L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.


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Kaleidoscope (1382)

Free Lance International Press

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January 15, 2018
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 Teheran

I toni sproporzionatamente aggressivi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti dell'Iran riproducono una dinamica piuttosto ricorrente, soprattutto nelle fasi di transizione e assestamento dell'assetto geopolitico mondiale: i governi alleati di oggi sono i peggiori nemici di domani.

 

La questione del controllo delle potenze straniere sull'Iran emerse per la prima volta alla fine del XIX secolo, durante il regno degli ultimi shah della dinastia turkmena dei Qajar (che guidò il paese dal 1786 al 1925), in concomitanza con due processi concomitanti. In primo luogo, le idee che animavano il dibattito politico-ideologico europeo sui sistemi di governo costituzionali e sulle funzioni del Parlamento penetrarono gradualmente tra gli intellettuali, tra i funzionari e soprattutto tra ulema (clero sciita) e mercanti. Un processo favorito, oltre che dall'aumento dei contatti diplomatici ed economici con l'Europa, anche dalle attività degli intellettuali iraniani in esilio a Costantinopoli e a Calcutta. Infatti, nella seconda metà del XIX secolo, laici, riformisti e religiosi crearono società segrete e, tra XIX e XX secolo, anche organizzazioni la cui struttura era ispirata ai soviet russi. In secondo luogo, negli ultimi decenni dell'800, dopo la sconfitta francese contro la Prussia, le potenze europee dirottarono le loro rivalità al di fuori del vecchio continente, trasformando i conflitti per l'egemonia sull'Europa in una corsa al colonialismo imperialista. In tale contesto l'Iran divenne teatro dello scontro tra Gran Bretagna e Impero russo zarista, che se ne contesero il controllo ostacolandone lo sviluppo e “dirigendo” i cambiamenti socio-politici, persino quelli che, come la rivoluzione costituzionale, avevano tra gli scopi principali l'indipendenza.

 

Britannici e russi furono i primi istituti bancari iraniani, di cui il primo fu la britannica Imperial Bank of Persia, fondata nel 1889, che inizialmente aveva anche il diritto di sfruttare le risorse minerarie. Di poco successiva fu la fondazione, su iniziativa russa, della Banque des Prêts, poi chiamata Banque d'Escompte de Perse. La creazione di queste banche fu al contempo il risultato e la causa del crescente indebitamento nei confronti delle potenze occidentali degli shah Qajar, che con il loro dispendioso apparato dissestarono le finanze e l'economia del paese, riducendolo a una condizione di semi-colonia. Ad esempio, la fondazione della Imperial Bank of Persia fu autorizzata dallo shah Naser al-Din per pagare parte della cauzione stabilita dall'accordo per la concessione al barone britannico Julius de Reuter del controllo di strade, telegrafi, stabilimenti industriali e dell'estrazione di minerali (1872). Accordo che lo shah aveva dovuto annullare su pressione della Russia e dei cortigiani filorussi. Inoltre, dal punto di vista politico, uno dei problemi principali dei Qajar era lo scarso controllo del paese, per la tendenza a governare più secondo il modello dei capi tribù che secondo i criteri di una monarchia moderna. Basti pensare che l'unico esercito moderno in Iran era la Brigata cosacca, corpo di guardia della dinastia regnante, fondato nel 1879 e comandato da ufficiali russi fino alla rivoluzione bolscevica del 1917.

 

Anche per questo qualsiasi riforma fiscale per risanare il bilancio era difficile da elaborare e da attuare. Pertanto, nel 1897 il primo ministro iraniano Amin a-Dauleh si rivolse a una squadra di consulenti belgi guidata da Joseph Naus. Il cambiamento, che riguardò soprattutto tasse e dazi doganali, aumentò le entrate fiscali della monarchia iraniana (il successo valse a Naus addirittura la nomina a ministro), ma accrebbe anche il malcontento dei mercanti (per il timore di un aumento delle tasse) e dei cortigiani (gelosi dei loro privilegi). In Iran non esisteva una borghesia, ma la classe mercantile (i cosiddetti bazarì) alla fine del XIX secolo, grazie all'incremento dei commerci aveva conquistato un notevole peso all'interno della società. Perciò l'ostilità dei mercanti nei confronti della dinastia regnante fu determinante sia nella protesta del tabacco del 1891, sia nella rivoluzione costituzionale del 1906. Un contributo decisivo al successo di questi moti venne poi dagli ulema, il cui rapporto di interdipendenza con la monarchia si incrinò tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Ciò è da imputarsi in buona parte ai tentativi degli ultimi sovrani Qajar di “intromettersi” in settori chiave del potere religioso, quali l'istruzione e i tribunali.

