L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
"In viaggio con Adele" è il primo lungometraggio diretto dal giovane regista toscano Alessandro Capitani, vincitore del David di Donatello 2016 per il cortometraggio "Bellissima".
La protagonista è l’attrice Sara Serraiocco, già interprete di “La ragazza del mondo”, “Non è un paese per giovani”, e l’ultimo “Brutti e Cattivi”, la dark comedy con Claudio Santamaria e Marco D’Amore che da Venezia arriverà nelle sale il 19 ottobre. Accanto a lei, Alessandro Haber e la partecipazione di Isabella Ferrari e Patrice Leconte.
Adele è una ragazza di 25 anni con la sindrome di Asperger, un grave disturbo dello sviluppo simile all’autismo, che vive sotto l’ala protettiva della mamma Margherita e che non ha mai conosciuto il padre. Quando la mamma improvvisamente morirà, per Adele cambierà tutto. Abbandonata dai parenti, che non hanno intenzione di prendersene cura, Adele incontrerà Aldo, un vecchio attore sessantacinquenne, convocato in Puglia proprio per un ultimo saluto alla defunta Margherita. Aldo scoprirà di essere il padre di Adele e dovrà accompagnarla dalla nonna materna, ma cosa più importante dovrà trovare il coraggio di dirle la verità.
La pellicola si girerà per 5 settimane tra Puglia, Lazio e Parigi.
L’opera è tratta da un soggetto di Alessandro Haber, Tonino Zangardi e Nicola Guaglianone (Lo chiamavano Jeeg Robot, Indivisibili e L’ora legale), quest’ultimo firma anche la sceneggiatura. La direzione della fotografia è di Massimiliano Kuveiller, i costumi sono di Catia Dottori, la scenografia di Andrea Castorina e le musiche di Michele Braga.
La pellicola è una coproduzione Italo-francese tra Paco Cinematografica e Denis Friedman Productions, in associazione con Imprebanca e il sostegno di Apulia Film Commission.
Interno della Sorgente Gabriele |
Uno dei grandi temi che riveste un interesse rilevante, in ambito sociale e culturale, è legato al tema della natura e delle bellezze che da essa traspaiono. Da esperto paesaggistico e scenografo ambientale, spesso colgo occasione di entrare in comunione profonda con la natura, considerandola
Esterno della Sorgente Gabriele |
luogo di delizia e benessere, materiale e contemplativo.
A Palermo, sotto la via Umberto Maddalena, meglio conosciuta dai palermitani come “La Conigliera”, su di un terreno dell’Acquedotto di Palermo, immerso, in mezzo a una vegetazione di macchia mediterranea, si trova uno scrigno d’acqua, con piccole sorgenti che affiorano tra le rocce, raccolte in un cristallino laghetto, denominato Gabriele. Un luogo di una bellezza sconfinata, di cui sono rimasto affascinato.
Ho cercato di attingere notizie in merito alla sorgente, confrontandomi con l’addetto stampa dello stesso acquedotto palermitano, Francesca Currieri.
“Si tratta di una delle quattro fonti che contribuiscono all’approvvigionamento idrico della città” (inizia così il racconto della Currieri). “La storica Sorgente del Gabriele, tra le vie d’acqua che scorrono
Francesca Currieri |
nelle viscere di Palermo, è senza dubbio la più affascinante e carica di storia. Il nome deriva dall’arabo “Al Garbal” e vuol dire “Grotta Irrigante” e viene usato per designare, quattro sorgenti naturali, denominate Gabrielotto, Cuba, Nixio e Campofranco. Trattasi di 4 affioramenti di acqua, che risalgono ai primi del 700, molto vicini fra loro. Già durante la dominazione araba, queste acque venivano impiegate, non solo per usi igienici e domestici, ma anche per alimentare i mulini, allora numerosi in città e i bacini della Zisa e della Cuba. Inoltrandosi nel cuore delle sorgenti del Gabriele, ci si tuffa in un luogo fresco, dove l’acqua fluisce limpida e abbondante, scorrendo attraverso le rocce, formando bolle d’aria che danno vita a suggestivi cerchi concentrici e giochi d’acqua. E’ possibile udire il gorgoglio dell’acqua che fluisce dalle rocce e scorre sul fondo trasparente, in mezzo alle pietre, per poi insinuarsi nei cunicoli che la convogliano al ricettacolo, detto “Magistrale”. Suggestivo anche il laghetto formato dalla sorgente del Gabriele, che mantiene una temperatura costante sia in estate che in inverno. Le sorgenti del Gabriele hanno un grande valore storico e sono legate a uno dei più importanti servizi, offerti ai cittadini: quello dell’erogazione dell’acqua.
Interno della Sorgente Gabriele |
Nella penombra, si nota una scala ripida che conduce ad un ambiente fresco, coperto da un tetto, sostenuto da travi in cemento armato.
La fonte è provvista di illuminazione artificiale di tipo a led che, permette di godere al meglio, questa meraviglia della natura. L’acqua, che affiora tra le rocce, è fredda e limpida, lo spettacolo è magistrale.
Durante l’anno (continua la Currieri) “sono diverse le visite guidate alla Sorgente del Gabriele, promosse da talune associazioni culturali, in collaborazione con l’Amap e il Comune di Palermo. Il corso delle acque, derivate dalle fonti Gabriele, è raffigurato in un quadrone ad olio del 1722, conservato all'Archivio del Comune di Palermo”.
Attraverso l’intervista e le immagini riportate, ho avuto l’opportunità di entrare dentro la notizia, alla ricerca del tesoro arabo nascosto.
Si ringraziano la giornalista Francesca Currieri per la collaborazione
e Pippo Carollo, esperto di immagine, per le foto.
Ferdinando Maddaloni |
L'eclettico artista partenopeo Ferdinando Maddaloni, con la sua seconda docufiction “Non cercare la logica dove non l’hai messa tu” ("Never look for logic if it’s not your logic") prodotta da Artisti Civili con il patrocinio di Amnesty International e il contributo del Nuovo Imaie, si è aggiudicato il premio come miglior documentario al Portugal International FilmFestival 2017 . La cerimonia di premiazione è avvenuta sabato 16 settembre 2017 , all’interno del prestigioso Crowne Plaza di Porto.
«Nel 2008 realizzai la mia prima docufiction dal titolo: “Anna Politkovskaja: concerto per voce solitaria” - spiega Maddaloni – vincitrice di numerosi premi. Nel 2015 nasce la mia seconda docufiction "Non cercare la logica dove non l’hai messa tu" un videodiario, nel quale cerco di svelare tutti i retroscena del precedente fortunato lavoro, partendo dall’amicizia con Andrei Mironov, ossia colui che ha armato la mia penna, ispirando i miei testi e accompagnandomi, non solo fisicamente, nell’inferno dei territori più bui dell’animo umano. Era l’unico che riusciva a zittirmi con quel suo proverbio : “Caro Ferdinando, non cercare la logica dove non l’hai messa tu”». La docufiction, già vincitrice del Premio Hollywood International Independent Documentary Awards 2016, si avvale del montaggio di Stefano Imperato e vede come protagonisti lo stesso Maddaloni (che nel monologo “(in) Visibili segnali di protesta” fa rivivere gli gli spietati parallelismi tra Grosny ed Auschwitz del giornalista freelance Antonio Russo), le attrici Paola Sini e Katia Nani, quest'ultima intensa interprete della giornalista Natalia Estemirova. «Grazie alla lettura di alcune interviste, ma soprattutto ai racconti dello stesso
Katia Nani |
Mironov, ho scritto il monologo "Paura di perdere se stesso" ricostruendo l’ultimo interrogatorio della Estemirova da parte dei suoi rapitori ed immaginando il suo atteggiamento contro il fantomatico Presidente fino ai due colpi mortali».
Il finale è affidato alle vibranti corde vocali di Carmen Femiano, interprete del brano “Vulesse” di Francini&Lattanzio. «Alla base di tutto c’è la promessa fatta sulla tomba di Anna Politkovskaja a Mosca nel gennaio 2009: raggiungere Beslan e prendersi cura dei piccoli sopravvissuti alla strage del 2004. Anna non aveva potuto farlo perché fu avvelenata mentre era in viaggio verso l’Ossezia del Nord durante l'assedio . Ne parlammo con Andrei. "Si può fare" fu la sua risposta. Nacque così il nostro progetto "BeslaNapoli. Una videoteca per Beslan"».
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
Frammenti del
Merano Wine Festival edizione 2017.
