L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
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Simonetta Camilletti |
Ci sono dei gioiellini nel nostro paese che molti ci invidiano e di cui noi con sufficienza non ce ne rendiamo conto. Da secoli anzi, forse millenni, intere popolazioni hanno cercato un posto al sole tra le nostre amate sponde, sia per il clima, che le bellezze racchiuse nella nostra terra. Centinaia, forse migliaia di borghi dove la vita sembra voglia ridarci quello che la società tecnologica e postindustriale cercano di farci dimenticare: la genuinità dei rapporti umani, la sana alimentazione, la salubrità dell’ambiente, la bellezza intesa come arte, la consapevolezza di appartenenza ad una comunità.
Queste meravigliose cellule sono la nostra spina dorsale ma, protesi ad affrontare gli affanni della vita, non ce ne accorgiamo, eppure loro solo li, a ricordarci che forse un altro tipo di vita è possibile, questa è la forza della nostra terra, e “La forza della terra” è la manifestazione che si è svolta a Rocca di Cave in provincia di Roma, ma altrettante identiche, forse a migliaia, se ne svolgono in altre parti della nostra bella terra.
Rocca di Cave è un ridente comune posto sui monti Prenestini di quasi trecento anime a 933 metri sul livello del mare e ad appena 50 kilometri da Roma. Il paese è nato a ridosso delle mura della torre di avvistamento che i monaci benedettini edificarono nell’anno 850 per difendersi dalle continue incursioni dei Saraceni. Nel ‘400 passa poi sotto il dominio dei Colonna e diviene presto oggetto di controversie tra questi nobili e la Chiesa, così fu che nel 1482 Rocca di Cave venne presa d’assedio da Papa Sisto IV.
Ma il paese non è conosciuto solo per la torre, bensì anche per il suo Museo Civico Geopaleontologico “Ardito Desio”: 100 milioni di anni fa le terre emerse erano abitate dai dinosauri, come attesta la recente scoperta di tre reperti fossili appartenenti a un Tirannosauro, mentre un caldo mare tropicale ospitava una ricca barriera corallina, proprio intorno al territorio di Rocca di Cave; la sommità della rocca ospita poi un osservatorio astronomico a disposizione del pubblico durante le serate osservative organizzate dal museo.
A dare voce alla “ FORZA DELLA TERRA” il 19 agosto scorso il maetro Simonetta Camilletti, concertista, compositrice e docente di chitarra classica presso il conservatorio di musica di Santa Cecilia di Roma con il suo concerto per chitarra solista:”LA FORZA DELLA
Il prof. Umberto Bielli |
TERRA”, ha fatto letteralmente “vibrare” le mura del Castello Colonna e le numerose persone accorse estasiate, più di centocinquanta:felicissimo il connubio tra arte e storicità. A seguire una felice abbinata con una degustazione di cibi locali e vini pregiati sempre all'interno del museo castello Colonna. “Cantine aperte” la manifestazione che ha poi fatto da eco in tutto il paese al grande concerto della Camilletti. Numerosi gli interventi di personaggi del mondo della cultura, anche con telefonate in diretta. Giancarlo Benedetti, pittore di Rocca di Cave, ha colorato di gioia la serata con le sue tele e la poetessa Renata ha onorato la platea con un suo breve componimento sulla musica.
Lo scopo è stato, appunto, quello di affrontare la valorizzazione dei luoghi sotto il profilo della musica, intesa come cultura, del cibo, come prodotti della terra, e dei bambini del luogo, forza della terra/futuro da coltivare. Bisogna ammettere che la manifestazione, creata e guidata dal bravissimo prof. Umberto Bielli, ha colto nel segno.
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ISIS/SITE: tocca a voi!
A proposito dell’annuncio post-Barcellona di un imminente attentato in Italia, ce ne sono stati altri che minacciavano sfracelli in Vaticano, al Colosseo, la conquista di Roma. Ma stavolta potrebbe essere diverso. Intanto la notizia proviene da fonte autorevole e credibile: il sito SITE di Rita Katz, portavoce e diffusore da anni del jihadismo più efferato, in particolare dell’ISIS, con il quale la collaborazione nella promozione di quel panico che si sa funzionale alle aggressioni belliche e all’instaurazione di regimi di polizia, è stretta e, come provano i risultati, efficacissima. Senza l’istantanea diffusione a dimensione mondiale dei più raccapriccianti video e comunicati, prodotti con la nota perizia professionale dagli studios del mercenariato imperialista, di cui siamo debitori a Rita Katz, titolare del sito SITE, gran parte del messaggio terrorizzante e intimidatorio assegnato ai protagonisti della guerra al e del terrore sarebbe andata persa.
Rita Katz, ufficiale israeliano e portavoce Isis
Non deve stupire, data l’intesa strategica sugli obiettivi, l’amalgama Israele-jihadisti, evidenziato nel concorso israeliano alle operazioni sul campo dell’Isis e di Al Nusra e nel recupero israeliano di combattenti jihadisti curati negli ospedali allestiti sul Golan. Così non può sorprendere che Rita Katz, israeliana ex-ufficiale di Tsahal e da allora e sempre agente dei servizi israeliani, abbia costruito il meccanismo per il quale ogni azione e ogni parola del terrorismo jihadista entri nel conscio e nel subconscio delle popolazioni di mondi da condizionare. I grandi vecchi della guerra al/del terrorismo, la testa della piovra gigante, hanno in SITE lo strumento indispensabile perchè di ogni iniziativa jihadista non sia perso l’effetto propagandistico: odio per l’Islam e guerre, panico e autorepressione. Piovra che alla periferia, per la penetrazione anche in nicchie potenzialmente refrattarie, si avvale dei formidabili tentacoli della grande informazione internazionale, a partire dal New York Times e, scendendo per li rami, dei tentacoli di seppioline mediatiche come gli organi ripetitori italiani, non escluso l’apporto di meduse tossiche dai peletti urticanti come “il manifesto”.
Ci si dovrebbe porre una domanda facile facile, ma che nessuno si pone perchè sarebbe un po’ come utilizzare un piede di porco contro la cristalliera: come mai a nessuno è mai venuto in mente di indagare per quali vie un video Isis, tipo che mostra un gruppo di esseri umani chiusi in gabbia, incendiati e poi affogati, sia riprodotto istantaneamente nel canale di Rita Katz. Con chiaro effetto glorificatore. Domanda alla quale potrebbe appaiarsi l’altra, circa una totale apatia, se non accidia, del dotatissimo apparato investigativo, di sorveglianza, di controllo, sviluppato in occidente con le nuove tecnologie, rispetto a qualche indagine su natura e dislocazione degli avanzatissimi studi e macchinari dai quali escono le perfette produzioni audiovisive dei jihadisti. E siccome le domande, volendo, sono come le ciliege, si potrebbe considerare che l’assenza di queste domande, epocali quanto ne sarebbe la risposta, equivale a quella che per anni, fino all’arrivo dei bombardieri russi, non si è posto l’interrogativo di cosa fossero, da dove venissero, dove andassero (a Haifa) , cosa contenessero, quali profitti generassero e per chi, le colonne di cisterne che viaggiavano alla luce del sole tra pozzi petroliferi di Iraq e Siria sotto occupazione Usa-Isis-curdi, Turchia, mare e porti israeliani?
Siamo diventati discoli
Ma lasciamo il fumo e torniamo all’arrosto. Perchè a questa nuova, diretta minaccia post-Barcellona di Rita Katz/Isis andrebbe dato più rilievo che alle passate smargiassate contro papa e Colosseo? Perchè prima non risultava esserci motivo per impartire all’Italia una qualche lezione imperiale via terroristi sedicenti islamisti. Le minacce erano fuffa, fumo che obnubilasse un po’ di cervelli perchè chiedessero “Strade sicure”, soldati agli angoli della metro e accettassero le intemerate della Boldrini per l’accoglienza senza se e senza ma e contro le fake news. Poi nell’opinione pubblica è incominciato a muoversi la sensazione che con tutti questi migranti, tutti da noi, con queste Ong che andavano a raccattarli dai trafficanti, qualcuno puntava a fregarci. Noi e pure i migranti. La coperta buonista su certe malefatte in mare veniva lacerata da politici e magistrati.
E, a coronamento dell’insubordinazione ai piani imperialisti, appaltati a Soros, un ministro italiano, che evidentemente non aveva imparato la lezione Moro, è uscito dallo sgabuzzino dove curano le scope della villa i nostri politici, e ha messo la mordacchia a un anello della filiera criminale che svuota paesi per alluvionarne altri. Insomma è spuntato qualcosa e qualcuno che minacciava di far vedere nudo il re. E questo è niente: quando gli era stato fatto capire che l’ENI doveva limitarsi a fare le pulizie alle Sette Sorelle, che Roma doveva starsene lontana dal gas del Mediterraneo, che a occuparsi di Al Sisi, dell’Egitto e della Libia, cuore della regione, ci pensavano Usa, UK, Francia, ma mica i loro subalterni, addetti all’accoglienza e basta, Roma non si è addirittura azzardata di far tornare l’ambasciatore al Cairo! Lo svuotatore di posaceneri che si intrufola nella partita di briscola? E Rita Katz ha tuonato.
Regeni e Oxford Analytrica, la sete di verità dei regeniani
Vogliamo allargarci, eccedere in domande impudiche, anche riguardanti campi lontani, ma pur sempre connessi a quelli di cui sopra? Sappiamo, anche se il silenzio sulla cosa è di tomba (a offesa di quella in cui è rinchiuso Giulio Regeni), che tutti sanno che il giovanotto, definito ricercatore a Cambridge, ma invece, o anche, collaboratore dell’agenzia internazionale di spionaggio e affari sporchi vari “Oxford Analytica”, al Cairo andava sfrucugliando soggetti sindacali “indipendenti”, potenzialmente sovversivi, ai quali, per conto dei suoi mandanti, offriva ricchi fondi perchè presentassero e attuassero “progetti” (testuale nel video). .
