
L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La riflessione!
Ci risiamo. Come tutti gli anni. Vendemmia sì o Vendemmia no?
Come al solito la notizia divulgata dalla Rai (Tg2) ci lascia nel limbo: buona o cattiva? Il servizio è partito categorico: vendemmia da non ricordare per la
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Sorbi - La festa della vendemmia |
scarsità produttiva. Poi, tramite interviste ai produttori, è proseguito in un altalenante spot a favore, ma non troppo, della vendemmia recuperata non in quantità ma in qualità. Il “povero” Prof. Riccardo Cotarella, nella sua veste di Presidente dell’Assoenologi, l’Associazione che raccoglie tutti gli enologi italiani, ha avuto il coraggio di richiamare i colleghi “a dire la verità” sulla vendemmia 2017. È stato “massacrato” dai vari Superconsorzi e UVI (Unione Italiana Vini), reo di discriminare il buon nome del Vino italiano. E i degustatori, assaggiatori, seguaci del bravo comico Albanese, privati della certezza buona o cattiva, ricercheranno nei calici il profumo “della gelata primaverile che apre a sentori solari ricchi di raggi UV per l’eccessiva esposizione”. Senza dimenticare “l’uva vizza” dovuta alla mancanza di acqua. Il “carrozzone enoico italico” del vino è già in fermento. Importante è mantenere il primato mondiale della produzione. Se poi a fruirne saranno i Consorzi dei vini in tetrapack (Tavernello, Ronco, San Crispino ecc…) non importa. E i francesi se la ridono (ndr)(U.C.)
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Il prof. Riccardo Cotarella |
Frammento n. 1
“Vendemmia 2017, ma quale alta qualità”.
Il Prof. Riccardo Cotarella, Presidente dell’AssoEnologi, l’Associazione che raccoglie gli enologi italiani, si rivolge ai colleghi invitandoli “a dire la verità sulla vendemmia 2017”. “A fronte di un innalzamento del grado zuccherino, riscontriamo un’altissima acidità. E questo è anomalo”. “Parlare di questa vendemmia mi rattrista. La situazione è pesante in tutte le Regioni d’Italia”. Il Prof. Cotarella va giù duro. “Gli enologi non devono seguire le logiche di mercato né cercare di indorare la pillola” Tutto questo è stato detto durante un convegno tenutosi nelle Marche in occasione del 50° anniversario della DOC Rosso Conero.
Frammento n. 2
La “risposta” del Gruppo Schenk e dell’UVI.
La risposta indiretta al Prof. Cotarella non è tardata ad arrivare. È nel commento di Daniele Simoni, Amministratore Delegato di Schenk Italian Wineries, colosso nel settore vinicolo italiano e
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Daniele Simoni, AD SchenK Italia |
internazionale. Basti pensare che il solo gruppo italiano Schenk produce 52 milioni di bottiglie all’anno. “Stiamo registrando un calo circoscritto ai volumi non alla qualità”. Ed ecco la pillolina amara. “Si potrebbero (il condizionale foriero di verità nascoste) aprire scenari diversi per il consumatore: a fronte di minor prodotto, aumento dei prezzi. Noi siamo però ottimisti confidando che il consumatore rimarrà fedele alla qualità (pagando di tasca propria l’andamento stagionale avverso n.d.r.). L’U.V.I., Unione Italiana Vini, da parte sua, nell’ammettere le difficoltà riscontrate ed emerse dai primi dati della vendemmia, conferma il primato produttivo mondiale italiano davanti a Spagna e Francia. Come dire: non è successo niente. Il prof. Cotarella è un “catastrofista”!
Frammento n. 3
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vigneti nello Ningxia |
Cina: è giunto il momento di smettere di imitare gli altri.
In Cina si passa alla fase CINQUE. Dopo aver studiato agronomia in riferimento alla viticoltura ed enologia (come fare vino), trovato le aree con terreni, microclimi, altitudini adatte all’allevamento dei vitigni, importato i macchinari necessari e studiato come produrli in loco, importato vini europei (per la qualità) per studiarne i segreti più nascosti, aver prodotto vini “imitati”, i cinesi sono pronti a camminare da soli e presentarsi sui mercati internazionali con prodotti di alta qualità. Regioni come Shanxi, Xinjiang e in particolare Ningxia, hanno accumulato da tempo esperienze e apprendimento. I viticoltori cinesi iniziano a essere consapevoli della diversità dei territori e stanno cambiando in funzione del terroir. Non più solo Cabernet, Merlot, Chardonnay in tutti i territori. Lo studio delle zone vocate è in atto. Sono arrivati vitigni come il Marselan, Petit Manseng, Malbec, Tempranillo e udite, udite, l’Aglianico (Grace Vineyards). Presto arriverà anche il Sangiovese e ne vedremo delle belle!
Frammento n. 4
Il Prosecco fa male ai denti. Poi ci ripensano: è una fake news.
Daily Mail e Guardian in testa. I grandi quotidiani inglesi cadono nella bufala del Prof. Darmien Walmsley, sedicente esperto della British Dental Association, che indica Il Prosecco come bevanda
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l'articolo del Guardian |
zuccherina-alcolica con l’aggravante dell’anidride carbonica e causa di tutti i mali con alto rischio di corrosione per i denti. Come se tutti gli spumanti, anche quelli inglesi, non contenessero zucchero, alcool e CO2. Poi si viene a sapere che i produttori britannici di birra sono preoccupati da tempo sull’aumento delle vendite di sparkling, con in testa il Prosecco. Che sia la lobby britannica della birra l’autrice di questa fake news (da noi detta più semplicemente bufala mediatica)? Una cosa è certa: è durata dalla sera alla mattina con tanto di scuse dei quotidiani per la notizia alquanto fantasiosa. Per questa volta lo sparkling, con il Prosecco in testa, sono salvi.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
8 settembre 2017 , 20:07
*Questa è una lettera che avevo indirizzato ad Alessandro Di Battista in merito al suo intervento alla Camera sul caso Regeni-NYT e, per conoscenza, ad alcuni parlamentari 5Stelle di mia conoscenza. Non ho ricevuto risposta e questa lettera diventa pubblica, anche perché contiene considerazioni che possono essere indirizzate a molte altre persone* *Questa che è una critica all’intervento del deputato 5Stelle e un invito a riconsiderare certe sue posizioni, non mette minimamente in questione la stima e la solidarietà che ho nei confronti di tante ottime battaglie condotte da Di Battista, alcune delle quali sono state anche da me condivise sul campo*
Caro Alessandro Di Battista,
faccio il giornalista da oltre mezzo secolo, oggi indipendente ma vengo da organi come la BBC, Paese Sera, Panorama (pre-Berlusconi), L’Espresso, The Middle East, Giorni Vie Nuove, Astrolabio, Rai-TG3. Ho sostenuto molte attività del M5S e con il MoVimento e suoi illustri sostenitori ho organizzato nella mia zona pubbliche iniziative (con Morra, Ruocco, Imposimato, Lanutti, Scibona, Bertorotta…) Ho intervistato deputati e senatori del MoVimento, compreso te, sono amico della senatrice Ornella
Bertorotta e ho partecipato a numerose vostre iniziative alla Camera e al Senato. Miei documentari sono stati presentati al Senato. Ho lavorato con militanti 5Stelle sul territorio per i miei documentari e articoli No Tav, No Muos, No Triv, No Basi, terremotati. Spero che tutto questo mi dia un po’ di credibilità.
Conosco la tua esperienza in America Latina e nel Sud del mondo e quindi presumo una tua conoscenza del modus operandi di certe grandi potenze dagli insopprimibili appetiti coloniali in quelle parti del mondo.
Perciò sono rimasto sinceramente esterrefatto per le tue dichiarazioni alla Camera sulla questione Giulio Regeni e, in particolare, per aver accreditato la manifesta bufala di un giornale come il New York Times sulle presunte “prove inconfutabili”, di un suo articolo assolutamente privo di prove inconfutabili, che sarebbero state fornite da un oscuro e anonimo funzionario dell’amministrazione Obama. Prove di cui da allora non si è saputo più nulla. Documenti di cui il governo italiano dice di non aver mai
saputo nulla (e mi sembra difficile negare qualcosa che potrebbe poi, apparendo, ritorcersi in maniera disastrosa su chi aveva negato).
Considerare il NYT lo standard aureo dell’informazione è perlomeno azzardato, visto il ruolo che questo quotidiano, espressione dell’estrema destra israeliana, ha sempre sostenuto nell’avallare le ragioni, false, per tutte le guerre d’aggressione Usa, comprese le famigerate armi di distruzione di massa.
La questione Regeni è complessa e vi si incrociano interessi dichiarati e altri molto poco dichiarati. Merita un’analisi attenta come quella che in parecchi, compreso il sottoscritto, vi hanno dedicato. Va inquadrato nella contesa geopolitica sul controllo dell’Egitto e dei suoi rapporti con un paese cruciale nel Mediterraneo come l’Italia, controllo che è diventato oggetto di contesa tra potenze varie, soprattutto da quando l’Egitto, sotto la spinta di una rivolta di massa (molto meno che di un golpe militare che l’ha solo assecondata), si è liberato del regime oppressivo e ntegralista dei Fratelli musulmani, da sempre fiduciari degli interessi coloniali occidentali nel mondo arabo e matrice di buona parte del terrorismo che oggi vi imperversa.
