura, alla musica e al cinema stesso un altro importante metodo, in verità più che di metodo, forse è più corretto parlare di ricetta che ha utilizzato qualcosa di assoluto, la sostanza urgente e preziosa che surclassa tutto il tecnicismo del mondo, anche quello ancora da venire, e la protagonista possiede quella sostanza.

 Monica Marziota, infatti, trasmette un tasso d’empatia ed una qualità empatica che -frammista a quella Sua personalissima componente emozionale- la fa nobile, talchè nobilita la pellicola e consente alle immagini di profondersi con una semplicità destabilizzante ed estasiante insieme! Quel suo camminare dentro i luoghi, lungo le strade, dentro le citta’, quel toccare le pagine, l’adagiare le note sui pentagrammi mentre il suo piccolo bambino emette le prime sillabe e sgambetta nella carrozzina, quel camminare dentro la vita dello scrittore, dentro la scrittura, e dentro la scrittura di un grande della scrittura, quel camminare elegante alla scoperta e, soprattutto, quel “ricevere”, il saper ricevere intimo, il saper leggere il ricevere e riceverlo intimamente, il generoso ricevere, il rispettoso ricevere QUELLE LETTERE! Lettere e ricevere che vanno finanche molto oltre quello che mostra la fabula cinematografica e la magistralità della regista, sto parlando del ricevere la vita e farsene carico, meravigliosamente; accogliere il fatto della vita e “ricercare” per saperla, per capirla, per farne tesoro nel mentre le cammina dentro… perché è quel camminare che serve a sapere di più e meglio.

 Camminare nella vita! Camminare nelle altre vite e continuare a camminare anche dopo che la storia ha esaurito i fatti che l’hanno fatta “essere”. Camminare dentro le parole e i gesti con rispetto e consapevolezza profondissimi. Il gioiello più prezioso del docufilm? E’  l’aver incastonato, centellinato, qua e la’, con sapiente dosaggio, la madre: il seno originario, una delle terre della sua origine - la stessa del Calvino narrato - perché Monica Marziota non interpreta un personaggio, assolutamente no, Monica Marziota è Monica Marziota, è se stessa nel film come nella vita; lei che incastona il frutto di Monica-donna-madre, Agostino, e incastona il compagno di Monica-donna-sposa: Michele, il Michele che lascia sulla pellicola e rinvia al pubblico e alla storia una frase, un’importantissima piccolissima domanda: come stai? Rivolta a Monica. E’ il compagno di vita che chiede alla sua compagna di vita: come stai? Prova di consapevolezza del camminare di Monica, e nello stesso tempo del suo esserci e dell’esserci stato sempre vicino a Lei, pur a migliaia di km di distanza; prova di consapevolezza del camminare di Monica dentro la vita, dentro la parola, la letteratura, la citta’, la strada, il mondo da cui Monica, a sua volta, non ha escluso, non ha lasciato fuori nessuno. C’è una rituale intensa spiritualità in questa pellicola e mi piace finanche usare questo materico artistico termine: pellicola…sa di epidermicità. Di sensibilità più autentica e concreta, finanche tattile, e ci serve anche questo per comprendere di più Calvino, il suo essere nato a Cuba e aver compiuto la magia…le lettere spedite da chissà dove ma nella certezza che sarebbero arrivate proprio in quella cassetta postale, la cassetta di Monica Marziota… nata in terra cubana come Lui. 

 

November 09, 2024

Diversi e contrastanti i giudizi della critica a proposito di Parthenope, l’ultimo film di Sorrentino. Di intonazione prevalentemente severa quelli della stampa internazionale, mentre fondamentalmente positivi, con impennate di  estatico entusiasmo, quelli di casa nostra. Nell’insieme, comunque, nonostante il prevalente quanto ricorrente italico conformismo, la tavolozza delle opinioni fin qui espresse si presenta assai ben variegata:

esaltato come capolavoro di sublime bellezza, considerato uno spottone ridondante e barocco, oppure erotico e seducente, fonte di stupore e commozione, esuberante e magnetico, rassegna di luoghi comuni, dissacrante e blasfemo, spudorato e pieno di dolore.

