L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1295)

Free Lance International Press

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January 01, 2017

Un parametro fondamentale per misurare lo stato di salute di una democrazia è il grado di rappresentatività che le forze politiche sono in grado di realizzare: venuta meno questa capacità cosa resta?

 

Per il funzionamento e il progresso di una democrazia, e di qualsiasi governo fondato su una qualsivoglia forma di sovranità popolare, è necessario che le forze politiche rappresentino la volontà dei rispettivi elettori, in modo tale che il loro rapporto sia reciproco: rappresentatività in cambio di partecipazione consapevole e responsabile. Tuttavia, l'equilibrio tra queste due componenti essenziali del corpo sovrano può incrinarsi per varie ragioni, non da ultimo l'evoluzione del tessuto sociale verso una maggiore o diversa complessità. Un processo simile a quello che ha interessato le antiche democrazie dirette come Atene, dove esso è emerso chiaramente nel corso della guerra del Peloponneso, combattuta contro Sparta dopo un cinquantennio di guerre “indirette”. Una guerra tra le due massime potenze regionali, rette da due diversi modelli politici e geopolitici: il sistema oligarchico chiuso di Sparta, rimasto sostanzialmente identico a quello che la tradizione attribuisce al leggendario Licurgo (di età arcaica), e l'ordinamento Ateniese, che nel V secolo a.C aveva gradualmente assunto i connotati di una democrazia diretta ma con aspirazioni talassocratiche e imperialistiche. Ad Atene appunto, le fazioni oligarchica e democratica, cui tra i due colpi di stato del 411 e del 404 a.C. se ne aggiunse probabilmente una terza che si potrebbe definire oligarchica “moderata” (guidata da Teramene e annientata dai trenta tiranni), non erano più in grado di rappresentare la complessità delle classi popolari, il cui peso politico ed economico era stato progressivamente accresciuto dai governi democratici: prima con Temistocle, che arruolò i nullatenenti come rematori durante le guerre persiane, poi, soprattutto, con Pericle, che per primo scoprì nella comunicazione pubblica un potente strumento di consenso.

Durante il lungo governo di Pericle, osservava lo storico Tucidide, Atene era una democrazia solo a parole, ma di fatto una forma di principato: dominio indiscusso dei democratici nell'assemblea popolare e mantenimento dell'impero marittimo, a costo di reprimere nel sangue i tentativi di defezione delle città “alleate”. Che sia la vocazione imperiale a essere inconciliabile con le istanze democratiche, visto che lo stesso Pericle, in un discorso riportato da Tucidide, afferma che l'impero è tirannide? I successori di Pericle alla guida della fazione democratica, poi, hanno portato avanti questa linea, ma erano meno abili nella conquista del consenso. La loro rappresentatività è andata scemando, mentre la fazione oligarchica, a lungo in minoranza, portava il dibattito politico nel contesto extra-istituzionale delle eterie, associazioni nobiliari nate in età arcaica e divenute nel tempo gruppi “eversivi”: in età moderna infatti, la parola eteria conserva questo valore, per esempio nel nome della Filikì eterìa, organizzazione che rivendicava l'indipendenza della Grecia dall'impero ottomano. Lo scontro politico non è più risolvibile in termini dialettici, e negli ultimi quindici anni del V secolo a.C. ad Atene si verificano gli scandali della mutilazione delle Erme e della parodia dei misteri eleusini e ben due colpi di stato, il secondo dei quali è noto come il governo dei trenta tiranni, seguito da una guerra civile. La condanna a morte di Socrate, pronunciata ed eseguita nel 399 a.C., quattro anni dopo la restaurazione della democrazia, è legata appunto a questi avvenimenti, poiché il filosofo, al di là delle accuse ufficiali, era considerato il cattivo maestro di Crizia e Alcibiade, protagonisti di quelle stesse trame.

Considerando invece l'evoluzione della res publica romana, a far vacillare le istituzioni politiche tradizionali sono i cambiamenti sociali indotti dalle grandi conquiste e causati principalmente dallo stato di guerre continua, dall'espansione commerciale e dal crescente mercato degli schiavi. Il divieto per i senatori, quindi per l'aristocrazia fondiaria, di praticare il commercio provoca una repentina diffusione del fenomeno dei prestanome, che a sua volta diffonde e radica il meccanismo della clientela come strumento di consenso politico: la nobiltà di sangue non è più criterio sufficiente per la carriera politica, nella quale si affacciano in misura sempre maggiore i cavalieri, che traggono ingenti ricchezze dai commerci, e la plebe, il cui servizio nell'esercito aveva contribuito in modo determinante alle conquiste romane. Un discorso analogo si può fare a proposito delle popolazioni italiche, il cui processo di integrazione era cresciuto proprio durante i secoli dell'espansione. Cavalieri, plebe e popolazioni italiche iniziano quindi a rivendicare il diritto di essere rappresentati dalle istituzioni di Roma, ma in un primo momento, la nobilitas sceglie la linea della repressione: Tiberio e Caio Gracco, tribuni della plebe rispettivamente nel 133 e nel 123 a.C., vengono entrambi uccisi dopo aver proposto il primo una riforma agraria, il secondo (dichiarato “nemico pubblico” dal Senato) una serie di riforme, tra cui una sulla cittadinanza per le popolazioni latine e italiche. Una questione, quest'ultima, che la nobiltà romana sembra inizialmente sottovalutare, fino allo scoppio della guerra sociale nel 90 a.C., che ha significative conseguenze sugli equilibri politici. Alla fine del II secolo a.C., infatti, emergono prima nella fazione popolare, poi in quella degli ottimati (nobili di orientamento oligarchico) comandanti militari che per affermarsi e conquistare potere contano sulla fedeltà delle truppe: si possono citare gli esempi di Caio Mario tra i populares e Lucio Cornelio Silla, che guida la prima marcia su Roma, tra gli optimates.