Dal 10 al 14 novembre. 5 giorni di degustazioni esclusive ed eventi.
“Sembra ieri che insieme con due amici avevo pensato di trasformare la città di Merano nel salotto buono europeo della raffinatezza in cui passato,
Urano Cupisti (a sin.) con Helmuth Kocher. |
presente e futuro del vino e della gastronomia trovano spazio per il confronto, la conoscenza, l’incontro” (Helmuth Köcher, Presidente e Fondatore del MWF)
Prende forma il Merano Wine Festival edizione 2017. Dal 10 al 14 novembre, 5 giorni di degustazioni esclusive ed eventi imperdibili. Venerdì 10 la rassegna consolidata dei bio&dynamica si arricchisce di una serie dedicata ai vini “orange” e PIWI (vitigni resistenti alle malattie). Sempre venerdì 10 apre la Gourmet Area che ospita la selezione food: Culinaria, Beer passion e Consortium. Sabato 11 e Domenica 12 come sempre una due giorni dedicata ai vini nazionali ed internazionali. Lunedì 13 è la volta delle New Entries della Selezione Ufficiale e delle Vintage Collection dei produttori, un grande appuntamento con le “annate vecchie”. Martedì 14 chiusura in bellezza. Torna, dopo il successo della prima e seconda edizione, Catwalk Champagne, l’appuntamento con gli importatori delle Grandi Maison francesi aderenti al Club Excellence.
Frammento n. 1
Gourmet Arena
Le eccellenze della culinaria si danno appuntamento lungo la riva destra del Passirio, meglio conosciuta come Promenade Sissi. All’interno dei padiglioni, oltre gli show cooking tenuti dai più rinomati chef nazionali ed internazionali trovano spazio acquaviti, liquori e distillati di gran pregio. Oltre 15 i birrifici artigianali scelti dopo accurata selezione. Spazio anche ai Consorzi come vetrina nel mondo dell’eccellenza. Infine una Rue des Chefs, dedicata ai prodotti e servizi di alto livello per il lavoro nella gastronomia.
Frammento n. 2
Bio&Dinamica.
Settore maggiormente in crescita negli ultimi anni non poteva non essere presente al Festival delle Eccellenze. Spazio, da sempre dedicato, nella giornata di apertura. Vini biologici e biodinamici affiancati dagli “orange” e PIWI ( vini da vitigni resistenti alle malattie). Un percorso tra la “naturalità” e “purezza” con oltre 100 produttori selezionati.
Frammento n. 3
Wine Italia ed International
La “vera” anima del Festival. Negli splendidi saloni del Kurhaus, uno dei capolavori Liberty altoatesini, prende vita la tre giorni meranese dove il Vino è il protagonista assoluto. Da anni, ne sono trascorsi ben 26 (ventisei), i riflettori si accendono sul Festival più amato dagli appassionati di tutto il mondo. “Almeno una volta nella vita bisogna visitare il Merano Wine Festival e rendere omaggio alle eccellenze provenienti da tutto il mondo”.
Frammento n. 4
Perché andare a Merano
Perché nelle sale del Kurhaus viene interpretato un percorso tra le varie aree vitivinicole nazionali ed internazionali. The WineHunter, 800 vini che hanno ottenuto l’Award Rosso, Gold o Platinum. Le sezioni Extremis (i vini estremi vanto della viticoltura italiana), le New Entries (le aziende che entrano piano,piano a far parte degli eletti). Infine, nella sala Czerny, i vini che condurranno i visitatori in un viaggio sensoriale attraverso la Spagna, Argentina, Libano, Sud Africa, Austria e Crimea.
Frammento n. 5
Masterclass, gli assaggi particolari, unici.
Da sempre sold out in breve tempo. Veri e propri seminari per approfondire, confrontarsi, conoscere e assaggiare, a volte per la prima volta. Imperdibili per un vero appassionato. Come per gli anni passati il ricavato degli ingressi sarà devoluto al Gruppo Missionario di Merano per la realizzazione di progetti specifici in Africa.
Frammento n. 6
Catewalk Champagne
Giunta alla terza edizione ha “bruciato le tappe”; è già diventata il primo riferimento dello Champagne in Italia. Ben oltre 80 Maison tra le più famose con ben 200 etichette per condividere emozioni in un ambiente unico, il Kurhaus, elitario, elegante. “Lo champagne si confronta con il vino come l’haute couture si confronta con la moda” (Alfred Gratien).
Frammento n. 7
L’Anteprima
Come tutti gli anni l’Anteprima del Merano Wine Festival è lasciata al 78° Gran Premio Merano Alto Adige di Ippica che si correrà il 23 e 24 settembre. Un’occasione speciale per presentare le eccellenze dell’eno-gastronomia offrendo in degustazione un assaggio dei migliori prodotti Food&Wine presenti durante il MWF. Uno spazio curato da Helmuth Köcher, Presidente e Fondatore del Merano Wine Festival.
Riflessione!
“Il Merano Wine Festival non è solo un evento; è un vero e proprio “think tank”, un forum di scambio di opinioni tra produttori, opinion leader, professionisti del settore e consumatori: un benchmark dell’eccellenza enogastronomica”.
Aggiungo: Un’azienda quando viene selezionata dal MWF entra a far parte del gotha dell’alta qualità.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La riflessione!
Ci risiamo. Come tutti gli anni. Vendemmia sì o Vendemmia no?
Come al solito la notizia divulgata dalla Rai (Tg2) ci lascia nel limbo: buona o cattiva? Il servizio è partito categorico: vendemmia da non ricordare per la
Sorbi - La festa della vendemmia |
scarsità produttiva. Poi, tramite interviste ai produttori, è proseguito in un altalenante spot a favore, ma non troppo, della vendemmia recuperata non in quantità ma in qualità. Il “povero” Prof. Riccardo Cotarella, nella sua veste di Presidente dell’Assoenologi, l’Associazione che raccoglie tutti gli enologi italiani, ha avuto il coraggio di richiamare i colleghi “a dire la verità” sulla vendemmia 2017. È stato “massacrato” dai vari Superconsorzi e UVI (Unione Italiana Vini), reo di discriminare il buon nome del Vino italiano. E i degustatori, assaggiatori, seguaci del bravo comico Albanese, privati della certezza buona o cattiva, ricercheranno nei calici il profumo “della gelata primaverile che apre a sentori solari ricchi di raggi UV per l’eccessiva esposizione”. Senza dimenticare “l’uva vizza” dovuta alla mancanza di acqua. Il “carrozzone enoico italico” del vino è già in fermento. Importante è mantenere il primato mondiale della produzione. Se poi a fruirne saranno i Consorzi dei vini in tetrapack (Tavernello, Ronco, San Crispino ecc…) non importa. E i francesi se la ridono (ndr)(U.C.)
Il prof. Riccardo Cotarella |
Frammento n. 1
“Vendemmia 2017, ma quale alta qualità”.
Il Prof. Riccardo Cotarella, Presidente dell’AssoEnologi, l’Associazione che raccoglie gli enologi italiani, si rivolge ai colleghi invitandoli “a dire la verità sulla vendemmia 2017”. “A fronte di un innalzamento del grado zuccherino, riscontriamo un’altissima acidità. E questo è anomalo”. “Parlare di questa vendemmia mi rattrista. La situazione è pesante in tutte le Regioni d’Italia”. Il Prof. Cotarella va giù duro. “Gli enologi non devono seguire le logiche di mercato né cercare di indorare la pillola” Tutto questo è stato detto durante un convegno tenutosi nelle Marche in occasione del 50° anniversario della DOC Rosso Conero.
Frammento n. 2
La “risposta” del Gruppo Schenk e dell’UVI.
La risposta indiretta al Prof. Cotarella non è tardata ad arrivare. È nel commento di Daniele Simoni, Amministratore Delegato di Schenk Italian Wineries, colosso nel settore vinicolo italiano e
Daniele Simoni, AD SchenK Italia |
internazionale. Basti pensare che il solo gruppo italiano Schenk produce 52 milioni di bottiglie all’anno. “Stiamo registrando un calo circoscritto ai volumi non alla qualità”. Ed ecco la pillolina amara. “Si potrebbero (il condizionale foriero di verità nascoste) aprire scenari diversi per il consumatore: a fronte di minor prodotto, aumento dei prezzi. Noi siamo però ottimisti confidando che il consumatore rimarrà fedele alla qualità (pagando di tasca propria l’andamento stagionale avverso n.d.r.). L’U.V.I., Unione Italiana Vini, da parte sua, nell’ammettere le difficoltà riscontrate ed emerse dai primi dati della vendemmia, conferma il primato produttivo mondiale italiano davanti a Spagna e Francia. Come dire: non è successo niente. Il prof. Cotarella è un “catastrofista”!