Qualcuno ha saggiamente consigliato di evitare di mettersi nell’ottica del “che vorrà mai significare”, per lasciarsi invece abbandonare al mero flusso del gioco pirotecnico di un estetismo bizzarro, ricercato e morbosamente intrigante. Forse la spaccatura fra i due fronti scaturisce proprio dalla basilare differenza di atteggiamento e di prospettiva:

chi si pone troppe domande sul cosa potrà mai voler dire questo e cosa quell’altro probabilmente rimane deluso, insoddisfatto e pure infastidito; chi invece si lascia trasportare dalla sarabanda delle immagini, degli sguardi e delle invenzioni scenografiche, probabilmente finirà per sentirsi sommerso da un bombardamento di forti emozioni.

Al di là dei differenti approcci e punti di vista, credo comunque che su alcune cose, almeno, sia possibile non nutrire troppe incertezze.

  • L’ estrema bravura degli interpreti, con, al di sopra di tutte e di tutti, la sbalorditiva Celeste Dalla Porta, capace di reggere con inattaccabile leggerezza l’intera narrazione su di sé, sorprendendoci in maniera crescente per la proteiforme molteplicità di registri interpretativi. 
  • L’elevatissima sapienza tecnica e (nonostante gli scivoloni cartolineggianti e i compiacimenti manieristici) l’efficace eleganza della costruzione formale. 
  • Il modo ostentatamente gratuito quanto sciattamente blasfemo con cui viene trattato il culto di San Gennaro con relativi annessi e connessi.

In Sorrentino, infatti, a dispetto dei ricorrenti e alquanto forzati confronti,  ben poco possiamo incontrare dell’ indagatrice religiosità di Federico Fellini, del suo serissimo senso della trascendenza e della sua attenzione-attrazione verso la sfera dell’Oltre. Il mondo ecclesiastico e quello della pietas popolare finiscono, nella Napoli sorrentiniana, per essere grottescamente ridotte e ricondotte ad un variopinto minestrone di molto terrene pulsioni ancorate alla dimensione dell’ ”Avere”. 

  • Insopportabilmente irritante il modo pressoché apologetico con cui viene presentato il potere della criminalità organizzata: le scene del giovane boss che incede negli oscuri meandri delle viscere della città, ossequiato e venerato dalle masse dei ”fuori casta”, finisce per costituire (al di là delle possibili intenzioni) un incomprensibile quanto imperdonabile regalo all’immagine della camorra.

Nel complesso, il mondo umano rappresentato è un mondo imbevuto di amara infelicità, oscillante fra lusso sconfinato e atavica miseria, immerso in una becera realtà materialistico-edonista, a cui soltanto si riescono a contrapporre, come unica via di salvezza, la forza della cultura e la serietà della ricerca accademica.

Come a dirci che, dal nichilismo etico e dalla rassegnazione alla inesorabilità del male di vivere, potrà salvarci, allora, la sola intelligenza (educata nello studio) capace di “vedere” al di là delle apparenze? 

Ma sarà forse questo, poi, il vero (forse l’unico degno) messaggio di Parthenope?

 

 

 

 

 

 

October 29, 2024

 

Confesso.

Dopo aver subìto due ore di pesante tribolazione, ero intenzionato a buttare giù, senza stare a perdere troppo tempo, una stroncaturina gelida e perentoria.

Il film di Maura Delpero, infatti, il Vermiglio osannato e premiato dalla critica, mi era apparso, sì, un lavoro costruito con passione, con grande cura ed impegno, certamente un prodotto di indubbia serietà, ma, al contempo, lo avevo patito come una narrazione impregnata di sofferenza atavica, di millenaria pena di vivere, esteticamente attraente solo quando qualche immagine sembrava ricalcare (non certo per caso) le pennellate di Segantini o quando le note di Chopin e di Vivaldi riuscivano a far entrare qualche sprazzo di infinito in quel mondo cupo e dolente di misera vita di montagna.

Confesso.

