L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1299)

Free Lance International Press

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 Quando l’arte diventa beneficienza: è infatti il titolo che ben si addice a questa nuova iniziativa a scopo benefico promossa dalla Segreteria per la Comunicazione dello Stato della Città del Vaticano e dei Musei Vaticani, in collaborazione con il Centro Televisivo Vaticano e Officina della Comunicazione.

Il progettò è stato presentato nel Salone di Raffaello della Pinacoteca Vaticana, alla presenza del Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani , di Mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione e da Christo, celebre artista bulgaro naturalizzato americano.

“Christo, il campione dell’arte-evento” , dichiara il Prof. Paolucci, “ quello che impacchetta i monumenti per farci capire che, nel tempo della democrazia dei consumi, l’unica che esiste sotto il cielo, tutto è diventato prodotto consumabile e digeribile, oggi impacchetta Raffaello. Lo fa per sovvenzionare l’Ospedale Pediatrico di Bangui, nel cuore più disperato dell’Africa Nera.

Mirabile esempio di eterogenesi dei fini. Giulio II aveva chiamato Raffaello per esaltare la gloria sua e della sua Chiesa. Un altro Papa, Francesco, usa Raffaello per un atto di misericordia verso i più poveri fra i poveri.”

L’opera di Christo prende corpo da un particolare de La Scuola di Atene di Raffaello, il più celebre degli affreschi delle stanze Vaticane. L’artista, ha infatti scelto di concentrare la sua attenzione sugli occhi di una figura di un giovane, il cugino di Papa Giulio II, dipinto accanto a Parmenide.

La forma e la dimensione hanno permesso all’opera di essere il modello per la realizzazione di 300 cofanetti numerati e firmati da Christo. I multipli saranno quindi venduti con la collaborazione della casa d’aste Christie’s.

“Quest’opera ha per la Segreteria per la Comunicazione”, commenta Mons. Dario Edoardo Viganò, “una duplice valenza. Innanzitutto rappresenta il segno concreto dell’interesse della Comunicazione della Santa Sede per la contemporaneità e per il linguaggio che la contraddistingue. Christo è uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea mondiale;e l’originale dell’opera che donerà alla Segreteria sarà il segno concreto di questo sodalizio che vede tra i protagonisti anche i Musei Vaticani.

Il secondo aspetto riguarda il legame tra arte, cultura e solidarietà. L’opera d’arte che diviene dono per l’umanità ma anche occasione per realizzare una concreta opera di beneficienza. E’ stato il Santo Padre ad indicare a chi indirizzare la raccolta fondi: all’Ospedale Pediatrico di Bangui che il Papa ha visitato nel suo recente viaggio in Africa, in quel paese in cui il Pontefice ha deciso di aprire solennemente la porta della cattedrale, un’anteprima all’apertura dell’anno giubilare, una prima porta aperta alla Misericordia.”

E così l’arte contemporanea a volte inquieta che aleggia nei sofisticati salotti di New York, in virtù di quella Misericordia che Papa Francesco va invocando in tutto il pianeta, si involerà “impacchettata” in segno di solidarietà verso quel mondo dei più poveri fra i poveri.

È denso di impegni il maggio dei Musei Vaticani, si susseguono a raffica presentazioni di eventi, di pubblicazioni e di restauri.
Sei milioni di visitatori all’anno marciano verso la Cappella Sistina attraverso il percorso obbligato delle Gallerie. Circa trecento metri la distanza da coprire suddivisa in tre parti: Galleria dei Candelabri, Galleria degli Arazzi e Galleria delle Carte Geografiche. La prima e l’ultima, sono state oggetto di restauro, che ha riguardato, in particolare, le superfici dipinte.
La Galleria delle Carte Geografiche è quella che attira maggiormente la meraviglia dei turisti, coinvolti in un turbinio di colori, fra tutti, sovrasta il blu profondo dei mari e poi gli stucchi e le grottesche sulla volta.
É Gregorio XIII Boncompagni, il papa che ha introdotto il calendario gregoriano nel 1582 e che ha fondato l’osservatorio astronomico del Vaticano, ad aver commissionato la decorazione della Galleria. Era l’epoca delle scoperte geografiche che avevano determinato anche la moda di decorare con le carte le dimore gentilizie.

La progettazione viene affidata al cartografo, domenicano, perugino, Egnazio Danti, mentre l’esecuzione, tra il 1580 e il 1581, spetta ad un gruppo di pittori manieristi tra i quali l’orvietano Cesare Nebbia e il bresciano Girolamo Muziano, protagonisti della storia della pittura, profondamente trasformata, dai dettami del Concilio di Trento e paesaggisti fiamminghi come Paul Bril.
A lato della porta di entrata, la memoria della Battaglia di Lepanto vinta da Marcantonio Colonna nel 1571 contro la flotta turca, a seguire, sulla sinistra, la carta dedicata alla città papale di Avignone, quindi si entra in Italia. La si percorre tutta, da sud a nord, costeggiando sulla sinistra le coste tirreniche, mentre sulla destra quelle adriatiche. Alla fine l’Italia intera, antica a destra, nuova a sinistra, guardando la porta d’uscita, circondata dalle quattro città portuali più importanti: a destra Venezia, con piazza S. Marco in evidenza ed Ancona, a sinistra Genova e Civitavecchia.