Qualche timido tentativo di risalire a dove originava la missione di Regeni, consultando i suoi referenti a Cambridge, ebbe piena collaborazione quanto alle domande poste dagli investigatori italiani. Lo dichiarano quelli di Cambridge, lo negano i corifei italiani di Regeni e di Aegyptum delendum est. Sarà, non sarà. Ma la domanda da un milione e passa di verità è un’altra. Stabilito, sebbene sottaciuto, che Regeni aveva lavorato, almeno per un anno e mezzo, ufficialmente per Oxford Analytica, prima di spostarsi al Cairo per offrire progetti a oppositori del governo, alle dipendenze e su disposizioni di provati criminali come John Negroponte, David Young e l’ex.capo-spione britannico McColl, c’è un solo motivo al mondo che spieghi perchè coloro che si sono arrabattati da 17 mesi per Regeni e contro Al Sisi, con un accanimento degno della neutralizzazione di Mengele, non si siano mai occupati di Oxford Analytica, non siano mai andati a sentire che cosa il ragazzo ci facesse tra le grinfie di quei pendagli da forca che avevano insanguinato interi continenti?
Un autentico antimperialista come Manlio Dinucci, valido illustratore delle mene militari di Usa e Nato attorno al resto del mondo, che ancora si pregia di poter inserire la sua settimanale pecetta nell’angolo più remoto del “manifesto”, sarebbe titolato a porre questa domanda ai colleghi del “manifesto”. Forse a lui risponderebbero. Sempre che non siano troppo impegnati, come in questi giorni, a raddrizzare la barca delle bufale su Al Sisi, Regeni, il terrorismo, riempiendo paginate con interviste su Regeni e Al Sisi ai rinomati professori dell’Università Americana del Cairo, noto covo di intelletti antimperialisti, o ai tanti che, nel web e sui giornali, sbertucciano o demoliscono il presidente di questa povera repubblica, sottoposta a una dittatura che reprime ogni libertà d’espressione. Salvo quella di dire peste e corna dell’assassino di Regeni.
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
LInk: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/08/il-katziatone-di-
rita-katz-o-zitti-e.html
16 agosto 2017 10 <http://www.maurizioblondet.it/adesso-sappiamo-mandato-morte-regeni/#comments>
Il giorno in cui finalmente il governicchio Gentiloni rimanda l’ambasciatore al Cairo, ecco che il New York Times, nientemeno, esce con la notizia presunta bomba, che i nostri media servizievoli titolano così: “Obama diede le prove a Renzi sul ruolo dell’Egitto nell’omicidio di Giulio Regeni”.
*Prove “incontrovertibili”, secondo Repubblica. Poi, leggendo si scopre che i servizi Usa non diedero alcuna prova. Dissero che “non c’era dubbio”, ma per evitare di identificare la fonte, gli americani non condivisero per intero le informazioni di intelligence, né dissero all’Italia quale agenzia** di sicurezza ritenevano fosse dietro alla morte di Regeni, spiega ancora il giornale. *
“Non era chiaro chi avesse dato l’ordine di rapire e, presumibilmente, ucciderlo”, ha detto al giornalista del Nyt un altro ex funzionario Usa”.
*E sarebbero queste le prove incontrovertibili? Nessun dato di fatto. Nessunissimo.*
E’ così evidente che si tratta di una “operazione” americana di intox, disturbo alla ripresa delle nostre relazioni diplomatiche col Cairo, che non ci sarebbe nemmeno bisogno di perderci tempo, se non fosse per il clamore che ne fanno i nostri giornali. Se invece di essere in malafede sono solo ignoranti, possiamo ricordare a questi incapaci due o tre cose: *Barak Hussein Obama ha cercato – anzi è riuscito – a portare al potere in Egitto i Fratelli Musulmani,** con la “primavera araba” di ordinanza, e dunque aveva ben forti motivi di odio (personale e politico) contro il generale Al Sisi, che gli ha sventato il piano. E quindi ben motivato a creargli difficoltà con un vicino molto amichevole, Italia, che aveva scoperto per gli egiziani un importantissimo giacimento.*
Obama stesso è fortemente sospettato di essere un fratello musulmano. Quel che è certo è che la sua segretaria di Stato, Hillary Clinton s’è tenuta come braccio destro, confidente intima e forse amante, Huma Abedin, figlia di un importantissimo esponente dei Muslim Brothers, “Syed” Zainul Abedin.
Huma era sposata con Anthony Weiner, il clintoniano di ferro, ebreo, che fu scoperto a fare proposte oscene a ragazzine sui social, con sue foto in cui mostrava le proprie erezioni. Aveva una scusante: Huma è stata continuamente a fianco di Hillary seguendola in tutta la campagna elettorale come consigliera, appunto della campagna.
*Il meno che si possa dire è che i Muslim Brothers e i loro interessi erano ben rappresentati alla Casa Bianca di Obama. E dunque ben piazzati per vendicarsi di Al Sissi.*
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“*La musulmana Huma è l’ombra di Hillary, immancabile al suo fianco come nelle e-mail più confidenziali, e sempre nel mirino dei nemici. Nessuno quanto lei è vicino a Hillary, che quando lavorava da casa, le scrisse via email: «Bussa alla porta della camera da letto se è chiusa» (Corriere della Sera)*
*Adesso sappiamo, grazie alla rivelazione presunta bomba del New York Times, che Giulio Regeni, mandato dall’università di Cambridge a infiltrarsi tra gli oppositori clandestini ad Al Sissi, era fin dal suo arrivo seguito, controllato e intercettato della NSA**, la National Security Agency americana. Sappiamo anche che il sindacalista degli ambulanti Abdallah, che di nascosto girò il video in cui lui chiedeva dei soldi a Regeni (al quale la sua “Università” aveva dato 10 mila sterline per pagare chi di dovere..Tipico, per un ricercatore) aveva fatto quel colloquio-trappola per conto della NSA stessa.*
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A che scopo? Per usare l’ingenuo italiano? Per sacrificarlo onde buttare un morto tra i piedi del presidente egiziano, e dell’Eni? Ognuno si risponda da sé, sapendo di quanti doppi giochi, trame storte e delitti si sia macchiato Obama, l’idolo delle “sinistre”, dalla Libia alla Siria, a cominciare dalle esecuzioni di persone ordinate coi droni, sempre per favorire i Fratelli Musulmani.
*Tutte le ipotesi sono possibili, anche che Regeni sia stato fatto uccidere da loro, gli americani.* Che ci hanno la mano in questo genere di crimini.
Nella pretesa rivelazione,* “alcuni funzionari di Obama erano convinti che qualcuno “di alto grado” del governo egiziano potesse avere ordinato l’uccisione di Regeni “per mandare un messaggio ad altri stranieri e governi stranieri, cioè di smettere di giocare con la sicurezza dell’Egitto”.*
Già: magari era un messaggio per la NSA. O per quella “università di Cambridge” che, in base a un progetto chiamato Antipode, aveva affidato all’italiano 10 mila sterline – con cui pagare chi? Per cosa? Ah, pardon “per la promozione e lo sviluppo di ricerche in campo sociale”. Normale che un ricercatore venga imbtttito di soldi da spendere. *Perché nè Antipode né Cambridge hanno mai accettato di spiegare le cose ai magistrati italioti, e al governo italano? *Non serviva: bastavano le strida e i cartelli delle sinistre sui palazzi comunali, “Verità per Regeni”.
Tra le altre rivelazioni, la più succosa e grave viene espressa così: “Secondo un funzionario del ministero degli Esteri italiano, i diplomatici erano giunti alla conclusione che l’Eni si era unita alle forze del servizio di intelligence dell’Italia nel tentativo di trovare una rapida risoluzione del caso”, si legge. E “l’avvertita collaborazione fra Eni e servizi di intelligence italiani diventò fonte di tensione all’interno del governo italiano. Ministero degli Esteri e funzionari dell’intelligence cominciarono a essere prudenti gli uni con gli altri, talvolta trattenendo informazioni”, scrive il New York Times Magazine. Che cita la dichiarazione di un funzionario italiano.
Scusate, ma gli Esteri e l’intelligence italiana non dovrebbero lavorare per lo stesso paese e lo stesso scopo?
*Gli americani ci fanno sapere che invece si nascondevano le notizie a vicenda, e ciò perché “l’Eni s’era unita” con la sua, di intelligence, per “trovare una rapida soluzione del caso”. Ciò che Obama, i Fratelli Musulmani, la NSA di Obama, e “Antipode” non volevano. Complimenti.*
<https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2017/08/comune-di-milano.jpg>Sul
Comune di Milano. “La sinistra fa sempre il gioco del grande capiitale. A volte perfino senza saperlo”.
A poco meno di un mese dal referendum per l'indipendenza del Kurdistan iracheno, la questione curda potrebbe far convergere gli interessi strategici di Turchia e Iran; sullo sfondo la possibilità di stabilire una cooperazione economica e militare tra Ankara, Mosca e Tehran.
Dopo la storica visita in Turchia, la scorsa settimana, del capo di Stato Maggiore della Difesa iraniano, il generale Mohammad Hossein Baqeri, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha espresso l'intenzione di discutere con Tehran una possibile azione militare congiunta contro i combattenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e del suo affiliato iraniano, il Partito per una vita libera in Kurdistan (PJAK). Prima della sua partenza per la Giordania, Erdoğan ha reso noto che “un'azione comune contro gruppi terroristici che sono divenuti una minaccia per entrambi i paesi è sempre in agenda”. Possibile obiettivo di queste operazioni sono, secondo i media turchi, le regioni del Qandil e del Sinjar, nel Nord della regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG), già in passato bombardate a più riprese sia dall'aviazione militare turca, sia dall'artiglieria iraniana in quanto basi del PKK. Secondo il sito di informazione Al-monitor, nelle ultime settimane, il Partito democratico del Kurdistan iraniano (PDKI, dichiarato fuorilegge dal 1979 e con basi nel KRG) ha aumentato le azioni armate in Iran, riprese nel 2016 dopo anni di tregua apparente.