Frammento n. 3
vigneti nello Ningxia |
Cina: è giunto il momento di smettere di imitare gli altri.
In Cina si passa alla fase CINQUE. Dopo aver studiato agronomia in riferimento alla viticoltura ed enologia (come fare vino), trovato le aree con terreni, microclimi, altitudini adatte all’allevamento dei vitigni, importato i macchinari necessari e studiato come produrli in loco, importato vini europei (per la qualità) per studiarne i segreti più nascosti, aver prodotto vini “imitati”, i cinesi sono pronti a camminare da soli e presentarsi sui mercati internazionali con prodotti di alta qualità. Regioni come Shanxi, Xinjiang e in particolare Ningxia, hanno accumulato da tempo esperienze e apprendimento. I viticoltori cinesi iniziano a essere consapevoli della diversità dei territori e stanno cambiando in funzione del terroir. Non più solo Cabernet, Merlot, Chardonnay in tutti i territori. Lo studio delle zone vocate è in atto. Sono arrivati vitigni come il Marselan, Petit Manseng, Malbec, Tempranillo e udite, udite, l’Aglianico (Grace Vineyards). Presto arriverà anche il Sangiovese e ne vedremo delle belle!
Frammento n. 4
Il Prosecco fa male ai denti. Poi ci ripensano: è una fake news.
Daily Mail e Guardian in testa. I grandi quotidiani inglesi cadono nella bufala del Prof. Darmien Walmsley, sedicente esperto della British Dental Association, che indica Il Prosecco come bevanda
l'articolo del Guardian |
zuccherina-alcolica con l’aggravante dell’anidride carbonica e causa di tutti i mali con alto rischio di corrosione per i denti. Come se tutti gli spumanti, anche quelli inglesi, non contenessero zucchero, alcool e CO2. Poi si viene a sapere che i produttori britannici di birra sono preoccupati da tempo sull’aumento delle vendite di sparkling, con in testa il Prosecco. Che sia la lobby britannica della birra l’autrice di questa fake news (da noi detta più semplicemente bufala mediatica)? Una cosa è certa: è durata dalla sera alla mattina con tanto di scuse dei quotidiani per la notizia alquanto fantasiosa. Per questa volta lo sparkling, con il Prosecco in testa, sono salvi.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
8 settembre 2017 , 20:07
*Questa è una lettera che avevo indirizzato ad Alessandro Di Battista in merito al suo intervento alla Camera sul caso Regeni-NYT e, per conoscenza, ad alcuni parlamentari 5Stelle di mia conoscenza. Non ho ricevuto risposta e questa lettera diventa pubblica, anche perché contiene considerazioni che possono essere indirizzate a molte altre persone* *Questa che è una critica all’intervento del deputato 5Stelle e un invito a riconsiderare certe sue posizioni, non mette minimamente in questione la stima e la solidarietà che ho nei confronti di tante ottime battaglie condotte da Di Battista, alcune delle quali sono state anche da me condivise sul campo*
Caro Alessandro Di Battista,
faccio il giornalista da oltre mezzo secolo, oggi indipendente ma vengo da organi come la BBC, Paese Sera, Panorama (pre-Berlusconi), L’Espresso, The Middle East, Giorni Vie Nuove, Astrolabio, Rai-TG3. Ho sostenuto molte attività del M5S e con il MoVimento e suoi illustri sostenitori ho organizzato nella mia zona pubbliche iniziative (con Morra, Ruocco, Imposimato, Lanutti, Scibona, Bertorotta…) Ho intervistato deputati e senatori del MoVimento, compreso te, sono amico della senatrice Ornella
Bertorotta e ho partecipato a numerose vostre iniziative alla Camera e al Senato. Miei documentari sono stati presentati al Senato. Ho lavorato con militanti 5Stelle sul territorio per i miei documentari e articoli No Tav, No Muos, No Triv, No Basi, terremotati. Spero che tutto questo mi dia un po’ di credibilità.
Conosco la tua esperienza in America Latina e nel Sud del mondo e quindi presumo una tua conoscenza del modus operandi di certe grandi potenze dagli insopprimibili appetiti coloniali in quelle parti del mondo.
Perciò sono rimasto sinceramente esterrefatto per le tue dichiarazioni alla Camera sulla questione Giulio Regeni e, in particolare, per aver accreditato la manifesta bufala di un giornale come il New York Times sulle presunte “prove inconfutabili”, di un suo articolo assolutamente privo di prove inconfutabili, che sarebbero state fornite da un oscuro e anonimo funzionario dell’amministrazione Obama. Prove di cui da allora non si è saputo più nulla. Documenti di cui il governo italiano dice di non aver mai
saputo nulla (e mi sembra difficile negare qualcosa che potrebbe poi, apparendo, ritorcersi in maniera disastrosa su chi aveva negato).
Considerare il NYT lo standard aureo dell’informazione è perlomeno azzardato, visto il ruolo che questo quotidiano, espressione dell’estrema destra israeliana, ha sempre sostenuto nell’avallare le ragioni, false, per tutte le guerre d’aggressione Usa, comprese le famigerate armi di distruzione di massa.
La questione Regeni è complessa e vi si incrociano interessi dichiarati e altri molto poco dichiarati. Merita un’analisi attenta come quella che in parecchi, compreso il sottoscritto, vi hanno dedicato. Va inquadrato nella contesa geopolitica sul controllo dell’Egitto e dei suoi rapporti con un paese cruciale nel Mediterraneo come l’Italia, controllo che è diventato oggetto di contesa tra potenze varie, soprattutto da quando l’Egitto, sotto la spinta di una rivolta di massa (molto meno che di un golpe militare che l’ha solo assecondata), si è liberato del regime oppressivo e ntegralista dei Fratelli musulmani, da sempre fiduciari degli interessi coloniali occidentali nel mondo arabo e matrice di buona parte del terrorismo che oggi vi imperversa.
Ciò che turba nell’accanita campagna per la verità per Giulio Regeni è che tutti trascurano i precedenti professionali del giovane e in particolare il suo lavoro per un gruppo di persone specializzate in operazioni sporche: i dirigenti dell’impresa transnazionale di spionaggio “Oxford Analytica” John Negroponte, organizzatore degli squadroni della morte in Nicaragua e Iraq, Colin McColl, già capo dell’MI6, e David Young, processato e incarcerato per il suo ruolo nello scandalo Watergate. E tutti fingono anche di non vedere come, nelle sue trattative con il capo del sindacato ambulanti, Regeni rifiutasse di sostenere le cure per la moglie dell’interlocutore ammalata di cancro, ma fosse disposto a pagargli ingenti somme purchè presentasse “progetti”. Quali “progetti”, a nome di chi? Comportamento sufficiente per alimentare sospetti, non solo nel suo interlocutore. E’ stato mai chiesto all’Università di Cambridge, o a *Oxford Analytica*, per quali progetti a Regeni fossero state messe a disposizione decine di migliaia di euro? L’interesse di governi Nato, in particolare anglosassoni e francese, concorrenti con quello italiano nella corsa alle risorse energetiche (incalcolabili, al largo dell’Egitto) nel Mediterraneo e in Libia, e, quindi, una strategia per emarginare un’Italia una volta fortemente egemone in quel settore (come accadde con Enrico Mattei), si è resa evidente con l’intensificarsi dei rapporti di questi governi con il pur tanto deprecato Al Sisi, nel momento spesso in cui, con scoperta ipocrisia, i media più rappresentativi di queste potenze si accanivano sul caso Regeni e condannavano l’Italia per aver ristabilito rapporti diplomatici con l’Egitto.
Ne risulta evidente che l’interesse del NYT, portavoce dei circoli neocon del complesso militar-industrial-finanziario Usa, a sollevare il caso Regeni, ha molto poco a che fare con i diritti umani (sul cui abuso lo stesso giornale tace ostinatamente quando si tratta di regimi alleati o subalterni), o con la sorte del giovane ricercatore. Ha a che fare con la negazione all’Italia di qualsiasi sovranità e autodeterminazione in politica estera ed economica.