 

La situazione esplose quando nel 1890 Naser al-Din concesse al maggiore britannico Gerald F. Talbot il monopolio sulla produzione, la vendita e l'esportazione di tabacco per cinquant'anni, in cambio di 15 mila sterline l'anno più un quarto dei profitti. Un accordo che distrusse il mercato locale di un prodotto molto popolare, quindi non solo colpì i mercanti, ma ridusse in miseria una parte consistente dei ceti più vulnerabili, che traevano sostentamento dalla coltivazione e dalla lavorazione del tabacco. Consapevoli di ciò, le autorità iraniane tentarono di mantenere segreta la concessione, ma un giornale fondato dalla diaspora iraniana a Costantinopoli diffuse la notizia. Quando la protesta dilagò tra i mercanti partendo da Shiraz, la guida religiosa di questa città, esiliata in Iraq, entrò in contatto con religiosi e intellettuali di origine persiana e convinse il leader sciita di Najaf a emettere una fatwa che vietasse il consumo e la vendita di tabacco. A causa del boicottaggio sistematico che questo divieto innescò, lo shah annullò la concessione.

 

Russia e Gran Bretagna intervennero nuovamente quando, nel 1896, Naser al-Din fu ucciso: la Brigata cosacca prese il controllo di Tehran, mentre sul trono fu insediato il figlio di Naser a-Din, Muzaffar a-Din. Al malcontento generato dalle riforme fiscali si aggiunse quindi la crescente preoccupazione per l'ingerenza straniera. Con il parere contrario della Russia, nel 1901 il nuovo shah concluse un accordo con il miliardario britannico William Knox D'Arcy: la Gran Bretagna avrebbe avuto il controllo delle riserve petrolifere iraniane per 60 anni, in cambio di 20 mila sterline e del 16% dei profitti. Nel 1909 i diritti passarono alla neo-fondata Anglo-Persian Oil Company, che nel 1935 divenne Anglo-Iranian Oil Company. La stessa compagnia fu accusata di monopolizzare i proventi del petrolio tenendo segreti i guadagni effettivi, quindi nazionalizzata nel 1952 dal Parlamento iraniano su impulso, tra gli altri, di Mohammad Mossadegh, poi eletto Primo ministro. Ciò innescò la serie di avvenimenti culminata con il colpo di stato che lo depose nel 1953, fu ordito dall'intelligence statunitense: l'Operazione Ajax stroncò l'opposizione laica allo shah Mohammad Reza, le cui violazioni dei diritti umani allora non preoccupavano Stati Uniti e Gran Bretagna.

La convenzione D'Arcy dunque accese ulteriormente il dibattito politico iraniano: tra gli intellettuali riformisti, religiosi e laici, si fece strada l'idea che solo un regime costituzionale, con un Parlamento, avrebbe posto fine all'arbitrio della monarchia, quindi alla dipendenza dell'Iran dalle potenze straniere. Un'ingerenza che preoccupava anche gli ulema, consolidando la loro alleanza con i mercanti e gli artigiani di Tehran e con gli intellettuali riformisti. La rivoluzione costituzionale del 1906 rappresentò quindi un salto di qualità nei metodi rispetto al boicottaggio del tabacco: durante gli scontri con le autorità, molti ulema si rifugiarono nei santuari di Qom, mentre migliaia di mercanti e artigiani chiesero protezione alla delegazione britannica, tutti portando avanti forme di protesta pacifiche organizzate. Lo shah convocò un Parlamento (formato da mercanti, religiosi, funzionari e latifondisti) e ratificò una Costituzione che limitava i suoi poteri, ma morì poco più di un mese dopo. Temendo che l'instabilità politica ostacolasse i loro interessi, Russia e Gran Bretagna conclusero un accordo per spartirsi le zone di influenza in Iran (1907): alle autorità locali rimaneva praticamente solo il controllo della regione centrale. Così, quando nel 1908 lo shah Mohammad Ali, con il sostegno della Brigata cosacca, tentò il colpo di stato per restaurare la monarchia assoluta, Londra e San Pietroburgo (quest'ultima inizialmente schierata con lo shah) intervennero direttamente. Costituzione e Parlamento furono ripristinati e lo shah abdicò in favore del figlio Ahmad, ultimo sovrano della dinastia Qajar.

 

Alla Gran Bretagna, che non voleva perdere il suo primato economico (in vista del quale il controllo politico era un mezzo), si aggiunsero nel 1910 gli Stati Uniti, che dal secondo dopoguerra tentarono in tutti i modi di imporsi in Medio Oriente, quindi anche in Iran, in funzione anti-sovietica. Basti citare L'Iran-Contras affaire (1985-1986), in cui fu coinvolto anche l'allora presidente USA Ronald Reagan, oltre alla già menzionata operazione Ajax del 1953, con la quale Gran Bretagna e Stati Uniti deposero il Primo ministro Mossadegh, anche organizzando contro di lui manifestazioni di protesta. Il pretesto fu il referendum per lo scioglimento del Parlamento e l'obiettivo era ripristinare il potere “legittimo” dello shah Muhammad Reza, ma il colpo di stato contro Mossadegh fu in realtà una mossa per evitare che il suo governo, sotto l'embargo britannico, intavolasse trattative con l'Unione Sovietica per il commercio del petrolio. Il risultato fu il logoramento delle forze politiche laiche che si opponevano all'arbitrio dello shah e alla subordinazione degli interessi iraniani a quelli di potenze straniere. Lo shah fu poi rovesciato dalla rivoluzione islamica del 1979: shah mat, scacco matto, ossia “il re (shah) è morto”, ma nella logica di potenza, morto uno shah se ne fa sempre un altro.

 eryreFrammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

 

La Riflessione!