Lo scontro tra i seguaci di Mario e Silla fa emergere interessanti fenomeni politici, tra i quali il complotto come strumento di potere e la creazione di “stati paralleli”, come quello fondato da Quinto Sertorio, seguace di Mario, in Spagna. Una volta sconfitti i seguaci di Mario, Silla fa compilare liste di proscrizione per eliminare gli avversari politici, modifica il sistema elettorale in favore dell'aristocrazia conservatrice (voto per centurie anziché per tribù) e si fa nominare dittatore a vita. La dictatura, nella Roma repubblicana, era una carica straordinaria, cui si ricorreva solo in caso di estrema emergenza e soltanto per sei mesi. Per questo, notava lo storico greco Appiano, durante la dittatura di Silla, accettata dal Senato per esigenza di stabilità, Roma “ricade nella monarchia”. Quando Silla si ritira spontaneamente a vita privata (che sia stato uno strumento utilizzato temporaneamente dall'aristocrazia per evitare la sconfitta politica?), gli equilibri politici sono ormai stravolti e, tra congiure e complotti, si arriva all'accordo segreto tra Cesare, Pompeo e Crasso (60 a.C., noto impropriamente come primo triumvirato), che, morto Crasso, si deteriora fino a sfociare nella guerra civile tra Cesare e Pompeo.

Cosa succede invece nelle attuali “democrazie liberali” quando una parte della cittadinanza resta esclusa dal principio di rappresentanza? In primo luogo, un simile fallimento dal punto di vista dello sviluppo democratico è un buon incentivo a non partecipare alla vita politica e a disinteressarsi delle questioni di rilevanza collettiva. In secondo luogo, la dialettica politica tende a deteriorarsi, fino a cedere il passo alla demagogia: partiti e movimenti, non più in grado di (o non più disposti a) rappresentare fette sempre più consistenti di società, per mantenersi in vita optano per una comunicazione densa di retorica e populismo, finendo per aumentare in tal modo le distanze dai loro elettori. Ciò avviene sia quando la società diventa più complessa del sistema politico che dovrebbe garantirne l'esistenza dignitosa, sia quando a decidere non sono più governi legittimamente eletti ma centri di potere economico-politico, spesso sovra-nazionali: da questo punto di vista non esiste una differenza sostanziale tra gli effetti del colonialismo e il dissesto sociale causato dalle oligarchie finanziarie. In terzo luogo, nei vuoti che lo Stato lascia si insinua il crimine organizzato, che spesso costituisce forme parallele al sistema statale (o infiltra quest'ultimo) reclutando tra le sue fila quanti si sentono emarginati dalla società. Se non vengono tutelati i diritti fondamentali, a chi mai si potrà rivolgere un individuo per assicurarsi almeno la sopravvivenza? E se la collettività esclude ed emargina, cosa impedisce moralmente agli individui che non se ne sentono parte di voltarle a loro volta le spalle?

Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

Ultimi frammenti del 2016!

 

Tempo di bilanci. Un anno “benedetto” per la vendemmia, meno per le vicende vino vinicole e gastronomiche. La “polveriera” Expo che ci ha lasciato e rilascia una visione “disarmante” della nostra gastronomia (del resto più volte denunciata proprio da questi frammenti). Il problema dei mancati investimenti degli Italiani nel mondo delle Aziende vinicole permettendo ad altri, Cinesi in testa, di fare shopping soprattutto in Piemonte, Veneto e Toscana. La crisi del MPS e del micro sistema bancario regionale con la “svendita” di Montalcino, Bolgheri e anche Chianti. I sempre più frequenti show dei nostri “chef” che invece di sfornellare si danno alla politica frequentando “salotti televisivi”, filosofeggiando. Non ultimo lo “scandalo” del vino contraffatto e adulterato di proporzioni devastanti.

Il 2017 riparte da qui. Incertezze, preoccupazioni, timori per quella precarietà intellettuale, fuori dalle regole, che ci riporta indietro, al tempo delle improvvisazioni, come se fosse l’unica nostra capacità. E poi il “solito” proclama di fine anno “urbi et orbi”, divulgare senza discernimento, solo per “far passare” il “o come siamo bravi”: l’Italia batte la Francia nella produzione del Vino a livello mondiale. Finiti i festeggiamenti per il traguardo conseguito, ci accorgiamo che siamo i primi produttori di Vino in “polietilene tereftalato” meglio conosciuto come PET. Poi, se successivamente aggiungiamo l’operazione Bacco, c’è da che vantarsi.

Cin per il 2017 che verrà.

 

Frammento n. 1

 

Ci risiamo: Vino adulterato e contraffatto.

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Operazione “BACCO”. Non poteva chiamarsi diversamente l’operazione condotta nella provincie di Firenze e Salerno dai Nas dei Carabinieri. Smantellata un’associazione per delinquere finalizzata alla produzione, immissione nel circuito commerciale di vino adulterato e contraffatto. Ogni tanto:”ci risiamo”. La tentazione di approfittare del buon andamento nel mondo di alcune etichette è sempre in agguato. Dieci soggetti coinvolti che hanno agito all’interno “di un’articolata organizzazione criminale dove ognuno ricopriva un ruolo specifico”. Il solito e collaudato sistema. Vino a bassa gradazione adulterato con aggiunta di alcool facendolo apparire di alta qualità. Apposizione di false etichette di vini pregiati, Sassicaia in testa, fascette falsificate recanti il sigillo di stato attribuenti Doc e Docg e il gioco è fatto. Nel tempo e dalle esperienze precedenti, sfruttando l’attuale crisi economica esistente, ecco affinarsi nuovi metodi maggiormente sofisticati. Acquisizione di società vinicole in crisi per dar vita ad un sistema di truffe più articolato e credibile. (Fonte: Cronache di Gusto).

 

Frammento n. 2

Super Offerte al Supermarket vinicolo Italia.

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Tenuta Il Greppo Biondi Santi

Nuovi scenari, direi inquietanti, nelle “facili” acquisizioni di Aziende vinicole storiche del mondo del vino italiano. Certo la vicenda Biondi Santi targata Monte dei Paschi passata ai francesi di Epi, è la più eclatante. Non si può dire di NO a 107 milioni di euro quando l’Azienda di Montalcino è debitrice insolvente nei confronti della Banca senese per un mutuo di 7,5 milioni di euro. Vigneti e strutture ovvero un patrimonio culturale dove nel 1865 ebbe vita la Storia fantastica del Brunello di Montalcino che entra, dal 2017, nell’orbita di un gruppo che produce champagne (Piper-Heidsieck) e lo Château La Verrerie della Côte du Rhone. Il problema è ancora più grave là dove alcuni investimenti “italiani” sono di fatto gestiti da Holding cinesi che, con il sistema delle divisioni di competenza (distribuzione,società), hanno acquisito grandi nomi della viticoltura nazionale. Moretti (Bellavista), Sella&Mosca, Teruzzi&Puthod. (Fonte: Il Sole24 Ore)

 

Frammento n. 3

Accordo Chianti Classico e Comité Champagne: ben venga!