Ciò che turba nell’accanita campagna per la verità per Giulio Regeni è che tutti trascurano i precedenti professionali del giovane e in particolare il suo lavoro per un gruppo di persone specializzate in operazioni sporche: i dirigenti dell’impresa transnazionale di spionaggio “Oxford Analytica” John Negroponte, organizzatore degli squadroni della morte in Nicaragua e Iraq, Colin McColl, già capo dell’MI6, e David Young, processato e incarcerato per il suo ruolo nello scandalo Watergate. E tutti fingono anche di non vedere come, nelle sue trattative con il capo del sindacato ambulanti, Regeni rifiutasse di sostenere le cure per la moglie dell’interlocutore ammalata di cancro, ma fosse disposto a pagargli ingenti somme purchè presentasse “progetti”. Quali “progetti”, a nome di chi? Comportamento sufficiente per alimentare sospetti, non solo nel suo interlocutore. E’ stato mai chiesto all’Università di Cambridge, o a *Oxford Analytica*, per quali progetti a Regeni fossero state messe a disposizione decine di migliaia di euro? L’interesse di governi Nato, in particolare anglosassoni e francese, concorrenti con quello italiano nella corsa alle risorse energetiche (incalcolabili, al largo dell’Egitto) nel Mediterraneo e in Libia, e, quindi, una strategia per emarginare un’Italia una volta fortemente egemone in quel settore (come accadde con Enrico Mattei), si è resa evidente con l’intensificarsi dei rapporti di questi governi con il pur tanto deprecato Al Sisi, nel momento spesso in cui, con scoperta ipocrisia, i media più rappresentativi di queste potenze si accanivano sul caso Regeni e condannavano l’Italia per aver ristabilito rapporti diplomatici con l’Egitto.
Ne risulta evidente che l’interesse del NYT, portavoce dei circoli neocon del complesso militar-industrial-finanziario Usa, a sollevare il caso Regeni, ha molto poco a che fare con i diritti umani (sul cui abuso lo stesso giornale tace ostinatamente quando si tratta di regimi alleati o subalterni), o con la sorte del giovane ricercatore. Ha a che fare con la negazione all’Italia di qualsiasi sovranità e autodeterminazione in politica estera ed economica.
L’esperienza storica, da Enrico Mattei ad Aldo Moro, ma anche con Minniti oggi, dimostra che la coalizione israelo-euro-atlantica non consente all’Italia una politica estera autonoma, che valorizzi i nostri rapporti di mutuo beneficio con i paesi arabi. Il nostro, per l’alleanza diseguale in cui siamo inseriti, era e dovrebbe rimanere un ruolo ancillare. Quanto al Medioriente, l’attuale offensiva contro l’Egitto è con ogni evidenza la persecuzione di una strategia che punta alla frantumazione di Stati arabi forti, laici e indipendenti. Che ha già lasciato sulla sua strada la Libia e persegue la sua opera con i tentativi di disgregazione, tra aggressioni dirette, surrogati jihadisti e della Fratellanza Musulmana, di Siria, Iraq, Sudan. Ne abbiamo ricavato esclusivamente conseguenze negative.
Il M5S ha dato ripetute dimostrazioni di autonomia e chiaroveggenza nelle sue iniziative di politica estera. Penso alle posizioni sulle sanzioni alla Russia, su Nato, i paesi dell’A.L.B.A, l’Iran, la guerra alla Siria.
L’allineamento con una campagna chiaramente strumentale contro l’Egitto, fondata su premesse del tutto indimostrate e su altre mistificate e occultate, mi auguro possa essere, alla luce di quanto sopra, sottoposto ad accurata verifica.
Per finire, permettimi di avvisarti sulla pericolosità di ricorrere a stereotipi assai sospetti e invariabilmente strumentali, come quello di affibbiare la qualifica di “dittatore” a destra e manca. A parte che in alcuni casi la qualifica è del tutto arbitraria (Milosevic, Putin, governanti eletti in modo molto meno fraudolento di quelli con cui si condizionano gli elettori nella cosiddette democrazie) e, in altri, non tiene conto di una realtà storica, culturale, politica, del tutto diversa dalla nostra, non solo mostra un’inclinazione all’eurocentrismo sempre un po’ colonialista, ma contribuisce a spianare la strada alle aggressioni delle potenze che si arrogano il diritto di impartire tali etichette. Si tratta di questioni che, come constatiamo ogni giorno, coinvolgono la vita e provocano la morte di milioni di persone, sulle quali non è consentita approssimazione o ripetizione di stereotipi.
Non occorre essere grandi etnologhi, antropologi o storici per capire che i modelli istituzionali usciti in Europa dalle rivoluzioni borghesi difficilmente sono applicabili a contesti completamente diversi. I paesi che si definiscono disinvoltamente e strumentalmente “dittature”, da parte, tra l’altro, di chi è sottoposto alla più feroce dittatura finanziaria e alle più proterve manipolazioni mediatiche, hanno alle spalle una storia diversa. E sono usciti all’indipendenza e alla modernità solo da pochi decenni, dopo secoli e millenni di tirannie imperiali. Erano dominati da autocrazie distanti e sanguinarie, romana, ottomana, britannica, francese e altre. Non gli era consentita la minima autodeterminazione politica, se non una limitata gestione degli affari locali minori, specie sulle controversie giudiziarie. Ogni forma di organizzazione politica era bandita. La tribù poteva darsi al massimo un capo, nella persona più anziana o autorevole, per le questioni locali e per l’interlocuzione con gli emissari dell’impero. Nell’immaginario collettivo, all’inizio dell’era dell’indipendenza e della nazione, il quadro era quello tribale del capo e dell’assemblea degli anziani. Non poteva non perpetuarsi all’alba della nascita dello Stato, tanto più se questo era da attribuirsi al merito di un padre della patria come è stato il caso nella maggioranza dei paesi decolonizzati. Credo che la legittimità di un governo, poi, si misuri anche dal consenso e dal confronto con la situazione del passato. Quella determinata da noi democratici europei.
Noi italiani, poi, del resto come gli inglesi, che con Churchill hanno gasato i civili iracheni, o i francesi delle torture algerine, dovremmo adottare un po’ di cautela nelle condanne. Il maresciallo Graziani ha sterminato un terzo del popolo libico, 600mila, Gheddafi ha dato a tutti i libici dignità, acqua potabile e benessere, come riconosciuto dall’ONU che, nel 2011, aveva ancora classificato la Libia prima per “sviluppo umano” in Africa.
Aggiungo alcuni illuminanti dettagli, già ripetutamente riferiti in miei articoli sul blog e su FB, oggi riassunti da chi si occupa del caso da tempo e che non dovrebbero essere trascurati da chiunque voglia occuparsi, in alternativa ai produttori di fake news nei mass media al servizio del revanscismo neocoloniale, di politica estera con onestà e competenza.
Grazie dell’attenzione.
Con stima per tanta parte che il M5S e tu avete avuto nel prospettare agli italiani una sorte migliore.
Fulvio Grimaldi
www.fulviogfrimaldicontroblog.info
*-Giulio Regeni è stato* un brillante studente che ha studiato a lungo negli USA e poi in Gran Bretagna (UK).
*-Nel momento in cui* è stato inviato in Egitto per effettuare una non ben precisata “ricerca” sui sindacati indipendenti egiziani, stava per conseguire un dottorato di ricerca presso la prestigiosa Università di Cambridge.
*-In precedenza, nell’UK,* aveva lavorato negli anni 2013-2014 anche per la Oxford Analytica, una vasta organizzazione con migliaia di dipendenti, presente in molti paesi del mondo, incaricata ufficialmente di svolgere “analisi politiche” i cui principali dirigenti erano:
--John Negroponte (cittadino USA), già importante agente della CIA ed organizzatore degli squadroni della morte in America Centrale che uccidevano gli oppositori antimperialisti di quell’area;
---David Young (cittadino USA), già membro del gruppo di spie implicato nello scandalo Watergate, incaricato dal Presidente Nixon di spiare e raccogliere informazioni sul rivale Partito Democratico;
--Colin McColl (cittadino UK), già alto dirigente del noto servizio di spionaggio britannico MI6 (quello di 007).
*--In Egitto Regeni* era anche “visiting scholar” dell’Università Americana del Cairo, notoriamente implicata in iniziative atte a diffondere il pensiero e l’influenza USA nella classe colta egiziana e difendere gli interessi statunitensi.
*-Durante il periodo* in cui è stato in Egitto, Regeni ha pubblicato con uno pseudonimo vari articoli sui sindacati egiziani, anche sul “Manifesto”, ma si sa pochissimo sulla sua attività di “ricerca”.
*-E’ certo che Regeni* avesse agganciato il sindacalista Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti.
*--In una registrazione* (parziale) diffusa da organi di stampa italiani qualche mese fa, si sente Regeni offrire 10.000 dollari ad Abdallah in cambio di fantomatici “progetti” non meglio specificati. Abdallah, già in contatto con la polizia egiziana, registra il colloquio e chiede a Regeni denaro per sé.
Regeni rifiuta e si mostra molto prudente. Forse già sa, o sospetta, che Abdallah lo sta registrando e lo ha già denunciato alla polizia. Di fatto Regeni è “bruciato”.
*-Il 25 gennaio 2016* Regeni scompare in circostanze mai chiarite. Il suo cadavere, recante segni di gravi maltrattamenti e percosse, viene ritrovato il 3 febbraio in un luogo aperto, non nascosto e di facile accessibilità, presso l’inizio dell’autostrada per Alessandria.
*-Proprio in quei giorni* è in corso al Cairo un’importante riunione economica tra una delegazione italiana guidata dalla Ministra Federica Guidi ed una delegazione del Governo Egiziano. Tra gli argomenti trattati anche eventuali concessioni all’ENI relative al più grande giacimento di gas off-shore del Mediterraneo scoperto presso la costa egiziana.
*-Il Ministro Guidi* rientra precipitosamente in Italia (anche se si ritiene che trattative economiche siano continuate sottobanco).
*-Le autorità italiane* accusano gli inquirenti egiziani di scarsa collaborazione nelle indagini sull’assassinio e l’ambasciatore italiano viene fatto rientrare dal Cairo. Tutta la stampa italiana, ed i partiti ed i movimenti politici, tranne poche eccezioni, si scatenano in una prolungata campagna contro il Governo Egiziano, accusato quale mandante dell’omicidio (ma senza prove concrete).