La prima notizia “sconvolgente”(sic!) del 2018 nel mondo del vino italiano è stata la nascita di una nuova associazione di sommelier. La “fecondazionefoto Assosommelier dell’idea” dai soliti spermatozoi smaniosi che solitamente coabitano in altre realtà. Il “parto” avvenuto dalla rottura con la FIS (Fondazione Italiana Sommelier) guidata dal giornalista Franco Maria Ricci. La sigla? Assosommelier. Si tratta della Delegazione Umbra della Fis che ha annunciato, per bocca di Davide Marotta, eletto presidente della neonata associazione, di operare sia nella formazione professionale (corsi e master) quanto nella divulgazione del vino attraverso degustazioni ed eventi. La riflessione immediata: ma le altre associazioni presenti sul territorio ( una trentina tra nazionali, regionali, provinciali, comunali, parrocchiali ecc…) cosa fanno?

 

Frammento n. 1

Per chi ama i cosiddetti Vini Naturali

VinNatur Genova 2018 724x1024Genova, Palazzo della Borsa in Piazza De Ferrari, domenica 21 e Lunedì 22 gennaio, appuntamento con i banchi di assaggio dei produttori di “vini naturali” organizzati da Vinnatur. “Siamo molto affezionati a Genova – ha affermato Angiolino Maule, presidente di Vinnatur nel presentare l’evento – dove abbiamo già organizzato due banchi negli anni scorsi. Qui vi è una ristorazione illuminata che ha compreso come produrre vini naturali possa essere un modo per valorizzare la cucina ligure.” Genova consacrata da Maule come “capitale d’Italia dei vini naturali”. 70 produttori a rappresentare le regioni italiane insieme ad “amici di comprovata fede” provenienti da Austria, Francia, Italia e Slovenia.

 

Frammento n. 2

Anteprima Amarone

Da sempre l’evento annuale veronese da il via alla kermesse delle presentazioni anteprime della nuova annata messa in commercio secondo quanto disposto dai singoli disciplinari di produzione. Per l’Amarone si tratterà della presentazione della vendemmia 2013. E poi se ricordiamo che quest’anno si celebra il compleanno dei 50 anni della costituzione DOC Amarone della Valpolicella, l’evento è uno di quelli da non perdere per gli appassionati. Le date: Sabato 3, Domenica 4 e Lunedì 5 febbraio al Palazzo della Gran Guardia di fronte all’Arena. I viticoltori aderenti al Consorzio che da anni gestisce questa manifestazione, operano su 8 mila ettari di vignamaroneeto per una produzione di circa 13 milioni di bottiglie ( circa il 60% destinate all’export) con un fatturato che supera i 330 milioni di euro. Cifre che supportano un lavoro che viene svolto nelle tre aree distinte della Volpolicella identificate dal Disciplinare di produzione: quella Classica, la Valpantena e la Doc Valpolicella.

 

Frammento n. 3

Decanter spara la sua TOP 10 su gli sparkling.

Gli esperti incaricati da Decanter (due!), la nota rivista inglese che si contrappone a quella americana Wine Spectator, hanno sparato i loro giudizi sui migliori spumanti (sparkling, bollicine, perlage ecc…) individuati nelle produzioni in commercio nel 2017 presi tra quelli con un costo inferiore a 55 sterline. Qualità/prezzo. Fuori quindi i pezzi da 90 (francesi soprattutto ma anche italiani come Giulio Ferrari e Annamaria Clementi) e scelta tra 173 spumanti provenienti da tutto il mondo. Come dire: “facciamo una graduatoria degli spumanti di un Dio minore”. Tutto questo è stato pubblicato prima delle feste natalizie. La riflessione:”vuoi vedere che è stata una mossa per indirizzare i consumatori verso il consumo di alcune etichette?” Come affermava Andreotti: a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina.d6b0d 10955658 637750649686999 1372253562787086920 n

Frammento n. 4

Il 2018 proclamato anno nazionale del Cibo Italiano

Iniziativa dei Ministri Franceschini e Martina. “Abbiamo un patrimonio unico al mondo – ha sottolineato il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina – caprese1 1che grazie all’anno del cibo potremo valorizzare ancor di più. Dopo la grande esperienza di Expo Milano (alzi la mano se qualcuno la ricorda) l’agroalimentare italiano torna ad essere protagonista in maniera diffusa in tutti i territori” E giù statistiche, successi economici, record d’export e facce sorridenti di agricoltori, allevatori, pescatori, cuochi e vignaioli tratti da Alice nel paese delle meraviglie. La riflessione inevitabile: “è iniziata la campagna elettorale”.