Fig. 4
Carta raffigurante l'Italia Antiqua

Diverse sono le curiosità, le più macroscopiche sono l’inversione dell’orientamento sud-nord di alcune carte e la presenza della Corsica, non ancora francese. Nelle carte sono riportate le scale metriche e sono segnate le città e i paesi più importanti, illustrati in dettaglio in riquadri interni che mostrano le mappe topografiche. Dei cartigli spiegano gli episodi storici salienti che vi sono riportati, ad esempio la battaglia tra Annibale e l’esercito romano presso il lago Trasimeno nel III secolo a.C.
Il restauro ha riguardato la pittura, realizzata sia con la tecnica ad affresco sia a secco, soprattutto per quanto riguarda i particolari, per le dorature è stata usata la tecnica a missione. La decorazione è stata restaurata più volte, a partire già poco tempo dopo l’esecuzione, probabilmente, proprio la velocità di quest’ultima, ha determinato i problemi di adesione che hanno reso necessari i diversi restauri.
Le indagini diagnostiche hanno portato all’identificazione dei pigmenti e anche dell’adesivo/consolidante funori, un polisaccaride estratto dall’alga rossa Gloiopeltis furcata presente nell’Oceano Pacifico, estremamente costoso. Per questo il Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e il Restauro dei Musei Vaticani ha messo a punto un sistema di estrazione e purificazione per contenere la spesa.
La Galleria dei Candelabri, invece, deve il suo nome alle coppie di candelabri marmorei, ai lati di ogni arco, che suddivide in sezioni il corridoio. Lo spazio è fittamente stipato di sculture, sarcofagi, vasi e urne di marmo, che offrono esempi di tutti i diversi tipi di questo materiale. Le opere fanno parte del Museo Pio Clementino, una delle grandi collezioni di arte antica dei Musei Vaticani. Il restauro ha riguardato la decorazione pittorica della volta, realizzata alla fine del XIX secolo per volere di Leone XIII, autore nel 1891 dell’enciclica Rerum Novarum, fondamento teorico della dottrina sociale cattolica.
Lo stemma del papa affiancato dalle personificazioni delle virtù Fortezza e Prudenza, campeggia sulla volta all’ingresso, nella sezione successiva sono raffigurate tutte le arti benedette dalla Religione, compresa la moderna fotografia, rappresentata da una vecchia macchina, che ha l’aspetto di una scatola con un obiettivo. Una delle due scene laterali, ricorda l’ingresso nelle collezioni papali del grande dipinto che celebra la vittoria del re polacco Giovanni III Sobieski sull’armata turca a Vienna nel 1683, esposto in una delle sale dell’ex appartamento di S. Pio V a cui ha dato il nome. Dopo le arti è l’allegoria della storia protagonista nella sezione seguente. Poi è ricordata la monumentale e onnicomprensiva opera speculativa di S. Tommaso d’Aquino. La penultima campata è decorata con scene più piccole a monocromo, mentre nell’ultima, con motivi decorativi, si trova il busto del papa, affiancato dalle personificazioni di Teologia e Poesia.

Gli autori sono il perugino Annibale Angelini, il romano di padre bavarese Ludovico Seitz e il Romano Torti. Angelini, oltre che pittore è anche scenografo, restauratore e decoratore, allievo del pittore romantico Tommaso Minardi, ha lavorato per le famiglie nobili, a Roma restano sue testimonianze anche al Palazzo del Quirinale, e alcune “miniature” nella cupola di S. Pietro in Vaticano, ha insegnato prospettiva presso l’Accademia di S. Luca. Seitz, figlio d’arte, risente dell’influenza dei pittori nazareni Overbeck e Cornelius, ha decorato diverse chiese romane, è stato membro della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon e dell’Accademia di S. Luca, nel 1887 è stato nominato Ispettore delle Pitture dei Sacri Palazzi Apostolici, nel 1894 Direttore delle Gallerie Pontificie. Torti ha lavorato a Nepi, a Frascati, a Piazzola sul Brenta e a Fassolo vicino Genova.

Frutto del restauro, consistito nella spolveratura, nel fissaggio della pellicola pittorica e delle dorature, nella pulitura, nel stuccatura delle lacune e consolidamento degli intonaci e nella presentazione estetica, sarà la pubblicazione di prossima edizione, corredata anche di ricerche d’archivio e bibliografiche.

Pensi alle malefatte della curia, allo sperpero di denaro dei vescovi, ai preti pedofili e non a chi dimostra sensibilità, compassione e amore per tutti gli esseri viventi.

Pare stia diventando un’ossessione, ma papa Francesco (che di Francesco ha solo il nome) torna a prendersela con chi si interessa di animali accusandoli di trascurare le esigenze degli umani, cioè sottraendo beni ed energie che dovrebbero essere ad esclusivo vantaggio degli umani.

Quando e dove ha visto un animalista negare il proprio aiuto agli umani? Noi non dividiamo a metà le nostre risorse ma moltiplichiamo il nostro impegno a vantaggio degli uni e degli altri; per questo la coscienza animalista/vegana è su livelli evolutivi ampiamente diversi.

La nostra compassione non si limita alle necessità degli uomini ma si allarga a raggiera verso ogni essere vivente. E se è vero che Dio ama tutte le cose il nostro amare è più vicino al modo di amare Dio.

Il papa invita ad interessarsi solo degli umani (crudeli, guerrafondai, stupratori, assassini, falsi, ipocriti, bugiardi ecc.) invece di animali semplici, leali, miti, generosi ecc., cioè di chi da millenni (anche o soprattutto a causa della Chiesa) ha condannato ad un inferno inimmaginabile miliardi di miliardi di creature innocenti, per soddisfare l’egoismo e la crapula umana.

Possibile che questo papa non capisca che l’etica animalista è un una rivoluzione inarrestabile? Che ciò che ha impedito e impedisce l’evoluzione civile, morale e spirituale degli esseri umani è la capacità di differenziare sofferenza umana da sofferenza animale, compassione umana da compassione animale, giustizia umana da giustizia animale e che questo abitua l’uomo alla legge del forte sul debole, alla violenza, alla tirannia, alla guerra? Possibile che non capisca che è proprio il consumo di carne con quello che richiedono gli allevamenti (quindi l’indifferenza verso la condizione animale) la principale causa della fame nel mondo?