La tentazione della fuga, già dopo una decina di minuti di massacranti dialoghi dialettali sottotitolati, è stata forte.

Forse arginata soltanto dalle sapienti parole di uno dei protagonisti spese in elogio della “vigliaccheria”, sanamente e santamente apprezzata (forse invocata) come efficacissimo antidoto per tutte le guerre.

Insomma, visti i riconoscimenti e gli elogi apologetici di tanta critica verbosa ed erudita, nella speranza che qualcosa di particolarmente significativo irrompesse, prima o poi, sullo schermo, sono riuscito ad approdare ai titoli di coda.

Rientrato in casa, ho preso fiato, cercando di riflettere meglio in profondità e cercando anche di raccogliere tutte le informazioni utili in circolazione sul web.

Che dire, a questo punto, di Vermiglio?

Dal marasma pirotecnico di tante recensioni raffinatamente cerebrali  inneggianti ad un “film dell’incanto”, “ammaliante” e dal “valore universale”,  ad un film di “pura poesia”, di “secca poeticità”, anzi addirittura  definibile come “sinfonia ipnotica e ascendente”, gli unici aggettivi degni di essere salvati e utilizzati sono:

sincero,    onesto,     intimo,     sentito.

Sì, si tratta di un lavoro fatto con grande sincerità di interessi e di affetti;

onestissimo nel suo volerci parlare di una umanità lontana e dimenticata, senza ricorrere a finzioni, senza abbellimenti e senza alcuna indulgenza;

intimo perché capace di mettere a nudo speranze, sogni e timori di cuori grandi e di cuori piccoli;

sentito perché costruito con autentica empatia e delicata pietas.

Qualità belle che certamente rispecchiano con fedeltà la dimensione interiore di Maura Delpero.

Tutto questo, però, non può bastare a trasformare in un capolavoro un film implacabilmente noioso e mai in grado di suscitare, nel malcapitato spettatore, un vero coinvolgimento emotivo.

Vermiglio, pur con i suoi indubbi meriti culturali di ordine storico-antropologico e nonostante  l’ amorevolezza (sincera, onesta, intima e sentita) di cui è impastato, resta un film che si vede e si sopporta a fatica, un film che, soprattutto, non si ha minimamente voglia di ritornare a vedere.

 

 

October 23, 2024

 

Chiara Françoise Charlotte Mastroianni si è raccontata così, ieri,alla Festa del Cinema di Roma. Il suo racconto è quello  di una figlia verso un papà “grande”, scomparso quando lei aveva ventiquattro anni e grande attore di fama internazionale. E non solo. Nelle sue vene scorre il sangue di Catherine Deneuve, ça va sans dire. 

Nel centenario dalla nascita del padre, l’attrice si racconta in un dialogo affettuoso, ironico, che va dai racconti delle telefonate che riceveva dal papà, quando era piccola soprattutto, agli incontri  a Cinecittà con il grande regista Federico Fellini, amico del padre. 

“La vita di mio padre era il lavoro. La vita da set era la sua vera casa, dove si sentiva al sicuro. In vacanza,  si annoiava non prendeva il sole, non faceva il bagno, era sempre nervoso”. 

E poi, “mi telefonava tanto, troppo, ma non voleva essere rintracciato”. 

”Amava il telefono, gli piaceva comprare sacchetti di gettoni perché telefonava sempre. A me anche tre, quattro volte al giorno. Mi chiamava anche per avere una copertura per la sua vita sentimentale complicata. Che tempo fa a Parigi? Piove? Lo faceva per crearsi un alibi. Mi diceva sempre, solo un po’ scocciato: purtroppo bisogna mentire, mentire, sempre mentire anche se è complicato”. 

 Il padre di Chiara non era un padre qualunque: era uno degli attori italiani più famosi della Dolce Vita, romano di nascita e forse diremo romano nel suo DNA, se la romanità fatta di ironia, del non prendersi troppo sul serio e dell’ indolenza può essere considerata un marchio di fabbrica.