Osservo, scruto, assaggio e…penso.

Altra “spallata”alla Sanità : togliere l’intramoenia dagli ospedali ed affidarla alle cliniche più grandi. Ma non solo, si va verso la Sanità gratuita per gli immigrati , mentre gli italiani pagano ticket e superticket. Dunque ,dopo la chiusura della guardia medica notturna e l’accorpamento dei medici di base, che dovrebbero essere disponibili fino alla mezzanotte ( cosa che avviene in rarissimi casi, ed il ministero della Salute se ne guarda bene da effettuare controlli ), ecco l’ennesimo colpo di genio della ministra Lorenzin, a cui le Regioni dovrebbero adeguarsi, e sembra che già la regione Lazio abbia dato l’ok.

La chiusura dell’intramoenia negli ospedali sarebbe dovuta alla mancanza di disponibilità di camere, per cui si è pensato, guarda caso,di chiamare in causa le grandi cliniche, proprio per far spazio all’intramoenia. 

C’è da segnalare, inoltre, che non si costruiscono più ospedali e, bene che vada, si mette qualche pezza a quelli già esistenti.

Poi si rileva che i pronti soccorso sono ridotti al lumicino , quanto a personale e posti letto.

E così i pazienti rimangono a lungo sulle barelle della Croce Rossa, a sedere, od addirittura sdraiati per terra.

Basti pensare che al S. Spirito di Roma, a due passi dal Vaticano, grazie ai tagli, al pronto soccorso operano quattro medici ed un radiologo, mentre l’otorinolaringoiatra è presente in ospedale solo due ore,dalle 8,30 alle 10,30, per poi proseguire in altre strutture sanitarie.

Ed anche al fate Bene Fratelli, le cose non vanno meglio. Manca l’otorinolaringoiatra, ma all’occorrenza, se necessita c’è una lista di specialisti da chiamare per trovarne uno disponibile.

Dunque, la Sanità pubblica è “alla frutta”, eccettuate alcune eccellenze, soprattutto private, come il Gemelli ed il Bambin Gesù.

Certo è che i medici ospedalieri, oltre che insufficienti sono anche mal pagati. Si pensi che uno specialista con un’esperienza trentennale percepisce 3.200 euro al mese, spesso con sovraccarichi di lavoro.

Di contro, se la prendono comoda i medici di base, che percepiscono, per chi sfiora i 1500 pazienti, oltre 10.000 euro al mese. Una follia per ciò che fanno, meglio, per ciò che non fanno, senza alcuna responsabilità, e con orari esterni che nessuno controlla. Nella sostanza, il medico di base prescrive lo specialista e le ricette, a partire da aspirina e tachipirina come soluzione di ogni male.

Capita così di avere un dolore al fegato e dal cilindro magico esce la prescrizione di un’aspirina. Oppure si dice che il naso sanguina copiosamente da alcuni giorni, e si prescrive l’otorinolaringoiatra, quando invece si tratta di una piccola rottura all’aorta nasale, dovuta all’alta pressione. Ma di misurarla, anche su richiesta del paziente, non se ne parla.

Infine, orari di studio sempre più risicati e su appuntamento, perché il resto del tempo serve per effettuare le visite a casa. Di chi? Non esiste un elenco di chi si è andato a visitare, così anche in caso di un eventuale controllo, non si sa dove il medico si è recato.

Conclusione: la Lorenzin prima se ne va e meglio è per tutti.

Il Qatar a caccia di ospedali italiani di eccellenza. Ora nel mirino anche il Gemelli di Roma, dopo l’acquisto dell’ospedale sardo Mater Olbia ( 1,2 miliardi).

Perché un ospedale di eccellenza, oltre che render bene da anche la possibilità di poter effettuare scambi con altri principali ospedali esteri e centri di ricerca collegati. Tant’è che per lo sviluppo dell’ospedale di Olbia, i primi 100 assunti dovranno parlare correttamente due lingue.

E la Sanità italiana è piena di eccellenze, come è anche piena di imboscati e nulla facenti, come troppo spesso accade per i medici di base, lavativi, senza responsabilità, e senza controlli, pur toccando cifre da capogiro, tra stipendio ed indennizzi vari ( anche oltre 10 mila euro al mese).

Fatto è che la ministra Lorenzin, ha tagliato drasticamente nel settore della Sanità, ad iniziare dai posti letto e medici specialisti, per cui il pronto soccorso è al collasso. Capita sempre più spesso, a partire da Roma, che non ci siano posti dove ospitare i malati, ne medici sufficienti per curarli.