*-L’Università di Cambridge* rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani per chiarire l’esatto mandato ricevuto da Regeni. Nessuna pressione viene fatta dal Governo Britannico sull’Università di Cambridge o sulla Oxford Analytica perché forniscano chiarimenti sull’attività di Regeni. Lo stesso si può dire per il Governo USA nei confronti dell’Università Americana. Il Governo italiano non esercita pressioni e non prende alcun provvedimento verso le istituzioni ed i Governi di cui sopra.
*-Solo pochi gruppi o persone* in Italia si pongono il problema del “cui prodest”. L’omicidio Regeni ha certamente messo in difficoltà il governo egiziano, posto sotto accusa, e che non aveva interesse ad eliminare un informatore di basso profilo già “bruciato”. L’assassinio ha invece fortemente favorito gli interessi economici di altri paesi, come UK e Francia, che si sono affrettati a concludere una serie di accordi economici con l’Egitto profittando dell’allentamento dei rapporti Italia-Egitto e non mostrando nessuna solidarietà con l’Italia. Non appare peregrina l’ipotesi che l’informatore di basso profilo Regeni, già “bruciato”, sia stato “sacrificato” per creare una situazione come quella descritta sopra, magari con la complicità di qualche gruppo deviato dei servizi egiziani (eventualmente infiltrato dalla Fratellanza Musulmana, all’opposizione).
–*Recentemente il Governo* italiano decide di cambiare politica e riallaccia relazioni con l’Egitto, parlando di partnership ineludibile e di una possibilità di una maggiore collaborazione dei due stati anche nelle indagini.
-Si scatena l’attacco di ampi settori politici e della stampa, spesso facenti parte dell’area dell’interventismo “umanitario” (già sponsor delle guerre in Jugoslavia, Libia e Siria) al Governo, reo di un eccesso di realismo politico. Si comincia però in vari settori ad avanzare anche una critica alla non collaborazione di Cambridge e ad porre ipotesi alternative sull’omicidio e domande sulla reale attività di Regeni.
–*In un’intervista* il gen. Tricarico, ricoprente incarichi governativi (vedi sotto), ribatte alle accuse, parlando di “utili idioti” che non comprendono il reale contesto di questi tragici avvenimenti.
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/09/regeni-
new-york-times-dittatori-caro.html
8.09.2017
Sul referendum consultivo nel Kurdistan iracheno molte le perplessità della comunità internazionale: conflitti politico-tribali, crisi economica, ma soprattutto le possibili ripercussioni sullo scacchiere regionale.
Il prossimo 25 settembre, nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG), è previsto un referendum consultivo che chiamerà gli elettori a pronunciarsi sull'indipendenza. Il quesito è: vuoi che la regione del Kurdistan e le aree curde al di fuori dell'amministrazione della regione diventino uno stato indipendente?
Le aree al di fuori dell'amministrazione del KRG includono città economicamente e strategicamente importanti (come Kirkuk, Khanqin, Sinjar e Makmor, occupate dai peshmerga curdi nel conflitto con il cosiddetto Stato islamico) e il cui controllo è motivo di disputa con il governo centrale iracheno. Anche per questo, con l'eccezione di Israele, favorevole a un'eventuale indipendenza del KRG, la comunità internazionale ha espresso le sue perplessità a riguardo, richiamando al rispetto del diritto internazionale (Russia) e della costituzione irachena (Iraq, Iran, governo siriano) e al dialogo con il governo di Baghdad (Russia e Unione Europea) e argomentando che sarebbe meglio rinviare la consultazione a data da definirsi, per non perdere di vista le priorità attuali in Medio Oriente (Stati Uniti e Gran Bretagna) e per non creare altri conflitti. Turchia e Iran, inoltre, hanno chiamato in causa il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale irachene.
Oltre all'Iraq, la questione curda riguarda anche Siria, Turchia e Iran. In Siria i curdi, grazie alle vittorie sul campo nella guerra contro i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico (IS), cui ha contribuito il sostegno USA, hanno proclamato la Federazione democratica della Siria settentrionale, modello di stato multietnico e multiconfessionale, alternativo al KRG. La sua impostazione politica è, teoricamente, ispirata a principi come il confederalismo democratico, l'ecologia e la parità di genere, propalati da oltre un decennio da Abdullah Öcalan, guida del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ancora detenuto nel carcere turco di massima sicurezza di İmralı. Il suo progetto, abbandonata la linea marxista dopo il crollo dell'Unione Sovietica, era indurre la società curda (in particolare in Turchia, ma non solo) a superare i retaggi feudali e tribali, ma da questo punto di vista i risultati sono ancora modesti, complice l'arretratezza economica. Al PKK, inoltre, i curdi siriani del Partito di unione democratica (PYD) e della sua ala armata, le Unità di difesa popolare (YPG), devono in buona misura i successi bellici, ma i legami con questo partito rischiano di minare il loro “esperimento politico” e di privarlo di una qualsiasi legittimazione internazionale. Intanto, il PKK da qualche anno raccoglie un numero crescente di consensi tra i curdi iracheni, molti dei quali sono insoddisfatti della gestione del KRG da parte del presidente Massud Barzani e del suo Partito democratico del Kurdistan (KDP)e non trovano alternative valide nelle altre forze politiche, l'Unione patriottica del Kurdistan (PUK, indebolito dal ritiro dalla vita politica di Jalal Talabani) e il movimento Gorran, fondato nel 2009.
Tale evoluzione preoccupa alquanto la Turchia (che pure ha ottime relazioni con il KDP di Barzani), anche perché, da quando Öcalan è in prigione, le redini del PKK rischiano di passare nelle mani di personalità meno propense al dialogo e a rinunciare alla lotta armata, iniziata nel 1984. Qualche speranza di soluzione del conflitto era venuta dal processo di pace avviato nel 2013 dall'allora primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan e da quest'ultimo interrotto nel 2015. La distensione, peraltro, è resa più ardua dall'emarginazione cui il governo di Ankara ha condannato il Partito democratico dei popoli (HDP), di cui dieci esponenti, compreso uno dei due presidenti, Selahattin Demirtaş, sono in carcere per condanne relative al terrorismo, mentre altri quattro, tra i quali l'altra presidente Figen Yüksekdağ, si sono visti revocare il mandato parlamentare. Impedendo all'HDP di avere una rappresentanza parlamentare proporzionale al consenso riscosso tra la popolazione, Erdoğan rischia di avvalorare la tesi dell'inefficacia di una soluzione politica per il Sud-est a maggioranza curda, “affidandone”, di fatto, la gestione all'artiglieria.
In Iran, dove la comunità curda è più integrata nel tessuto sociale, il presidente Hassan Rohani, che nel dicembre 2016 aveva promulgato la Carta dei diritti del cittadino (volta a garantire pari diritti a tutti i cittadini della Repubblica islamica), ha visto aumentare negli ultimi mesi la tensione tra i curdi e le autorità iraniane. Il Partito democratico del Kurdistan iraniano (PDKI, legato al KDP ed esiliato nel KRG da circa vent'anni) ha annunciato di voler riprendere la lotta armata per indebolire la Repubblica islamica, come ha dichiarato di recente il suo leader Mustafa Hijri. Scontri tra gruppi armati curdi e l'esercito iraniano si sono verificati dal 2015, con ingenti perdite da entrambe le parti. Ma la principale preoccupazione di Tehran riguarda i curdi salafiti, alcuni dei quali si sono arruolati nelle formazioni jihadiste in Iraq, compreso l'IS. Basti citare Abu Aisha al-Kurdi, che ha più volte attraversato il confine tra Iran e Iraq prima di essere ucciso nel novembre 2016 dalle forze di sicurezza di Tehran. Secondo il Ministero dell'intelligence iraniano, inoltre, almeno quattro componenti dei due commandos che lo scorso 7 giugno hanno assaltato il Parlamento iraniano e il Mausoleo di Khomeini a Tehran erano salafiti curdi. Rohani ha scelto la linea diplomatica e della distensione: alleanze e intese con Russia e Turchia e la nomina, lo scorso agosto, di un curdo come Ministro del Petrolio. Si tratta di Bijan Namdar Zangeneh, che dal 1984 ha ricoperto cariche simili durante i governi di Mirhossein Mousavi, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami.
Persino tra i curdi iracheni non tutti sono d'accordo con il referendum sull'indipendenza, che in molti considerano un espediente demagogico di Massud Barzani e del KDP per distogliere l'attenzione dalla cattiva gestione dell'economia e della società della regione, anche prima dell'inizio del conflitto con l'IS. Alla radice della questione c'è la struttura sociale curda, tribale e ancorata ai legami familiari e di clan, sostanzialmente ricalcata dall'appartenenza di partito e dalla distribuzione di cariche amministrative e di polizia nella regione. Barzani, membro di una delle tribù più potenti, è stato più volte accusato di un eccessivo accentramento di poteri e un'eventuale indipendenza rischia di acuire le divisioni e gli attriti tra le forze politiche attive nel KRG. Da oltre un secolo, passando per il trattato di Sèvres e per l'accordo di Losanna, i curdi sono stati spesso strumentalizzati dalle potenze mondiali e regionali che, dopo aver promesso loro autonomia o indipendenza, una volta raggiunti i loro scopi, hanno voltato loro le spalle. Per citare un esempio, gli USA negli anni '70 sostenevano lo Shah di Persia che istigava la rivolta dei curdi contro l'Iraq filo-sovietico di Ahmad Hassan al-Bakr. Ma, dopo l'accordo tra Tehran e Baghdad del 1975, che pose fine alle dispute sul confine, Washinton e lo Shah negarono il loro appoggio ai curdi, lasciando che la loro insurrezione venisse repressa nel sangue.
La perplessità della maggior parte della comunità internazionale sul referendum sull'indipendenza del KRG ha dunque una motivazione pragmatica, ossia il timore delle ripercussioni di una vittoria del sì sull'intera regione: su paesi già sfiniti dalla guerra come Siria e Iraq, sulla Turchia, membro fondamentale dell'Alleanza atlantica (NATO), e sull'Iran, che ha in corso con la comunità internazionale un delicato negoziato sul programma nucleare. Inoltre, anche a proposito di un eventuale referendum in Catalogna, occorrerebbe riflettere lucidamente sia sull'opportunità di fondare stati fragili e geopoliticamente deboli in un'epoca di globalizzazione (processo che ha svuotato di senso il concetto di stato-nazione), sia sull'esito disastroso della disgregazione di entità statali eterogenee come la Federazione jugoslava e il Sudan, dalla cui dissoluzione sono nati stati che ancora oggi non godono di alcuna forma di autosufficienza. Trattandosi di indipendenza, sarebbe opportuno dunque chiedersi: indipendenza da cosa?