L’indolenza, appunto, “era una specie di grasso che lo proteggeva perché pensava che fosse abbastanza non fare troppo, ed era abitato anche da una certa malinconia per cui il cinema l’ha molto supportato”. 

Era rimasto toccato dalla guerra, “c’era in lui l’inquietudine per quello che era successo a mio nonno che aveva avuto una piccola falegnameria, una cosa modesta. Poi arrivò Benito Mussolini, lui non prese la tessera perché era antifascista  e perse tutto il poco che aveva”. 

Marcello Mastroianni aveva talento, bellezza, fascino e non amava l’idea del mito. Gli davano piacere le cose semplici, che gli ricordavano le sue origini semplici. Modeste. 

Il suo legame con Federico Fellini e Sofia Loren restano due costanti della sua vita. Con il regista della Dolce Vita, condivide il tormento, la difficoltà di essere uomini, molto lontani dal mito del maschio italiano.  Erano due uomini con vite pazzesche e pieni di malinconia. 

Con Sofia Loren, il grande attore condivise, una vera amicizia, la semplicità di mangiare insieme un panino sul set, di ritrovarsi in famiglia. La loro bellezza non li aveva allontanati, anzi, nel loro caso li aveva fatti avvicinare con la semplicità dei loro bisogni, del loro stile di vita, lontano dalle star del cinema americano. 

Semplicità e discrezione e gentilezza d’animo, sono state le caratteristiche di quel padre. 

Chiara Mastroianni conclude la sua chiacchierata,  dicendo che il padre sarebbe stato imbarazzato da tutto questo clamore, da questo gran parlare di lui,  per cui, nell’eleganza del suo stile, avrebbe concluso soffermandosi sul rendere omaggio non certo a sé stesso ma alla grandezza del cinema italiano. 

Viva il cinema italiano. Grazie.

 

 

 

October 22, 2024

Simona Dascalu è un’attrice di teatro che nel passato ha recitato anche nel cinema. Anni fa ebbe una piccola parte in “ Dolcemente complicate” poi partecipò ad un paio di fiction e di cortometraggi. La sua grande passione è il teatro ed entro breve sarà in scena con il suo nuovo spettacolo, ideato e scritto in collaborazione con  lo scrittore Sandro Arista. Si intitola " chi è l'ultimo" e in questa nuova Commedia Simona Dascalu è protagonista oltre che come attrice anche come regista. E’ uno spettacolo dove emergono diverse componenti: dal comico tendente al serio,  per poi arrivare al dramma. Ecco la trama in sintesi: Nella sala d’aspetto di uno studio psicoanalitico si incontrano 4 personaggi: Olindo un tipo poco socievole e dal carattere scorbutico, Luciano sentimentale, emotivo e romantico, Teresa una donna avvocato, altolocata e distinta e Ricky dall’aria sfigata anche troppo loquace. L’interazione dei quattro durante l’attesa, scatena una serie di conflitti, tra loro causati dai loro differenti modi di intendere la vita. Con l’arrivo in ritardo di Wanda la psicologa “la più fuori di testa di tutti”, sembra ristabilirsi l’ordine, ma è solo apparenza. La seduta di gruppo farà emergere aspetti in ognuno di loro insospettabili, che capovolgeranno drasticamente ogni cosa.

 Ho incontrato Simona Dascalu che ho avuto il piacere di conoscere già da qualche anno ed è sorta una piacevole conversazione.   

       Simona Dascalu

Simona quali sono gli aspetti più esilaranti di "chi è l'ultimo?"

La vicenda è tutta nello studio psicoanalitico dove collabora una segretaria un po' distratta e “impicciona” che fornisce lo stesso orario a quattro pazienti.  Nella commedia io sono una psicoanalista che amo tanto anche l'arte e cioè cantare, recitare, ballare.  Dal momento che arrivo tardi in studio e trovo tutti i pazienti insieme, mi devo inventare una storia, così nascono una serie di battute originali e di grande impatto. Questi personaggi nel loro monologo trattano dei loro problemi, così gli spettatori apprezzeranno uno spettacolo molto divertente dove oltre a  recitare si canta e si balla. L'aiuto regia è di Renato Porfido che seguirà la commedia con attenzione dall’esterno e sarà anche lui coinvolto a sorpresa. Alla fine sceglierò di dedicarmi solo all'arte e dal momento che abbandono l'attività, lascio i pazienti nelle mani di un altro collega.