Infine non si programmano né si costruiscono nuove strutture ospedaliere, per cui si assiste anche allo scandalo dell’ex Forlanini ( attaccato al S. Camillo) che invece di essere ricostruito lo si lascia nel degrado più totale, come dormitorio per i senza fissa dimora oltre che per cani e gatti abbandonati.

Ed a forza di tagli del personale sanitario, capita che al S. Spirito di Roma, se un ricoverato ha problemi con naso, orecchie o gola, non può essere visitato, perché l’otoringoiatra non c’è. E’ presente solo due ora la mattina dalle 8 alle 10, poi si fa il giro di altre strutture sanitarie. Come anche al Fate Bene Fratelli, dove lo specialista in questione non esiste, ma sull’urgenza c’è sempre qualcuno che viene. Questo “parto” scriteriato per far ammalare definitivamente la Sanità pubblica, oltre alla Lorenzin, porta anche la firma di Zingaretti. E così, per esempio, le strutture dei pronto soccorso gravano tutte su medici insufficienti all’accoglienza. E per dare l’idea di che cosa stiamo parlando, al S. Spirito i medici addetti al pronto soccorso sono in tutto cinque, con una media di 120 pazienti al giorno. Di questo passo si potrebbe andare avanti nella descrizione dei misfatti della Sanità pubblica, che così viene diretta tra le braccia di quella privata.

January 04, 2018
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  Isabel Russinova - foto Sergio Battista.

«Uomo, sei capace d’essere giusto? È una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi: chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere”: Isabel Russinova porta in scena Olympe de Gouges.

Si chiamava Marie Gouze, ma decise del proprio destino e del proprio nome che cambiò in Olympe de Gouges. Un’eroina dimenticata condannata per aver difeso libertà e donne.

L’ultima frase pronunciata, prima di essere ghigliottinata, da Olympe de Gouges fu: “Le donne avranno pur diritto di salire alla tribuna, se hanno quello di salire al patibolo”.

E’ lei la protagonista dell’ultima fatica teatrale di Isabel Russinova, che in quest’occasione è sia protagonista che autrice. La Russinova infatti le ha dedicato un testo: “La viaggiatrice con le ali”, andato in scena in prima nazionale al teatro Flaiano di Roma, che sarà ripreso in tournèe nelle maggiori città italiane.

Nata nel 1748, nella città di Montauban, nel sud ovest della Francia, Olympe de Gouges fu ritenuta colpevole di aver criticato la deriva illiberale che aveva assunto la Rivoluzione Francese degenerata in terrore, e di essersi battuta per i diritti delle donne e di tutti coloro che avevano subito ingiustizie. Una vera e propria martire del libero pensiero.

In vita fu autrice raffinata di testi teatrali, sempre combattiva contro i pregiudizi e la censura della libertà di pensiero, osò proporre alla Francia di scegliere fra tre forme di Governo: Repubblicano, Federale e Monarchico. Per questi motivi fu condannata a morte.

Isabel Russinova le ha dedicato: “La viaggiatrice con le ali”, andato in scena con successo al Teatro Flaiano a Roma. “Quando entri nella storia della sua vita – afferma l’autrice - quando leggi i suoi testi, i suoi documenti, percepisci il battito del suo cuore, un cuore di donna moderna, coraggiosa, volitiva, sensibile e sensuale, senti l’urgenza di raccontarla, di far rivivere la sua energia che è ancora presente, pronta per essere ascoltata e offerta alle nuove generazioni e alle donne del nostro tempo”. Non è la prima volta che la Russinova, da sempre sensibile a tematiche sociali e culturali legate alle problematiche dei diritti umani – tra l’altro è testimonial ufficiale di Amnesty International Italia – propone sulla scena personaggi del genere riconducibili alla storia, ma anche alla contemporaneità. Non è casuale la scelta di voler parlare di Olympe: la sua originalità, la sua indipendenza di spirito, i suoi scritti audaci e la sua onestà intellettuale ne hanno fatto una delle più belle e interessanti figure umaniste della fine del Settecento.

Nel corso della sua vita Olympe firmò 29 romanzi e scritti vari, 71 pièce teatrali, 70 fra libelli rivoluzionari e articoli. È ricordata principalmente come autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791) in relazione alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1789), che scrisse affinché venisse approvata dall’assemblea costituente.
Olympe si dedicò strenuamente al tema dei diritti e della libertà individuale: al riconoscimento dei diritti delle donne, ma anche dei neri, degli orfani, degli anziani, dei disoccupati, dei poveri. Si proclamò a favore della democrazia rappresentativa, respinse il dispotismo e le torture. La sua spiccata vena pubblicistica e comunicativa era congeniale al tempo della Rivoluzione, e carica di novità. Ciò non impedì che nel 1793 venisse ghigliottinata.