04.09.2017 - Mesi fa 108 ricorrenti presentarono una causa legale che chiedeva che venga stabilita una legislazione che regoli le funzioni della Commissione per l’Energia Atomica Israeliana (IAEC), i suoi ruoli, autorità, forma di organizzazione e gestione, e per chiedere il controllo delle sue attività e dei suoi impianti. In qualsiasi paese democratico è una cosa ovvia, un settore così importante non può essere lasciato al completo arbitrio del governo.
Infatti l’IAEC fu creata nel 1952, ma i suoi ruoli e i metodi di controllo delle attività non sono mai stati regolati da una legge: essi furono stabiliti con ordini amministrativi segreti, emessi dall’allora Primo Ministro David Ben-Gurion, e in seguito con una serie di decreti governativi pure segreti. La Commissione si occupa di temi che riguardano la salute e la sicurezza dei cittadini israeliani, compresi la sicurezza nucleare, l’autorizzazione degli impianti e delle attività, il trattamento delle scorie nucleari (pensiamo alle vicende e le contestazioni del progetto di deposito nucleare nazionale in Italia), oltre ad essere consulente del governo per la politica nucleare.
È appena il caso di ricordare che Israele non ha mai ammesso ufficialmente e pubblicamente l’esistenza del suo arsenale nucleare, e non ha aderito al Trattato di Non Proliferazione: che cosa accadrebbe in qualsiasi altro paese che tenesse segreto ai suoi stessi cittadini il proprio arsenale nucleare?
Il governo israeliano aveva chiesto alla Corte Suprema di rigettare totalmente la causa, senza nessuna udienza, sostenendo che la Corte Suprema non ha l’autorità di ordinare al primo ministro di legiferare. Ma la Corte ha respinto la posizione del governo: questa è la prima volta nella storia dello Stato di Israele che una corte esercita una critica legale sulla IEAC e le sue attività. Durante l’udienza i giudici si occuperanno dei regolamenti più segreti dello Stato di Israele, e decideranno se essi sono soddisfacenti e se consentire al governo di continuare ad usarli, oppure accettare la richiesta dei ricorrenti di stabilire una legislazione che regoli le operazioni e consenta un reale controllo.
Shimon Dolev, Direttore del Movimento Israeliano per il Disarmo, ha dichiarato che “il solo fatto che la Corte Sprema esaminerà questo caso è una vittoria. … Speriamo che a seguito di ciò, sia che vinciamo o che perdiamo, avremo alla fine una discussione vera sulla natura del controllo della IAEC e delle sue strutture. Questa non è la fine del ‘regno del segreto’, l’ambiguità nucleare di Israele non cambierà, ma la sicurezza dei cittadini deve essere tenuta in conto più della convenienza dello Stato e della Commissione”.
Si tenga presente che la IAEC ha il compito di controllare che il reattore nucleare di Dimona operi secondo la legge e non in segreto: il reattore fa parte del centro segreto nel deserto del Negev in cui è stato sviluppato l’arsenale nucleare di Israele.
Anche il Prof, Avner Cohen, dell’Istituto Internazionale Middlebury di Monterrey, autore del libro Israel and the Bomb (1998), ha riconosciuto la novità senza precedenti di questa udienza, perché la Corte Suprema riconosce che la situazione attuale è altamente problematica.
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Prostatite e possibili noduli tumurali. Troppi urologi incompetenti , grazie anche al ministro della Salute Lorenzin.Prima o poi, agli uomini capita a tutti, superati i 50 anni, e forse anche prima,di doversi confrontare con la prostatite, una infiammazione della ghiandola, che tra l’altro serve anche alla procreazione, ma anche ad altro, cioè alla sfera sessuale in generale. E già, perché se qualcosa si inceppa, si rischia anche di rimanere impotenti. Ma cosa che non viene detta è ciò che accade nel retrobottega, cioè quando ci si reca dall’urologo. Alcuni professori di levatura internazionale sostengono che effettuare una biopsia alla cieca alla prostata, e non su un nodulo preciso, è come cercare un ago nel pagliaio. Eppure ci sono ancora ospedali, anche a Roma, come ad esempio il S. Camillo, dove effettuano anche 50 punture ed oltre alla prostata, senza trovare un bel nulla. Come anche al Fate Bene Fratelli, dove ancora si eseguono biopsie a grappolo e non mirate , naturalmente con i costi che ne conseguono e con gli strascichi di dolore per il paziente. E nessuno di questi ospedali ha suggerito, invece, di effettuare una risonanza magnetica multiparametrica, l’unica in grado di scovare cellule tumorali ove vi fossero. Ma costa troppo , oltre il fatto che se anche ne avessero i macchinari si dovrebbe attendere troppo prima di poterla effettuare. E così indirizzano verso cliniche private, come per esempio il Pio XI od il Salvatur Mundi, dove il costo sfiora i 900 euro. Vuoi provare a salvarti la pelle? Allora paga. Questi i risultati della politica dei tagli alla Sanità pubblica della non laureata ministra della Salute, Lorenzin.
Ma il dramma è che troppi urologi non sappiano neanche che esista la risonanza magnetica multiparametrica, e così continuano con l’imposizione del dito e le biopsie a grappolo, che non servono a nulla, e con tanto di anestesia totale, tanto per metter soldi nel portafoglio. Cliniche private? La musica non cambia. Biopsia a grappolo ed anestesia totale, per non trovare nulla. Poi, per fortuna esiste qualche urologo che sostiene di effettuar una biopsia mirata, con due tre punture, sul nodulo sospetto, senza anestesia e senza dolore. Ma sono pochi. A chi credere? A Belzebù? Quasi nessuno, invece, prova a curare il malessere come prostatite, eventualmente prima di procedere oltre. Ma alcune cliniche, addirittura, in caso di biopsia mirata, fanno firmare un documento che le scagiona da qualsiasi eventuale danno collaterale. Qual’è la verità? Che ci sono più stregoni che medici, mentre la Lorenzin resta imperturbabile, inviata speciale di Alfano, ad effettuare tagli alla Sanità invece che occuparsi del suo reale funzionamento. E presto ci auguriamo torni a casa ad occuparsi delle faccende domestiche, sempre che sia in grado di farle.
Proviamo ad immaginare le parti anatomiche di un corpo umano; immaginiamo che il cuore, il fegato, la milza, il rene, il polmone, il cervello, gli intestini, alcune costole, alcuni muscoli, siano stati levati in obitorio ad una persona deceduta e messi in un recipiente. E ora immaginiamo gli stessi organi prelevati dal cadavere di un animale, per esempio un maiale, e messi in un altro recipiente vicino al primo. Queste misere parti risultano, ad occhio profano, identiche, indistinguibili. Ebbene, pensare di cucinare e mangiare le prime farebbe vomitare, inorridire chiunque dotato di sensibilità e di senso estetico; invece, per le massaie o per i cuochi, cucinare e mangiare le seconde viene considerata una prelibatezza da leccarsi le dita.
Eccetto i cannibali, chi se la sentirebbe di cucinare e mangiare la coscia, il petto, il piede, la faccia, i testicoli, la milza, il pancreas o qualunque altra parte del corpo di un essere umano? Solo l’idea certo sconvolge ogni persona normale, mentre è considerato un piatto prelibato se ad essere cucinate sono le identiche parti anatomiche di un qualunque animale ritenuto commestibile.
Chi utilizzerebbe per il proprio pasto un recipiente in cui c’è stato del sangue umano e messi a giacere i resti di un’operazione chirurgica? Invece, per la stragrande maggioranza delle massaie o dei cuochi è considerato normale usare recipienti in cui sono stati utilizzati resti del cadavere di un animale.
Chi consumerebbe a colazione latte di donna? Credo nessuno. Mentre è considerato normale utilizzare il latte di un animale, igienicamente meno adatto e meno compatibile con la nostra vita.
Chi mangerebbe un uovo uscito dalla vagina di una donna? Sfido chiunque a superare questa ipotetica prova. Mentre è considerato normale utilizzare, a profusione, uova uscite dall’utero di un animale, tra l’altro ritenuto, erroneamente, il meno dotato sotto l’aspetto cerebrale, estetico, spirituale.
Come può succedere tutto questo? Perché l’essere umano si è abituato a convivere con ciò che è raccapricciante, stomachevole, disgustoso e contro la sua stessa natura di essere emotivamente, eticamente ed esteticamente sviluppato? Perché l’essere umano, per sua natura frugivoro, ritiene normale mangiare un animale mentre considera crudele quando animali carnivori agiscono allo stesso modo e pur non avendo gli attributi anatomici degli animali predatori si comporta come tali?
Come ha potuto arrivare a considerare buoni da mangiare dei pezzi di cadaveri sanguinolenti ed in via di decomposizione? Come può un essere umano mettere nel suo stomaco lo stomaco cucinato di un animale? Nel suo intestino l’intestino di un animale? Il piede o la gamba di un animale? Che differenza c’è tra gli occhi, le orecchie o la lingua di un essere umano e gli occhi, le orecchie e la lingua di un vitello, cavallo o maiale?
Così si comportavano gli uomini delle caverne, gli uomini dell’età della pietra, al tempo della grande fame, quando spinti da estreme necessità di sopravvivenza dovettero violentare la loro stessa natura emulando gli animali predatori. Ma oggi che necessità c’è di restare ancorati ad abitudini primordiali e a pasti cadaverici? Può l’umanità decaduta risollevarsi se resta capace di giustificare, con il piacere della gola, comportamenti così aberranti?