Dunque, ad Ankara, il generale Baqeri ha incontrato il suo omologo turco Hulusi Akar, il ministro della Difesa turco Nurettin Canikli e lo stesso Erdoğan, superando, almeno in apparenza, decenni di tensioni, come quelle suscitate dall'accusa a Tehran di sostenere il PKK, avanzata dall'intelligence turca dopo la cattura nel 1999 di Abdullah Öcalan, guida di questo partito. Appare ugualmente superata anche l'appartenenza dei due paesi a diversi sistemi di alleanze nel conflitto siriano: l'Iran è tra gli alleati storici del governo di Damasco, mentre la Turchia, che con quest'ultimo non ha stabilito relazioni di cooperazione (da quando l'ex presidente della Siria Hafiz al-Asad, padre di Bashar al-Asad, ospitò Öcalan dal 1980 al 1998), si è finora adoperata per provocarne la fine. Vale la pena menzionare, infine, che la Turchia ha un peso di rilievo nell'Alleanza atlantica (NATO), organizzazione alquanto ostile all'Iran.
Quella della scorsa settimana è la prima visita ufficiale di un'autorità iraniana in Turchia dal 1979 e la stessa composizione della delegazione di Tehran chiarisce che all'ordine del giorno ci sono la sicurezza e l'integrità territoriale dei due paesi. Al fianco del generale Baqeri c'era infatti il comandante delle truppe di terra del Corpo delle Guardie rivoluzionarie (IRGC), generale Mohammad Pakpour. La visita ha seguito di pochi giorni l'uccisione, da parte dei cartelli del jihad del sedicente Stato islamico (IS), di Mohsen Hojjaji, soldato dell'IRGC inviato in Siria. La guerra al terrorismo è stata dunque uno degli argomenti maggiormente discussi, oltre ai tre aspetti della questione curda: i timori che il referendum per l'indipendenza del KRG, previsto per il prossimo 25 settembre, possa accendere un altro focolaio di tensione nella regione, la possibilità di operazioni militari nel Qandil e nel Sinjar e la necessità di mettere in sicurezza il confine turco-iraniano. Su tutti e tre gli aspetti la collaborazione di Tehran è fondamentale.
Nel maggio scorso, l'Iran aveva accolto con favore il progetto turco di costruire un muro di 70 km lungo il confine, in seguito prolungato a 144 km, che secondo Ankara servirà a bloccare gli “sconfinamenti” dei combattenti del PKK e del PJAK e a rendere più sicuri gli scambi economici via terra tra Iran e Turchia. Stessa funzione e stessa struttura del muro che la Turchia ha costruito al confine con la Siria. In tale contesto, l'accordo su una possibile azione militare congiunta con l'Iran (che ha un ruolo significativo nella ricostruzione dell'Iraq devastato dalla guerra e ha buone relazioni con Baghdad) nel Kurdistan iracheno permetterebbe alla Turchia di evitare, o almeno allontanare il più possibile, eventuali accuse di invasione di un paese sovrano. Per ragioni analoghe, un'eventuale pressione iraniana sul governo centrale iracheno per ottenere un rinvio del referendum sull'indipendenza del KRG a dopo le elezioni politiche di aprile 2018 in Iraq, o che la questione sia dibattuta nel parlamento iracheno, potrebbe risultare più efficace delle mere richieste di Ankara, soprattutto in un momento in cui Erdoğan non gode di particolari simpatie in Europa e negli Stati Uniti. Occorre tuttavia notare che a manifestare perplessità sul referendum sono stati anche paesi “occidentali” come la Germania, gli USA e la Gran Bretagna. In particolare, con Washington le tensioni si sono acuite a proposito del sostegno statunitense in funzione anti-IS ai curdi siriani del Partito dell'unione democratica (PYD, politicamente vicino al PKK) e per il rifiuto di estradare in Turchia il predicatore islamico Fethullah Gülen (che secondo Ankara è la mente del fallito tentativo di colpo di stato del luglio 2016). Il presidente turco, inoltre, sa che nel breve periodo rovesciare con mezzi diplomatici il governo di Damasco è quasi impossibile, quindi potrebbe risultare “utile” un riavvicinamento all'Iran, tradizionale alleato di Damasco e Baghdad, le uniche due autorità attualmente in piedi in grado di dissuadere i curdi da progetti di autonomia o indipendenza.
La visita ufficiale di Baqeri si inserisce nel quadro più ampio di una cooperazione economica e militare tra Iran, Turchia e Russia e precede la sesta tornata di negoziati fra i tre paesi (che si dovrebbe tenere entro la fine di agosto ad Astana, Kazakistan, dopo lo stallo di luglio) sulle zone cuscinetto in Siria e sul possibile dispiegamento di una forza di polizia congiunta nella regione di Idlib. Lo scorso mese, inoltre, Erdoğan ha parlato di un accordo concluso con la Russia per l'acquisto di un sistema di difesa missilistico S-400. Il ministro degli esteri turco ha recentemente sottolineato che “la Russia ha compreso meglio degli USA la sensibilità della Turchia a proposito dell'invio di armi ai curdi del YPG”, anche se Washington afferma di non aver fornito armi a questa organizzazione, ma solo “carri armati e un bulldozer”.
La cooperazione con Russia e Iran riguarda infine importanti accordi economici. La scorsa settimana, la società turca Unit International ha firmato un accordo da 7 miliardi di dollari con la società russa Zarubezhneft e l'iraniana Ghadir Investment Holding per l'estrazione di petrolio e gas naturale in Iran. Con Tehran, la Turchia ha inoltre in ballo la possibilità di aumentare le esportazioni al Qatar attraverso il territorio iraniano. Si tratta di un altro tassello importante nella politica regionale, visto che il 5 giugno scorso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto hanno interrotto le relazioni con il Qatar, che si era rifiutato di esaudire le loro richieste: interrompere il sostegno a movimenti legati ai Fratelli Musulmani nel mondo arabo, chiudere una base militare turca e ridurre le sue relazioni con l'Iran. Il rifiuto di Doha, la capitale del Qatar, è motivato dalla sua dipendenza dalle importazioni di generi alimentari da Iran e Turchia, che hanno in tal modo trovato un ulteriore punto di convergenza dei rispettivi interessi.
18.08.2017 - Il terrorismo colpisce la pacifica Barcellona, ricordandoci il caos generale che si sta verificando nel mondo a causa dell’ambizione smisurata e della pazzia fanatica.
Barcellona, 18.8.2017. Ieri è toccato a Barcellona subire la follia indiscriminata di un attentato terrorista. L’uccisione di individui mi sembra deplorevole e mi rende molto triste. Potrei dire “di persone innocenti”, ma non voglio fare discriminazioni in questo contesto; qualunque omicidio, qualunque sia la ragione, è di per sé una cosa terribile. E non m’interessano neppure le reazioni postume del potere, che condanna questo genere di attentati per poi proseguire con le politiche discriminatorie e i negoziati perversi. Non mi piace il comportamento dei grandi mass media, che riempiono le pagine principali con parole altisonanti, tacendo invece di fronte alla violenza esercitata giorno dopo giorno contro le popolazioni di tutto il mondo.
Quest’attacco è l’ultimo di una catena di attentati recenti in tutta Europa, benché sia più giusto ricordare che esistono molti più attacchi nel mondo non occidentale, ma la differenza è che non possiedono la stessa copertura mediatica.
Barcellona è una città pacifica, bella, piena di luce, colma di visitatori tutto l’anno. È da premettere che nessuna città merita di essere attaccata, né chi la popola intimidito, ma perché proprio Barcellona, che aspira a diventare una città d’integrazione e giusta, aperta al mondo e alla solidarietà con i più reietti del sistema. Sappiamo già che il caos si sta estendendo poco a poco, partendo dai luoghi centrali in cui si concludono i vari negoziati e si fabbricano milioni di armi che vengono successivamente ripartite nel resto del mondo. Ma quando la barbarie colpisce la tua città, fa più male che mai. Vedere i luoghi da noi frequentati scossi dal terrore, produce in noi uno shock tale, dal quale è difficile riprendersi.
Siamo fragili fisicamente, come dimostrano situazioni come questa, ma possiamo anche essere forti internamente. Questa forza è quella che deve aiutare a imporci su noi stessi e raddoppiare gli sforzi verso una Nazione Umana Universale, un mondo nel quale non vi siano né scontri né competizioni, ma cooperazione e scambi proficui. Tale Forza proviene da un altro luogo, ci collega con altri spazi e altri tempi.
Condanniamo la violenza in ogni sua forma, dalla più brutale vista ieri a Barcellona fino a quella più sottile ed elegante, quella esercitata negli studi dalle grandi banche e dalle multinazionali, quella che prende le decisioni che impoveriscono milioni di persone per poi andare a giocare a golf, quella che fabbrica armi e le vende al miglior offerente per poi condannarne l’uso.
Vogliamo superare questa violenza assurda che ci porta a litigare gli uni con gli altri, mentre una sparuta minoranza si arricchisce alle nostre spalle.
Vogliamo superare l’odio, l’ignoranza e l’egoismo bestiale. Vogliamo uguali diritti e opportunità per tutti, ovunque siano e ovunque vadano. Vogliamo un mondo in cui l’essere umano sia il valore centrale, l’obiettivo della libertà delle nostre azioni.