Madame de Gouges avrebbe desiderato che la rivoluzione fosse fatta senza spargimenti di sangue, dopo il 25 agosto 1792 scrisse La fierté de l’innocence, ou le silence du véritable patriotisme, in cui si pose come avversaria della ghigliottina. Nell’ottobre 1792 attaccò il manifesto intitolato Pronostic sur Maximilien Robespierre, par un animal amphibie. Per lei egli era “un obbrobrio”, lo considerò distruttivo, vampiresco, lo esortò a «fuggire il grande giorno, che non era fatto per lui». Ma nonostante la grande partecipazione femminile alla rivoluzione, nell’aprile 1793 la convenzione dichiara che le donne non hanno lo statuto di cittadine.
Nel giugno 1793, presagendo il peggio, Olympe rende pubblico il suo Testament politique, fa affiggere il manifesto Le trois urnes ou le salut de la Patrie par un voyageur aérien nel quale propone un referendum popolare per scegliere una forma di governo tra quella repubblicana, federativa e monarchica. Questo scatena le accuse del Tribunale rivoluzionario. La sua casa viene perquisita e sparsi i suoi scritti. Al processo dirà: «Sono donna, temo la morte, ho paura del vostro supplizio, ma non ho confessioni da fare, dall’amore per mio figlio trarrò il mio coraggio».
Nel 1793 vengono ghigliottinati 21 girondini e Maria Antonietta. Olympe viene privata di avvocato, afferma di essere incinta, ma non le si crede. Il Tribunale la ritiene colpevole di aver attentato alla sovranità del popolo. In prigione scrisse al figlio: «Muoio mio caro figlio, vittima della mia idolatria per la Patria e per il popolo…muoio innocente» (il figlio non ricevette la lettera che fu confiscata da Fouquier-Tinville). Il 3 novembre 1793 fu ghigliottinata.

La viaggiatrice con le ali è un racconto per il teatro e un viaggio nell’anima. Intensa e toccante l’interpretazione che la Russinova dà a questa eroina, coadiuvata dalla regia attenta di Rodolfo Martinelli Carraresi. Il testo sarà pubblicato quest’anno, in occasione dell’anniversario della nascita di Olympe, dalla Curcio Editore.

Lo spettacolo è stato presentato in anteprima all’interno della rassegna Quartieri Contemporanei e in prima assoluta lo scorso Dicembre a Roma, al Teatro Flaiano, nell’ambito della rassegna dedicata ai diritti umani, T.E.H.R., patrocinata da Amnesty International Italia e dall’Università Roma Tre. Continuerà il suo percorso nei maggiori teatri nazionali ed internazionali, anche come movie theatre, pubblicato da DNA home video.

January 04, 2018
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 Aleksey Navalny

Novità elettorale natalizia in Russia, protagonista Babbo Natale. Il partito ''Russia Unita'' ha pubblicato un video dove una bambina chiede a Babbo Natale di far vincere le elezioni a Vladimir Putin, ciò mentre proprio la Commissione elettorale centrale del Cremlino aveva accusato Aleksey Navalny, oppositore di Putin, di usare bambini per i suoi scopi elettorali.

Nel video la bambina chiede a BABBO NATALE di far diventare presidente Vladimir Putin, la scena si svolge proprio mentre scorrono immagini di Putin che parla in televisione, e promette che se verrà esaudito questo suo desiderio non chiederà altro a Babbo Natale e questi gli risponde che ha già ricevuto molte richieste del genere.

Come accennato in precedenza le autorità avevano accusato Alexei Navalny di usare e ingannare i giovani. Motivo di tali accuse le proteste del 26 marzo e del 12 giugno scorso nelle quali migliaia di

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 VIDEO

giovani sono scesi in piazza. In seguito a ciò il Consiglio della Federazione Russa ha presentato una proposta di legge per impedire ai minori di partecipare a manifestazioni non autorizzate.

E’ iniziata la campagna elettorale in vista delle elezioni del 18 marzo 2018 e Vladimir Putin non avrà rivali, vari sondaggi lo danno al 55-63% di consenso, cosa che gli permetterebbe di rimanere alla guida del paese fino al 2024.

In questi ultimi tempi il principale oppositore di Putin e' stato Alexey Navalny , fondatore del Partito del Progresso, protagonista di molte manifestazioni nel paese e, proprio a causa di queste manifestazioni non autorizzate e alcune vicende finanziarie, è' stato condannato per due volte, ciò che gli ha precluso il permesso ad essere candidato. In seguito a ciò ha tentato di raccogliere le 300.000 firme richieste per la candidatura, ma è stato nuovamente arrestato e la sua esclusione dalle elezioni e' stata confermata definitivamente dalla Corte Suprema.

Gli altri partiti per queste elezioni sono il Partito Comunista di Gennadij Zyuganov. Sfiorò la vittoria nel 1996 contro Boris Yeltsin, ma nelle successive elezioni sono arrivate solo sconfitte. Negli ultimi tempi si sta cercando di ringiovanirne la classe dirigente. Per il momento il candidato che dovrà essere il premier è ancora in lista di attesa.