 Quali sono le tue sensazioni al momento di presentare la tua nuova commedia teatrale?

Sono emozionata ma nello stesso convinta che il pubblico apprezzerà la commedia che andrà in scena al teatro Anfitrione dal 24 ottobre alla domenica del 27 ottobre. La locandina è molto graziosa e rende l’idea di uno spettacolo divertente.

Come ti sei trovata in questo  ruolo, rispetto alla commedia dell'anno precedente “Condominium”?

Sono personaggi diversi, in quella ero un avvocato, sempre un po' in conflitto con il mio compagno, in questa invece, sono una psicanalista e anche un'artista. Noi attori riusciamo spesso a cambiare la nostra personalità e ci immedesimiamo nel giusto ruolo. Nel passato ho fatto avanspettacolo e ho preso parte a ruoli sia comici che drammatici. Nel campo artistico riesco a fare un po' di tutto, ma preferisco il genere comico e questo lo si deve probabilmente, perché nei nostri giorni viviamo un mondo difficile con tanto nervosismo, pertanto ritengo che la gente abbia bisogno di evadere. Questo non significa che se dovessero propormi un ruolo drammatico non mi sentirei ugualmente a mio agio.

Simona quali sono i tuoi prossimi progetti futuri?

Ho pronto nel cassetto la trama di un film o cortometraggio che spero prima o poi di portare a compimento. E' la storia di una donna che ha una serie di disavventure e poi si innamora del suo carnefice.  Recentemente ho scoperto che mi piace anche cantare e su You  tube si possono trovare alcune mie interpretazioni. Sto completando una canzone, che poi farò ascoltare per la prima volta in teatro insieme ad altre due canzoni composte da me.  Quest'anno ho avuto la fortuna di incontrare sul red carpet al Festival del cinema di Roma, questo splendido uomo, Renato Porfido che è poi diventato il mio compagno. A me serviva un attore per i miei video clip, quindi dal momento che abbiamo avuto l'opportunità di  frequentarci, si è accesa la scintilla e ci siamo innamorati. E’ bello avere qualcosa da condividere con una persona speciale e noi due abbiamo le stesse passioni.

Grazie Simona Dascalu

 

 

 

October 18, 2024

 

Il Teatro Arcobaleno è per così dire “specializzato” in proposte a tema storico. Propone spesso e volentieri testi di classici greci o latini, o che parlano di personaggi storici come questa stasera. Il testo è di Giovanni Antonucci, uno dei più grandi studiosi del grande ed intramontabile Ettore Petrolini, artista che ha ispirato molti attori venuti dopo di lui. 

La sua simpatia e bravura arrivò a colpire anche il duce, tanto che Petrolini era l’unico che nelle sue performance poteva imitare e schernire il dittatore senza che se ne prendesse a male, anzi, dimostrava di apprezzare particolarmente le performance di Ettore. Attore, cabarettista, cantante, drammaturgo, sceneggiatore, compositore e geniale scrittore specializzato nel genere comico. Petrolini però, viene ricordato quasi esclusivamente per il filone comico, mentre era molto di più. Meno conosciuto è infatti il suo lato più profondo e “popolare”, o quello osannato da Marinetti, che lo proclamò “grande attore futurista”. Marinetti scriveva: “Il teatro di Varietà è il solo che utilizzi la collaborazione del pubblico; questo non rimane statico, a guardare, ma partecipa rumorosamente all’azione, cantando, accompagnando l’orchestra, comunicando con motti imprevisti e dialoghi bizzarri con gli attori. Il pubblico collabora con la fantasia degli attori, l’azione si svolge contemporaneamente sul palcoscenico, nei palchi e nella platea…”.