Propongo alle associazioni animaliste e vegetariane di attivarsi in una capillare campagna di reazione al ripetuto attacco del papa verso chi dona amore anche agli animali. Una petizione che inviti i potenziali cattolici a spostare il loro interesse verso religioni più rispettose del mondo animale e soprattutto faccia in modo che nessuno dei parenti e amici versi l’8 per mille alla chiesa del papa specista.

“Quando la morale sociale è superiore alla morale religiosa, quella religione è perduta” (Pierre Teilhard de Chardin, gesuita, filosofo e paleontologo francese).

May 14, 2016

E’ partita l’11 Maggio 2016 la nuova edizione di uno dei più importanti e prestigiosi eventi cinematografici internazionali: il Festival di Cannes, sotto la direzione artistica di Thierry Frémaux. Le migliori pellicole d’autore e un red carpet affollato di divi del grande schermo, tra cui Jessica Chastain, Susan Sarandon, Lily Donaldson, Julianne Moore, Eva Longoria, Julia Roberts, George Clooney, Steven Spielberg e Jodie Foster, questo e molto altro rende la kermesse uno degli appuntamenti più attesi e mondani dell’anno.

In programma, dall’11 al 22 maggio, 21 film provenienti da 14 Paesi.

L’apertura della Croisette, tra imponenti misure di sicurezza, è stata inaugurata dalla commedia malinconica e romantica, Café Society, che segna un ritorno al passato del suo regista, Woody Allen, presente insieme alle protagoniste Kristen Stewart e Blake Lively. Primo film in Concorso è Sieranevada di Cristi Puiu, mentre Fuori Concorso troviamo alcuni grandi nomi: il Premio Oscar Steven Spielberg, con il film per ragazzi GGG – Il Grande Gigante Gentile; Jodie Foster in veste di regista della pellicola Money Monster; Jim Jarmusch alle prese con un documentario sulla rockstar Iggy Pop e in concorso con il film Paterson. E ancora: Alejandro Jodorowsky con Poesìa sin fin; Paul Vecchiali con Le cancro; il coreano Park Chan-Wook presenta Agassi; Jeff Nichols arriva con il suo Loving; il rumeno Cristian Mungiu presente con Bacalaureat; il ritorno del regista britannico Ken Loach con I, Damien Blake, un intenso film/denuncia sulla poetica disperazione degli ultimi, degli invisibili, schiacciati dall’iniquo e paradossale sistema previdenziale del loro Paese; e l’attesissimo e favorito film di Pedro Almodovar, Julieta. Per l’Italia troviamo il noir di Stefano Mordini, Pericle il nero, unico film italiano presente nella selezione ufficiale dedicata alle nuove tendenze contemporanee, Un Certain Regard, tratto dal romanzo cult di Giuseppe Farrandino, con Riccardo Scamarcio e prodotto da Valeria Golino, presente tra i membri della giuria, presieduta da George Miller, regista di Mad Max. Altri film italiani sono presenti nelle sezioni collaterali: la produzione italo-greca L’ultima spiaggia dei registi Davide Del Degan e Thanos Anastopoulos, che racconta i cambiamenti di una piccola città stravolta dall’arrivo dei migranti; nella Quinzaine dei Realisaterus, Fai bei sogni di Marco Bellocchio, ispirata all’omonimo best seller di Gramellini, con Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo; La Pazza Gioia di Paolo Virzì con protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti; Fiore di Claudio Giovannesi con Valerio Mastandrea e Daphne Scoccia; nella Semaine de la critique troviamo I Tempi felici verranno presto di Alessandro Comodin. In pole position per la critica, i fratelli Dardenne con La fille inconnue, il canadese Xavier Dolan con Juste la fin du monde, e Olivier Assyas con Personal Shopper, anche questo interpretato da Kristen Stewart. Infine, il lungometraggio The Last Face, diretto da Sean Penn, presentato in anteprima a Cannes, con protagonisti Charlize Theron e Javier Bardem. Il 16 maggio arriva in Costa azzurra un ospite speciale: Robert De Niro, che accompagna la proiezione del suo ultimo lavoro, Hands of Stone. Susan Sarandon e Geena Davis, indimenticabili protagoniste di Thelma & Louise di Ridley Scott, oltre ad essere entrambe due attiviste impegnate su più fronti per la tutela dei diritti delle donne, riceveranno il Women in Motion Award 2016 della Kering Foundation, arricchito quest’anno da dibattiti e incontri a tema.

Gli Ona, presenti in tutta l'Isola Grande della Terra del Fuoco, sono rimasti a lungo confusi con le altre popolazioni fueghine.
Il ritardo nella individuazione di quello che costituiva il gruppo etnico più numeroso della Terra del Fuoco sembra doversi attribuire alla morfologia dell'Isola Grande: le coste orientali, dove gli Ona si affacciavano al mare, sono prive di porti e sono seminate di bassi fondali, il che teneva lontane le navi.

Solo nella seconda metà del XX secolo gli Ona sono stati individuati. Ne hanno riconosciuta l'esistenza i missionari anglicani di Ushuaia, i primi anche a classificare la popolazione fueghina in Alacaluf, Yaman e Ona (gli Haush erano già' scomparsi); per conoscerne i costumi si è dovuto attendere il 1879 quando, Ramón Serrano Montaner (a quel tempo capitano di marina, poi, dal 1900 al 1903, deputato al parlamento cileno) ebbe il coraggio di addentrarsi all'interno dell'Isola Grande guidando una spedizione nella zona pianeggiante.