Il partito liberale che punterà ancora su Vladimir Zhirinovsky, i socialdemocratici avranno come leader Sergey Mironov, i verdi Anatoly Batashev, i comunisti di Russia Maxim Suraikin e il partito di centro sinistra Yabloko, Grigory Yavlinsky. C'e' anche un partito monarchico a memoria dell'impero russo e sarà guidato da Anton Bakov.

Altri nomi in odore di candidatura sono il vice primo ministro Dmitry Rogozin, la giornalista Irina Prokhorova, l'attore Ivan Okhlobystin e un volto televisivo, Ksenia Sobchak.

January 04, 2018
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 Putin con il card. Parolin

In questi ultimi tempi molti media parlano di un possibile viaggio di papa Francesco a Mosca, sembra che il Vaticano stia preparando questa ipotesi. Ultimamente tra Vaticano e Putin esiste una nuova politica, soprattutto per quanto riguarda quella estera, e nel messaggio di fine anno di auguri ai leader mondiali Putin ha sottolineato nella missiva indirizzata alla Santa Sede: “che la speranza del dialogo costruttivo per proteggere la pace e i valori umani tra Russia e Vaticano continui ”.

Le visite di Putin in Vaticano, le telefonate con Papa Francesco, hanno creato relazioni di fiducia, ha dichiarato Alexander Avdeev l'ambasciatore russo presso il Vaticano e prelude ad una visita del pontefice in Russia.

Naturalmente sarà interessante anche l'incontro con il Patriarca Kirill, già incontrato il 12 febbraio nel 2016 a Cuba e quella data fu già di per se un evento storico: la chiesa d'occidente e quella d'oriente si divisero nel grande scisma del 1054.

Nel 2017 ci sono stati degli avvenimenti importanti per le relazioni tra Vaticano e Russia e ciò rende sempre più probabile il viaggio di Papa Francesco a

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 Reliquia di San Nicola Bari

Mosca.   Nel maggio scorso, dopo 930 anni, la reliquia di San Nicola dalla Cattedrale di Bari ha raggiunto la capitale russa e in agosto c’è stata la visita del Cardinale Pietro Parolin che ha incontrato il Patriarca Kirill e Putin.

Tutto ciò fa pensare che il 2018 sarà l'anno di Papa Francesco e Putin, oppure sarà un anno che rimarrà nelle date della storia, e cioè del riavvicinamento tra chiesa cristiana e chiesa ortodossa ....staremo a vedere

January 04, 2018

Armi Italia 720x480Dovremmo smetterla di aiutare i paesi del Terzo Mondo, quelli in via di sviluppo, smettere di ”aiutarli a casa loro”, per lo meno non con il modo spesso portato avanti finora.

Smetterla di approntare “missioni di pace”, avvallate dall’ONU, supportate dai caschi blu, far passare convogli di aiuti umanitari e a seguire tonnellate di bombe, cibo in scatola e milioni di mine antiuomo, supporto logistico e fiumi di armi.

Dovremmo smetterla di indignarci, quando scopriamo che il nostro Ministero della Difesa, allora presieduto dalla signora Pinotti, non andava propriamente a intrattenere “relazioni diplomatiche” con l’Arabia Saudita. Improvvisamente svegliarci un mattino e candidi come un fiocco di neve esclamare indignati…”Oh ma che schifo in Yemen! Bombe italiane che hanno ucciso bambini”

Smetterla, perché la stessa identica cosa avviene da anni in Palestina con le forniture Beretta, Melara, Finmeccanica ecc.

Smetterla di sorprenderci se con quelle stesse armi, in Palestina, qualcuno sparerà alle ginocchia dei bimbi, così da renderli infermi, oppure farà fuoco mirando ai genitali degli uomini, affinché non si possano riprodurre, o ancora piangere quando nei raid israeliani sui campi profughi i civili vengono uccisi con i Mangusta di produzione tutta italiana.

Smetterla di far finta di non sapere che l’Italia da anni è il maggiore esportatore dell’Unione Europea di sistemi militari e di armi leggere dirette verso Israele, con medie di 500 milioni di euro l’anno per esportazione di sistemi militari (dati del Rapporto UE).

Smetterla di dirci “italiani brava gente”, quando da tempo siamo nella “top ten” mondiale dei paesi che esportano più armi. Vicini ai 15 miliardi di forniture d’armi nel 2016, un fatturato raddoppiato dal 2015, e quadruplicato dal 2014, dove oltre il 60% delle nostre armi sappiamo bene finirà in paesi fuori dall’Unione Europea e dalla NATO, paesi coinvolti in guerre, in stermini di massa, in omicidi di Stato.

Smetterla di lavarci la coscienza scrivendo “Verità per Giulio Regeni”, quando siamo legati da anni all’Egitto con tutti i tipi di forniture commerciali, quella di armi in primis fra tutte.