È ovvio che i Futuristi trovassero in Petrolini un interprete che poteva dare vita ai loro ideali di “rivoluzione teatrale”. Petrolini in parte ebbe alcune convergenze ideologiche con il Futurismo, ma rimase estraneo al movimento, la sua poliedricità e continua evoluzione non potevano essere intrappolate in degli stereotipi.Come dice lo stesso Avallone nella pièce, Petrolini aveva già creato i suoi personaggi prima che questa corrente di pensiero emettesse i primi vagiti. Furono i Futuristi a riconoscersi nella sua arte e non certo il contrario. 

Si dedicò a creare parodie, macchiette, caratteri e personaggi che attraverso la loro spontaneità e semplicità popolare, negavano e criticavano i sentimentalismi rifiutando le mode del tempo ed evidenziando l’idiozia umana. Davanti alle critiche del tempo che lo definivano stupido, lui rispondeva “ci vuole intelligenza per rappresentare la stupidità…” 

Tutte le sue trovate, le battute, i nonsensi devono essere interpretati come una metafora della perdita di senso di cui la sua società era preda; rovesciava così il suo ruolo di comico che nel far ridere faceva emergere una denuncia, una critica, una satira pungente nei confronti di quella stessa società che alla fine tanto lo amava. 

Nel testo di Antonucci troveremo una forte comicità  frammista ad elegante malinconia, che riportano  tra realtà e finzione in scena questo mostro sacro a 140 anni dalla sua nascita. Chi meglio del geniale Antonello Avallone poteva vestire gli abiti ed esaltare la figura di questo originale artista?

Avallone è un attore poliedrico e particolarmente dotato, si impossessa del palco e rapisce l’attenzione del pubblico con la sua grande personalità. Rimasi particolarmente colpito da lui quando lo vidi nella sua interpretazione di “Novecento” di Baricco. Eccolo di nuovo in un impegnativo monologo che mette a nudo tutte le sue capacità intrattenendoci, anzi ipnotizzandoci. 

Interpreta un Petrolini negli ultimi giorni della sua vita, entra in teatro e dà vita ad un malinconico e romantico quanto poetico canto del cigno. L’artista rivive e ripropone i passi fondamentali della sua vita, dagli esordi nei teatri baracconi, quando comincia a dare vita alle sue prime macchiette, fino ad arrivare ai suoi grandi successi. Avallone ci restituisce un Petrolini visibilmente afflitto da quella che lui chiama la “Signora Embolia Flebite”; malconcio e claudicante, ci porta con classe e maestria in questo racconto profondo e sentito che ci permette di palpare l’essenza più intima di Petrolini. Ogni personaggio presentato si dimostra pura energia che ritempra l’artista facendogli dimenticare tutti gli acciacchi e i malanni e facendogli recuperare tutto il suo passato splendore. 

La vita dell’attore ha tre fasi, ci dice: la prima quando è preso in giro dal pubblico, la seconda quando è lui a prendere in giro il pubblico, la terza quando guarda dal di fuori queste due parti prendersi in giro… ascetico. 

Bella e ponderata la scelta delle musiche, divertenti e mai invadenti, alternate ad altre che trasmettono la giusta tensione per esaltare i momenti più drammatici o introspettivi. Suggestivo l’ uso delle luci che creano un’atmosfera onirica ed eterica.

Le freddure, le battute, le canzoni, i balletti come le macchiette sono quelle: Gastone, Fortunello, Lyda Borelli, Nerone… Antonello ci regala una vera e propria perla teatrale. Un immenso Avallone che interpreta  Petrolini senza volerlo imitare e in cui troviamo tutta la sua professionalità, la sua personalità e bravura. Qua e là uno spruzzo di Macario, di Rascel, di Totò, lasciano in bocca un gradevole sapore dal gusto retrò. Ha saputo giocare bene le sue carte, bilanciando la parte nostalgico drammatica con quella comico satirica della pièce senza eccedere nell'una o nell'altra, esaltando il testo di Antonucci di cui ha egregiamente curato anche la regia. 