 

Un sodalizio che ha inizio dalla firma, in questi giorni, di un accordo dove il Consorzio del Chianti Classico (quello del Gallo Nero) e il Comité interprofessionnel du vin de Champagne (vigneron e maison) proverannochianti champagne iniziative insieme, soprattutto internazionali. Chianti e Champagne “together” per essere più forti sui mercati esteri. Il gemellaggio che supera il mero simbolismo dei due marchi. Un proprio accordo bilaterale per scambiarsi conoscenze e fare “gruppo”. La Champagne unita (Négociant e Vigneron) e i produttori della Docg Chianti Classico, con i rispettivi presidenti a Reims per il primo passo. E che accordo sia! (Fonte: Consorzio del Chianti Classico)

 

Frammento n. 4

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Cannellino Frascati

Frascati Spumante Doc e Cannellino di Frascati Docg: il ritorno alle tradizioni.

Per le feste di fine anno ritornano i momenti tradizionalmente piacevoli di stappare due vini dimenticati. Grazie alla volontà di un gruppo di produttori laziali, intenzionati ad affermarne la qualità, ritornano in auge due “vini per le feste”. Uno spumante e l’altro “dolce”. Metodo Charmat (Martinotti, grandi recipienti) per il Frascati Spumante Doc e vendemmie tardive e/o appassimenti veri e propri in vigna per il Cannellino Frascati Docg. “Recupero di antiche tradizioni territoriali per prodotti non più casuali”. (Fonte Vinotype)

 

Frammento n. 5

Doc Friuli Venezia Giulia. Nuova realtà del 2016

Ce n’è voluto del tempo per arrivare a questo traguardo. Le prime bottiglie Doc nel 2017. Quindi vendemmia 2016 come Doc Friuli Venezia Giulia. Un unicum regionale che si

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Doc Friuli Venezia Giulia

sovrappone alle varie altre denominazioni zonali che rimangono. Doc-Fvg questo l’acronimo che vedremo sulle etichette per affrontare al meglio i mercati nazionali e in particolare quelli internazionali, facendo squadra per un brand facilmente individuabile. L’adesione alla Denominazione sarà volontaria ma se la richiesta di partenza dell’iter, circa dieci anni fa, fu controfirmata da 1.700 viticoltori e vinificatori, i progetti, ipotesi e speranze si concretizzeranno.

 

Frammento n. 6

Colussi smentisce la fine della pasta Agnesi
Pasta Agnesi

Pasta Agnesi. Chiusura dello storico pastificio.

Vi ricordate “Silenzio parla Pasta Agnesi”?. Adesso non parla più!

“Alle 6,30 di questa mattina (16 dicembre 2016) i macchinari del pastificio Agnesi di Imperia hanno prodotto il loro ultimo chilogrammo di pasta: di Fusilli 102 per la precisione”, L’annuncio che non vorresti mai sentire. Se poi riguarda lo storico e primo marchio di pasta italiano lo sconforto ti assale. Agnesi ha significato per lungo tempo non solo la pasta ligure ma, più in generale, la pasta italiana nel mondo. Pasta e Olio, olio e pasta in simbiosi con la Riviera ligure di ponente. Controllata ultimamente dal Gruppo Colussi era risaputo che “navigava in un mare agitato”. Adesso l’annuncio ufficiale: “Pasta Agnesi, la pasta che fu”.

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

 

December 21, 2016

“Forse possono dire che non so cantare, ma nessuno potrà dire che non ho cantato”

 

Per le feste natalizie arriva nelle sale, dal 22 dicembre 2016, il biopic Florence del regista britannico Stephen Frears (Philomena; The Program) con una straordinaria Meryl Streep. Nel cast anche Hugh Grant, Simon Helberg, Rebecca Ferguson, Nina Arianda.

La pellicola, ambientata a New York nel 1944, racconta l’ultimo anno di vita dell’artista americana Florence Foster Jenkins, ricca ereditiera, ripercorrendone la vita e la bizzarra carriera. Famosa per essere la peggiore cantante lirica che sia mai esistita, tentò di sfondare come soprano senza avere alcun talento.

Dopo la separazione dal marito, Frank Thornton Jenkins, è costretta a smettere le lezioni di musica per via della sifilide. Con la morte del padre, eredita una cospicua somma di denaro che le permette di diventare una mecenate e frequentare i salotti dell’alta società newyorkese. Determinata nella carriera di soprano e assecondata dal marito e manager, l’attore shakespeariano inglese St. Clair Bayfield, interpretato da Hugh Grant, intrattiene l'élite cittadina con discutibili performance canore. A seguito di una prima esibizione al Verdi Club e l’uscita di alcune recensioni positive e “pilotate” da St. Clair, la sua carriera inizia a decollare, accompagnata dal pianista Cosmé McMoon, tanto da spingere Florence ad esibirsi presso la Carnegie Hall. La serata è un fiasco, con risate degli astanti e recensioni negative coperte dal marito e dagli amici della cantante. Ma la verità non tarderà ad arrivare con conseguenze fatali.

Florence è una donna nelle sue diverse sfaccettature, nei diversi ruoli, a cui non manca coraggio, incoscienza e determinazione. Un ruolo non facile per la due volte premio Oscar Meryl Streep, che riesce a rendere con abile maestria tutte le diverse sfumature del personaggio. In un tempo in cui alle donne non era concesso accedere a certe professioni né coltivare sogni, qui troviamo una donna che coltiva con insolita testardaggine un sogno impossibile. Uno spirito infantile, quella limpidezza, autenticità e ingenuità che porta i bambini a sognare senza domande, senza paure, senza inibizioni.

Un’intensa e commovente commedia dagli accenti velatamente drammatici, che ruota attorno alla forza e debolezza di una figura grottesca e inconsapevolmente ironica.