L’esperienza storica, da Enrico Mattei ad Aldo Moro, ma anche con Minniti oggi, dimostra che la coalizione israelo-euro-atlantica non consente all’Italia una politica estera autonoma, che valorizzi i nostri rapporti di mutuo beneficio con i paesi arabi. Il nostro, per l’alleanza diseguale in cui siamo inseriti, era e dovrebbe rimanere un ruolo ancillare. Quanto al Medioriente, l’attuale offensiva contro l’Egitto è con ogni evidenza la persecuzione di una strategia che punta alla frantumazione di Stati arabi forti, laici e indipendenti. Che ha già lasciato sulla sua strada la Libia e persegue la sua opera con i tentativi di disgregazione, tra aggressioni dirette, surrogati jihadisti e della Fratellanza Musulmana, di Siria, Iraq, Sudan. Ne abbiamo ricavato esclusivamente conseguenze negative.
Il M5S ha dato ripetute dimostrazioni di autonomia e chiaroveggenza nelle sue iniziative di politica estera. Penso alle posizioni sulle sanzioni alla Russia, su Nato, i paesi dell’A.L.B.A, l’Iran, la guerra alla Siria.
L’allineamento con una campagna chiaramente strumentale contro l’Egitto, fondata su premesse del tutto indimostrate e su altre mistificate e occultate, mi auguro possa essere, alla luce di quanto sopra, sottoposto ad accurata verifica.
Per finire, permettimi di avvisarti sulla pericolosità di ricorrere a stereotipi assai sospetti e invariabilmente strumentali, come quello di affibbiare la qualifica di “dittatore” a destra e manca. A parte che in alcuni casi la qualifica è del tutto arbitraria (Milosevic, Putin, governanti eletti in modo molto meno fraudolento di quelli con cui si condizionano gli elettori nella cosiddette democrazie) e, in altri, non tiene conto di una realtà storica, culturale, politica, del tutto diversa dalla nostra, non solo mostra un’inclinazione all’eurocentrismo sempre un po’ colonialista, ma contribuisce a spianare la strada alle aggressioni delle potenze che si arrogano il diritto di impartire tali etichette. Si tratta di questioni che, come constatiamo ogni giorno, coinvolgono la vita e provocano la morte di milioni di persone, sulle quali non è consentita approssimazione o ripetizione di stereotipi.
Non occorre essere grandi etnologhi, antropologi o storici per capire che i modelli istituzionali usciti in Europa dalle rivoluzioni borghesi difficilmente sono applicabili a contesti completamente diversi. I paesi che si definiscono disinvoltamente e strumentalmente “dittature”, da parte, tra l’altro, di chi è sottoposto alla più feroce dittatura finanziaria e alle più proterve manipolazioni mediatiche, hanno alle spalle una storia diversa. E sono usciti all’indipendenza e alla modernità solo da pochi decenni, dopo secoli e millenni di tirannie imperiali. Erano dominati da autocrazie distanti e sanguinarie, romana, ottomana, britannica, francese e altre. Non gli era consentita la minima autodeterminazione politica, se non una limitata gestione degli affari locali minori, specie sulle controversie giudiziarie. Ogni forma di organizzazione politica era bandita. La tribù poteva darsi al massimo un capo, nella persona più anziana o autorevole, per le questioni locali e per l’interlocuzione con gli emissari dell’impero. Nell’immaginario collettivo, all’inizio dell’era dell’indipendenza e della nazione, il quadro era quello tribale del capo e dell’assemblea degli anziani. Non poteva non perpetuarsi all’alba della nascita dello Stato, tanto più se questo era da attribuirsi al merito di un padre della patria come è stato il caso nella maggioranza dei paesi decolonizzati. Credo che la legittimità di un governo, poi, si misuri anche dal consenso e dal confronto con la situazione del passato. Quella determinata da noi democratici europei.
Noi italiani, poi, del resto come gli inglesi, che con Churchill hanno gasato i civili iracheni, o i francesi delle torture algerine, dovremmo adottare un po’ di cautela nelle condanne. Il maresciallo Graziani ha sterminato un terzo del popolo libico, 600mila, Gheddafi ha dato a tutti i libici dignità, acqua potabile e benessere, come riconosciuto dall’ONU che, nel 2011, aveva ancora classificato la Libia prima per “sviluppo umano” in Africa.
Aggiungo alcuni illuminanti dettagli, già ripetutamente riferiti in miei articoli sul blog e su FB, oggi riassunti da chi si occupa del caso da tempo e che non dovrebbero essere trascurati da chiunque voglia occuparsi, in alternativa ai produttori di fake news nei mass media al servizio del revanscismo neocoloniale, di politica estera con onestà e competenza.
Grazie dell’attenzione.
Con stima per tanta parte che il M5S e tu avete avuto nel prospettare agli italiani una sorte migliore.
Fulvio Grimaldi
www.fulviogfrimaldicontroblog.info
*-Giulio Regeni è stato* un brillante studente che ha studiato a lungo negli USA e poi in Gran Bretagna (UK).
*-Nel momento in cui* è stato inviato in Egitto per effettuare una non ben precisata “ricerca” sui sindacati indipendenti egiziani, stava per conseguire un dottorato di ricerca presso la prestigiosa Università di Cambridge.
*-In precedenza, nell’UK,* aveva lavorato negli anni 2013-2014 anche per la Oxford Analytica, una vasta organizzazione con migliaia di dipendenti, presente in molti paesi del mondo, incaricata ufficialmente di svolgere “analisi politiche” i cui principali dirigenti erano:
--John Negroponte (cittadino USA), già importante agente della CIA ed organizzatore degli squadroni della morte in America Centrale che uccidevano gli oppositori antimperialisti di quell’area;
---David Young (cittadino USA), già membro del gruppo di spie implicato nello scandalo Watergate, incaricato dal Presidente Nixon di spiare e raccogliere informazioni sul rivale Partito Democratico;
--Colin McColl (cittadino UK), già alto dirigente del noto servizio di spionaggio britannico MI6 (quello di 007).
*--In Egitto Regeni* era anche “visiting scholar” dell’Università Americana del Cairo, notoriamente implicata in iniziative atte a diffondere il pensiero e l’influenza USA nella classe colta egiziana e difendere gli interessi statunitensi.
*-Durante il periodo* in cui è stato in Egitto, Regeni ha pubblicato con uno pseudonimo vari articoli sui sindacati egiziani, anche sul “Manifesto”, ma si sa pochissimo sulla sua attività di “ricerca”.
*-E’ certo che Regeni* avesse agganciato il sindacalista Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti.
*--In una registrazione* (parziale) diffusa da organi di stampa italiani qualche mese fa, si sente Regeni offrire 10.000 dollari ad Abdallah in cambio di fantomatici “progetti” non meglio specificati. Abdallah, già in contatto con la polizia egiziana, registra il colloquio e chiede a Regeni denaro per sé.
Regeni rifiuta e si mostra molto prudente. Forse già sa, o sospetta, che Abdallah lo sta registrando e lo ha già denunciato alla polizia. Di fatto Regeni è “bruciato”.
*-Il 25 gennaio 2016* Regeni scompare in circostanze mai chiarite. Il suo cadavere, recante segni di gravi maltrattamenti e percosse, viene ritrovato il 3 febbraio in un luogo aperto, non nascosto e di facile accessibilità, presso l’inizio dell’autostrada per Alessandria.
*-Proprio in quei giorni* è in corso al Cairo un’importante riunione economica tra una delegazione italiana guidata dalla Ministra Federica Guidi ed una delegazione del Governo Egiziano. Tra gli argomenti trattati anche eventuali concessioni all’ENI relative al più grande giacimento di gas off-shore del Mediterraneo scoperto presso la costa egiziana.
*-Il Ministro Guidi* rientra precipitosamente in Italia (anche se si ritiene che trattative economiche siano continuate sottobanco).
*-Le autorità italiane* accusano gli inquirenti egiziani di scarsa collaborazione nelle indagini sull’assassinio e l’ambasciatore italiano viene fatto rientrare dal Cairo. Tutta la stampa italiana, ed i partiti ed i movimenti politici, tranne poche eccezioni, si scatenano in una prolungata campagna contro il Governo Egiziano, accusato quale mandante dell’omicidio (ma senza prove concrete).
*-L’Università di Cambridge* rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani per chiarire l’esatto mandato ricevuto da Regeni. Nessuna pressione viene fatta dal Governo Britannico sull’Università di Cambridge o sulla Oxford Analytica perché forniscano chiarimenti sull’attività di Regeni. Lo stesso si può dire per il Governo USA nei confronti dell’Università Americana. Il Governo italiano non esercita pressioni e non prende alcun provvedimento verso le istituzioni ed i Governi di cui sopra.