Settembre è arrivato, Roma si è ripopolata, la scuola ricomincia, sembra proprio che le vacanze siano finite. Per esorcizzare la quotidianità che ripiomba addosso, fino al 17 settembre è in corso, presso il Museo dell’Ara Pacis, Spartaco. Schiavi e padroni a Roma. La mostra prende spunto dalla figura dello schiavo ribelle, resa mitica ed eterna, proprio per lo spirito indomabile e l’invincibile anelito alla libertà, insiti e caratteristici di ogni uomo. Ma è soprattutto la schiavitù, le sue motivazioni e le sue forme, che, attraverso i reperti archeologici e le opere, è documentata nel passato, mentre le foto contemporanee, ne restituiscono l’aspetto attuale.
Undici le sezioni che si succedono nel percorso dell’esposizione. Sono introdotte dalla spiegazione storico-sociale-economica della necessità della schiavitù come forza lavoro per la realizzazione delle infrastrutture dell’impero romano.
Quindi Vincitori e vinti mostra come la guerra, motivata da ragioni politico-economiche, fornisse tra ricchezze e bottini, anche gli schiavi. Particolarmente accattivante il video di questa sezione, le sequenze, accompagnate dal suono, animano il fregio del sarcofago. Il primo piano dei volti, rende i sentimenti, è come vedere la storia accadere di nuovo, in presa diretta. Il video da movimento alla descrizione del fatto storico, caratteristica dell’arte romana. I reperti archeologici in mostra sono in gran parte rilievi ed epigrafi.
Segue Il sangue di Spartaco, schiavo, gladiatore, più precisamente murmillo, della scuola di Capua, che guida la rivoltadi migliaia di schiavi tra 73 e 71 a.C. Viene sconfitto, seimila dei suoi compagni vengono crocifissi lungo la via Appia, ma il suo corpo non viene ritrovato. Il mito è raccontato in mostra da voci narranti che leggono i testi in latino, italiano e inglese, ma le citazioni sono tratte anche da autori moderni, a conferma della longevità della figura di Spartaco.
La terza sezione riguarda il Mercato degli schiavi, seguono quelle che illustrano i settori di impiego: Schiavi domestici; Schiavi nei campi; Schiavitù femminile e sfruttamento sessuale, le tematiche delle ultime due sezioni tornano nel video in chiusura di mostra, realizzato da ILO, International Labour Organization, agenzia delle Nazioni Unite che si occupa delle problematiche legate al lavoro e, specialmente, dell’eliminazione della schiavitù ancora presente in diversi ambiti.
Tra i Mestieri da schiavi vi erano quelli legati al mondo dello spettacolo, in questa sezione è presente una delle straordinarie erme degli aurighi del Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo.
Schiavi bambini, con la tematica del lavoro minorile, è un’altra delle sezioni, purtroppo, ancora attuali anche ai nostri giorni.
L’allestimento della sezione Schiavi nelle cave e nelle miniere, conduce lo spettatore in un percorso labirintico e claustrofobico che imita i cunicoli sotterranei, l’ambientazione è forse un po’ troppo caricata dall’accompagnamento audio.
Una strada verso la libertà è quella che viene descritta attraverso l’affrancamento da parte del padrone.
Un po’ povera, come contenuti e disposizione, soprattutto nella parte riguardante il cristianesimo, risulta l’undicesima sezione dedicata a Schiavitù e religione.
Il gioco…che rende liberi! è il titolo del laboratorio didattico ideato per bambini dai cinque agli undici anni.
Spartaco
Schiavi e padroni a Roma
Roma, Museo dell’Ara Pacis
31 marzo-17 settembre 2017
Orario: 9.30-19.30
Ingresso: intero €.11,00; ridotto €.9,00
Info: 060608
Catalogo: De Luca Editore, €.25.000
Comincia oggi la 74esima edizione del Festival Internazionale D'Arte Cinematografica di Venezia, tra eccezionali misure di sicurezza il presidente Mattarella e l'attore Matt Demon aprono la kermesse che si svolge da oggi fino al 9 settembre, quando verranno consegnati i premi delle giurie e il tanto ambito Leone D'Oro.
Dalle parole del direttore del festival Alberto Barbera, come riportato nell'articolo di Fulvia Carelli apparso sul Daily Mood, fornisce un' indicazione sui criteri di scelta dei film presentati dicendo: "i film che proponiamo sono in un certo qual modo la percezione del futuro. L'indicazione di una o più vie che si aprono sul domani..." quest'anno in particolare il cuore della manifestazione sembra essere una contaminazione positiva con gli aspetti economici e sociali, la paura e l'incertezza del futuro e del pianeta, la violenza che entra nelle nostre case quotidianamente...e questo rende la mostra sicuramente più interessante.
Tra i film in concorso spiccano i temi di fortissima attualità. Uno di questi è il documentario Human Flow del regista cinese Ai weiwei che tratta della sofferenza dei migranti girato nei campi di accoglienza di ben ventitré paesi del mondo e sarà presentato il primo settembre. Per rimanere nel filone dell'impegno sociale da segnalare il film L'insulte del regista libanese Ziad Doueiri che tratta del razzismo strisciante tra due colleghi di lavoro: Tony, un libanese di fede cristiana, Yasser palestinese rifugiato che sono costretti a lavorare insieme.
Angels Wear White della regista cinese Vivian Qu tratta il tema della violenza sulle donne in particolare sulle adolescenti.
Paul Joseph Schrader ,regista sceneggiatore e critico cinematografico americano, nel film First Reformed si sofferma sui rapporti tra fede e politica. Come riportato nell'articolo di Repubblica di Arianna Finos, il regista ha affermato "Oggi quasi ci si vergogna di essere americani. È un momento difficile per chi è cresciuto pensando che l'America fosse una risorsa per il mondo. Abbiamo scoperto di essere il contrario: un problema per il mondo. Dobbiamo chiederci come questo sia potuto succedere, e in un modo così facile e veloce".
Anche il cinema italiano quest'anno è ben rappresentato da oltre quaranta film presenti nelle varie sezioni del festival. Il nuovo film in concorso di Paolo Virzì, Ella & John, una commedia dal sapore dolceamaro, interpretata dai grandi Donald Sutherland ed Helen Mirren, narra di due coniugi anziani, lui malato di alzheimer che intraprendono un viaggio particolare: in camper da Boston a Disneyland riscoprono il loro giovane amore e il senso della vita sulla mitica Route66 con incontri molto particolari.
Un altro film italiano in concorso è Una Famiglia diretto da Sebastiano Riso.
Ammore e Malavita è invece una produzione napoletana dei Manetti Bros, un musical a sfondo criminale.
La gatta cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone è un cartoon, una favola pulp di una moderna biancaneve napoletana che vive su una nave fatiscente divenuta un bordello che sfida la camorra.
Tra i film stranieri più attesi l'horror Mother di Darwin Arronowsky con Jennifer Lawrence, Javier Bardem e Ed Harris e il noire Suburbicon diretto da George Clooney. Il film è scritto da George Clooney, Grant Heslov e i fratelli Coen e interpretato dai magnifici Matt Demon e Jiulianne Moore. Goerge Clooney accompagnato dalla bellissima moglie Amal sarà il centro delle attenzioni del red carpet insieme a tanti altri ospiti.
Vincono il Leone D'Oro alla Carriera Robert Redfort e Jane Fonda, memorabile coppia del celebre film "A piedi nudi nel parco" e presentano il nuovo film Le nostre anime di notte prodotto da Netflix .
Ma ora giù il sipario, che le danze comincino.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La riflessione!
Il vino italiano più antico ha quasi 6.000 anni
La notizia è di quelle che “scombussolano” la Storia del Vino. Fino ad adesso il vino in Sicilia e nella Magna Grecia era stato introdotto dai Fenici e
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Il ritrovamento delle giare |
successivamente dai Greci. Si parla del 1.000/1.500 a.c. Il recente ritrovamento ci porta indietro nel tempo a 4.000 anni a.c., prima dell’Età del Bronzo e contemporaneo alla civiltà Sumera.
Interessante scoprire quale civiltà fosse approdata sulle coste siciliane o quale popolo, comunità indigena conoscesse allora la tecnica naturale della fermentazione. Del resto “la scoperta” del vino risale a 12.000/15.000 anni prima di Cristo. È scritto nelle Sacre Scritture e nei ritrovamenti di processi fermentativi. Chi vivrà saprà, intanto godiamoci la recente scoperta.
Frammento n. 1
Il vino italiano più antico.
Nella fretta di dare la notizia è stato scritto, erroneamente, che “il vino italiano più antico del mondo ha 6.000 anni”. Vino più antico italiano sì, del mondo no. Le Sacre Scritture ci ricordano (V° Libro della Genesi) che Noè scese dal Monte Ararat, piantò la vite, fece vino e si ubriacò. Periodo delle grandi alluvioni, indicato nelle scritture come “Diluvio Universale”, circa 10.000 anni avanti Cristo. Per i non credenti valgono le scoperte archeologiche risalenti a 12.000/15.000 anni avanti Cristo. Ma la notizia che riguarda l’individuazione in una grande giara dell’Età del Rame rinvenuta in una grotta vicino Agrigento è di quelle che cambierà le attuali conoscenze sulle origini del vino italiano. Università della Florida Meridionale, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Università di Catania ed esperti della Sopraintendenza ai Beni Culturali di Agrigento; insomma un gruppo internazionale d’esperti che hanno pubblicato congiuntamente la notizia, sul Microchemical Journal, del ritrovamento della giara contenente residui fermentativi. Sarà stato vino bianco o rosso?
Frammento n. 2
Gli olivi in Valtellina. Roba da matti. Ora lo copiano.