Traduzione dallo spagnolo di Cristina Quattrone
Per gentile concessione dell'Agenzia di stampa Pressenza
Non è facile descrivere la sensazione che si prova all' arrivo in una megalopoli eletta a capo di un territorio sconfinato, attraversato da ben sei fusi orari. Già il pensiero di esserci ti allarga la mente, ti palesa quell’altra parte del mondo che le paure degli uomini fino a pochi anni fa ti impedivano di vedere o, quanto meno, di viverne la realtà. Crogiolo di razze,dalla slava alla mongola, senza tralasciare i caucasici, Mosca appare per chi vive nelle nostre città come la città dei sogni. Spazi grandi, immensi, strade perfette, senza buche,delle quali la più piccola, escludendo il vecchio centro, è a immagine e somiglianza della nostra autostrada del Sole, semafori che ti contano i secondi prima che scatti il colore opposto, auto dai ventimila euro in su, numerose e disciplinate, pulizia ovunque, non un foglietto di carta per terra, dodici linee di metropolitana che collegano più di duecentocinquanta stazioni, salotti che racchiudono al loro interno veri e propri capolavori d’arte, treni che nelle ore di punta passano puntuali ogni tre/quattro minuti, non un graffio sulle carrozze, non sui muri dei palazzi, ordine dappertutto. 15 milioni di persone, la più grande megalopoli in Europa incanta e fa sognare il visitatore che viene dall’occidente, quasi sempre prevenuto e preoccupato di essere in terra di confine, complici i media occidentali. Niente di tutto questo; forse Mosca rappresenta quanto di meglio la vecchia Europa possa esprimere al momento: gente sana, non uno straccione per le strade, la gioventù va in discoteca per ballare e non per sballarsi con le anfetamine, casomai la loro droga è una birra in più.I russi vivono ancora, in cuor loro, la cultura dell’ex regime sovietico, nel quale droga e criminalità erano parole quasi sconosciute, la perversità dell’occidente ancora non ha attecchito da queste parti. Certo, anche i moscoviti hanno i loro problemi: l’acqua nelle case non è potabile, e quindi li si vede uscire dal supermercato con enormi bottiglioni d’acqua, ma loro non ci fanno caso, sono abituati sin da bambini, è normale. Per il rigido inverno sono attrezzati, si vive bene ugualmente.
Sono innamorati dell’Italia, dovunque si vada, dalla moda alla cucina, tutto parla italiano, e ciò nonostante le sanzioni. “I love Italy”, in tanti rispondono così quando si fa cenno al nostro paese; c’è da rimanere sbalorditi ma .... forse pensano al sole, al mare, ai nostri artisti e alle nostre canzoni, non credo ai nostri politici. Non è facile dialogare con le persone di una certa età, parlano solo il russo e credo si sentano sconfitti da un occidente che ha infranto il loro sogno, una vita solcata da dogmi e sentimenti di invincibilità. I giovani invece parlano in inglese e non c’è nessuna differenza nei modi e nella mentalità con un ragazzo o una ragazza di Madrid, Berlino o Parigi. Tutti con il loro smartphone o tablet, ma a Mosca forse il fenomeno è ancora più esteso che da noi; dai quarant’anni in giù tutti, indistintamente, sono incollati ai loro mondi virtuali; sarà che i tempi di percorrenza delle carrozze tra una fermata e l’altra della metropolitana , viste le distanze, sono lunghi, o perché il comune permette l’accesso gratis alla linea veloce di internet a tutti i cittadini, cosa che da noi corrisponde ad un sogno al chiaro di luna in una notte di mezz’estate, o sarà che finalmente possono vedere senza filtri come vivono gli altri in un mondo che una volta non gli era permesso scrutare e che ora scoprono molto più vicino a loro nei sentimenti e nei bisogni, che sia quel che sia, ben ritrovati fratelli.
Sorbi - la festa della vendemmia |
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
La riflessione!
Iniziata ufficialmente la vendemmia 2017
Il taglio del nastro è avvenuto in questi giorni, come sempre, in Franciacorta. E non allarmiamoci; siamo in anticipo di una settimana scarsa rispetto all’anno precedente. Forse la difficoltà per questo millesimo sarà più per le gelate improvvise primaverili che per il caldo torrido di questi ultimi giorni. Ed intendiamoci. Gelate in riferimento al quantitativo di produzione. Più del 30% di coltivato è andato distrutto. In particolare soffriranno quei vigneti a conduzione “naturale e/o biologica” per i mancati “interventi” non previsti. Presto, finita la vendemmia (che sarà più lunga del previsto), riecheggeranno i soliti ritornelli. L’industria del vino farà comunicati ricordando “un’eccellente annata”, la media produzione ci dirà che è pur sempre ottima e “siamo riusciti a salvarla”e forse la verità verrà come sempre dalla fonte più attendibile: i piccoli produttori che rappresentano il polso del territorio. Quest’ultimi si sono già adoperati, in una situazione piuttosto delicata così come sembrerebbe, a richiedere ufficialmente un incremento dei controlli da parte delle unità competenti, al fine di garantire il “rispetto delle regole”.
Frammento n. 1
È tempo di cambiare il modo di fare vino in Italia
Il prof. Attilio Scienza |
“Abituiamoci ad annate così calde. Questa è solo la prima. Altre ce ne saranno”. Parole del Prof. Attilio Scienza, docente di viticoltura all’Università di Milano, nell’analizzare l’annata 2017 sulla base di campionature provenienti da tutto il territorio nazionale. “Fare delle previsioni è un azzardo perché l’Italia è lunga quindi ci sono tante situazioni diverse. Ma di una cosa sono sicuro: questa non sarà l’ultima e unica annata calda e asciutta a cui assisteremo”. E allora cosa fare?. Il Prof. Scienza ricorda innanzitutto che “la vendemmia di quest’anno deve servire da scuola per quelle che verranno; i nostri produttori dovranno essere bravi a fare esperienza e tesoro per iniziare a studiare un modo diverso di fare enologia in Italia”. Ricerca sui portainnesti, studiare incroci sempre più resistenti al cambiamento climatico, diradare in vigna per dare possibilità alla pianta di avere lo spazio vitale e poi migrare nei territori interni perché i litorali perderanno, anno dopo anno, la loro attuale vocazione produttiva. “Infine (grazie Prof.) non auspicare la pioggia in questo periodo. Purtroppo arriverebbe nella forma torrentizia e avrebbe effetti deleteri”. (fonte: Cronache di Gusto).
Frammento n. 2
I Cinesi continuano a fare spesa in Francia: Château Fauchery.
La Cina continua a fare “man bassa” in Europa. È di questi giorni la notizia dell’acquisizione di Château Fauchery in piena Aoc a Bordeaux. Cantina rinomatissima per la produzione di vini biologici. La Holding cinese, in un comunicato, ha fatto sapere che l’operazione serve loro per il mercato medio-alto, quello dei numerosi Club privé di Pechino, Shenzhen e Hong Kong. È Hugo Tian il nuovo presidente con il compito di preparare nuove acquisizioni a breve. Chapeau!!!
(fonte: Cronache di Gusto)
Frammento n. 3
Boom del “vino biologico”: + 40%
Volenti o nolenti, che piaccia o no, il vino cosiddetto biologico tira, eccome! Sui mercati internazionali il biologico italiano vale 192 milioni di euro. + 40% rispetto al 2016 e + 35% nel mercato nazionale. Tutti contenti ma attenzione: che si proceda nel modo giusto. Controlli e severità nelle visite aziendali soprattutto in vigna vengono richiesti da più parti. Non ci si può accontentare della sola scritta in etichetta. E chi se ne approfitta paghi veramente. Non disperdiamo quello che è un valore aggiunto.
Frammento n. 4
Tiramisu World Cup. A Treviso.
Dalla terra che ha visto nascere uno dei dolci più amati ecco la Tiramisu World Cup. La competizione decreterà il migliore pasticcere e la migliore ricetta originale. Le finali a Treviso i primi di novembre. La sfida si disputerà su due fronti: da un lato la ricetta originale decretata dall’Accademia Italiana della Cucina, dall’altra la creatività e aggiunte personalizzate. Un’idea stimolante per sancire la casa natale del Tiramisù: Treviso. Correvano gli anni settanta, presso il Ristorante Le Beccherie, quando la Signora Campeol mise insieme uova, mascarpone, savoiardi, zucchero, caffè, cacao e dette inizio all’apoteosi del dolce più imitato nel mondo.
Frammento n. 5
Siamo i primi in Europa a produrre gelato!
Con 595 milioni di litri prodotti nel 2016, gli italiani hanno sbaragliato tutti nel produrre gelato in Europa. Lo certifica Eurostat. Secondi i tedeschi e terzi distanziati i francesi. La qualità premia. Basti pensare che nel 2011 eravamo terzi dietro ai francesi e l’anno scorso secondi dietro i tedeschi. Nonostante le acquisizioni di aziende italiane da parte di multinazionali estere (tedesche e francesi).
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
È il caso di dire proprio così. Titolo scontato per un ristorante che propone una carta di quasi solo pesce in una città di diversa tradizione culinaria? Forse. Ma Il Mestolo di Siena racconta tutt’altra storia.
Una storia basata sulla difesa della qualità, per l’affermazione di una cucina di ricerca in un territorio quanto mai ostico, sotto il profilo gastronomico, ancorato a precise radici ultracentenarie.
Entri e capisci subito di essere finito nel ristorante “marinaro” per eccellenza. Situato nella periferia est della città del Palio ad un chilometro circa dal centro. Oggi meta di buongustai da ogni dove.
Ci si accomoda in un ambiente curato, pur senza eccessi, per assaporare gli ottimi piatti cucinati con abile maestria dalla Signora Nicoletta, moglie di Gaetano De Martino, patron cordiale nell’accoglienza, tendenzialmente impeccabile.