*-Solo pochi gruppi o persone* in Italia si pongono il problema del “cui prodest”. L’omicidio Regeni ha certamente messo in difficoltà il governo egiziano, posto sotto accusa, e che non aveva interesse ad eliminare un informatore di basso profilo già “bruciato”. L’assassinio ha invece fortemente favorito gli interessi economici di altri paesi, come UK e Francia, che si sono affrettati a concludere una serie di accordi economici con l’Egitto profittando dell’allentamento dei rapporti Italia-Egitto e non mostrando nessuna solidarietà con l’Italia. Non appare peregrina l’ipotesi che l’informatore di basso profilo Regeni, già “bruciato”, sia stato “sacrificato” per creare una situazione come quella descritta sopra, magari con la complicità di qualche gruppo deviato dei servizi egiziani (eventualmente infiltrato dalla Fratellanza Musulmana, all’opposizione).
–*Recentemente il Governo* italiano decide di cambiare politica e riallaccia relazioni con l’Egitto, parlando di partnership ineludibile e di una possibilità di una maggiore collaborazione dei due stati anche nelle indagini.
-Si scatena l’attacco di ampi settori politici e della stampa, spesso facenti parte dell’area dell’interventismo “umanitario” (già sponsor delle guerre in Jugoslavia, Libia e Siria) al Governo, reo di un eccesso di realismo politico. Si comincia però in vari settori ad avanzare anche una critica alla non collaborazione di Cambridge e ad porre ipotesi alternative sull’omicidio e domande sulla reale attività di Regeni.
–*In un’intervista* il gen. Tricarico, ricoprente incarichi governativi (vedi sotto), ribatte alle accuse, parlando di “utili idioti” che non comprendono il reale contesto di questi tragici avvenimenti.
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/09/regeni-
new-york-times-dittatori-caro.html
8.09.2017
Sul referendum consultivo nel Kurdistan iracheno molte le perplessità della comunità internazionale: conflitti politico-tribali, crisi economica, ma soprattutto le possibili ripercussioni sullo scacchiere regionale.
Il prossimo 25 settembre, nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG), è previsto un referendum consultivo che chiamerà gli elettori a pronunciarsi sull'indipendenza. Il quesito è: vuoi che la regione del Kurdistan e le aree curde al di fuori dell'amministrazione della regione diventino uno stato indipendente?
Le aree al di fuori dell'amministrazione del KRG includono città economicamente e strategicamente importanti (come Kirkuk, Khanqin, Sinjar e Makmor, occupate dai peshmerga curdi nel conflitto con il cosiddetto Stato islamico) e il cui controllo è motivo di disputa con il governo centrale iracheno. Anche per questo, con l'eccezione di Israele, favorevole a un'eventuale indipendenza del KRG, la comunità internazionale ha espresso le sue perplessità a riguardo, richiamando al rispetto del diritto internazionale (Russia) e della costituzione irachena (Iraq, Iran, governo siriano) e al dialogo con il governo di Baghdad (Russia e Unione Europea) e argomentando che sarebbe meglio rinviare la consultazione a data da definirsi, per non perdere di vista le priorità attuali in Medio Oriente (Stati Uniti e Gran Bretagna) e per non creare altri conflitti. Turchia e Iran, inoltre, hanno chiamato in causa il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale irachene.
Oltre all'Iraq, la questione curda riguarda anche Siria, Turchia e Iran. In Siria i curdi, grazie alle vittorie sul campo nella guerra contro i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico (IS), cui ha contribuito il sostegno USA, hanno proclamato la Federazione democratica della Siria settentrionale, modello di stato multietnico e multiconfessionale, alternativo al KRG. La sua impostazione politica è, teoricamente, ispirata a principi come il confederalismo democratico, l'ecologia e la parità di genere, propalati da oltre un decennio da Abdullah Öcalan, guida del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ancora detenuto nel carcere turco di massima sicurezza di İmralı. Il suo progetto, abbandonata la linea marxista dopo il crollo dell'Unione Sovietica, era indurre la società curda (in particolare in Turchia, ma non solo) a superare i retaggi feudali e tribali, ma da questo punto di vista i risultati sono ancora modesti, complice l'arretratezza economica. Al PKK, inoltre, i curdi siriani del Partito di unione democratica (PYD) e della sua ala armata, le Unità di difesa popolare (YPG), devono in buona misura i successi bellici, ma i legami con questo partito rischiano di minare il loro “esperimento politico” e di privarlo di una qualsiasi legittimazione internazionale. Intanto, il PKK da qualche anno raccoglie un numero crescente di consensi tra i curdi iracheni, molti dei quali sono insoddisfatti della gestione del KRG da parte del presidente Massud Barzani e del suo Partito democratico del Kurdistan (KDP)e non trovano alternative valide nelle altre forze politiche, l'Unione patriottica del Kurdistan (PUK, indebolito dal ritiro dalla vita politica di Jalal Talabani) e il movimento Gorran, fondato nel 2009.
Tale evoluzione preoccupa alquanto la Turchia (che pure ha ottime relazioni con il KDP di Barzani), anche perché, da quando Öcalan è in prigione, le redini del PKK rischiano di passare nelle mani di personalità meno propense al dialogo e a rinunciare alla lotta armata, iniziata nel 1984. Qualche speranza di soluzione del conflitto era venuta dal processo di pace avviato nel 2013 dall'allora primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan e da quest'ultimo interrotto nel 2015. La distensione, peraltro, è resa più ardua dall'emarginazione cui il governo di Ankara ha condannato il Partito democratico dei popoli (HDP), di cui dieci esponenti, compreso uno dei due presidenti, Selahattin Demirtaş, sono in carcere per condanne relative al terrorismo, mentre altri quattro, tra i quali l'altra presidente Figen Yüksekdağ, si sono visti revocare il mandato parlamentare. Impedendo all'HDP di avere una rappresentanza parlamentare proporzionale al consenso riscosso tra la popolazione, Erdoğan rischia di avvalorare la tesi dell'inefficacia di una soluzione politica per il Sud-est a maggioranza curda, “affidandone”, di fatto, la gestione all'artiglieria.
In Iran, dove la comunità curda è più integrata nel tessuto sociale, il presidente Hassan Rohani, che nel dicembre 2016 aveva promulgato la Carta dei diritti del cittadino (volta a garantire pari diritti a tutti i cittadini della Repubblica islamica), ha visto aumentare negli ultimi mesi la tensione tra i curdi e le autorità iraniane. Il Partito democratico del Kurdistan iraniano (PDKI, legato al KDP ed esiliato nel KRG da circa vent'anni) ha annunciato di voler riprendere la lotta armata per indebolire la Repubblica islamica, come ha dichiarato di recente il suo leader Mustafa Hijri. Scontri tra gruppi armati curdi e l'esercito iraniano si sono verificati dal 2015, con ingenti perdite da entrambe le parti. Ma la principale preoccupazione di Tehran riguarda i curdi salafiti, alcuni dei quali si sono arruolati nelle formazioni jihadiste in Iraq, compreso l'IS. Basti citare Abu Aisha al-Kurdi, che ha più volte attraversato il confine tra Iran e Iraq prima di essere ucciso nel novembre 2016 dalle forze di sicurezza di Tehran. Secondo il Ministero dell'intelligence iraniano, inoltre, almeno quattro componenti dei due commandos che lo scorso 7 giugno hanno assaltato il Parlamento iraniano e il Mausoleo di Khomeini a Tehran erano salafiti curdi. Rohani ha scelto la linea diplomatica e della distensione: alleanze e intese con Russia e Turchia e la nomina, lo scorso agosto, di un curdo come Ministro del Petrolio. Si tratta di Bijan Namdar Zangeneh, che dal 1984 ha ricoperto cariche simili durante i governi di Mirhossein Mousavi, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami.