Florence, presentato durante l’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, è distribuito da Lucky Red.

Si è tenuto a San Gimignano l’evento conclusivo dei festeggiamenti per i primi 50 anni della Denominazione d’Origine Controllata (DOC 1966-2016) del suo vino, autenticamente autoctono, la Vernaccia di San Gimignano.

La distinzione con il nome della Città è dovuta per due ordini d’idee: la prima per distinguerla da altre vernacce esistenti sul territorio nazionale (basta ricordarne due, quella di Oristano e l’altra di Serrapetrona), diverse in tutto tranne nel nome, l’altra per ricordare che questo vitigno a bacca bianca si coltiva solo ed unicamente nel territorio collinare circoscritto al Comune di San Gimignano. Coincide con la natura dei terreni unici, del micro-clima esistente, insomma del terroir particolare, atipico, esclusivo.

Il piccolo Teatro dei Leggieri, nel centro di San Gimignano, ha ospitato venerdì 16 dicembre il convegno conclusivo dei primi cinquant’anni. Ugualmente anche i progetti per i prossimi cinquant’anni.
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“Vernaccia di San Gimignano. Vino, Territorio, Memoria.”

Il Libro di Armando Castagno

Elemento di modulazione, variazione, di passaggio dal conclusivo al propositivo è stato la presentazione del libro di Armando Castagno che già dal titolo dice molto:” Vernaccia di San Gimignano. Vino, Territorio, Memoria”.

Modulazione,variazione, passaggio; perché?

Perché la sua pubblicazione rappresenta la conclusione di un progetto vuoi rievocativo, vuoi celebrativo. Ma anche la prospettiva di quel “rapporto indissolubile con il territorio, l’arte e la cultura”. Una reale fotografia della Vernaccia oggi, dove viene coltivata, dove cresce e diviene Vino unico al Mondo.

Un libro che accompagna il lettore anche con le immagini, gli scatti del fotografo senese Bruno Bruchi, nei prossimi cinquant’anni ( ha saputo cogliere l’essenza del territorio di San Gimignano in tutta la sua bellezza).

Non è facile riuscire a seguire interventi per circa due ore senza perdere una battuta. La riuscita è dovuta alla bravura degli oratori che hanno parlato a braccio, che sono riusciti a coinvolgere senza frasi fatte, convinti e partecipativi all’evento. Armando Castagno ci ha condotto per mano all’interno delle pagine del libro facendoci capire, comprendere la complessità e la varietà dei territori e la memoria, punto di partenza per il futuro.

“A 50 anni dal riconoscimento della DOC, il Consorzio per la tutela della Denominazione, ha voluto ripercorrere con questo libro la storia secolare del primo vino DOC d’Italia, che è poi la storia di San Gimignano e della sua comunità. Questo libro apre il sipario sulle nostre radici; non si può parlare di Vernaccia senza parlare di San Gimignano, ma non si può neanche parlare di San Gimignano senza parlare della Vernaccia, di chi l’ha coltivata, amata e la ama ancora. Non si tratta perciò di un libro che cristallizza il presente, che narra di una storia che è stata, ma del seme per la Vernaccia di San Gimignano che verrà”.

Questa l’introduzione della Presidente del Consorzio Letizia Cesari che ha fatto intendere che il convegno non sarebbe stato il solito, ripetitivo incontro di quanto siamo bravi, quanto siamo belli.

Preludio al passaggio propositivo, ai 50 anni che verranno, alla presentazione dei progetti che, a mio avviso, pongono San Gimignano fuori dal mondo chiuso della campanilistica frammentazione tipica di altri territori toscani, aperto alla innovazione se pur nella tradizione.

 

La prima Cité du Vin italiana

Quest’ultimo pensiero riportato in grassetto, aperto alla innovazione se pur nella tradizione sembra la solita frase fatta, ripetitiva, conclusiva. Non è così.

Nello scrivere innovazione, dopo aver seguito le parole che hanno accompagnato un ben preciso progetto firmato dall’Architetto Piero Guicciardini, ho pensato alla Cité du Vin inaugurata nel Giugno scorso a Bordeaux. La città francese non ha storia millenaria come San Gimignano. Ha dovuto esprimere il concetto del futuro del Vino in una costruzione avveniristica posizionata sul fiume Garonne.

A San Gimignano si è pensato ad un luogo che sia il punto di partenza per la comunicazione internazionale della Vernaccia di San Gimignano, dove chiunque voglia avvicinarsi a questo vino , abbia

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ingresso della villa Rocca di Montestaffoli

l’opportunità di incontrarla, conoscerne la storia, degustarla, discuterne, in un ambiente coinvolgente ed emozionante, multimediale grazie all’utilizzo dei più moderni mezzi tecnologici. Una Cité du Vin di dimensioni più contenute che unisce il passato (il luogo) con il futuro (il percorso, la conoscenza di questo vitigno e del suo vino).

Progetto Rocca di Montestaffoli, ex sede del Museo del Vino, che fa del complesso non solo un luogo contemplativo ma dinamico, partecipativo.

Prestigioso immobile situato all’interno della cerchia urbana posizionato su di un poggio da dove si domina l’intero centro urbano.

Sono già iniziati i lavori di restauro della villa e nell’Aprile 2017 si prevede l’inaugurazione di questo nuovo centro polifunzionale del Vino, anzi della Vernaccia di San Gimignano. Coinvolgimento emozionale, sensoriale, ricordi, conoscenza maggiore. Esperienza unica.

La partenza è quella giusta. I prossimi cinquant’anni della Vernaccia di San Gimignano sono cominciati. Chapeau!

 

Urano Cupisti

Si è svolta Lunedì 5 Dicembre 2016 alle ore 12, nella suggestiva sala Barile dello storico Palazzo del Consiglio Regionale di Firenze, la conferenza stampa di presentazione del Museo di Arte e Cultura Orientale del Comune di Arcidosso, in provincia di Grosseto. Sono intervenuti: Eugenio Giani, Presidente del Consiglio Regionale della Toscana; dr. Jacopo Marini, Sindaco di Arcidosso, Alex Siedlecki, Direttore del Museo, Fabio Risolo, Presidente Comunità Merigar, Responsabile Relazioni Istituzionali associazione Dzogchen.