Nella circostanza si evidenziò come grande fosse l'errore di avere accomunato i gruppi etnici. Gli Ona differivano non solo per il linguaggio ma anche, vistosamente, per l'aspetto fisico. Gli Alacaluf e gli Yamanes erano piccoli di statura e sformati agli arti inferiori. Gli Ona erano longilinei e con un fisico ben proporzionato. Il padre De Agostini, un missionario salesiano che ha soggiornato più di trenta anni in Terra del Fuoco riassumendo nella sua persona, in misura eccelsa, cultura geografica, alpinismo e carità cristiana, in uno dei suoi volumi ("I miei viaggi alla Terra del Fuoco", Paravia, Torino, 1934), ha così presentato la razza ona: "La statura ha proporzioni da gigante arrivando fino a 1,90, con una media nell'uomo, di m 1,75 e nella donna di m 1,70. Il colore della pelle è alquanto abbronzato e vi aggiunge molta vivezza il rosso delle guance che si osserva in molti di essi e che nelle giovani forma la principale attrazione. Hanno la testa grande, la faccia schiacciata , i capelli nero, fitti, setolosi, occhi un po' obliqui, neri, vivi, somiglianti nella forma alla razza mongolica, ...la bocca larga con labbra aperte ordinariamente al sorriso. I denti sono sani e di sorprendente bianchezza. Ad accezione dei capelli, gli Ona non lasciavano crescere sul loro corpo lanuggini di sorta ed il desiderio di sembrare belli li obbligava a strapparsi i peli della barba e delle ciglia. Il volto quindi presenta sempre uno strano aspetto giovanile, motivo per cui è assai difficile giudicare la loro età”
Ogni giorno gli Ona dedicavano un po' del loro tempo alla cura della persona. Le donne portavano una frangetta sulla fronte, gli uomini esteriorizzavano eventi o stati d'animo colorando l'epidermide. La colorazione era evidente: pur vivendo in un ambiente rude e freddo: gli Ona, al pari degli altri gruppi etnici, mancavano di qualsiasi tipo di vestiario chiuso o aderente, si coprivano con un pezzo rettangolare di pelliccia di guanaco che lasciava scoperte le braccia e le gambe. Ai piedi gli Ona portavano calzari di pelle dello stesso animale. "In ambo i sessi si trovano individui che per la grazia del volto, per la correttezza e la proporzione delle membra, si possono considerare come veri modelli di forme e di eleganza" (De Agostini, op.cit.).

A sviluppare e a mantenere il loro aspetto contribuiva l'abbondanza di cibo, il continuo e regolare esercizio fisico dovuto alle esigenze di caccia, il clima molto più secco e salubre di quello del versante orientale , dove vivevano gli Acaluf e gli Yamanes.

La necessità di cambiare continuamente posto alla ricerca di cibo imponeva l'adozione di una abitazione semplice, quella che, una volta smontata, la donna, che nella circostanza, si trasformava in una bestia da soma, poteva portare, unitamente ai pochissimi utensili, sulle spalle. L'abitazione era una capanna di pelli di guanaco montate su assi di legno. Durante i trasferimenti l'uomo portava solo archi e frecce per essere sempre pronto a colpire la selvaggina. che costituiva l’alimentazione di base della comunità

 

Nino Modugno

Sostanze e comportamenti in grado, secondo le tradizioni popolari, di migliorare le prestazioni sessuali.

 

Una volta che si è fidanzato o sposato l’uomo deve essere all’altezza della situazione. Ma non sempre è così. O magari, nella circostanza, l’uomo vuole strafare. Nella prima o nella seconda ipotesi l’uomo per dilatare le sue capacità amatorie ricorre a vari elementi della natura, cui ai nostri giorni le credenze popolari attribuiscono il potere di aumentare il desiderio sessuale:

—   polvere di cantaride. La cantaride, come è noto, è un coleottero di colore verde con riflessi dorati;

—   polvere di ossa di tigre. La polvere a Shanghai va versata in un bicchiere di vino. La polvere di corno di rinoceronte, pur seguitando a godere della sua fama secolare, in Cina è pressoché introvabile;

— acqua addolcita con miele, o cannella, o spumante dolce;

—   l’acqua di una fontanella di Licata. La fontanella si trova in via della fontanella, di fronte all’ospedale cittadino;

—   la zuppa con i vermicelli di riso;

—   un infuso di pelle essiccata di geco;

—   un infuso di “Alcanfor”, vale a dire di foglie dell’albero della canfora;

—   le Amanite Caesaree, i funghi volgarmente chiamati “Ovuli buoni” e che a Frattamaggiore, dove è stata riscontrata la credenza, chiamano con una espressione che, tradotta in italiano, suona “tuorli d’uovo”;

—   i “frutti di mare”, termine con il quale si riassumono tutti i crostacei e i molluschi commestibili che vivono in mare;

—   un riccio cotto;

—   la rucola (Eruca saliva). Perché non perdano la loro efficacia, le foglie della pianta devono essere consumate crude. A Roma la pianta è più conosciuta sotto la denominazione di “rughetta”;

        il dragoncello (Artemisia dracunculus), che a Monterigioni, è chiamato, non a caso, “erba d’amore”. A Monteriggioni con il dragoncello si condiscono gli spaghetti: se ne utilizzano le foglie e le sommità fiorite;

        l’ulivo benedetto la Domenica delle Palme passato sulla schiena mentre si dice “San Cosma e Damiano, io medico e tu sani”:

        la zuppa Sopa de machos (salame di testicoli di toro, sedano, menta e altro) in menù a Casa de Oro, ristorante di La Paz (Bolivia):

        i fichi d’India:

        la polvere di un camaleonte essiccato messa in un profumo poi applicato sul collo,

        la testa del pesce;

        il liquore ottenuto macerando per una settimana in un litro di tequila 30 grammi di Damiana (Turnera diffusa var aphhrodisiaca), piccolo arbusto delle Turneracee;

        il balut (parola che, in linguafilippina, significa "incartato"); consiste in un uovo di anatra o di gallina fecondato e bollito nel suo guscio poco prima della sua schiusa, quando l'embrione al suo interno è quasi completamente formato. In relazione ai suoi poteri afrodisiaci, a Baguio viene offerto durante la notte da venditori ambulanti;

                           i semi di cardamomo in vino caldo:

—   il rosmarino, se ingerito in piccole dosi o messo nell’acqua del bagno;

        il sedano: va consumato crudo;

                 il prezzemolo. Anche questa pianta va consumata cruda;

        foglie di una pianta rampicante detta a San Costantino Albanese "qurpero". Si mangia con gli spaghetti, con la pancetta, con la verdura cotta;

        un profumo qualsiasi nel quale siano stati immersi: valeriana, polvere di Piedra de Iman, cenere di colibrì. La piedra de Iman (magnetite, ossido di ferro Fe2O4) è la pietra su cui giacque il corpo di Cristo dopo la discesa dalla croce. Le sue proprietà miracolose sarebbero state scoperte da Goffredo di Buglione nel corso di una sanguinosa battaglia contro gli infedeli sotto le mura di Gerusalemme. I colibrì sono presenti solo nel continente americano: questo comportamento risulta infatti praticato a Cuba:

—   sangue di toro o di vitello raccolto e bevuto al momento del macello.

      Anche in altre parti della terra si attribuisce al sangue un potere afrodisiaco. L’animale in questione è il serpente. In Vietnam il sangue di questo rettile diventa afrodisiaco l’ultimo giorno del mese lunare. In Cina al sangue di serpente si aggiunge un liquore, a Taiwan il vino. A Taipei questo intruglio viene posto all’asta al termine di un combattimento tra un cobra e una mangusta (vince sempre la mangusta). L’asta non va mai deserta e raggiunge cifre interessanti. Osservando lo spettacolo viene da pensare che l’efficacia di questo afrodisiaco sia temporanea: i vincitori dell’asta, bevuto l’intruglio (il bicchiere che lo contiene va restituito agli organizzatori del match cobra-mangusta), si allontanano velocemente per andare a raggiungere la loro donna.

      Alcuni alimenti acquistano proprietà afrodisiache solo in determinati periodi dell’anno. Così ad Amaseno diventa afrodisiaco un formaggio detto “marzolino”, confezionato, come dice il suo nome, nel mese di marzo, e a Marana (L’Aquila) lo diventano i funghi raccolti dopo la mezzanotte del 23 giugno e prima dell’alba del 24. Colti prima di essere raggiunti da un raggio di sole e quindi bagnati di rugiada, nella breve “notte delle streghe” acquistano particolari proprietà molti vegetali, fra i quali appunto i funghi.

         Per una cognizione dei luoghi, ove non citati, cui vanno riferiti i comportamenti esposti, come pure per la collocazione geografica (provincia per l’Italia, stato per l’estero) degli insediamenti menzionati vedasi pag 12I e segg. di “Il mondo magico dell’amore”, di Nino Modugno, La Mandragora, Imola.

Nino Modugno

 

May 08, 2016

Le dimissioni di Ahmet Davutoğlu dalla dirigenza del partito e dalla carica di primo ministro aprono scenari preoccupanti sull'eccessivo accentramento dei poteri nelle mani del presidente Recep Tayyip Erdoğan

Dopo quattordici anni di vita politica e due da primo ministro e presidente del partito Giustizia e Sviluppo (AKP, attualmente al governo), Ahmet Davutoğlu si è dimesso. Una decisione presa, secondo il quotidiano turco Hürriyet Daily News, a causa di contrasti sorti con Erdoğan su diverse questioni, tra le quali il giro di vite sulla libertà di stampa e il sistema presidenziale. Sta di fatto che per le due principali forze di opposizione, il Partito repubblicano del popolo (CHP) e il Partito democratico dei popoli (HDP), le dimissioni di Davutoğlu sono in realtà un “colpo di stato” di Erdoğan. Di fronte a questo nuovo sviluppo, che riduce al minimo la dialettica interna al governo di Ankara, l'Unione Europea è apparsa preoccupata, soprattutto in merito al recente accordo sulla gestione della questione dei migranti e rifugiati. Se Bruxelles, priva di strategie per affrontarla, conta sulla Turchia è proprio per l'immagine di stabilità che Erdoğan ne aveva dato, a partire dalla vittoria alle elezioni parlamentari dello scorso novembre. Si tratta dunque di una preoccupazione proporzionale alla fiducia nell'ennesimo “uomo forte”, che rischia ora di fare la fine degli altri “uomini forti” cui le grandi potenze si sono affidate nei momenti di crisi geopolitica.

Davutoğlu si era distinto nell'ambiente accademico per la sua interessante visione di profondità strategica. La Turchia, secondo lui, avrebbe dovuto approfittare della sua posizione strategica e della sua identità di democrazia musulmana ma laica per affermarsi come ponte tra Europa, Caucaso e Medio Oriente. Tre regioni che a livello geopolitico, sia pure su diversi livelli e per ragioni differenti, vivono una fase di profonda crisi. Una prospettiva coraggiosa, che, in teoria, avrebbe permesso alla Turchia di riaffermarsi come grande potenza regionale, ricomponendo contraddizioni interne (come la questione curda) e conflitti esterni (come la questione armena) in un delicato equilibrio di forze. Per questo, nel 2010 la rivista statunitense Foreign Policy lo aveva classificato al settimo posto tra i pensatori politici mondiali. E per la stessa ragione, Davutoğlu avrebbe potuto essere un personaggio chiave per una soluzione diplomatica del conflitto siriano, tanto più urgente oggi, se è vero quanto affermato dalla stessa Foreign Policy qualche giorno fa, a proposito delle intenzioni del Fronte al-Nusra (ramo siriano di al-Qaeda, sostenuto da Ankara per abbattere il regime del presidente Bashar al-Asad) di fondare un emirato nel Nord della Siria, “alternativo” al califfato dei cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico.