Persino tra i curdi iracheni non tutti sono d'accordo con il referendum sull'indipendenza, che in molti considerano un espediente demagogico di Massud Barzani e del KDP per distogliere l'attenzione dalla cattiva gestione dell'economia e della società della regione, anche prima dell'inizio del conflitto con l'IS. Alla radice della questione c'è la struttura sociale curda, tribale e ancorata ai legami familiari e di clan, sostanzialmente ricalcata dall'appartenenza di partito e dalla distribuzione di cariche amministrative e di polizia nella regione. Barzani, membro di una delle tribù più potenti, è stato più volte accusato di un eccessivo accentramento di poteri e un'eventuale indipendenza rischia di acuire le divisioni e gli attriti tra le forze politiche attive nel KRG. Da oltre un secolo, passando per il trattato di Sèvres e per l'accordo di Losanna, i curdi sono stati spesso strumentalizzati dalle potenze mondiali e regionali che, dopo aver promesso loro autonomia o indipendenza, una volta raggiunti i loro scopi, hanno voltato loro le spalle. Per citare un esempio, gli USA negli anni '70 sostenevano lo Shah di Persia che istigava la rivolta dei curdi contro l'Iraq filo-sovietico di Ahmad Hassan al-Bakr. Ma, dopo l'accordo tra Tehran e Baghdad del 1975, che pose fine alle dispute sul confine, Washinton e lo Shah negarono il loro appoggio ai curdi, lasciando che la loro insurrezione venisse repressa nel sangue.
La perplessità della maggior parte della comunità internazionale sul referendum sull'indipendenza del KRG ha dunque una motivazione pragmatica, ossia il timore delle ripercussioni di una vittoria del sì sull'intera regione: su paesi già sfiniti dalla guerra come Siria e Iraq, sulla Turchia, membro fondamentale dell'Alleanza atlantica (NATO), e sull'Iran, che ha in corso con la comunità internazionale un delicato negoziato sul programma nucleare. Inoltre, anche a proposito di un eventuale referendum in Catalogna, occorrerebbe riflettere lucidamente sia sull'opportunità di fondare stati fragili e geopoliticamente deboli in un'epoca di globalizzazione (processo che ha svuotato di senso il concetto di stato-nazione), sia sull'esito disastroso della disgregazione di entità statali eterogenee come la Federazione jugoslava e il Sudan, dalla cui dissoluzione sono nati stati che ancora oggi non godono di alcuna forma di autosufficienza. Trattandosi di indipendenza, sarebbe opportuno dunque chiedersi: indipendenza da cosa?
04.09.2017 - Mesi fa 108 ricorrenti presentarono una causa legale che chiedeva che venga stabilita una legislazione che regoli le funzioni della Commissione per l’Energia Atomica Israeliana (IAEC), i suoi ruoli, autorità, forma di organizzazione e gestione, e per chiedere il controllo delle sue attività e dei suoi impianti. In qualsiasi paese democratico è una cosa ovvia, un settore così importante non può essere lasciato al completo arbitrio del governo.
Infatti l’IAEC fu creata nel 1952, ma i suoi ruoli e i metodi di controllo delle attività non sono mai stati regolati da una legge: essi furono stabiliti con ordini amministrativi segreti, emessi dall’allora Primo Ministro David Ben-Gurion, e in seguito con una serie di decreti governativi pure segreti. La Commissione si occupa di temi che riguardano la salute e la sicurezza dei cittadini israeliani, compresi la sicurezza nucleare, l’autorizzazione degli impianti e delle attività, il trattamento delle scorie nucleari (pensiamo alle vicende e le contestazioni del progetto di deposito nucleare nazionale in Italia), oltre ad essere consulente del governo per la politica nucleare.
È appena il caso di ricordare che Israele non ha mai ammesso ufficialmente e pubblicamente l’esistenza del suo arsenale nucleare, e non ha aderito al Trattato di Non Proliferazione: che cosa accadrebbe in qualsiasi altro paese che tenesse segreto ai suoi stessi cittadini il proprio arsenale nucleare?
Il governo israeliano aveva chiesto alla Corte Suprema di rigettare totalmente la causa, senza nessuna udienza, sostenendo che la Corte Suprema non ha l’autorità di ordinare al primo ministro di legiferare. Ma la Corte ha respinto la posizione del governo: questa è la prima volta nella storia dello Stato di Israele che una corte esercita una critica legale sulla IEAC e le sue attività. Durante l’udienza i giudici si occuperanno dei regolamenti più segreti dello Stato di Israele, e decideranno se essi sono soddisfacenti e se consentire al governo di continuare ad usarli, oppure accettare la richiesta dei ricorrenti di stabilire una legislazione che regoli le operazioni e consenta un reale controllo.
Shimon Dolev, Direttore del Movimento Israeliano per il Disarmo, ha dichiarato che “il solo fatto che la Corte Sprema esaminerà questo caso è una vittoria. … Speriamo che a seguito di ciò, sia che vinciamo o che perdiamo, avremo alla fine una discussione vera sulla natura del controllo della IAEC e delle sue strutture. Questa non è la fine del ‘regno del segreto’, l’ambiguità nucleare di Israele non cambierà, ma la sicurezza dei cittadini deve essere tenuta in conto più della convenienza dello Stato e della Commissione”.
Si tenga presente che la IAEC ha il compito di controllare che il reattore nucleare di Dimona operi secondo la legge e non in segreto: il reattore fa parte del centro segreto nel deserto del Negev in cui è stato sviluppato l’arsenale nucleare di Israele.
Anche il Prof, Avner Cohen, dell’Istituto Internazionale Middlebury di Monterrey, autore del libro Israel and the Bomb (1998), ha riconosciuto la novità senza precedenti di questa udienza, perché la Corte Suprema riconosce che la situazione attuale è altamente problematica.
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Prostatite e possibili noduli tumurali. Troppi urologi incompetenti , grazie anche al ministro della Salute Lorenzin.Prima o poi, agli uomini capita a tutti, superati i 50 anni, e forse anche prima,di doversi confrontare con la prostatite, una infiammazione della ghiandola, che tra l’altro serve anche alla procreazione, ma anche ad altro, cioè alla sfera sessuale in generale. E già, perché se qualcosa si inceppa, si rischia anche di rimanere impotenti. Ma cosa che non viene detta è ciò che accade nel retrobottega, cioè quando ci si reca dall’urologo. Alcuni professori di levatura internazionale sostengono che effettuare una biopsia alla cieca alla prostata, e non su un nodulo preciso, è come cercare un ago nel pagliaio. Eppure ci sono ancora ospedali, anche a Roma, come ad esempio il S. Camillo, dove effettuano anche 50 punture ed oltre alla prostata, senza trovare un bel nulla. Come anche al Fate Bene Fratelli, dove ancora si eseguono biopsie a grappolo e non mirate , naturalmente con i costi che ne conseguono e con gli strascichi di dolore per il paziente. E nessuno di questi ospedali ha suggerito, invece, di effettuare una risonanza magnetica multiparametrica, l’unica in grado di scovare cellule tumorali ove vi fossero. Ma costa troppo , oltre il fatto che se anche ne avessero i macchinari si dovrebbe attendere troppo prima di poterla effettuare. E così indirizzano verso cliniche private, come per esempio il Pio XI od il Salvatur Mundi, dove il costo sfiora i 900 euro. Vuoi provare a salvarti la pelle? Allora paga. Questi i risultati della politica dei tagli alla Sanità pubblica della non laureata ministra della Salute, Lorenzin.
Ma il dramma è che troppi urologi non sappiano neanche che esista la risonanza magnetica multiparametrica, e così continuano con l’imposizione del dito e le biopsie a grappolo, che non servono a nulla, e con tanto di anestesia totale, tanto per metter soldi nel portafoglio. Cliniche private? La musica non cambia. Biopsia a grappolo ed anestesia totale, per non trovare nulla. Poi, per fortuna esiste qualche urologo che sostiene di effettuar una biopsia mirata, con due tre punture, sul nodulo sospetto, senza anestesia e senza dolore. Ma sono pochi. A chi credere? A Belzebù? Quasi nessuno, invece, prova a curare il malessere come prostatite, eventualmente prima di procedere oltre. Ma alcune cliniche, addirittura, in caso di biopsia mirata, fanno firmare un documento che le scagiona da qualsiasi eventuale danno collaterale. Qual’è la verità? Che ci sono più stregoni che medici, mentre la Lorenzin resta imperturbabile, inviata speciale di Alfano, ad effettuare tagli alla Sanità invece che occuparsi del suo reale funzionamento. E presto ci auguriamo torni a casa ad occuparsi delle faccende domestiche, sempre che sia in grado di farle.