Il Presidente Eugenio Giani, dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, ha illustrato le caratteristiche culturali del sito in cui sorgerà il Museo: il castello Aldobrandesco, realizzato dalla famiglia Aldobrandeschi nella parte più alta del centro storico dell'omonima località del Monte Amiata, destinato a diventare un importante punto di riferimento culturale e spirituale sul territorio, sia a livello locale che nazionale e internazionale. Ha preso poi la parola il Sindaco Jacopo Marini che ha ribadito l'importanza dei valori insiti nella mission del museo legati alla tolleranza, alla condivisione e alla compassione. È stata poi la volta del Direttore Alex Siedlecki che ha presentato il Museo, il programma di eventi previsto nella settimana successiva all'inaugurazione e l'articolazione interna del Polo Espisitivo, ovvero i 9 spazi della galleria, che intende collegare percorsi artistici alla tecnologia. Infine, Fabio Risolo ha illustrato la storia e le attività svolte dalla comunità Dzogchen, sorta 35 anni fa dalla volontà di persone di diverse nazionalità, età, professioni e culture che avevano iniziato a incontrarsi e condividere studi, pratiche e vita quotidiana. L’insegnamento Dzogchen, per sua stessa natura, si ispira alla compassione, alla non violenza, al rispetto per ogni creatura vivente. Una delle caratteristiche più forti della Comunità Dzogchen è la varietà di nazionalità presenti. Collegata a diversi centri culturali nel mondo, la sede principale è Merigar, nel Comune di Arcidosso, ed è incentrata sulla figura del Prof. Namkhai Norbu, nato nella Regione Autonoma del Tibet, risiede in Italia dagli anni Cinquanta. Sin dalla giovane età è stato riconosciuto come raffinato erudito, ha lavorato presso l’ISMEO di Roma e all’Università Orientale di Napoli. Le sue ricerche, di fama mondiale, sono un riferimento per tutti gli esperti in campo storico e filosofico del mondo orientale. Sono stati poi ringraziati i diversi Patrocini: la Regione Toscana, della Commissione Italiana Nazionale per l'UNESCO, del Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, e del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, dell’Unione dei Comuni Amiatini e dell’UBI, Unione Buddisti Italiani. Infine lo sponsor gastronomico, il Consorzio di Tutela dell'Olio di Seggiano, ha offerto un assaggio dei prodotti di eccellenza del territorio, legati alla produzione dell'olio extravergine d'oliva derivato dalla lavorazione della cultivar locale, l'Olivastra di Seggiano: una cultivar autoctona, particolarmente resistente e selvatica, che copre le pendici del Monte Amiata con uliveti secolari, che si estendono fino ai 600 metri sopra il livello del mare, con un aroma e un gusto singolare, quello dell'"ulivo di montagna", importante per le sue proprietà nutritive e curative, caratterizzate da un alta percentuale di sostanze antissiodanti e vitamina E.

Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

“Sopra la stessa zolla, sotto la stessa goccia, nello stesso letame”.

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Matilde Poggi, Presidente FIVI

A Piacenza il grande successo per il Mercato dei Vini della FIVI, la Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti. Oltre le previsioni. Il messaggio? Le piccole realtà ci sono, sono vive, ed hanno intrapreso il cammino giusto. Fare gruppo e sostanza difendendo il valore del Vino italiano.

E non si fermano qui. Matilde Poggi, presidente Fivi, ha annunciato che il 13 e 14 maggio a Roma, zona EUR, si terrà un maxi evento che richiamerà nella Capitale tantissimi vignaioli, in particolare quelli del sud, che per ragioni logistiche non hanno potuto partecipare all’evento piacentino. Ancora una volta Roma al centro del mondo vitivinicolo nazionale.

 

 

Frammento n. 1

Testo Unico del Vino. Finalmente è legge

Non riporto le affermazioni del Ministro Martina perché propagandistiche e banali, scontate. Di quelle che ormai ne possiamo tranquillamente fare a meno. Parliamo del burocrazia1Testo che si concentra su di una semplificazione concreta che l’Europa ci chiedeva da anni. Produzione, commercializzazione, gestione, controlli e sistema sanzionatorio. Un’unica legge di riferimento per non continuare a perdersi nei rigoli campanilistici tanto cari ai nostri burocrati e politici locali. Più certezza del diritto e meno contenziosi. Interessante (finalmente) la disposizione sulla salvaguardia dei Vigneti Storici ed Eroici che insistono su aree a rischio dissesto idrogeologico. Adesso il TUV c’è. Per le coperture tempo al tempo.

 

 

Frammento n. 2

Lessini Durello. Da uva da taglio a Vino di gran carattere.

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Lessini Durello 60 mesi

La cantina veneta Marcato ha messo sul mercato il Lessini Durello prodotto con il metodo della rifermentazione in bottiglia dopo una permanenza sui lieviti di 60 mesi (cinque anni). L’uva durella caratterizzata da una buccia spessa, ricca di tannini e da una spiccata acidità spumantizzata con il metodo classico ha dato vita ad un prodotto di armonica eleganza di un controllato equilibrio. Da uno spumante tradizionale, di territorio, con spiccate doti di acidità e vigore adatto per gli aperitivi ad uno brioso ma allo stesso tempo elegante, equilibrato. La durella addomesticata. Lunghissimo nella persistenza, ottimo a tutto pasto.

 

 

Frammento n. 3

L’Italia vinicola conquista dieci medaglie. Dove?eett

All’ottava edizione del Work Bulk Wine Edition. La Fiera del Vino sfuso che, per il 2016, si è tenuta in Olanda ad Amsterdam. Una Gran Medaglia d’oro (Vinicola San Nazaro), una medaglia sempre oro ma declassata e otto d’Argento. Quello che preoccupa è che questi risultati contribuiscono a posizionare l’Italia ai vertici della produzione di Vino di quantità. Dati spesso spacciati come traguardi raggiunti nella qualità. E i francesi se la ridono!