Il pesce, protagonista principale della proposta gastronomica è freschissimo . Proviene primariamente dal mare grossetano senza disdegnare l’origine livornese. Verdure di stagione e soprattutto un buon olio extravergine d’oliva che, con altri ingredienti genuini, si uniscono con fantasia ed equilibrio in piatti ben presentati, profumati e saporiti.
Ad incorniciare il tutto una cantina completissima dove c’è l’imbarazzo della scelta. Ma con Gaetano l’imbarazzo viene superato per la sua dote di eccellente MaÎtre di sala, maestro d’arte e fine conoscitore delle tecniche d’abbinamento cibo-vino.
Talento di razza. Non si ferma mai Quasi se fosse perennemente insoddisfatto. Sempre alla ricerca di “materia prima” particolare da sottoporre alla Signora Nicoletta per “pensare” insieme nuove ricette. Il suo obiettivo è quello che il Mestolo debba sempre e comunque stupire con soluzioni imprevedibili.
Dalla cucina si può pretendere l’avanguardia , ovvero la scienza applicata ai fornelli, così come tornare indietro nel tempo, ai sapori genuini di una volta. E la Signora Nicoletta pronta a presenziare ai tavoli, a spiegare con naturalezza la preparazione dei piatti, le cotture, tenendosi per se quei segreti che fanno del Mestolo un locale di riferimento della ristorazione regionale.
Ho conosciuto Gaetano e Signora nella primavera scorsa durante una mia visita al Ristorante per accertare che fosse “degno” dell’inserimento nella Chaîne des Rôtisseurs, l’Association Mondial de la Gastronomie.
Ha superato “l’esame” a pieni voti tant’è che oggi, Gaetano De Martino è stato intronizzato nella Chaîne con la fascia di Maître de table.
Pranzare nella sala tra arredi di gusto e tavoli ben apparecchiati è stato di una gradevolezza senza pari.
Di quel giorno, dei piatti presentatimi, ricordo due alfieri della mano felice ed ispirata della Signora Nicoletta, oggettiva capacità di creare piatti di alto livello. Emozioni ad ogni assaggio.
IL CRUDO DI MARE DEL MESTOLO, un piatto molto richiesto che ha contribuito a rendere famoso questo locale. Sembrerebbe un piatto banale se non fosse l’accurata scelta degli ingredienti che devono essere assaggiati secondo “il senso dettato dal mare” per conoscere i fondali marini di quella parte del Mar Tirreno che si stringe tra Punta Ala e l’Argentario impreziosito da due ostriche “francesi” , bretoni, di diversa provenienza a rappresentare un’avanguardia selettiva e non una moda qualunque.
Spaghetti al riccio |
SPAGHETTI Al RICCIO, dove il ricco in tutta la sua freschezza e profumo è il protagonista del piatto, servito al naturale, combinato appena a un ottimo olio extravergine d'oliva. Piatto di alto livello, linearità e immediatezza nei sapori. Chapeau.
Il Mestolo è senza alcun dubbio il giusto “approdo” ( il termine quanto mai felice) gradevole e sicuro nel “mare” di Siena. Ma se esplodesse il desiderio dei sapori antichi dell’entroterra senese dove “lo
Mestolo |
spiedo scoppiettante” richiama una “cucina etrusca, rinascimentale”, la Signora Nicoletta è pronta ad offrire uno dei piatti di cacciagione più richiesti: Pernici allo spiedo con l’inevitabile chiusura di un “bicchierino” di Vin Santo Occhio di Pernice.
Il momento del commiato arriva sempre presto e così lo è stato anche al Mestolo. Indelebile ricordo di Nicoletta e Gaetano, semplici ristoratori che hanno proposto il mare nella città di Siena.
(foto: Claudio Mollo)
Due amici vengono a guidarci tra i Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma, la mostra in corso fino al 17 settembre a Palazzo Venezia e Castel Sant’Angelo a Roma. All’ingresso del palazzo rinascimentale sarà il primo, il protagonista, a venirci incontro, in lui ci identifichiamo, provenienti da una realtà caotica ed estraniante. Come lui confusi tra una realtà esterna, indaffarata e chiassosa, e quella interiore, sospesa, senza tempo, tra il sogno e un sottile dolore. Ci rispecchiamo in lui, il bel volto sul palmo della mano e lo sguardo perso oltre lo spazio dove il quotidiano accade. Non ci guarda, non facciamo parte del suo mondo, ma è il nostro specchio, siamo noi a far parte del suo, condividendo lo stesso sentire. Questi spazio e tempo diversi, si incarnano nel melangolo, il frutto, simbolo della melanconia che, distrattamente, tiene in mano.
Lo stesso contrasto si vive nel passaggio dall'esterno all’interno del palazzo. Nel giardino, recentemente riaperto al pubblico, non arriva, se non come eco lontano, il chiasso del traffico caotico. Ci si siede o si passeggia all’ombra del verde o immersi nella luce, moltiplicata dal bianco della fontana monumentale centrale.
La mostra si snoda all’interno come in un labirinto, nel succedersi delle belle sale, dove lo sguardo si perde, si distrae dal contenuto dell’esposizione e vaga tra pavimenti, soffitti e pareti.
In un percorso a ritroso nel tempo, si incontrano le figure che il palazzo hanno costruito e vissuto. Abbellendolo con collezioni, specchio di raffinati e colti interessi.
In mostra i libri, testimoni e formatori della cultura rinascimentale, dall’Hypnerotomachia Poliphili al Cortegiano di Baldassarre Castiglione.
I bronzetti, virtuosistiche sculture in miniatura, riproducono, oltre agli animali, le opere più famose e significative, come l’immancabile Laocoonte dei Musei Vaticani.
Naturalmente non mancano le arti maggiori, pittura e scultura.
Il giardino dei sogni, installazione video sonora, che conclude il percorso, è un di più non necessario. Una realtà immersiva, per quanto virtuale, che in qualche modo contraddice l’atmosfera, impalpabile e indefinita, nostalgica e melanconica, del resto della mostra.
Alla fine del percorso è il secondo dei due amici a congedarci. Quello che, almeno apparentemente, ci rivolge lo sguardo con un abbozzo di sorriso. Testimone di una recuperata, presente e cosciente serenità.
Il percorso concentrico può proseguire nelle variegate e affascinanti collezioni permanenti del palazzo, che mostrano i punti forti nella scultura lignea, ma anche nei manufatti in terracotta e cartapesta, nei citati bronzetti e nella ceramica. La collezione epigrafico-lapidea si dispone ai lati del perimetro della loggia aperta superiore.
La mostra è allestita in due sedi che testimoniano i rapporti tra Venezia, patria di Giorgione, il famoso ed enigmatico pittore, autore del dipinto intorno a cui è imperniata l’esposizione e Roma. Il Palazzo di Venezia, ovviamente incarna la città lagunare, a Castel Sant’Angelo e, in particolare agli appartamenti papali, spetta, invece, la rappresentanza della Città Eterna. Sono i dipinti di artisti maestri coevi di Giorgione, come Tiziano, Tintoretto, ma anche Bronzino e Barocci, a costituire l’esposizione nel mausoleo-fortezza.
Labirinti del cuore
Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma
24 giugno - 17 settembre 2017
Roma, Palazzo di Venezia - Castel Sant’Angelo
Orari: Palazzo Venezia dal martedì alla domenica 8.30-19.30
Castel Sant’Angelo tutti i giorni 9.00-19.30
Ingresso: unico per le due sedi, validità 3 giorni intero €.14.00, ridotto €.7.00;
solo Palazzo Venezia intero €.10.00, ridotto €.5.00. Audioguida inclusa a Palazzo
Venezia; apposita app scaricabile per Castel Sant’Angelo.
Info: +39 06 32810
www.mostragiorgione.it
Il 24 Luglio 2017, in occasione della manifestazione del Movimento per libera scelta in materia di salute, è intervento a Roma, nella Piazza di Montecitorio, il Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato.
Il Presidente ha dichiarato che con questo decreto legge si sta commettendo un gravissimo reato, lesivo della dignità delle persone, della loro salute e dei loro diritti, riconosciuti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Uomo.
Imposimato ha invitato tutti ad opporsi a questo decreto legge, in quanto criminale e illegale, oltre che illegittimo. Ha esortato a fare disobbedienza civile, perché nostro diritto e dovere fermare la prepotenza e la violenza contenuti nel dl proposto da Beatrice Lorenzin. Ha invitato esplicitamente a fare resistenza perché mai, dalla fine della guerra in poi, si era veduto tale livello di arroganza e di illegittimità. Ha confermato che la Corte Costituzionale, già nel 2014, aveva sottolineato che quando si parla di diritti della salute non si possono fare decreti, che non sono consentiti dalla nostra Costituzione, che in materia di salute è possibile procedere solo per legge ordinaria, mai per decreto legge.
Ha dichiarato, inoltre, che si batterà personalmente con tutto il suo pool, contro questo decreto, attraverso il quale – ha ribadito più volte – si sta commettendo un grave crimine, che essi saranno in prima linea, procedendo ad aprire indagini, chiedendo tutte le verifiche del caso, denunciando l’omissione di atti d’ufficio relativo alla secretazione dei dati relativi alle migliaia di casi per reazione avversa ai vaccini, che procederanno a fare ricorso al TAR, impugnando l’illegittimità del decreto Lorenzin, ciò in tutte le sedi ufficiali.