La prima divergenza tra Erdoğan e Davutoğlu è emersa lo scorso anno, quando l'allora primo ministro ha sostenuto la decisione di Hakan Fidan, capo dell'intelligence turca (MİT), di dimettersi dalla sua carica per candidarsi alle elezioni parlamentari che si sarebbero tenute il 7 giugno: le stesse che hanno segnato la perdita della maggioranza assoluta dell'AKP e che, per il fallimento non proprio casuale delle trattative per un governo di coalizione, sono state ripetute il 1 novembre. In quell'occasione, Erdoğan ha praticamente costretto Fidan a mantenere il suo incarico nel MİT, come uomo chiave per la sicurezza interna e per combattere il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), con il quale il processo di pace è stato interrotto. A proposito di queste controverse elezioni, Davutoğlu si è mostrato più aperto al confronto con le altre forze politiche, preferendo, al contrario di Erdoğan, un governo di coalizione a nuove elezioni. Inoltre, secondo indiscrezioni, le sue posizioni sul sistema presidenziale voluto da Erdoğan erano più moderate, come dimostrerebbe la sua intenzione di portare il dibattito in parlamento. Similmente, l'ex primo ministro turco era apparso più flessibile di Erdoğan sui colloqui di pace con il PKK, mentre il presidente ha colto tutte le opportunità per risolvere il conflitto manu militari. Davutoğlu ha mostrato inoltre una certa freddezza sulla proposta di Erdoğan di ampliare la definizione di terrorismo nel codice penale turco, che peraltro già prevede “reati” come insulto al presidente o denigrazione dell'identità turca.

Per questo le opposizioni temono ora che le restrizioni alla libertà di stampa aumentino sensibilmente, in una situazione già difficile per i giornalisti turchi. Ne è un esempio il caso di Erdem Gül e Can Dündar, rispettivamente direttore del quotidiano turco di opposizione Cumhuriyet e caporedattore della sede di Ankara. Entrambi sono stati condannati lo scorso sei maggio a cinque anni di prigione per aver rivelato segreti di Stato e fatto propaganda per un'organizzazione terroristica, per la pubblicazione di un reportage su un traffico di armi dalla Turchia alla Siria attraverso automezzi dell'intelligence turca. In occasione del loro arresto, mentre Davutoğlu aveva detto di attendere il verdetto del tribunale, Erdoğan è stato sempre sicuro della loro colpevolezza, arrivando a minacciare Dündar di fargliela pagare cara. Lo stesso giorno della sentenza, di fronte al tribunale di Istanbul, Dündar è scampato illeso a un attentato, nel quale un uomo, in seguito arrestato, ha tentato invano di sparargli a una gamba. I primi a intervenire sono stati la moglie e il legale del giornalista (membro del partito CHP). Dündar ha poi dichiarato in aula di aver subito due tentativi di assassinio, uno davanti al tribunale, il secondo al processo, per aver fatto giornalismo. Il suo assalitore, intanto, afferma di aver agito individualmente, “per dargli una lezione”: “se avessi voluto ucciderlo lo avrei fatto, gli ho sparato a una gamba per spaventarlo”. Chissà se ora l'Unione Europea rivedrà la sua definizione della Turchia come “paese sicuro”, indispensabile per portare avanti l'accordo sui rifugiati...

L’anno scorso ci fu chi preferì rimanere a casa in pantofole per non partecipare allo “spettacolo deludente” di un ViniCirco decrepito, cadente e scadente e chi, quest’anno, improvvisato imprenditore vinicolo, pur di primeggiare e farsi notare (i soliti maligni bisbigliano che lo faccia perché il “suo” vino non riesce a donargli visibilità) ha strombazzato a tutti i venti la ormai retorica filippica: “il Vinitaly deve essere spostato a Milano in una sede più europea”. Queste due posizioni estreme, come sempre accade nell’analisi dettagliata di atteggiamenti e posizioni al limite dell’esagerazione, celano una parte di verità ma il buon senso porta ad altre conclusioni.

Nell’edizione appena conclusa, la cinquantesima, abbiamo registrato una maggiore attenzione tendente a circoscrivere tutti quei fenomeni da baraccone, privilegiando quei cambiamenti importanti attesi da tempo. È stata una Fiera più Fiera dove gli investimenti sostanziosi hanno di fatto consegnato al visitatore strutture efficienti e servizi adeguati. Insomma è valsa la pena togliersi le pantofole, uscire di casa e partecipare alla 50° Edizione del Vinitaly.

Diverso il risultato della logistica esterna che ha fatto gridare allo scandalo il neo-imprenditore vinicolo noto ed apprezzato professionista in altro campo.

Durante la presentazione dell’Edizione 2016 avvenuta a Roma ebbi a scrivere sull’argomento:”tutti noi restiamo fiduciosi delle predisposizioni per rendere più facilitati sia l’ingresso verso la Fiera sia l’uscita alla sera. Speriamo che la Polizia Locale di Verona abbia in serbo un Piano per la circolazione per non registrare e narrare le dolenti note di vini 2014tutti gli anni unite alle scene raccapriccianti che ne conseguono”.

È andata un po’ meglio, in particolare nella gestione delle corse delle navette da e per i parcheggi scambiatori e per la Stazione Centrale di Porta Nuova. Per il resto niente nuove da segnalare. Forse O.T. (il nome dell’etichetta dei suoi vini) tutti i torti non li ha.

Ma alla fine, checché se ne dica, il Vinitaly ha vinto la sua sfida dichiarata alla vigilia: sarà un Vinitaly di qualità! 130.000 operatori, dei quali 50.000 da 140 Paesi con 28.000 Top Buyer accreditati e le 29.000 presenze al fuori salone Vinitaly and the Cit;, sono numeri da capogiro.

Il centro storico di Verona fulcro di quella diversificazione che ha orientato moltissimi wine lover, appassionati e giovani, verso degustazioni, spettacoli, eventi culturali riempiendo piazze e locali e diversificando così l’offerta con maggiore spazio-fiera alla Fiera.

Wine business in Fiera e Wine festival in città.

E su questo, caro O.T., VeronaFiere ha mantenuto quanto promesso alla vigilia.