Proviamo ad immaginare le parti anatomiche di un corpo umano; immaginiamo che il cuore, il fegato, la milza, il rene, il polmone, il cervello, gli intestini, alcune costole, alcuni muscoli, siano stati levati in obitorio ad una persona deceduta e messi in un recipiente. E ora immaginiamo gli stessi organi prelevati dal cadavere di un animale, per esempio un maiale, e messi in un altro recipiente vicino al primo. Queste misere parti risultano, ad occhio profano, identiche, indistinguibili. Ebbene, pensare di cucinare e mangiare le prime farebbe vomitare, inorridire chiunque dotato di sensibilità e di senso estetico; invece, per le massaie o per i cuochi, cucinare e mangiare le seconde viene considerata una prelibatezza da leccarsi le dita.
Eccetto i cannibali, chi se la sentirebbe di cucinare e mangiare la coscia, il petto, il piede, la faccia, i testicoli, la milza, il pancreas o qualunque altra parte del corpo di un essere umano? Solo l’idea certo sconvolge ogni persona normale, mentre è considerato un piatto prelibato se ad essere cucinate sono le identiche parti anatomiche di un qualunque animale ritenuto commestibile.
Chi utilizzerebbe per il proprio pasto un recipiente in cui c’è stato del sangue umano e messi a giacere i resti di un’operazione chirurgica? Invece, per la stragrande maggioranza delle massaie o dei cuochi è considerato normale usare recipienti in cui sono stati utilizzati resti del cadavere di un animale.
Chi consumerebbe a colazione latte di donna? Credo nessuno. Mentre è considerato normale utilizzare il latte di un animale, igienicamente meno adatto e meno compatibile con la nostra vita.
Chi mangerebbe un uovo uscito dalla vagina di una donna? Sfido chiunque a superare questa ipotetica prova. Mentre è considerato normale utilizzare, a profusione, uova uscite dall’utero di un animale, tra l’altro ritenuto, erroneamente, il meno dotato sotto l’aspetto cerebrale, estetico, spirituale.
Come può succedere tutto questo? Perché l’essere umano si è abituato a convivere con ciò che è raccapricciante, stomachevole, disgustoso e contro la sua stessa natura di essere emotivamente, eticamente ed esteticamente sviluppato? Perché l’essere umano, per sua natura frugivoro, ritiene normale mangiare un animale mentre considera crudele quando animali carnivori agiscono allo stesso modo e pur non avendo gli attributi anatomici degli animali predatori si comporta come tali?
Come ha potuto arrivare a considerare buoni da mangiare dei pezzi di cadaveri sanguinolenti ed in via di decomposizione? Come può un essere umano mettere nel suo stomaco lo stomaco cucinato di un animale? Nel suo intestino l’intestino di un animale? Il piede o la gamba di un animale? Che differenza c’è tra gli occhi, le orecchie o la lingua di un essere umano e gli occhi, le orecchie e la lingua di un vitello, cavallo o maiale?
Così si comportavano gli uomini delle caverne, gli uomini dell’età della pietra, al tempo della grande fame, quando spinti da estreme necessità di sopravvivenza dovettero violentare la loro stessa natura emulando gli animali predatori. Ma oggi che necessità c’è di restare ancorati ad abitudini primordiali e a pasti cadaverici? Può l’umanità decaduta risollevarsi se resta capace di giustificare, con il piacere della gola, comportamenti così aberranti?
Settembre è arrivato, Roma si è ripopolata, la scuola ricomincia, sembra proprio che le vacanze siano finite. Per esorcizzare la quotidianità che ripiomba addosso, fino al 17 settembre è in corso, presso il Museo dell’Ara Pacis, Spartaco. Schiavi e padroni a Roma. La mostra prende spunto dalla figura dello schiavo ribelle, resa mitica ed eterna, proprio per lo spirito indomabile e l’invincibile anelito alla libertà, insiti e caratteristici di ogni uomo. Ma è soprattutto la schiavitù, le sue motivazioni e le sue forme, che, attraverso i reperti archeologici e le opere, è documentata nel passato, mentre le foto contemporanee, ne restituiscono l’aspetto attuale.
Undici le sezioni che si succedono nel percorso dell’esposizione. Sono introdotte dalla spiegazione storico-sociale-economica della necessità della schiavitù come forza lavoro per la realizzazione delle infrastrutture dell’impero romano.
Quindi Vincitori e vinti mostra come la guerra, motivata da ragioni politico-economiche, fornisse tra ricchezze e bottini, anche gli schiavi. Particolarmente accattivante il video di questa sezione, le sequenze, accompagnate dal suono, animano il fregio del sarcofago. Il primo piano dei volti, rende i sentimenti, è come vedere la storia accadere di nuovo, in presa diretta. Il video da movimento alla descrizione del fatto storico, caratteristica dell’arte romana. I reperti archeologici in mostra sono in gran parte rilievi ed epigrafi.
Segue Il sangue di Spartaco, schiavo, gladiatore, più precisamente murmillo, della scuola di Capua, che guida la rivoltadi migliaia di schiavi tra 73 e 71 a.C. Viene sconfitto, seimila dei suoi compagni vengono crocifissi lungo la via Appia, ma il suo corpo non viene ritrovato. Il mito è raccontato in mostra da voci narranti che leggono i testi in latino, italiano e inglese, ma le citazioni sono tratte anche da autori moderni, a conferma della longevità della figura di Spartaco.
La terza sezione riguarda il Mercato degli schiavi, seguono quelle che illustrano i settori di impiego: Schiavi domestici; Schiavi nei campi; Schiavitù femminile e sfruttamento sessuale, le tematiche delle ultime due sezioni tornano nel video in chiusura di mostra, realizzato da ILO, International Labour Organization, agenzia delle Nazioni Unite che si occupa delle problematiche legate al lavoro e, specialmente, dell’eliminazione della schiavitù ancora presente in diversi ambiti.
Tra i Mestieri da schiavi vi erano quelli legati al mondo dello spettacolo, in questa sezione è presente una delle straordinarie erme degli aurighi del Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo.
Schiavi bambini, con la tematica del lavoro minorile, è un’altra delle sezioni, purtroppo, ancora attuali anche ai nostri giorni.
L’allestimento della sezione Schiavi nelle cave e nelle miniere, conduce lo spettatore in un percorso labirintico e claustrofobico che imita i cunicoli sotterranei, l’ambientazione è forse un po’ troppo caricata dall’accompagnamento audio.
Una strada verso la libertà è quella che viene descritta attraverso l’affrancamento da parte del padrone.
Un po’ povera, come contenuti e disposizione, soprattutto nella parte riguardante il cristianesimo, risulta l’undicesima sezione dedicata a Schiavitù e religione.
Il gioco…che rende liberi! è il titolo del laboratorio didattico ideato per bambini dai cinque agli undici anni.
Spartaco
Schiavi e padroni a Roma
Roma, Museo dell’Ara Pacis
31 marzo-17 settembre 2017
Orario: 9.30-19.30
Ingresso: intero €.11,00; ridotto €.9,00
Info: 060608
Catalogo: De Luca Editore, €.25.000
Comincia oggi la 74esima edizione del Festival Internazionale D'Arte Cinematografica di Venezia, tra eccezionali misure di sicurezza il presidente Mattarella e l'attore Matt Demon aprono la kermesse che si svolge da oggi fino al 9 settembre, quando verranno consegnati i premi delle giurie e il tanto ambito Leone D'Oro.
Dalle parole del direttore del festival Alberto Barbera, come riportato nell'articolo di Fulvia Carelli apparso sul Daily Mood, fornisce un' indicazione sui criteri di scelta dei film presentati dicendo: "i film che proponiamo sono in un certo qual modo la percezione del futuro. L'indicazione di una o più vie che si aprono sul domani..." quest'anno in particolare il cuore della manifestazione sembra essere una contaminazione positiva con gli aspetti economici e sociali, la paura e l'incertezza del futuro e del pianeta, la violenza che entra nelle nostre case quotidianamente...e questo rende la mostra sicuramente più interessante.
Tra i film in concorso spiccano i temi di fortissima attualità. Uno di questi è il documentario Human Flow del regista cinese Ai weiwei che tratta della sofferenza dei migranti girato nei campi di accoglienza di ben ventitré paesi del mondo e sarà presentato il primo settembre. Per rimanere nel filone dell'impegno sociale da segnalare il film L'insulte del regista libanese Ziad Doueiri che tratta del razzismo strisciante tra due colleghi di lavoro: Tony, un libanese di fede cristiana, Yasser palestinese rifugiato che sono costretti a lavorare insieme.
Angels Wear White della regista cinese Vivian Qu tratta il tema della violenza sulle donne in particolare sulle adolescenti.