“Sono un uomo pacifico, gioviale, accomodante, ho 74 anni e non spreco certo il tempo in moti di rabbia”. Parole di Carlo Baruffi coltivatore di olivi in
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Raccolta di olive in Valtellina |
Valtellina a 600 metri di quota. E poi quando la Coldiretti certifica che “Oltre il 46esimo parallelo in Valtellina si trova l’estrema frontiera nord dell’olio d’oliva italiano”, che sempre in quella valle c’è la presenza di 16 mila piante su oltre 50 mila metri quadrati di terreno capisci che la scommessa l’ha pienamente vinta Carlo Baruffi. “Ora tutti mi seguono, conosco contadini che hanno piantato a 700 metri di altezza”. “La qualità del mio olio? Chi lo vuole costa € 35,00 al litro”. Con questo chiude qualsiasi discorso.
Frammento n. 3
Il perché del mancato successo del Vino Italiano in Cina
Perché l’Italia che viene indicata come il primo produttore di vino al mondo non ha grande seguito nel mercato cinese? Francia, Australia, Cile si sono affermati grazie ad una politica d’inserimento ben
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Tasting vino italiano |
pianificata e “semplice”. Noi italiani non riusciamo ad uscire da un approccio provinciale tanto da essere considerati produttori minori. Le grandi aziende sono poche e i Consorzi che riuniscono piccole cantine non riescono a “presentare” un brand ottimale. Pesano ancora i mancati investimenti ed errori fatti nel passato.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Un’energia cosmica sembra pervadere e spingere verso l’evoluzione tutto ciò che esiste. Un essere umano, come qualunque essere vivente, risulta essere la sintesi chimica, fisica, energetica di organismi animali o vegetali che lo hanno preceduto lungo la via della manifestazione nello scenario della Vita. Dalla deflagrazione iniziale di 14 miliardi di anni fa venne a generarsi questo pianeta in forma gassosa che col passare dei tempi si solidificò fino a consentire agli elementi chimici base di formare la materia: minerali, rocce, acqua, terra, i primi organismi viventi, le prime rudimentali forme di vita vegetale e poi animale.
L’essere umano, come ogni organismo vivente, si nutre dei “frutti” della terra dove sono depositati i resti di organismi vissuti precedentemente e trasportati dalle correnti d’aria da ogni parte del globo: polveri di organismi passati che a loro volta si sono nutriti di altri organismi: macro nutrienti, acqua, minerali, luce solare ecc. In sostanza ognuno di noi si nutre di organismi vegetali o animali che a loro volta si sono nutriti di altri organismi vegetali o animali vissuti prima; cosicché il nostro organismo risulta costituito dei resti di innumerevoli organismi che lo hanno preceduto nel tempo. Questo porta alla consapevolezza che:
- Tutti gli esseri sono “figli” di un principio comune, sono fatti della medesima sostanza che si manifesta in forme differenti e differenti funzioni.
- Ogni forma/contenuto appartiene a differenti livelli di manifestazione.
- L’integrazione delle differenze, formali e sostanziali, consente alla Vita di manifestarsi.
- Ne consegue che ogni specie ha l’identico valore nel piano della Vita e che ogni visione parziale, considerata preminente, risulta dannosa per l’armonica convivenza degli esseri viventi.
Tutte le cose, nel procedere nel loro piano evolutivo, tendono a sviluppare ulteriormente le stesse peculiarità dell’essere umano: intelligenza, sentimenti, coscienza, apertura alla dimensione spirituale. Probabilmente tra mille anni, o un milione di anni, molte specie avranno le medesime capacità espressive del genere umano. Se la specie umana sparisse dalla faccia della terra tutto continuerebbe come prima, se non meglio, allo stesso modo se il pianeta terra o addirittura la nostra galassia, si dissolvesse nel nulla questo non causerebbe la purché minima crepa nel Mare Cosmico. Considerare la nostra relatività nei confronti del Tutto, il valore anche delle cose più minime, ci aiuterà a considerare la nostra relatività nei confronti del tutto e a superare l’assurda, anacronistica e perniciosa visione antropocentrica.
Senza la conoscenza dei problemi non c’è presa di posizione. E senza la sensibilizzazione delle coscienze non c’è spirito di condivisione e spinta partecipativa.
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Simonetta Camilletti |
Ci sono dei gioiellini nel nostro paese che molti ci invidiano e di cui noi con sufficienza non ce ne rendiamo conto. Da secoli anzi, forse millenni, intere popolazioni hanno cercato un posto al sole tra le nostre amate sponde, sia per il clima, che le bellezze racchiuse nella nostra terra. Centinaia, forse migliaia di borghi dove la vita sembra voglia ridarci quello che la società tecnologica e postindustriale cercano di farci dimenticare: la genuinità dei rapporti umani, la sana alimentazione, la salubrità dell’ambiente, la bellezza intesa come arte, la consapevolezza di appartenenza ad una comunità.
Queste meravigliose cellule sono la nostra spina dorsale ma, protesi ad affrontare gli affanni della vita, non ce ne accorgiamo, eppure loro solo li, a ricordarci che forse un altro tipo di vita è possibile, questa è la forza della nostra terra, e “La forza della terra” è la manifestazione che si è svolta a Rocca di Cave in provincia di Roma, ma altrettante identiche, forse a migliaia, se ne svolgono in altre parti della nostra bella terra.
Rocca di Cave è un ridente comune posto sui monti Prenestini di quasi trecento anime a 933 metri sul livello del mare e ad appena 50 kilometri da Roma. Il paese è nato a ridosso delle mura della torre di avvistamento che i monaci benedettini edificarono nell’anno 850 per difendersi dalle continue incursioni dei Saraceni. Nel ‘400 passa poi sotto il dominio dei Colonna e diviene presto oggetto di controversie tra questi nobili e la Chiesa, così fu che nel 1482 Rocca di Cave venne presa d’assedio da Papa Sisto IV.
Ma il paese non è conosciuto solo per la torre, bensì anche per il suo Museo Civico Geopaleontologico “Ardito Desio”: 100 milioni di anni fa le terre emerse erano abitate dai dinosauri, come attesta la recente scoperta di tre reperti fossili appartenenti a un Tirannosauro, mentre un caldo mare tropicale ospitava una ricca barriera corallina, proprio intorno al territorio di Rocca di Cave; la sommità della rocca ospita poi un osservatorio astronomico a disposizione del pubblico durante le serate osservative organizzate dal museo.
A dare voce alla “ FORZA DELLA TERRA” il 19 agosto scorso il maetro Simonetta Camilletti, concertista, compositrice e docente di chitarra classica presso il conservatorio di musica di Santa Cecilia di Roma con il suo concerto per chitarra solista:”LA FORZA DELLA
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Il prof. Umberto Bielli |
TERRA”, ha fatto letteralmente “vibrare” le mura del Castello Colonna e le numerose persone accorse estasiate, più di centocinquanta:felicissimo il connubio tra arte e storicità. A seguire una felice abbinata con una degustazione di cibi locali e vini pregiati sempre all'interno del museo castello Colonna. “Cantine aperte” la manifestazione che ha poi fatto da eco in tutto il paese al grande concerto della Camilletti. Numerosi gli interventi di personaggi del mondo della cultura, anche con telefonate in diretta. Giancarlo Benedetti, pittore di Rocca di Cave, ha colorato di gioia la serata con le sue tele e la poetessa Renata ha onorato la platea con un suo breve componimento sulla musica.
Lo scopo è stato, appunto, quello di affrontare la valorizzazione dei luoghi sotto il profilo della musica, intesa come cultura, del cibo, come prodotti della terra, e dei bambini del luogo, forza della terra/futuro da coltivare. Bisogna ammettere che la manifestazione, creata e guidata dal bravissimo prof. Umberto Bielli, ha colto nel segno.
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ISIS/SITE: tocca a voi!
A proposito dell’annuncio post-Barcellona di un imminente attentato in Italia, ce ne sono stati altri che minacciavano sfracelli in Vaticano, al Colosseo, la conquista di Roma. Ma stavolta potrebbe essere diverso. Intanto la notizia proviene da fonte autorevole e credibile: il sito SITE di Rita Katz, portavoce e diffusore da anni del jihadismo più efferato, in particolare dell’ISIS, con il quale la collaborazione nella promozione di quel panico che si sa funzionale alle aggressioni belliche e all’instaurazione di regimi di polizia, è stretta e, come provano i risultati, efficacissima. Senza l’istantanea diffusione a dimensione mondiale dei più raccapriccianti video e comunicati, prodotti con la nota perizia professionale dagli studios del mercenariato imperialista, di cui siamo debitori a Rita Katz, titolare del sito SITE, gran parte del messaggio terrorizzante e intimidatorio assegnato ai protagonisti della guerra al e del terrore sarebbe andata persa.
Rita Katz, ufficiale israeliano e portavoce Isis
Non deve stupire, data l’intesa strategica sugli obiettivi, l’amalgama Israele-jihadisti, evidenziato nel concorso israeliano alle operazioni sul campo dell’Isis e di Al Nusra e nel recupero israeliano di combattenti jihadisti curati negli ospedali allestiti sul Golan. Così non può sorprendere che Rita Katz, israeliana ex-ufficiale di Tsahal e da allora e sempre agente dei servizi israeliani, abbia costruito il meccanismo per il quale ogni azione e ogni parola del terrorismo jihadista entri nel conscio e nel subconscio delle popolazioni di mondi da condizionare. I grandi vecchi della guerra al/del terrorismo, la testa della piovra gigante, hanno in SITE lo strumento indispensabile perchè di ogni iniziativa jihadista non sia perso l’effetto propagandistico: odio per l’Islam e guerre, panico e autorepressione. Piovra che alla periferia, per la penetrazione anche in nicchie potenzialmente refrattarie, si avvale dei formidabili tentacoli della grande informazione internazionale, a partire dal New York Times e, scendendo per li rami, dei tentacoli di seppioline mediatiche come gli organi ripetitori italiani, non escluso l’apporto di meduse tossiche dai peletti urticanti come “il manifesto”.