Ha affermato infine che, in una vita intera di lotta dedicata alla difesa della legalità, mai si era visto prima il malaffare che si è raggiunto con questo decreto. Ha concluso esortando tutti a non avere paura, a non arrendersi, sostenendo che non sono fuori legge coloro che stanno lottando affinché sia riconosciuto il sacrosanto diritto garantito dalla Costituzione – ovvero la piena libertà di scelta in tema di salute – bensì fuorilegge sono coloro i quali, in accordo con una multinazionale farmaceutica come la Glaxo (condannata in tutto il mondo per violazione delle norme penali, delle norme sulla salute, delle norme civili), stanno imponendo questo decreto, definendolo immondo, col quale stanno commettendo un reato grave, un tremendo abuso ai diritti delle persone, mettendo a rischio la salute dei bambini, e agendo contro la Costituzione della nostra Repubblica.
Sotto il video documento dell’intervento del Presidente onorario aggiunto Ferdinando Imposimato:
per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
21.07.2017 - Una notizia diffusa della giornalista Stefania Maurizi, sempre informata e rigorosa, su Repubblica online di ieri[1], sul segreto imposta dalla US Air Force e dal Joint Chiefs of Staff è indubbiamente degna di nota ed inquietante, ma il risalto che ha avuto su certi organi di stampa[2] appare a mio parere un po’ strumentale. Soprattutto a fronte del risalto enormemente minore che è stato dato – con ritardo e accompagnato da riserve – dello storico Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpan) stabilito il 7 luglio scorso a conclusione dei negoziati all’Onu, approvato da 122 Stati, quasi 2/3 terzi degli Stati membri dell’Onu.
Intanto, di che cosa si tratta? È (o dovrebbe essere) a tutti noto che gli Usa schierano in Italia (e in altri paesi europei, ma in numero minore) bombe termonucleari B-61 a gravità, che addirittura stanno ammodernando con lo sviluppo della testata B-61-12 con un programma del costo di $ 10 miliardi. Questo schieramento viene “giustificato” in base al nuclear-sharing (condivisione nucleare) della Nato, con l’affermazione, sia pure pretestuosa, che esso sia autorizzato dal Trattato di Non Proliferazione (Tnp) del 1970.
Il discorso è lungo e complesso. Una prima domanda sorge spontanea: la formulazione del nuovo Tpan, ed anche il lungo negoziato che l’ha prodotto, sono stati scandalosamente ignorati dai media nostrani (solo Avvenire ne ha dato tempestiva notizia, con grande risalto). Le scarse osservazioni che sono state fatte tendono a depotenziarne la portata, continuando invece ad insistere sul vecchio Tnp (tipici a questo proposito il ritardo nel dare la notizia e le riserve espresse dal Manifesto, che ora da un risalto sproporzionato alla presente notizia). È il caso di ricordare che la negoziazione del nuovo Tpan è stata indotta da una forte mobilitazione della società civile internazionale e voluta da una forte maggioranza dei paesi non nucleari all’Onu, i quali erano ormai sfiduciati da decenni di insistenza per il rispetto del Tnp, che dal 1970 prevedeva con l’Art. VI “trattative in buona fede per arrivare al disarmo nucleare, e generale, totali”: negoziati mai avviati! Non solo, ma sotto il regime del Tnp la consistenza degli arsenali nucleari proliferò da 30.000 al numero demenziale di 70.000 nel 1985, e gli stati nucleari proliferarono da 6 a 10! Insomma, nella realtà un trattato di proliferazione ad uso e consumo degli Usa!
Dopo questi sintetici richiami, che ci sembrano doverosi, vediamo che cosa realmente è avvenuto sotto il regime 37-ennale del Tnp: perché se può sembrare giusto chiedere il rispetto del Tnp, ci sembra non solo inutile, ma decisamente fuorviante, intestardirsi a chiedere da un trattato quello che evidentemente non da, mettendo invece in secondo piano la novità storica del nuovo Tpan.
Intanto riporto (con il suo consenso) un’annotazione che ricevo dall’Avv. Claudio Giangiacomo della Ialana-Italia: “all’epoca del Tnp gli Usa non comunicarono l’esistenza degli accordi sul nuclear sharing che pare sia stato comunicato solo per via riservata all’Urss (che ovviamente lo sapeva già ma aveva interessi analoghi per i paesi del patto di Varsavia)”. Ma c’è di più. La presenza delle testate nucleari sul territorio italiano rimanda necessariamente alla presenza e all’assetto giuridico delle basi militari statunitensi e Nato. Ebbene, riporto dei brani di un articolo dell’Avv. Giangiacomo apparso nel Dossier di Mosaico di Pace sul numero di Aprile scorso[3]:
“la costruzione e gestione delle basi militari è regolata da convenzioni bi- o multilaterali tra i paesi della Nato. [I quali] sarebbero dovuti essere stati assunti nelle forme previste dagli artt. 72 ed 80 della Costituzione italiana (procedimenti abbreviati solo in casi d’urgenza, e ratifica da parte delle Camere di trattati internazionali che importino variazioni del territorio od oneri alle finanze): invece è stata utilizzata la cosiddetta procedura semplificata, non prevista dalla Costituzione ma disciplinata dalla legge 11.12.1984 n. 839, senza però, come prescritto, procedere alla loro pubblicazione, sottraendoli così sia al controllo delle Camere che del Presidente della Repubblica. Solo nel 1995 venne firmato lo “shell agreement” (“accordo conchiglia”), l’accordo quadro fra Italia e Usa sulle basi in Italia, che venne poi pubblicato nel 1998 a seguito della gravissima strage del Cermis (quando un aereo militare americano volando a bassa quota troncò il cavo della funivia, causando 20 vittime). Rimane invece totalmente segreto il Bilateral Infrastrutture Agreement del 20.10.1954 che regola le condizioni dell’utilizzo delle basi americane in Italia, anch’esso approvato con la procedura semplificata. Pur limitandoci a quanto oggi noto, si può sicuramente affermare che le basi non possono in alcun modo ritenersi ‘extra territoriali’.”
Inoltre, saltando altre osservazioni importanti, Giangiacomo afferma che “sia le istallazioni che le medesime operazioni ed attività delle forze ospitate [nelle basi militari Usa], anche per la parte posta sotto il Comando Usa, debbano rispettare le leggi vigenti in Italia, tanto che al Comandante italiano è rimesso il controllo del loro rispetto”.
Da queste osservazioni, risulta evidente la responsabilità diretta del governo italiana per le attività svolte nelle basi militari: tanto più, ci sembra, per l’autorizzazione di ordigni terribili come le testate termonucleari.
Dal nostro punto di vista, si conferma insomma come il Tnp funga nella sostanza come una cortina dietro la quale viene surrettiziamente “legittimata” la presenza delle armi nucleari sul nostro territorio. Giangiacomo rileva ancora come
“indipendentemente dalla violazione del Tnp, la permanenza in Italia di ordigni nucleari sia effettuata in palese violazione della legge n. 185 del 9 luglio 1990 che espressamente prevede all’art. 1 comma 7: ‘Sono vietate la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la ricerca preordinata alla loro produzione o la cessione della relativa tecnologia‘.
Sebbene al successivo comma 9 lett. c) del medesimo articolo si preveda una inapplicabilità della norma in relazione ai materiali di armamento e di equipaggiamento delle forze dei paesi alleati, questa deroga è limitata al transito e non alla permanenza stabile nel territorio italiano.”
In sostanza il governo italiano, anche nella discussione di mozioni al Senato sul nuovo Trattato, seguita a trincerarsi dietro il Tnp e rifiuta di aderire al nuovo Tnap, ignorando bellamente, in primo luogo, gli obblighi che derivano dalle sue proprie leggi.
Questa lunga premessa è per me propedeutica per capire che cosa comporti ora la secretazione dei report sulla sicurezza delle atomiche schierate in Italia (non sulla “dislocazione” come titola Il Manifesto). Osserva ancora Giangiacomo: “Paradossalmente la dichiarazione del segreto apposto dal Pentagono è una ammissione della loro presenza”.
Infatti, il maggiore esperto, Hans Kristensen della Fas, precisa nell’intervista effettuata da Vignarca sul Manifesto di oggi: i report “ci confermano se una certa base abbia o meno missione nucleare. La US Air Force pubblicava tradizionalmente tali informazioni per le installazioni europee ma nel corso del tempo le ha ridotte, per rendere più difficile ad opinione pubblica (e potenziali avversari) capire quali unità fossero o meno nucleari. … Diverso quando un’intera unità fallisce un’ispezione: l’impressione di incompetenza che ne deriva è palese. Come nell’incidente del 2007 alla base di Minot, in cui sei missili nucleari da crociera vennero imbarcati per errore su un bombardiere e portati in giro per gli Stati uniti. A mio parere la decisione di secretare i risultati delle ispezioni cerca di evitare qualsiasi tipo di imbarazzo alle Forze Armate per questo tipo di errori”.
Ma di nuovo, il governo italiano è disposto o no a pretendere dagli Usa la permanenza stabile nel territorio italiano di armi nucleari, vietata dalla legge n. 185 del 9 luglio 1990? I pacifisti vogliono decidersi a pretendere dal nostro governo tale rispetto, invece di trincerarsi sul rispetto del Tnp, che finisce per fare il gioco del governo? E di schierasi compatti, invece, sull’adesione al Tpan, che dichiara l’assoluta illegalità delle armi nucleari, e impone agli Stati che intendano aderirvi di dichiarare “se ci sono armi nucleari sul proprio territorio o in qualsiasi luogo sotto la propria giurisdizione o controllo che siano possedute o controllate da un altro Stato” (Art. 2 comma c[4]), ed ovviamente a pretenderne e garantirne la rimozione per aderire al Tnap. Ed è proprio questo che il governo non vuole, in ossequio ai voleri di Usa e Nato!