 

 

Frammento n. 4

Le mie ultime bottiglie di Pinot Grigio

La Riserva 2006. L’ultimo Pinot Grigio di Joško Gravner. La fine e l’inizio di un nuovo ciclo. “Mi dedicherò solo a vitigni autoctoni di questa zona. Basta

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Josko Gravner e le anfore interrate

internazionali”. La nuova filosofia di questo produttore che ha rivoluzionato il fare vino. Vigneto Njiva espiantato. Nuovo spazio a Ribolla Gialla e Pignolo. Sarà verità o solo mossa di marketing visto che la produzione di questo Pinot Grigio è stata limitata a 1.500 bottiglie e messe in vendita alla modesta cifra di € 110,00 cadauna? Il tempo ci dirà che…

 

 

Frammento n. 5

Nuovo Ristorante “tristellato” in terra di Spagna . Lo chef è italiano.

Per la prima volta nella sua storia la città spagnola di Barcellona ha un Ristorante tristellato. E di per sé fa notizia. Poi se aggiungiamo che lo Chef vero, quello che sfornella dietro insegnamenti dello chef-manager basco Martin Berasategui, è un 36enne veneto che ha potuto indossare la casacca con i tre macaron trapuntati sul petto, fa ancora più notizia. Paolo Casagrande in quattro anni e mezzo ha contribuito a dare un’impronta alla cucina del Lasarte, all’interno del lussuoso Hotel Condes nel centro di Barcellona. È vero che la Catalogna annovera altri tristellati ma per il centro città è la

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Paolo Casagrande indossa la giacca tristellata

prima volta. Il segreto? Umiltà. “Quando la squadra si pone un obiettivo ben chiaro è più facile perseguirlo”.

Osservo, scruto, assaggio e…penso.

È in atto un nuovo Rinascimento.

 

Il futuro si gioca e giocherà proprio in quei territori meno conosciuti della grande Regione della Champagne che, usciti dall’isolamento di semplici conferitori d’uve, stanno vivendo il loro Rinascimento.

Grazie a intrepidi, coraggiosi, audaci piccoli vignerons che da coltivatori di vigneti elaborano e commercializzano il proprio vino. Ma che dico: non vino, champagne!

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 Paesi che "galleggiano" su di un mare di champagne

Champagne! Quando ne parli al femminile, la Champagne, il riferimento è al territorio, la vasta area ad est di Parigi, la Regione della Champagne ben 33.564 ettari vitati, quella ben delimitata nei confini all’interno di quanto stabilito dal Disciplinare di riferimento della produzione del Vino più famoso al Mondo: LO CHAMPAGNE, al maschile.

635 Comuni in generale di cui 319 compresi nell’area dell’AOC (Appellation d’Origine Controlée)

Un vino dinamico, sempre in evoluzione sia nei suoi metodi di produzione che di programmazione, marketing, vendita.

Solitamente quando si indica, all’interno della Regione Champagne, le zone più vocate da sempre additate come referenti di produzione d’eccellenze delle più conosciute Maison, i nomi sono sempre quei tre: la Vallée de la Marne, La Montagne de Reims e la Cote des Blancs. Poi a traino, non possiamo fare a meno di indicare l’Aube, il più antico insediamento vitivinicolo nella Champagne.

Non solo. Ma indichiamo per ciascun sito il vitigno maggiormente presente e coltivato. Ed allora parliamo di Vallée de la Marne per il Pinot Meunier, la Montagne de Reims per il Pinot Noir, la Cote des Blancs per lo Chardonnay ed infine un Pinot Noir diverso per l’Aube.

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 Mulini ancora funzionanti

L’Aube risulta anche essere quel territorio dove si coltivano i vitigni meno conosciuti, di minor importanza, chiamati anche vitigni fantasma come l’Arbanne, il Petit Meslier, il Fromenteau, il Pinot Blanc, il Pinot de Juillet, il Pinot Enfumé. Tutti vitigni le cui uve sono permesse per la produzione dello Champagne.

Negli ultimi anni registriamo un fiorente mercato costituito dai piccoli vignerons che non solo continuano a svolgere l’attività di conferitori di uve verso la Grandi Maison e, a volte, dei vins clairs (vini base da rifermentare), ma producono direttamente champagne con proprie etichette facendo conoscere, ogni giorno di più, i territori considerati minori dove non registriamo alcun Comune compreso nella lista dei Grand Cru e Premier Cru.

Da ricordare il proliferare delle Cooperative, più di 150, che rappresentano un variegato mondo divenuto insostituibile nella filiera. Le Coperative de Manipulation (CM). Intervengono nella sola funzione della pressatura dell’uva restituendo il mosto ai vigneron che a loro volta possono commercializzarlo. Oppure preparano i vins clairs (vini base) anch’essi commerciabili o acquistare le uve dai propri soci e produrre con propria etichetta lo Champagne.

Interessante e molto diffuso tra i “piccoli produttori”, che sono più di 3.000, la cooperazione così definita Récoltant Coopérateur (RC). Conferire l’uva alla Cooperativa e ritirare le bottiglie ad elaborazione terminata controllando tutti i procedimenti ed intervenendo sia nei tempi di permanenza sui lieviti, sia nel momento del dégorgement e l’aggiunta della liqueur de dosage o d’expedition.

Abbassare i costi di produzione per essere presenti e competitivi sul mercato.

Il grande sviluppo dello Champagne e la programmazione dell’espansione in quelli che sono e saranno i già definiti territori futuri.

Quanti e quali?

Ben 13 che, unitamente ai 4 ricordati, attualmente formano l’intero territorio viticolo della Champagne.

La Vallée de la Vesle e la Vallée de l’Ardre definite anche nel loro insieme “Petite Montagne de Reims” con 2.500 ettari vitati posti a circondare la città di Reims dalla parte sud-ovest;

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 La vallée dell'Ardre

Il Massif de Sainth-Thierry, circa 900 ettari, la parte più a nord dell’intera Champagne. Ci troviamo sul 50° parallelo;

I Monts de Berru, circa 370 ettari, piccolo e isolato territorio a est di Reims;

I Coteaux Sud d’Epernay, circa 1.250 ettari a sud e sud-ovest di Epernay;

La Vallé de la Marne ouest tra Chateau-Thierry e Charly sur Marne, il territorio più occidentale;

Il Terroir de Condé, con 800 ettari, lungo il fiume Surmelin;

Il val du Petit Morin con 900 ettari a ovest e sud-ovest di Vertus, ultimo Comune della Cote des Blancs;

La Cote de Sézanne, 1.450 ettari posta a sud;

Il Vitryat settore isolato a sud-est intorno al Comune di Vitry;

L’area del Montgueux, 200 ettari vicino all’antica città Troyes;

Il Barsuraubois nell’Aube con 2.200 ettari;

Il Barséquanais, molto esteso all’estremo sud della Regione con i suoi 4.700 ettari comprendente anche i territori di Riceys famosi per i Vin Rosé.