Ci si dovrebbe porre una domanda facile facile, ma che nessuno si pone perchè sarebbe un po’ come utilizzare un piede di porco contro la cristalliera: come mai a nessuno è mai venuto in mente di indagare per quali vie un video Isis, tipo che mostra un gruppo di esseri umani chiusi in gabbia, incendiati e poi affogati, sia riprodotto istantaneamente nel canale di Rita Katz. Con chiaro effetto glorificatore. Domanda alla quale potrebbe appaiarsi l’altra, circa una totale apatia, se non accidia, del dotatissimo apparato investigativo, di sorveglianza, di controllo, sviluppato in occidente con le nuove tecnologie, rispetto a qualche indagine su natura e dislocazione degli avanzatissimi studi e macchinari dai quali escono le perfette produzioni audiovisive dei jihadisti. E siccome le domande, volendo, sono come le ciliege, si potrebbe considerare che l’assenza di queste domande, epocali quanto ne sarebbe la risposta, equivale a quella che per anni, fino all’arrivo dei bombardieri russi, non si è posto l’interrogativo di cosa fossero, da dove venissero, dove andassero (a Haifa) , cosa contenessero, quali profitti generassero e per chi, le colonne di cisterne che viaggiavano alla luce del sole tra pozzi petroliferi di Iraq e Siria sotto occupazione Usa-Isis-curdi, Turchia, mare e porti israeliani?
Siamo diventati discoli
Ma lasciamo il fumo e torniamo all’arrosto. Perchè a questa nuova, diretta minaccia post-Barcellona di Rita Katz/Isis andrebbe dato più rilievo che alle passate smargiassate contro papa e Colosseo? Perchè prima non risultava esserci motivo per impartire all’Italia una qualche lezione imperiale via terroristi sedicenti islamisti. Le minacce erano fuffa, fumo che obnubilasse un po’ di cervelli perchè chiedessero “Strade sicure”, soldati agli angoli della metro e accettassero le intemerate della Boldrini per l’accoglienza senza se e senza ma e contro le fake news. Poi nell’opinione pubblica è incominciato a muoversi la sensazione che con tutti questi migranti, tutti da noi, con queste Ong che andavano a raccattarli dai trafficanti, qualcuno puntava a fregarci. Noi e pure i migranti. La coperta buonista su certe malefatte in mare veniva lacerata da politici e magistrati.
E, a coronamento dell’insubordinazione ai piani imperialisti, appaltati a Soros, un ministro italiano, che evidentemente non aveva imparato la lezione Moro, è uscito dallo sgabuzzino dove curano le scope della villa i nostri politici, e ha messo la mordacchia a un anello della filiera criminale che svuota paesi per alluvionarne altri. Insomma è spuntato qualcosa e qualcuno che minacciava di far vedere nudo il re. E questo è niente: quando gli era stato fatto capire che l’ENI doveva limitarsi a fare le pulizie alle Sette Sorelle, che Roma doveva starsene lontana dal gas del Mediterraneo, che a occuparsi di Al Sisi, dell’Egitto e della Libia, cuore della regione, ci pensavano Usa, UK, Francia, ma mica i loro subalterni, addetti all’accoglienza e basta, Roma non si è addirittura azzardata di far tornare l’ambasciatore al Cairo! Lo svuotatore di posaceneri che si intrufola nella partita di briscola? E Rita Katz ha tuonato.
Regeni e Oxford Analytrica, la sete di verità dei regeniani
Vogliamo allargarci, eccedere in domande impudiche, anche riguardanti campi lontani, ma pur sempre connessi a quelli di cui sopra? Sappiamo, anche se il silenzio sulla cosa è di tomba (a offesa di quella in cui è rinchiuso Giulio Regeni), che tutti sanno che il giovanotto, definito ricercatore a Cambridge, ma invece, o anche, collaboratore dell’agenzia internazionale di spionaggio e affari sporchi vari “Oxford Analytica”, al Cairo andava sfrucugliando soggetti sindacali “indipendenti”, potenzialmente sovversivi, ai quali, per conto dei suoi mandanti, offriva ricchi fondi perchè presentassero e attuassero “progetti” (testuale nel video). .
Qualche timido tentativo di risalire a dove originava la missione di Regeni, consultando i suoi referenti a Cambridge, ebbe piena collaborazione quanto alle domande poste dagli investigatori italiani. Lo dichiarano quelli di Cambridge, lo negano i corifei italiani di Regeni e di Aegyptum delendum est. Sarà, non sarà. Ma la domanda da un milione e passa di verità è un’altra. Stabilito, sebbene sottaciuto, che Regeni aveva lavorato, almeno per un anno e mezzo, ufficialmente per Oxford Analytica, prima di spostarsi al Cairo per offrire progetti a oppositori del governo, alle dipendenze e su disposizioni di provati criminali come John Negroponte, David Young e l’ex.capo-spione britannico McColl, c’è un solo motivo al mondo che spieghi perchè coloro che si sono arrabattati da 17 mesi per Regeni e contro Al Sisi, con un accanimento degno della neutralizzazione di Mengele, non si siano mai occupati di Oxford Analytica, non siano mai andati a sentire che cosa il ragazzo ci facesse tra le grinfie di quei pendagli da forca che avevano insanguinato interi continenti?
Un autentico antimperialista come Manlio Dinucci, valido illustratore delle mene militari di Usa e Nato attorno al resto del mondo, che ancora si pregia di poter inserire la sua settimanale pecetta nell’angolo più remoto del “manifesto”, sarebbe titolato a porre questa domanda ai colleghi del “manifesto”. Forse a lui risponderebbero. Sempre che non siano troppo impegnati, come in questi giorni, a raddrizzare la barca delle bufale su Al Sisi, Regeni, il terrorismo, riempiendo paginate con interviste su Regeni e Al Sisi ai rinomati professori dell’Università Americana del Cairo, noto covo di intelletti antimperialisti, o ai tanti che, nel web e sui giornali, sbertucciano o demoliscono il presidente di questa povera repubblica, sottoposta a una dittatura che reprime ogni libertà d’espressione. Salvo quella di dire peste e corna dell’assassino di Regeni.
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
LInk: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/08/il-katziatone-di-
rita-katz-o-zitti-e.html
16 agosto 2017 10 <http://www.maurizioblondet.it/adesso-sappiamo-mandato-morte-regeni/#comments>
Il giorno in cui finalmente il governicchio Gentiloni rimanda l’ambasciatore al Cairo, ecco che il New York Times, nientemeno, esce con la notizia presunta bomba, che i nostri media servizievoli titolano così: “Obama diede le prove a Renzi sul ruolo dell’Egitto nell’omicidio di Giulio Regeni”.
*Prove “incontrovertibili”, secondo Repubblica. Poi, leggendo si scopre che i servizi Usa non diedero alcuna prova. Dissero che “non c’era dubbio”, ma per evitare di identificare la fonte, gli americani non condivisero per intero le informazioni di intelligence, né dissero all’Italia quale agenzia** di sicurezza ritenevano fosse dietro alla morte di Regeni, spiega ancora il giornale. *
“Non era chiaro chi avesse dato l’ordine di rapire e, presumibilmente, ucciderlo”, ha detto al giornalista del Nyt un altro ex funzionario Usa”.
*E sarebbero queste le prove incontrovertibili? Nessun dato di fatto. Nessunissimo.*
E’ così evidente che si tratta di una “operazione” americana di intox, disturbo alla ripresa delle nostre relazioni diplomatiche col Cairo, che non ci sarebbe nemmeno bisogno di perderci tempo, se non fosse per il clamore che ne fanno i nostri giornali. Se invece di essere in malafede sono solo ignoranti, possiamo ricordare a questi incapaci due o tre cose: *Barak Hussein Obama ha cercato – anzi è riuscito – a portare al potere in Egitto i Fratelli Musulmani,** con la “primavera araba” di ordinanza, e dunque aveva ben forti motivi di odio (personale e politico) contro il generale Al Sisi, che gli ha sventato il piano. E quindi ben motivato a creargli difficoltà con un vicino molto amichevole, Italia, che aveva scoperto per gli egiziani un importantissimo giacimento.*
Obama stesso è fortemente sospettato di essere un fratello musulmano. Quel che è certo è che la sua segretaria di Stato, Hillary Clinton s’è tenuta come braccio destro, confidente intima e forse amante, Huma Abedin, figlia di un importantissimo esponente dei Muslim Brothers, “Syed” Zainul Abedin.
Huma era sposata con Anthony Weiner, il clintoniano di ferro, ebreo, che fu scoperto a fare proposte oscene a ragazzine sui social, con sue foto in cui mostrava le proprie erezioni. Aveva una scusante: Huma è stata continuamente a fianco di Hillary seguendola in tutta la campagna elettorale come consigliera, appunto della campagna.
*Il meno che si possa dire è che i Muslim Brothers e i loro interessi erano ben rappresentati alla Casa Bianca di Obama. E dunque ben piazzati per vendicarsi di Al Sissi.*
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“*La musulmana Huma è l’ombra di Hillary, immancabile al suo fianco come nelle e-mail più confidenziali, e sempre nel mirino dei nemici. Nessuno quanto lei è vicino a Hillary, che quando lavorava da casa, le scrisse via email: «Bussa alla porta della camera da letto se è chiusa» (Corriere della Sera)*
*Adesso sappiamo, grazie alla rivelazione presunta bomba del New York Times, che Giulio Regeni, mandato dall’università di Cambridge a infiltrarsi tra gli oppositori clandestini ad Al Sissi, era fin dal suo arrivo seguito, controllato e intercettato della NSA**, la National Security Agency americana. Sappiamo anche che il sindacalista degli ambulanti Abdallah, che di nascosto girò il video in cui lui chiedeva dei soldi a Regeni (al quale la sua “Università” aveva dato 10 mila sterline per pagare chi di dovere..Tipico, per un ricercatore) aveva fatto quel colloquio-trappola per conto della NSA stessa.*
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A che scopo? Per usare l’ingenuo italiano? Per sacrificarlo onde buttare un morto tra i piedi del presidente egiziano, e dell’Eni? Ognuno si risponda da sé, sapendo di quanti doppi giochi, trame storte e delitti si sia macchiato Obama, l’idolo delle “sinistre”, dalla Libia alla Siria, a cominciare dalle esecuzioni di persone ordinate coi droni, sempre per favorire i Fratelli Musulmani.