Last but not least, mi sia consentito di dire che l’eccessiva drammatizzazione della notizia in questione fa da pendant alla disinformazione sui principali rischi incombenti delle armi nucleari, il loro ammodernamento che è ben più massiccio e grave di quello delle B-61-12 (mille miliardi di $ a fronte di 10 miliardi!), nonché le migliaia di missili nucleari transcontinentali mantenuto in stato di allerta pronti al lancio immediato (launch on warning) con il rischio concretissimo di una guerra per errore: abbiamo già rischiato per lo meno una ventina di volte questo olocausto nucleare: sotto il regime vigente del Tnp!
[1] http://www.repubblica.it/esteri/2017/07/20/news/gli_usa_mettono_il_segreto_sulle_armi_atomiche_in_italia-171195615/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P6-S1.8-T1
[2] Ad esempio Il Manifesto, https://ilmanifesto.it/pentagono-top-secret-la-dislocazione-delle-atomiche-in-italia/
[3] “Apocalisse nucleare?”, Mosaico di Pace, aprile2017, http://www.mosaicodipace.it/mosaico/i/3765.html
[4] Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons, http://undocs.org/A/CONF.229/2017/8
Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza
Dal tentativo di golpe finora è passato esattamente un anno. In Turchia ormai quasi niente è come prima.
La vecchia patria degli Ottomani ormai vive in Stato d’emergenza da un anno. Dopo il tentativo di colpo di stato fallito il governo ha dichiarato questo stato e l’ha rinnovato per ben quattro volte, l’ultimo rinnovo è del 18 luglio 2017. In questo periodo ovviamente sono state prese numerose misure necessarie per identificare, arrestare e lottare contro i golpisti che in una notte hanno ucciso 250 civili e ne hanno feriti circa 2000.
Secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia ci sono 169 mila persone sotto indagine e 50 mila sono in carcere. Nel mentre c’è già un mandato d’arresto per 8 mila e 87 persone latitanti. Se analizziamo bene questi numeri vediamo che la lotta contro i golpisti è da tempo uscita fuori dai confini delle caserme e degli uffici delle Forze Armate della Repubblica di Turchia, cioé di coloro che hanno effettivamente tentato il golpe. Questo è prima di tutto dovuto alla tesi che sia la comunità religiosa Hizmet essere ufficialmente il responsabile del tentativo di golpe. Una realtà che non si è organizzata soltanto dentro l’esercito ma in diversi apparati della burocrazia in questi ultimi 40 anni. Per esempio solo nel caso del sistema giuridico ci sono 2280 giudici e pm dentro i centri di detenzione, accusati di appartenere in questa comunità, ma non solo.
Anche il mondo accademico è una delle fette della società colpite dalle misure di “sicurezza” dello Stato d’emergenza. Secondo i dati diffusi dalla BBC turca, in un anno, almeno 23427 accademici sono stati licenziati, allontanati dal posto di lavoro oppure hanno perso il lavoro perché l’università in cui lavoravano è stata chiusa. Infatti pochi giorni dopo il tentativo di golpe sono state chiuse 15 università.
Tuttavia è ormai risaputo che lo Stato d’emergenza è stato sfruttato anche per zittire le opposizioni, principalmente quelle di sinistra. Infatti tra gli accademici licenziati contiamo 372 persone firmatarie del famoso “appello per la pace” firmato da 1128 accademici per invitare lo Stato a tornare al tavolo dei negoziati con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), rimuovere il coprifuoco in atto nel sud est del Paese e di cessare il fuoco. Dall’11 Gennaio del 2016 numerosi accademici hanno perso il lavoro e sono tuttora sotto processo e con l’arrivo dello Stato d’emergenza questo processo è stato accelerato notevolmente.
Anche nel mondo dei media vediamo che le misure di “sicurezza” prese sono uscite fuori dall’obiettivo della “lotta contro i golpisti”. Infatti tra i 157 mezzi di comunicazione di massa chiusi, oltre i presunti collaboratori della comunità di Gulen (realtà religiosa accusata di pianificare e mettere in atto il tentativo di golpe) vi sono anche numerosi media di sinistra e curdi. Come il caso del ImcTv, un canale televisivo di capitale curdo e di linea ideologica socialista. L’ImcTv, oltre a non poter più trasmettere, ha visto lo Stato confiscare i suoi beni e darli all’emittente statale TRT. Secondo la piattaforma per la libertà di stampa P24, sotto lo Stato d’emergenza sono stati arrestati almeno 121 giornalisti, tra cui quelli che lavoravano per il quotidiano nazionale di sinistra Cumhuriyet ed il giornalista socialista Ahmet Sik.
Gli effetti “collaterali” dello Stato d’emergenza si sono fatti sentire anche nel mondo dell’associazionismo femminile e tra le donne. Con diversi decreti sono state chiuse 11 associazioni delle donne e 35 donne sindache sono state arrestate. Nelle municipalità commissariate prima di tutto sono state chiusi i centri culturali per le donne, i rifugi per le donne vittime di violenza, i consultori e diversi corsi di formazione per le donne. Secondo la Piattaforma Comune per i Diritti Umani (IHOP) almeno il 20% degli impiegati statali rimasti senza lavoro grazie ai decreti d’emergenza sono donne. La maggior parte dei licenziamenti appartengono al Ministero dell’Istruzione e quello della Sanità. Nella stessa relazione si legge che un quinto degli accademici licenziati sono donne. Secondo i dati del mese di febbraio del 2017, diffusi dal sindacato confederale DISK, la disoccupazione femminile è in aumento ed ha raggiunto il 16%. Secondo la Piattaforma IHOP questi dati rendono la donna sempre più dipendente dalla famiglia e particolarmente dal maschio.
In Turchia si respira anche l’aria della costruzione di una memoria ufficiale. Un lavoro molto capillare per fare in modo che la notte del 15 luglio non si scordi, in nessun modo.
Pochi giorni dopo il tentativo di golpe uno degli studi del canale televisivo TRT è stato rinominato “15 luglio, lo studio della nazione”. Il 9 agosto del 2016 una delle piazze grandi di Ankara è stata rinominata come “Piazza della Volontà Nazionale 15 luglio”. Il 27 luglio il Ponte del Bosforo di Istanbul, ove avvennero degli scontri violenti durante tutta la notte del 15, è stato ribattezzato col nome “Ponte dei Caduti del 15 luglio”. Lo stesso lavoro è stato fatto anche per le moschee che nella notte del tentativo di golpe hanno trasmesso delle preghiere. La moschea di Tepe Emlak Konutlari in località Cerkezkoy a Istanbul ormai si chiama “La moschea dei caduti del 15 luglio”. Per concludere anche le scuole pubbliche hanno subito la stessa trasformazione. Il 9 maggio del 2017 una scuola materna ad Ankara ha preso il nome di uno dei civili uccisi dai golpisti, Lutfu Gulsen. Il 26 giugno di quest’anno un’altra scuola materna ha concluso l’anno scolastico con un nuovo nome, sempre di un cittadino, Tevhit Akkan.
Particolarmente nelle scuole è stato fatto questo lavoro per la costruzione della memoria. Il 18 settembre del 2016, il primo giorno dell’anno scolastico, è stato inaugurato con la lettura di un giuramento collettivo in memoria dei caduti della notte del 15 luglio. Per 19 milioni di studenti, al primo giorno del nuovo anno scolastico, la prima lezione era sul tentativo di colpo di stato. Nell’ambito di questa lezione il Ministero della Giustizia ha preparato un video da 7 minuti da trasmettere in ogni aula. In numerose scuole sono stati dedicati degli angoli alle installazioni permanenti sul tema del 15 luglio. Si vedono le fotografie degli scontri, dei mezzi militari e delle persone morte durante quella notte. Particolarmente nella città di Tokat, in 7 scuole pubbliche, sono stati realizzati degli affreschi sul tema del tentativo di golpe. Secondo gli psicologi queste scelte potrebbero creare dei danni sullo status mentale dei ragazzi. Lo psichiatra Cem Taylan Erden parla così in merito: “Negli opuscoli distribuiti agli studenti e durante le lezioni si vedono e si sentono delle immagini e dei racconti sulla guerra, sulla violenza e sugli scontri. Questi possono creare dei grandi traumi ed attivare i meccanismi di interiorizzazione che poi generano una serie di paure. Studiando bene i contenuti si nota che si tratta di un lavoro che prova a convincere i ragazzi a credere a concetti che appartengono al mondo degli adulti. Questo ovviamente tende a creare una cultura di paura ed obbedienza”.
Il dolore che provano le persone che vivono nella Turchia di oggi è enorme. Si tratta di un momento storico di grandi perdite e tristezza. Non si sa ancora quanto tempo ci vorrà per “dimenticare” ciò che è successo. Tuttavia possiamo già parlare di una società polarizzata. Da una parte c’è la popolazione civile vittima del tentato golpe e il governo attuale e dall’altra parte una città fantasma composta dagli eventuali golpisti e da numerosi oppositori non golpisti. Questa situazione di polarizzazione di sicuro porta una profonda divisione ed alienazione tra i cittadini che vivono nella grande Anatolia e questo rende sempre più difficile la convivenza pacifica che manca ormai da parecchi anni da queste parti.
Per gentile concessione della'agenzia di stampa Pressenza
Finché gli esseri umani si nutriranno come le belve si comporteranno come le belve
I continui episodi di improvvisa violenza che si stanno verificando in Italia, e non solo, non hanno precedenti nella storia recente. Non passa giorno che non si registri una esplosione di follia con efferati risvolti drammatici di cui le vittime sono quasi sempre le donne e i minori.