Nei quattro giorni (per inciso qualcuno torna a dire e scrivere che sono pochi dopo la cantilena durata anni per ridurre i cinque praticati agli attuali quattro), oltre agli incontri b2b ( acronimo che significa business-to-business, commercio internazionale), si sono tenuti più di 300 appuntamenti tra convegni, seminari, incontri anche di formazione sul mondo del vino. Non dimentichiamo le esclusive degustazioni di Vinitaly International Academy sotto l’attenta regia di Ian D’Agata.

Vinitaly eventi per Verona Foto EnneviVinitaly, come in tutte le sue edizioni, non si è limitato alla promozione del Vino Italiano. Un padiglione per gli ospiti stranieri Vininternational, il padiglione di Sol&Agrifood, la manifestazione sull’agroalimentare di qualità ed Enolitech, la rassegna su accessori e tecnologie per la filiera oleicola e vitivinicola.

E poi quando si rilasciano 2.357 accrediti per giornalisti provenienti da 47 paesi diversi dopo attenta selezione significa che l’intenzione e l’interesse è altissimo.

La 51° Edizione di Vinitaly è in programma dal 9 al 12 aprile 2017. Continua a prevalere il buon senso: niente pantofole e sempre a Verona. Save the Date

May 01, 2016

Alessandro Pajno, il neo-presidente del Consiglio di Stato, ha presentato al pubblico il frutto dello sforzo del Consiglio quale contributo al riordino della Pubblica Amministrazione che il Governo si accinge a varare. 13 pareri in 50 giorni, con la media di circa un mese per ciascun atto. Quasi 700 pagine di quei 13 pareri, frutto dell’esame dei 481 di cui complessivamente si compongono. Si è trattato di mettere a fuoco il nuovo assetto dell’apparato pubblico – oltre agli 11 decreti del primo pacchetto Madia (gli ultimi tre pareri; Servizi pubblici locali; Forze di polizia e direttori Asl- sono in via di pubblicazione), in un mese e mezzo è stato esaminato anche il nuovo codice dei contratti pubblici e il decreto del processo telematico presso il Tar e il Consiglio di Stato che decollerà il prossimo primo luglio.

La conferenza stampa sull’attività del Consiglio di Stato è il primo di una serie di appuntamenti diretto a creare un canale di comunicazione tra il Consiglio di Stato, i Tribunali amministrativi ed il cittadino. L’obiettivo è quello di informare sull’attività della Giustizia amministrativa, i traguardi raggiunti ed il lavoro che si sta svolgendo. In particolare, questo primo incontro ha riguardato i più recenti pareri del Consiglio di Stato sugli atti normativi del Governo tra i quali la riforma della pubblica amministrazione, il codice dei contratti pubblici e il canone RAI. “Nel dare i pareri”, ha sottolineato Franco Frattini, Presidente della Sezione consultiva degli Atti Normativi ,”abbiamo tenuto fermi tre principi: tendere alla codificazione e, dunque, evitare che lo sfilacciamento di norme faccia perdere di vista l’unitarietà dell’impianto; fare in modo che la riforma funzioni, evitando il più possibile eventuali rischi di blocco; valutarne l’impatto economico e sociale”

Ritenute responsabili di eventi gravi quali la morte di un giovane, una malattia improvvisa, un’epidemia, un raccolto mal riuscito, una siccità prolungata, centinaia, forse migliaia, di persone innocenti, accusate di stregoneria, finiscono i loro giorni, ghettizzate, in appositi campi di detenzione ove le recinzioni, come vedremo, non sono necessarie. Questi insediamenti sono conosciuti come ‘witch camps’ ed hanno la finalità di neutralizzare la presunta negatività delle persone ospitate. Nella scarsa dottrina che li ha presi in considerazione i campi sono identificati con il nome della entità amministrativa (Gambaga, Gnani, Gushiegu, Kpatinga, Kukuo) cui appartengono.
Salvo quello di Gnani, i campi ospitano solo donne che, eufemisticamente, sono chiamate vecchie signore. Come le loro controparti femminili, gli uomini presenti sono stati accusati di aver provocato morte o malattie attraverso la magia nera. Anche negli altri campi arrivano maschietti ma, una volta emendati, vengono rispediti al mittente in quanto nell’Africa Occidentale si ritiene che gli uomini usino l’arte magica per costruire, le donne per distruggere.
Le abitazioni dei witch camps non dispongono di energia elettrica e servizi igienici: sono capanne in “banco”, circolari per le donne, quadrate o rettangolari per gli uomini. Con il termine banco nell’Africa Occidentale si sintetizza la materia prima utilizzata per l’innalzamento della capanna. Il banco è costituito da un insieme di argilla, fango e paglia amalgamati nell’acqua dove ha bollito il frutto del neré (Parkia biglobosa), un albero spontaneo che mai in Ghana viene abbattuto in relazione alla sua utilità. E’ il caso di fare presente che, nelle regioni settentrionali del Ghana, nessuna capanna dei villaggi dispone di servizi igienici, pochissime sono collegate alla rete elettrica, quando – ed è molto raro – la rete elettrica c’è.
I tetti delle capanne sono di paglia. Quando l’harmattan, il vento secco e polveroso che soffia tra novembre e marzo dal Sahara al Golfo di Guinea, compromette, restringendoli, i vegetali della copertura, il tetto non protegge più l’abitazione dall’acqua piovana e va rifatto. Solo a Kpatinga, grazie all’associazione umanitaria Word Mission International, i tetti sono in lamiera. Durante la stagione secca a Gambaga, Gushiegu, Kukuo il pozzo centrale del villaggio si estingue e l’acqua va attinta al corso d’acqua più vicino che per Kukuo è il Volta Bianco, a 4,5 chilometri dal villaggio.