*Tutte le ipotesi sono possibili, anche che Regeni sia stato fatto uccidere da loro, gli americani.* Che ci hanno la mano in questo genere di crimini.
Nella pretesa rivelazione,* “alcuni funzionari di Obama erano convinti che qualcuno “di alto grado” del governo egiziano potesse avere ordinato l’uccisione di Regeni “per mandare un messaggio ad altri stranieri e governi stranieri, cioè di smettere di giocare con la sicurezza dell’Egitto”.*
Già: magari era un messaggio per la NSA. O per quella “università di Cambridge” che, in base a un progetto chiamato Antipode, aveva affidato all’italiano 10 mila sterline – con cui pagare chi? Per cosa? Ah, pardon “per la promozione e lo sviluppo di ricerche in campo sociale”. Normale che un ricercatore venga imbtttito di soldi da spendere. *Perché nè Antipode né Cambridge hanno mai accettato di spiegare le cose ai magistrati italioti, e al governo italano? *Non serviva: bastavano le strida e i cartelli delle sinistre sui palazzi comunali, “Verità per Regeni”.
Tra le altre rivelazioni, la più succosa e grave viene espressa così: “Secondo un funzionario del ministero degli Esteri italiano, i diplomatici erano giunti alla conclusione che l’Eni si era unita alle forze del servizio di intelligence dell’Italia nel tentativo di trovare una rapida risoluzione del caso”, si legge. E “l’avvertita collaborazione fra Eni e servizi di intelligence italiani diventò fonte di tensione all’interno del governo italiano. Ministero degli Esteri e funzionari dell’intelligence cominciarono a essere prudenti gli uni con gli altri, talvolta trattenendo informazioni”, scrive il New York Times Magazine. Che cita la dichiarazione di un funzionario italiano.
Scusate, ma gli Esteri e l’intelligence italiana non dovrebbero lavorare per lo stesso paese e lo stesso scopo?
*Gli americani ci fanno sapere che invece si nascondevano le notizie a vicenda, e ciò perché “l’Eni s’era unita” con la sua, di intelligence, per “trovare una rapida soluzione del caso”. Ciò che Obama, i Fratelli Musulmani, la NSA di Obama, e “Antipode” non volevano. Complimenti.*
<https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2017/08/comune-di-milano.jpg>Sul
Comune di Milano. “La sinistra fa sempre il gioco del grande capiitale. A volte perfino senza saperlo”.
A poco meno di un mese dal referendum per l'indipendenza del Kurdistan iracheno, la questione curda potrebbe far convergere gli interessi strategici di Turchia e Iran; sullo sfondo la possibilità di stabilire una cooperazione economica e militare tra Ankara, Mosca e Tehran.
Dopo la storica visita in Turchia, la scorsa settimana, del capo di Stato Maggiore della Difesa iraniano, il generale Mohammad Hossein Baqeri, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha espresso l'intenzione di discutere con Tehran una possibile azione militare congiunta contro i combattenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e del suo affiliato iraniano, il Partito per una vita libera in Kurdistan (PJAK). Prima della sua partenza per la Giordania, Erdoğan ha reso noto che “un'azione comune contro gruppi terroristici che sono divenuti una minaccia per entrambi i paesi è sempre in agenda”. Possibile obiettivo di queste operazioni sono, secondo i media turchi, le regioni del Qandil e del Sinjar, nel Nord della regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG), già in passato bombardate a più riprese sia dall'aviazione militare turca, sia dall'artiglieria iraniana in quanto basi del PKK. Secondo il sito di informazione Al-monitor, nelle ultime settimane, il Partito democratico del Kurdistan iraniano (PDKI, dichiarato fuorilegge dal 1979 e con basi nel KRG) ha aumentato le azioni armate in Iran, riprese nel 2016 dopo anni di tregua apparente.
Dunque, ad Ankara, il generale Baqeri ha incontrato il suo omologo turco Hulusi Akar, il ministro della Difesa turco Nurettin Canikli e lo stesso Erdoğan, superando, almeno in apparenza, decenni di tensioni, come quelle suscitate dall'accusa a Tehran di sostenere il PKK, avanzata dall'intelligence turca dopo la cattura nel 1999 di Abdullah Öcalan, guida di questo partito. Appare ugualmente superata anche l'appartenenza dei due paesi a diversi sistemi di alleanze nel conflitto siriano: l'Iran è tra gli alleati storici del governo di Damasco, mentre la Turchia, che con quest'ultimo non ha stabilito relazioni di cooperazione (da quando l'ex presidente della Siria Hafiz al-Asad, padre di Bashar al-Asad, ospitò Öcalan dal 1980 al 1998), si è finora adoperata per provocarne la fine. Vale la pena menzionare, infine, che la Turchia ha un peso di rilievo nell'Alleanza atlantica (NATO), organizzazione alquanto ostile all'Iran.
Quella della scorsa settimana è la prima visita ufficiale di un'autorità iraniana in Turchia dal 1979 e la stessa composizione della delegazione di Tehran chiarisce che all'ordine del giorno ci sono la sicurezza e l'integrità territoriale dei due paesi. Al fianco del generale Baqeri c'era infatti il comandante delle truppe di terra del Corpo delle Guardie rivoluzionarie (IRGC), generale Mohammad Pakpour. La visita ha seguito di pochi giorni l'uccisione, da parte dei cartelli del jihad del sedicente Stato islamico (IS), di Mohsen Hojjaji, soldato dell'IRGC inviato in Siria. La guerra al terrorismo è stata dunque uno degli argomenti maggiormente discussi, oltre ai tre aspetti della questione curda: i timori che il referendum per l'indipendenza del KRG, previsto per il prossimo 25 settembre, possa accendere un altro focolaio di tensione nella regione, la possibilità di operazioni militari nel Qandil e nel Sinjar e la necessità di mettere in sicurezza il confine turco-iraniano. Su tutti e tre gli aspetti la collaborazione di Tehran è fondamentale.
Nel maggio scorso, l'Iran aveva accolto con favore il progetto turco di costruire un muro di 70 km lungo il confine, in seguito prolungato a 144 km, che secondo Ankara servirà a bloccare gli “sconfinamenti” dei combattenti del PKK e del PJAK e a rendere più sicuri gli scambi economici via terra tra Iran e Turchia. Stessa funzione e stessa struttura del muro che la Turchia ha costruito al confine con la Siria. In tale contesto, l'accordo su una possibile azione militare congiunta con l'Iran (che ha un ruolo significativo nella ricostruzione dell'Iraq devastato dalla guerra e ha buone relazioni con Baghdad) nel Kurdistan iracheno permetterebbe alla Turchia di evitare, o almeno allontanare il più possibile, eventuali accuse di invasione di un paese sovrano. Per ragioni analoghe, un'eventuale pressione iraniana sul governo centrale iracheno per ottenere un rinvio del referendum sull'indipendenza del KRG a dopo le elezioni politiche di aprile 2018 in Iraq, o che la questione sia dibattuta nel parlamento iracheno, potrebbe risultare più efficace delle mere richieste di Ankara, soprattutto in un momento in cui Erdoğan non gode di particolari simpatie in Europa e negli Stati Uniti. Occorre tuttavia notare che a manifestare perplessità sul referendum sono stati anche paesi “occidentali” come la Germania, gli USA e la Gran Bretagna. In particolare, con Washington le tensioni si sono acuite a proposito del sostegno statunitense in funzione anti-IS ai curdi siriani del Partito dell'unione democratica (PYD, politicamente vicino al PKK) e per il rifiuto di estradare in Turchia il predicatore islamico Fethullah Gülen (che secondo Ankara è la mente del fallito tentativo di colpo di stato del luglio 2016). Il presidente turco, inoltre, sa che nel breve periodo rovesciare con mezzi diplomatici il governo di Damasco è quasi impossibile, quindi potrebbe risultare “utile” un riavvicinamento all'Iran, tradizionale alleato di Damasco e Baghdad, le uniche due autorità attualmente in piedi in grado di dissuadere i curdi da progetti di autonomia o indipendenza.
La visita ufficiale di Baqeri si inserisce nel quadro più ampio di una cooperazione economica e militare tra Iran, Turchia e Russia e precede la sesta tornata di negoziati fra i tre paesi (che si dovrebbe tenere entro la fine di agosto ad Astana, Kazakistan, dopo lo stallo di luglio) sulle zone cuscinetto in Siria e sul possibile dispiegamento di una forza di polizia congiunta nella regione di Idlib. Lo scorso mese, inoltre, Erdoğan ha parlato di un accordo concluso con la Russia per l'acquisto di un sistema di difesa missilistico S-400. Il ministro degli esteri turco ha recentemente sottolineato che “la Russia ha compreso meglio degli USA la sensibilità della Turchia a proposito dell'invio di armi ai curdi del YPG”, anche se Washington afferma di non aver fornito armi a questa organizzazione, ma solo “carri armati e un bulldozer”.
La cooperazione con Russia e Iran riguarda infine importanti accordi economici. La scorsa settimana, la società turca Unit International ha firmato un accordo da 7 miliardi di dollari con la società russa Zarubezhneft e l'iraniana Ghadir Investment Holding per l'estrazione di petrolio e gas naturale in Iran. Con Tehran, la Turchia ha inoltre in ballo la possibilità di aumentare le esportazioni al Qatar attraverso il territorio iraniano. Si tratta di un altro tassello importante nella politica regionale, visto che il 5 giugno scorso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto hanno interrotto le relazioni con il Qatar, che si era rifiutato di esaudire le loro richieste: interrompere il sostegno a movimenti legati ai Fratelli Musulmani nel mondo arabo, chiudere una base militare turca e ridurre le sue relazioni con l'Iran. Il rifiuto di Doha, la capitale del Qatar, è motivato dalla sua dipendenza dalle importazioni di generi alimentari da Iran e Turchia, che hanno in tal modo trovato un ulteriore punto di convergenza dei rispettivi interessi.