Questa lunga catena di delitti, in apparenza inspiegabili, riconduce il problema al fenomeno di pochi anni fa della cosiddetta mucca pazza diventata tale perché alimentata con residui di carnami inadatti alla sua natura di animale erbivoro. L’identico effetto non lo si può non associare all’essere umano per sua natura frugivoro. Mai l’umanità ha consumato quantitativi di carne come in questo periodo storico, e siccome la carne è un alimento adatto agli animali predatori (serve a dar loro la necessaria aggressività per uccidere la preda) la logica vuole che se gli umani consumano questa sostanza è probabile che si verifichino i medesimi effetti e di conseguenza si verificheranno “inspiegabili” comportamenti aggressivi e violenti.
Se una persona si nutre di alimenti scarsi di un determinato principio nutritivo, (per esempio di piante coltivate su un terreno povero di un certo minerale), anche il suo organismo accuserà la stessa carenza e questa si riflette inevitabilmente sulle funzioni del suo organismo. Ogni nutriente può far funzionare meglio o peggio un organo del corpo e di conseguenza l’intero organismo.
Il nostro cervello è una macchina che funziona prevalentemente a glucosio, se scarseggia tale nutriente funzionerà male, con le conseguenze che si immaginano. Noi siamo quello che mangiamo e quello che mangiano determina la nostra condotta. Questo l’aveva previsto già il grande Krisha che Nella Bhagavad Gita rispondendo ad Ariuna che gli chiede come potersi salvare dalle conseguenze delle vite passate e raggiungere la liberazione dal ciclo di rinascita e morte. E il Dio risponde: “Tu sei ciò che mangi e le tue attività modellano la tua vita. Se regoli il cibo e le attività puoi vincere le tendenze demoniache e promuovere le tendenze pure dentro di te. Il cibo è la principale forza creativa: la condotta morale, le buone abitudini, o sforzo spirituale, tutto dipende dalla qualità del cibo”.
Vi sono aminoacidi (come la tirosina, di cui sono ricchi i prodotti animali) che favoriscono la concentrazione nel cervello dei neurotrasmettitori dopamina e adrenalina i quali inclinano l’individuo alla competizione, alla litigiosità, all’aggressione, alla violenza (gli yogi indiani sostengono che i carnivori non possono mai raggiungere l’estasi). Anche la fenilalanina, di cui sono ricchi le carni, i formaggi ed anche i legumi, e un eccesso di zuccheri e di colesterolo nel sangue risultano essere tra i maggiori imputati.
Per contro altri principi nutritivi presenti principalmente nei prodotti vegetali, in virtù del loro altro contenuto in amidi e fibra consentono la concentrazione di triptofano nel cervello consentendone la trasformazione in serotonina, neurotrasmettitore che favorisce uno stato di calma, di serenità, di socievolezza la di empatia, di disponibilità verso gli altri. Anche l’ossitocina, ormone dell’amore, predispone all’ empatia, alla fiducia negli altri. In sostanza, è possibile aumentare o diminuire certe funzioni cerebrali, introducendo con la dieta certi aminoacidi in misura maggiore o minore di altri.
E’ documentato che grassi di origine animale, zuccheri e carboidrati raffinati compromettono la salute del cervello, mentre una dieta vegana svolge un’azione protettiva. Due importanti cardiologi (Michael Cooper e Michael Agent) hanno dimostrato come la meditazione è in grado di abbassare di un terzo il livello di colesterolo nel sangue: e se la mente è in grado di condizionare la materia allo stesso modo la materia (il cibo) è in grado di condizionare il pensiero e di conseguenza la condotta dell’individuo. In sostanza, siccome ogni cibo entra in relazione con la nostra coscienza e con la nostra mente, modificando la dieta si influisce anche sulle emozioni e sul comportamento della persona.
La cattiva alimentazione impoverisce le facoltà cognitive e favorisce la demenza. La droga rende apatici, assenti, modifica il pensiero e il comportamento delle persone. Il profumo inebria, calma e rilassa. Traumi in specifiche zone del cervello ledono specifiche funzioni. Certi settori del cervello coinvolti in processi emotivi lo sono anche nella elaborazione dei pensieri. Differenti emozioni attivano differenti zone del cervello e viceversa.
"I nostri risultati dimostrano che ciò che si mangia influenza il modo di pensare", ha detto Fernando Gomez-Pinilla, professore di neurochirurgia presso la David Geffen School of Medicine presso la UCLA e un professore di biologia integrativa e fisiologia nel Collegio UCLA di Lettere.
Studiosi dell’University of California hanno dimostrato che anche i batteri presenti nell’intestino possono modificare alcune funzioni psichiche; in sostanza si può modificare lo stato psichico dell’uomo utilizzando specifici alimenti (intuizioni che risalgono ad Ippocrate). Modificando la flora batterica intestinale si possono influenzare le risposte psichiche, e con esse migliorare o peggiorare determinati comportamenti.
Anche gli stati d’animo e le emozioni si riflettono su tutte le cellule e le funzioni del corpo. Le emozioni negative generano disarmonia nelle funzioni fisiche e alterano i battiti cardiaci. Sentimenti come l’odio, la gelosia, la paura se persistono possono arrivare a provocare dei cambiamenti organici e quindi delle vere malattie. I capelli di una donna belga condannata a morte dai tedeschi divennero improvvisamente bianchi nella notte precedente l’esecuzione. Non solo la mente ma anche la coscienza umana è un’energia capace di modificare il mondo fisico.
La meditazione, la preghiera, giocano ruoli determinanti nei processi di guarigione. La mente ha il potere di attivare le difese immunitarie dell’organismo ed operare la guarigione. Un terzo delle persone guarisce attivando il potere della mente. Un atteggiamento attivo nei confronti della malattia influenza pesantemente il decorso. Anche l’ipnosi risulta essere un potente mezzo di guarigione. Gli esperimenti placebo sono una realtà riconosciuta anche dalla medicina ufficiale. Addirittura mente e cuore possono interagire al di fuori della dimensione spazio e tempo.
Seneca faceva notare che tra i mangiatori di carne si trovano i tiranni, gli organizzatori di eccidi, di faide e di guerre fratricide, i mandanti di assassinii, gli schiavisti, mentre coloro che si nutrono dei frutti della terra sono caratterizzati da comportamenti miti e socievoli. E Porfirio (considerato da S. Agostino il più grande dei filosofi) scriveva: “Non è tra i mangiatori di vegetali ma tra i mangiatori di carne che si trovano gli assassini, i ladri, i tiranni. Il regime vegetali più di ogni altro è adatto a dare una salute perfetta e una mente riflessiva e filosofica”. E Rousseau: “Comunque si voglia spiegare il fenomeno, è certo che i mangiatori di carne sono in genere feroci e crudeli più degli altri uomini. E’ quindi necessario non abituare i bambini a nutrirsi di carne, se non per la loro salute almeno per il loro carattere”. Lamartine: “Sono convinto che uccidere gli animali per nutrirsi della loro carne sia una delle disgrazie della razza umana. Io credo che queste immolazioni questo appetito di sangue, questa vista di carni palpitanti, siano fatti per rendere il cuore più duro e brutale”.Questo l’aveva intuito già Platone, vegetariano, che consentiva il consumo di carne solo ai soldati che partivano per la guerra.
Le popolazioni, o le comunità più pacifiche e miti, sono quelle che hanno escluso la carne dalla loro dieta, come gli Hunza del Kashmir, i russi del Caucaso, gli indiani del Toda e dello Yucatan (centro America), i Vilcabamba nell’antico Perù, gli indigeni del Monte Hagen nella Nuova Guinea, i Carani Guaranti dell’America del Sud, certe tribù dell’Africa o gruppi di Indios del Brasile nord-occidentale o gli Indios Piaroa in Venezuela. In questi non c’è traccia di aggressività e di violenza e l’odio è sconosciuto.
Proiezione esclusiva il 18 per i piccoli pazienti del Bambino Gesù e anteprima nazionale per le famiglie romane il 19 luglio all’Isola del Cinema
La Whale Pictures, società distributrice del film, ha deciso di regalare un angolo di felicità ai bambini dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, organizzando nella mattinata del 18 luglio una proiezione esclusiva tutta per loro.
L’anteprima nazionale avverrà il giorno successivo,19 luglio alle 21.30 all’Isola del Cinema e sarà aperta alle famiglie romane fino ad esaurimento posti.
Ad animare entrambe le occasioni, Rossella Brescia e Giancarlo Magalli, voci testimonial della pellicola, e gran parte del cast di doppiaggio con l’intervento di cosplayer che vestiranno gli abiti dei protagonisti.
Nato dal racconto della buonanotte inventato per suo figlio, il poliedrico artista russo Max Fadeev, appassionato di animazione, dopo sette anni di collaborazioni con valenti professionisti internazionali è riuscito a portare sullo schermo la storia di Savva, un coraggioso bambino che sfida “Il mondo intero” per salvare il suo villaggio.
Una storia di amore e amicizia che aiuta a comprendere il valore dei propri affetti e l’importanza di non arrendersi mai e credere nei propri sogni “Con tutto il cuore” affinchè si realizzino.
Diretto dallo stesso Max Fadeev e sceneggiato in tandem con Gregory Poirier e Alexander Chistyankov che ha firmato tra gli altri “Il Re Leone 2”, “Il regno di Simba” e “Il mistero delle pagine perdute”, SAVVA è sicuramente un progetto d’animazione internazionale.
Voci testimonial per il doppiaggio italiano Rossella Brescia, nel ruolo della saggia e dolcissima mamma di Savva, e Giancarlo Magalli, nell'esilarante ruolo di Fafl, un “semi-barone” afflitto da complesso di superiorità.
La voce di Savva è di Valentina Bartoloni, al suo esordio in una pellicola cinematografica.
Tra le altre voci non meno importanti, doppiatori d’eccezione come: Giorgio Lopez, Monica Ward, Sonia Scotti, Christian Iansante, Pietro Biondi, Andrea Ward, Mario Cordova e due piccole e talentuose promesse: Lucrezia Ward e Alice Porto.