Il futuro si gioca qui. Anche le Grandi Maison che attualmente gestiscono circa il 70% dell’intera produzione, lo sanno. Non è difficile infatti, nell’attraversare questi territori, imbattersi lungo le strade in cippi con gli stemmi inconfondibili a ricordare la loro presenza come proprietari, affittuari o semplicemente collaboratori.

Nel mio recente viaggio nella Vallée de l’Asne, per capire dove lo Champagne sta andando, mi sono sentito dire da un piccolo vigneron:” Presto andrò in crisi perché le scorte stanno esaurendosi”.

I vini dei récoltant manipulant (RM, i piccoli) si stanno affermando sul mercato, se ne parla sempre di più anche per l’eccellenze che continuamente registriamo.

Piccolo è bello? No; non è il messaggio che deve passare. Sono i vecchi nuovi territori, quelli del Rinascimento in atto, guidati e gestiti dalla cooperazione vitivinicola che allargano la visione dello Champagne nella Champagne.

IN MOSTRA SINO AL 30 DICEMBRE AL “CUBO” SPAZIO ESPOSITIVO PARMENSE DI GIOVANI CREATIVI

 

Sino alla fine di dicembre, negli spazi espositivi del “CUBO”, a Parma, da non perdere la rassegna dedicata alle opere di Giulia Conti (Associazione ITZA). Giulia è una giovane ed eclettica creativa- nata a Parma ma da anni residente in Sardegna, a Porto San Paolo (Olbia) – che nel suo alto rispetto per la Natura e del mondo in cui viviamo, ha fatto del “recupero materiali” il fulcro e l’anima delle sue creazioni. Straordinario il risultato : borse, borsoni, pochette , copri calzari ed altri particolari oggetti, forgiati uno ad uno con pazienza certosina, sempre diversi e sempre “inattesi”. Nascono da materiali comunemente definiti “irrecuperabili” ma che lei ha superbamente recuperato : tele di vecchie vele, tessuti plastificati, camere d’aria di camion tutto sapientemente riciclato in raffinate forme, splendidi colori e inaspettate, perfette e portatutto 2 small webfunzionali dimensioni. Idee creative che sfiorano i confini dell’arte e che hanno già attirato l’interesse di importanti firme del “made in Italy”.  

Giulia Conti racconta, con appassionate vibrazioni, radici e finalità dell’ Associazione ITZA di cui è fondatrice e “pensiero portante”.

“ITZA – spiega – come “Acque Incantate” nasce dal cambiamento della vita quando arriva la vita. L’ idea ITZA è nata quando da navigatrice solitaria mi sono trasformata in mamma, creatrice di nuove forme attraverso vecchie esperienze : un’ evoluzione logica della mia vita,con il rispetto per la Natura guardandola e attraversandola … senza disturbare. Quindi ITZA è nata da una logica evoluzione della mia vita. La prima conquista sono state le vele, giganti bianchi che mi hanno fatto volare con il ritmo del mondo nel mondo stesso, per anni e anni, attraversando culture, colori ed emozioni che mi hanno mutato e forgiato mente ed anima. Vecchie vele, tessuti plastificati, camere d’aria di camion :tutto reinventato e ricreato nel segno del riciclo. Alla fine del viaggio le vele sono diventate borse, pochette, valigie, oggetti d’arredo. I teli plasticati trasformati in pizzi leggeri, le camere d’aria in originali calzari … Idee nate dapprima come piccole evasioni, poi le vecchie vele mi hanno portato a conoscere nuovi (rinnovati) mondi proprio come nei porti si incontrano nuovi personaggi, nuovi “marinai”. Camminando in modo attento e curioso in questo progetto che ho costruito di giorno in giorno – continua Giulia – ho incontrato veri professionisti del settore –pellettieri, disegnatori di tessuti ecc. – ai quali ho “carpito” i segreti del mestiere e con i quali collaboro per il riutilizzo di materiali che per loro diventerebbe scarto inutile. Il mio ruolo è quello di far incontrare idee diverse per renderle armoniosamente d’impatto alla vita di ogni giorno.

Ecco perché L’ “anima” di ITZA è in continuo movimento, un nuovo viaggio che, come nella realizzazione dei suoi singoli pezzi, non si ripete mai due volte in modo eguale. Lo specchio dell’ unicità di ciascuno di noi di non essere eguali a nessuno. Nel segno del rinnovamento o … del riciclaggio. Di corpo ed anima. Andando sempre e solo avanti. Con un sorriso ad ogni passo più bello”””  

November 29, 2016

Dopo il “golpe fallito”, un “dono di Dio” secondo il presidente Recep Tayyip Erdoğan, stampa non allineata e forze politiche di opposizione sono a rischio perenne di passare per nemici pubblici; contro il Partito democratico dei popoli (HDP) utilizzata la consueta accusa di legami con il PKK

 

Lo scorso 4 novembre, la polizia turca ha arrestato dodici deputati del Partito democratico dei popoli (HDP), il partito che difende i diritti dei curdi e delle minoranze e la parità di genere. Tra questi, i due co-presidenti, l'avvocato e attivista per i diritti umani Selahattin Demirtaş e la giornalista Figen Yüksekdağ. I mandati di arresto, emessi dal tribunale di Diyarbakır per sospetti legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), erano quattordici, tutti ai danni di deputati del'HDP, ma due di loro, che erano all'estero, sono sfuggiti alla cattura. Due giorni prima la stessa sorte era toccata ai due sindaci della città metropolitana di Diyarbakır, Gültan Kışanak e Fırat Anlı, la prima accusata di appartenere a un “gruppo terrorista armato”, il secondo sospettato di aver tentato di “dividere il paese”: al loro posto è stato nominato un commissario straordinario. Assieme a loro è finita in carcere anche Ayla Akat Ata, ex parlamentare del Partito della pace e della democrazia e ora deputata HDP.