La scenografia scarna esalta la parte più malinconica, lo fa attraverso due  bauli che contengono tutta la vita del protagonista insieme alle emozioni, i sogni, le speranze. Da quei due scrigni escono tutte le “pelli” dell’artista, un alternarsi di bellissimi  costumi che Avallone indossa per trasformarsi ed interpretare tutti quei personaggi che hanno fatto grande questo favoloso attore. 

Uno spettacolo che intenerisce, diverte con le sue battute da avanspettacolo che, se anche hanno fatto ormai il loro tempo, ci restituiscono quella genuinità e semplicità con cui i nostri nonni si divertivano ridendo a crepapelle, ricreando magicamente l'atmosfera  di un teatro ormai dimenticato.

 

October 14, 2024

 

La regista Maura Delpero e l’attore Tommaso Ragno

Con la mia famiglia si andava verso Ortisei, in Trentino Alto Adige negli anni Sessanta, per il viaggio sul trenino della Val Gardena, condotto dal sig. Toffoli e nei cartelli stradali nella Val di Sol, vicino il torrente Noce, leggevamo l’indicazione per Vermiglio, verso il passo del Tonale. Un nome poi addormentato nella mia mente! 

Ed eccomi, per forza del destino, ad assistere ad un film del ricordo, un lungometraggio, Vermiglio, di Maura Delpero. Lentamente, quel

Pietro, Giuseppe De Domenico, stringe la mano a Lucia,
Martina Scrinzi

 

dialetto, Solànder, come ricordava mio padre, tornava alla memoria. Ed ecco nello schermo quei posti incontaminati, quei boschi di abeti imbiancati in inverno e verdi dalla primavera in su.  Il racconto cinematografico si dipana magistralmente come un ricordo lontano, una carezza di piuma, verso la fine dell’ultima guerra. 

Ai margini del bosco appare un soldato, Pietro, interpretato da Giuseppe De Domenico, portato lì in montagna da un altro soldato scampato alla tragedia della seconda guerra mondiale, Attilio, Santiago Fondevila, figlio del borgo di Vermiglio. 

Pietro, soldato siciliano, sconvolge la tranquillità della famiglia del maestro Cesare, Tommaso Ragno, mentre Lucia, Martina Scrinzi, la maggiore delle sue figlie, alla fonte, dopo qualche titubanza, lo bacia, se ne innamora, resta incinta e decide di sposarlo. 

Di profilo il maestro Cesare, Tommaso Ragno

Lucia e la piccola Antonia

Alla fine della guerra Pietro torna in Sicilia e Lucia dà alla luce Antonia. In famiglia si apprende dal giornale che Pietro Riso, che era già sposato con una donna siciliana, viene da questa ucciso per onore.

Lo smarrimento psichico di Lucia, induce una sua

Maura Delpero premiata con il Leone d’argento

 

sorella, fatta conversa, a prendersi cura della piccola nell’orfanotrofio mentre Lucia si allontana dal borgo per arrivare in Sicilia; vuol essere rassicurata. 

Le sue indagini la portano ad una casa circondariale dove la vera moglie di Pietro è in cortile, vestita a lutto, quel lutto da lei stessa procurato, Salvo, il loro bambino gioca ma si accorge che una donna è triste, Lucia viene incoraggiata dalla donna che le chiede se ha figli.

Lo sposalizio tra Pietro e Lucia

Lucia arriva alla tomba del marito. Il suo animo si acquieta depositando, accanto alla croce, la coroncina del loro amore.

Torna a Vermiglio ad abbracciare Antonia riprendendo le sue facoltà mentali. 

Linea di scrittura cinematografica ineccepibile, montaggio che anticipa i dialoghi della scena seguente, interpreti veri nella loro interpretazione, il maestro magistralmente bravo in tutte le sue sfumature.

Il cast al completo

Vermiglio di Maura Delpero è stato presentato in anteprima mondiale il 2 settembre 2024, alla 81ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d'argento. 

Selezionato per rappresentare l'Italia ai Premi Oscar del 2025 nella sezione del miglior film internazionale.

Felice di aver assaporato questo film degno di un Oscar!

 

 

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