I campi hanno un gerente chiamato tindana (se donna magazia). Questi riceve ed ammette nel campo le persone accusate di stregonerie ed accerta la fondatezza dell’accusa. L’accertamento dello status di strega è in pratica un’ordalia, il Giudizio di Dio in uso nell’Europa medioevale. Il tindana (o magazia) taglia la gola ad un pollo e al termine dell’agonia lo lancia in aria: se l’uccello cade sulla schiena il soggetto è innocente, in caso contrario è strega. Se l’animale è caduto frontalmente la persona sotto esame deve essere esorcizzata con un rituale praticabile solo in questi campi specializzati. Al tal fine il tindana prepara un intruglio (fango, sangue di pollo, ossa triturate di testa di scimmia) che la persona deve ingurgitare. Poi per sette giorni si tiene la persona sotto controllo. Se al termine dei sette giorni la persona sta bene, la pozione è stata efficace, se ha accusato qualche disturbo l’operazione deve essere ripetuta.
L’accusa alle streghe più ripetuta è quella di essere responsabili di malattie gravi e di decessi senza spiegazione. L’accusa nasce dal convincimento, diffuso non solo nel Ghana ma anche in altre entità statali dell’Africa subsahariana, che vuole che le malattie derivino non da fattori biologici ma da fattori magici e che non tutte le morti siano naturali: quella di una persona anziana viene accettata senza sospetti, il decesso di una persona giovane viene invece attribuita a cause esterne alla persona per cui vanno cercate le responsabilità dell’agente che le ha provocate.
Anche i sogni alimentano l’accusa di stregoneria: la persona vista in sogno è spesso considerata una strega o un mago. Yagu Dinambo si trova a Ktapinga perché un cugino, nel 2007, quando era già vedova, l’ha accusata di tentato omicidio: il cugino, figlio di suo fratello, aveva sognato che Yagu suonava un particolare tamburo che nella tradizione del posto si usa per i funerali; al momento dell’intervista, cioè 6 anni dopo quel sogno, il cugino risultava vivo e vegeto. Altri casi: la signora Awabu potrebbe passare tutti i suoi giorni a Gambaga per un sogno della nuora (si è vista minacciata dalla suocera con un coltello); a Gnani il signor Kareem Mahama paga con l’esilio il sogno di un ragazzo del suo villaggio (aveva sognato che gli saltava addosso). Nel nord del Ghana sogni come questi sono interpretati come magia nera.

C’è poi un altro fattore alla base dell’accusa di stregoneria, l’interesse economico. Più del 70 per cento delle streghe dei witch camps sono vedove i cui beni sono ambiti dalla famiglia del defunto: il pretesto della stregoneria è vantaggioso perché consente di liberarsi di una pretendente all’eredità.
Una volta accusato di stregoneria, il soggetto è ostracizzato dalla sua comunità: l’accusa di stregoneria sradica le persone dalle loro case e le condanna a una vita di esilio. Sano Kojo, accusata di avere tolto il respiro ad un cugino gravandogli (invisibilmente) sul petto, è al campo di Kukuo dal 1981 e sembra che alcune donne abbiano vissuto nei campi, per più di 40 anni, cioè fino alla morte.

Impensabile per un soggetto accusato di stregoneria di potersi reinserire nella primitiva propria comunità. Aveva pensato in positivo Ayishetu Bujri espulsa dal suo villaggio sotto l’accusa di aver fatto ammalare la figlia di un vicino. Dopo aver trovato per un po’ di tempo ospitalità al campo di Gambaga, Ayishetu Bujri ha provato a fare ritorno al suo villaggio. E’ tornata a Gambaga con un orecchio mozzato. “Questo è solo un avvertimento”, le hanno detto al suo villaggio. “Se torni ti mozziamo anche l’altro”. Quindi anche l’opera di redenzione eseguita dal tindana non vale per la reimmissione della donna nel villaggio di provenienza.
Nonostante le apparenze, i campi costituiscono un’opera meritoria: salvano dal linciaggio le persone accusate di stregoneria. Il Ghana divide con altri paesi africani la credenza che le epidemie, alcuni decessi e le calamità naturali siano da attribuire alla magia nera, ma non elimina le persone incolpate, come avviene in altre entità statali dell’Africa Nera. Quanti, accusati di stregoneria, non sono riusciti ad arrivare ad una campo streghe sono state assassinati. La credenza sulle streghe è cosi fondata e diffusa che, non solo nella savana del Ghana ma anche nelle regioni più a sud, i superstiti coprono con il cemento le salme inumate per evitare che una strega rubi un arto del defunto da utilizzare per i rituali di magia nera.
I campi si trovano nella regione settentrionale del Ghana, dove i livelli di povertà sono più alti rispetto ad altre aree del paese e dove tre quarti degli adulti, secondo le Nazioni Unite, sono analfabeti rispetto al 43% a livello nazionale. Da questa zona del Ghana (dove non c’è nessuna guerra) non è mai partito nessun “migrante”, per l’Europa: i cosiddetti migranti arrivati nel nostro continente vengono dalle regioni del paese dove le case dispongono di luce elettrica, acqua potabile e, molto spesso, di internet e telefonia satellitare. Le grandi città del sud del Ghana, evolvendosi rapidamente, rafforzano la concezione dello stato di diritto. Le zone rurali mantengono le antiche tradizioni. Anche se la Costituzione del paese garantisce sulla carta l’uguaglianza ed i diritti civili.

 

* L’Universo, la rivista dell’Istituto Geografico Militare, nel numero 3 del 2015 ha pubblicato un lungo articolo (Nino Modugno, Ghana da scoprire: visita ai villaggi delle streghe, foto di Romano Gugliotta), sulla situazione nel Ghana delle cosiddette streghe. Unitamente ad una foto inedita di un’ospite di uno dei ‘witch camps’, sopra una sintesi del contenuto dell’articolo al quale si rinvia per un approfondimento sul tema e per la cognizione della documentazione raccolta.

 

Nino Modugno

 

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