Il 14 novembre, la polizia ha arrestato l'avvocato difensore di Demirtaş, Levent Pişkin, (attivista per i diritti umani, militante LGBT e rappresentante dell'HDP nella provincia di İstanbul), con l'accusa di “esercitare pressioni a livello internazionale contro la Turchia”: tutto ciò perché il 6 novembre Pişkin e altri avvocati dell'HDP, di ritorno da una visita ai loro assistiti in carcere, avevano organizzato una conferenza stampa aperta ai media nazionali e internazionali per raccontare quanto visto e sentito da loro. Essendo l'unico a parlare fluentemente l'inglese, Pişkin si è fermato a rispondere alle loro domande e due giornalisti del quotidiano tedesco Der Spiegel gli hanno chiesto se avesse qualche nota scritta da Demirtaş. A quel punto, l'avvocato ha assicurato che avrebbe trasmesso questa richiesta al co-presidente dell'HDP tramite il prossimo che sarebbe andato a visitarlo, ossia l'avvocato Cahit Kırkazak, della città di Bursa. Pişkin e Kırkazak sono stati arrestati qualche giorno dopo in due operazioni separate, per poi essere rilasciati il 14 novembre.

L'Unione Europea ha criticato più volte il giro di vite imposto dal presidente turco alle opposizioni e ha congelato i negoziati per l'adesione della Turchia, ma Erdoğan e il suo fedele primo ministro Binali Yıldırım hanno risposto quasi sempre con minacce più o meno velate di rompere l'accordo (quello con cui Bruxelles definiva la Turchia “paese sicuro”) e spalancare le porte dell'Europa a migranti e rifugiati. Eppure lo stesso Demirtaş, il 26 settembre, aveva invitato l'Europarlamento a prendere “iniziative ufficiali” per il processo di pace tra governo turco e PKK. La scorsa settimana, una delegazione di eurodeputati socialisti ha tentato di incontrare il co-presidente dell'HDP nel carcere di Edirne, nei pressi di İstanbul, ma non è stato loro concesso di accedervi. Da Bruxelles nessuna pressione, né da Washington, anzi le grandi potenze vecchie e nuove osservano con attenzione le mosse di Erdoğan, la sua alleanza con l'Azerbaijan, il suo riavvicinamento alla Russia, la distensione delle relazioni con Israele. Il suo peso geopolitico garantisce a lui quell'immunità che il Sultano postmoderno non intende garantire alle opposizioni, colpevoli in quanto tali di lesa maestà.

November 27, 2016

Si è da più parti mossa a questo progetto di Costituzione la critica che esso rappresenti il frutto di un compromesso (…) Se con questo si vuol dire che il progetto di Costituzione è il frutto di uno sforzo di diversi partiti per trovare un’espressione della volontà della maggioranza degli italiani, questo non è un difetto.”   

Lelio Basso
 

Comunque andrà a finire, tutta questa vicenda della riforma costituzionale e della relativa consultazione referendaria lascerà, nella storia non troppo luminosa del nostro Paese, una ferita profonda e strascichi torrentizi di veleni. Perché tutto si configura malato fin dall’inizio, con caratteri sgradevolmente lesivi della più elementare sensibilità democratica e del più universale sentimento di giustizia.

Un Parlamento di eletti con una legge dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale (composto da gente che, quindi, non avrebbe titolo morale ad occupare il posto che occupa) non avrebbe dovuto mai, per una questione di sano buon senso, venire investito del compito incommensurabilmente gravoso di modificare la Legge fondativa della Repubblica.

E, in particolar modo, un governo guidato da un Presidente mai eletto, composto, di fatto, da forze politiche che rappresentano una parte nettamente minoritaria dello schieramento partitico e, soprattutto, dell’elettorato (il “popolo sovrano”!), non avrebbe mai dovuto pretendere di attribuirsi un compito così impegnativo e solenne.

Perché la nostra Costituzione è scaturita da uno sforzo di titanica saggezza volto a costruire ponti, convergenze e compromessi fra visioni politiche immensamente più antitetiche fra loro di quanto possano esserlo quelle attualmente esistenti (ammesso che si possa ancora parlare di “visioni politiche” …).

Perché i padri costituenti hanno saputo anteporre l’interesse nazionale a quello della propria fazione, hanno saputo imporsi limitazioni e amarezze (anche brucianti) al fine di privilegiare quanto realisticamente

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 Lelio Basso

raggiungibile in vista della costruzione di una stabile e duratura piattaforma comune, che potesse porre dei confini invalicabili alle conflittualità, favorendo al massimo una convivenza democratica sanamente pluralistica. Al fine, soprattutto, di arginare qualsivoglia pericolo di derive autoritarie, garantendo, nell’immediato come nel più remoto futuro, diritti inviolabili a tutti i soggetti politici (soprattutto ai perdenti e minoritari).

L’Assemblea Costituente, eletta con sistema proporzionale “puro” (senza, cioè, gli artificiosi meccanismi del “porcellum” atti a creare maggioranze fittizie), rispecchiava fedelmente la variegata realtà del nostro Paese, al quale ha saputo donare una base solida su cui edificare il proprio futuro, senza che nessuna componente (esclusi i nostalgici del ventennio) potesse sentirsi sconfitta.

Nel caso malaugurato in cui la riforma renziana dovesse superare il banco di prova del 4 dicembre, noi ci troveremmo, invece, con una Costituzione modificata per ben un terzo dei suoi articoli, non ad opera di una larga maggioranza parlamentare e popolare, ma ad opera di “alcuni” contro tutti gli altri. Ad opera di alcuni che, con una arroganza sconfinata stanno tradendo il principio più importante e più nobile di un autentico spirito costituente, l’obbligo categorico, cioè, di lavorare insieme, nel rispetto di tutti, nell’interesse di tutti.

Non c’è cosa, credo, più irrealistica e più irresponsabile del ritenere che, con questi presupposti, una simile riforma possa davvero aiutare la crescita democratica della nostra Nazione, preparandoci un destino migliore …

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