Paul Joseph Schrader ,regista sceneggiatore e critico cinematografico americano, nel film First Reformed si sofferma sui rapporti tra fede e politica. Come riportato nell'articolo di Repubblica di Arianna Finos, il regista ha affermato "Oggi quasi ci si vergogna di essere americani. È un momento difficile per chi è cresciuto pensando che l'America fosse una risorsa per il mondo. Abbiamo scoperto di essere il contrario: un problema per il mondo. Dobbiamo chiederci come questo sia potuto succedere, e in un modo così facile e veloce".
Anche il cinema italiano quest'anno è ben rappresentato da oltre quaranta film presenti nelle varie sezioni del festival. Il nuovo film in concorso di Paolo Virzì, Ella & John, una commedia dal sapore dolceamaro, interpretata dai grandi Donald Sutherland ed Helen Mirren, narra di due coniugi anziani, lui malato di alzheimer che intraprendono un viaggio particolare: in camper da Boston a Disneyland riscoprono il loro giovane amore e il senso della vita sulla mitica Route66 con incontri molto particolari.
Un altro film italiano in concorso è Una Famiglia diretto da Sebastiano Riso.
Ammore e Malavita è invece una produzione napoletana dei Manetti Bros, un musical a sfondo criminale.
La gatta cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone è un cartoon, una favola pulp di una moderna biancaneve napoletana che vive su una nave fatiscente divenuta un bordello che sfida la camorra.
Tra i film stranieri più attesi l'horror Mother di Darwin Arronowsky con Jennifer Lawrence, Javier Bardem e Ed Harris e il noire Suburbicon diretto da George Clooney. Il film è scritto da George Clooney, Grant Heslov e i fratelli Coen e interpretato dai magnifici Matt Demon e Jiulianne Moore. Goerge Clooney accompagnato dalla bellissima moglie Amal sarà il centro delle attenzioni del red carpet insieme a tanti altri ospiti.
Vincono il Leone D'Oro alla Carriera Robert Redfort e Jane Fonda, memorabile coppia del celebre film "A piedi nudi nel parco" e presentano il nuovo film Le nostre anime di notte prodotto da Netflix .
Ma ora giù il sipario, che le danze comincino.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La riflessione!
Il vino italiano più antico ha quasi 6.000 anni
La notizia è di quelle che “scombussolano” la Storia del Vino. Fino ad adesso il vino in Sicilia e nella Magna Grecia era stato introdotto dai Fenici e
Il ritrovamento delle giare |
successivamente dai Greci. Si parla del 1.000/1.500 a.c. Il recente ritrovamento ci porta indietro nel tempo a 4.000 anni a.c., prima dell’Età del Bronzo e contemporaneo alla civiltà Sumera.
Interessante scoprire quale civiltà fosse approdata sulle coste siciliane o quale popolo, comunità indigena conoscesse allora la tecnica naturale della fermentazione. Del resto “la scoperta” del vino risale a 12.000/15.000 anni prima di Cristo. È scritto nelle Sacre Scritture e nei ritrovamenti di processi fermentativi. Chi vivrà saprà, intanto godiamoci la recente scoperta.
Frammento n. 1
Il vino italiano più antico.
Nella fretta di dare la notizia è stato scritto, erroneamente, che “il vino italiano più antico del mondo ha 6.000 anni”. Vino più antico italiano sì, del mondo no. Le Sacre Scritture ci ricordano (V° Libro della Genesi) che Noè scese dal Monte Ararat, piantò la vite, fece vino e si ubriacò. Periodo delle grandi alluvioni, indicato nelle scritture come “Diluvio Universale”, circa 10.000 anni avanti Cristo. Per i non credenti valgono le scoperte archeologiche risalenti a 12.000/15.000 anni avanti Cristo. Ma la notizia che riguarda l’individuazione in una grande giara dell’Età del Rame rinvenuta in una grotta vicino Agrigento è di quelle che cambierà le attuali conoscenze sulle origini del vino italiano. Università della Florida Meridionale, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Università di Catania ed esperti della Sopraintendenza ai Beni Culturali di Agrigento; insomma un gruppo internazionale d’esperti che hanno pubblicato congiuntamente la notizia, sul Microchemical Journal, del ritrovamento della giara contenente residui fermentativi. Sarà stato vino bianco o rosso?
Frammento n. 2
Gli olivi in Valtellina. Roba da matti. Ora lo copiano.
“Sono un uomo pacifico, gioviale, accomodante, ho 74 anni e non spreco certo il tempo in moti di rabbia”. Parole di Carlo Baruffi coltivatore di olivi in
Raccolta di olive in Valtellina |
Valtellina a 600 metri di quota. E poi quando la Coldiretti certifica che “Oltre il 46esimo parallelo in Valtellina si trova l’estrema frontiera nord dell’olio d’oliva italiano”, che sempre in quella valle c’è la presenza di 16 mila piante su oltre 50 mila metri quadrati di terreno capisci che la scommessa l’ha pienamente vinta Carlo Baruffi. “Ora tutti mi seguono, conosco contadini che hanno piantato a 700 metri di altezza”. “La qualità del mio olio? Chi lo vuole costa € 35,00 al litro”. Con questo chiude qualsiasi discorso.
Frammento n. 3
Il perché del mancato successo del Vino Italiano in Cina
Perché l’Italia che viene indicata come il primo produttore di vino al mondo non ha grande seguito nel mercato cinese? Francia, Australia, Cile si sono affermati grazie ad una politica d’inserimento ben
Tasting vino italiano |
pianificata e “semplice”. Noi italiani non riusciamo ad uscire da un approccio provinciale tanto da essere considerati produttori minori. Le grandi aziende sono poche e i Consorzi che riuniscono piccole cantine non riescono a “presentare” un brand ottimale. Pesano ancora i mancati investimenti ed errori fatti nel passato.
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
Un’energia cosmica sembra pervadere e spingere verso l’evoluzione tutto ciò che esiste. Un essere umano, come qualunque essere vivente, risulta essere la sintesi chimica, fisica, energetica di organismi animali o vegetali che lo hanno preceduto lungo la via della manifestazione nello scenario della Vita. Dalla deflagrazione iniziale di 14 miliardi di anni fa venne a generarsi questo pianeta in forma gassosa che col passare dei tempi si solidificò fino a consentire agli elementi chimici base di formare la materia: minerali, rocce, acqua, terra, i primi organismi viventi, le prime rudimentali forme di vita vegetale e poi animale.
L’essere umano, come ogni organismo vivente, si nutre dei “frutti” della terra dove sono depositati i resti di organismi vissuti precedentemente e trasportati dalle correnti d’aria da ogni parte del globo: polveri di organismi passati che a loro volta si sono nutriti di altri organismi: macro nutrienti, acqua, minerali, luce solare ecc. In sostanza ognuno di noi si nutre di organismi vegetali o animali che a loro volta si sono nutriti di altri organismi vegetali o animali vissuti prima; cosicché il nostro organismo risulta costituito dei resti di innumerevoli organismi che lo hanno preceduto nel tempo. Questo porta alla consapevolezza che:
- Tutti gli esseri sono “figli” di un principio comune, sono fatti della medesima sostanza che si manifesta in forme differenti e differenti funzioni.
- Ogni forma/contenuto appartiene a differenti livelli di manifestazione.
- L’integrazione delle differenze, formali e sostanziali, consente alla Vita di manifestarsi.
- Ne consegue che ogni specie ha l’identico valore nel piano della Vita e che ogni visione parziale, considerata preminente, risulta dannosa per l’armonica convivenza degli esseri viventi.
Tutte le cose, nel procedere nel loro piano evolutivo, tendono a sviluppare ulteriormente le stesse peculiarità dell’essere umano: intelligenza, sentimenti, coscienza, apertura alla dimensione spirituale. Probabilmente tra mille anni, o un milione di anni, molte specie avranno le medesime capacità espressive del genere umano. Se la specie umana sparisse dalla faccia della terra tutto continuerebbe come prima, se non meglio, allo stesso modo se il pianeta terra o addirittura la nostra galassia, si dissolvesse nel nulla questo non causerebbe la purché minima crepa nel Mare Cosmico. Considerare la nostra relatività nei confronti del Tutto, il valore anche delle cose più minime, ci aiuterà a considerare la nostra relatività nei confronti del tutto e a superare l’assurda, anacronistica e perniciosa visione antropocentrica.
Senza la conoscenza dei problemi non c’è presa di posizione. E senza la sensibilizzazione delle coscienze non c’è spirito di condivisione e spinta partecipativa.