Smetterla di piangere mano sul petto e posa solenne i nostri militari morti all’estero, quando poi in Iraq a Baghdad e a Nassiriya, i terroristi sparavano contro i nostri carabinieri con delle armi Beretta.

Magari stupirci se scopriremo un giorno che, nella “missione umanitaria” italiana in Niger, oltre alla lotta al traffico di esseri umani e al terrorismo internazionale, indisturbato qualcuno con le armi faceva affari.

Sì, per compassione, se non per coerenza, bisognerebbe smetterla una buona volta, dal momento in cui la stessa identica cosa avveniva in Bosnia e in tutta la Ex-Jugoslavia, già 25 anni fa, nell’estate del 1993: da una parte migliaia di volontari civili venuti da tutto il mondo, in marcia verso Sarajevo e Mostar, tentando di riallacciare il dialogo fra le popolazioni, istituire una tregua, porre fine alla guerra, mentre dall’altra i governi europei, la NATO e l’ONU realizzavano e proteggevano a suon di bombe sganciate dal cielo, “corridoi umanitari” non tanto per garantire una via di fuga alle migliaia di profughi e disperati, bensì il passaggio delle merci, di tutti i tipi di merci, specie quelle con cui si alimentano le guerre. Era il 7 di agosto del 1993,  sulla strada che va a Sarajevo, col sottofondo di cicale in amore, quando la radio gracchiò: di qua c’eravamo noi volontari civili, a migliaia in ascolto, dal cui  passaggio nasceva una miracolosa quanto fragile tregua, dall’altra parte della nostra radio da campo, Umberto Playa, Responsabile Unità di Crisi del Ministero degli Esteri, concitato ci avvisava, su delega Farnesina, di fermarci,  che dovevamo arrestare subito la marcia di pace, che di ora in ora il nostro proseguire diventava sempre più pericoloso. A seguire, l’allora Ministro degli Esteri, ci informò che la Nato il giorno dopo e quello ancora  successivo avrebbe effettuato un “bombardamento dimostrativo” poco più avanti, proprio lungo la strada che ci avrebbe condotto a Sarajevo e difatti il “bombardamento amico” poco più avanti,il giorno seguente avvenne.

Fu così, che l’allora marcia della pace “Mir Sada”, con la fragile tregua al suo passaggio, si arrestò.

Quel giorno fummo in molti a perdere come un senso di verginità interiore, un candore che ci faceva sentire “buoni” e a capire che eravamo noi occidentali, con le nostre bombe e le nostre armi, i “cattivi” . Fummo allora ingenui testimoni di eventi di guerra e del traffico d’armi e vite umane, lo stesso che ha poi contraddistinto tutti gli anni a seguire, fino ad oggi.

Anche Padre Albino Bizzotto, fra i promotori della marcia, gridò allora di smetterla.   In quel giorno caldo e riarso dal sole, in un campo, Albino prese coraggio e voce, e con l’amaro in bocca e lo sguardo abbassato disse: “Le condizioni in questo momento non ci permettono oggettivamente di passare senza il sacrificio sicuro di qualcuno di noi. E’ arrivato il momento, non soltanto di chiedere aiuto, ma di chiedere con determinazione, di pretendere, dai nostri governi e dalla Comunità Internazionale, di assumere la responsabilità perché siano garantiti i nostri diritti umani elementari. Noi non accettiamo, che vengano difese le merci, che possano passare le merci, e invece le persone portatrici di pace non abbiano la possibilità e il diritto di passare.”

Ancora prima di Albino in questi stessi giorni nel dicembre di 34 anni fa, ci fu un giornalista che ci diceva di smetterla di pensare che la Mafia fosse un problema del Sud, uno di quei giornalisti veri, che il proprio lavoro lo faceva bene, con passione e fino in fondo.

Un giornalista siciliano, che autofinanziato con fondi propri aveva realizzato un giornale indipendente, “I siciliani”, dove era apparsa un’inchiesta scottante. Aveva fatto nomi e cognomi degli allora esecutori mafiosi, collegandoli poi ai mandanti, alle teste pensanti di uno Stato di mafia, insediati ormai da anni fra le più alte cariche del paese Italia e non solo.

Non possiamo ora stupirci, quando di fronte a Enzo Biagi, nella sua ultima intervista, oltre 30 anni fa, un giornalista indipendente, già ci ammonì:   “Mi rendo conto che c’è un’enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante; i mafiosi non sono quelli che ammazzano, quelli sono solo gli esecutori.” […]  “I mafiosi sono quelli che stanno ai livelli più alti e incensurati. Un’organizzazione che riesce a manovrare 100.000 miliardi l’anno (delle allora lire) più del bilancio annuale dello Stato Italiano, è in condizione di armare degli eserciti, è in grado di possedere delle flotte, di avere un esercito proprio, e di fatti sta accadendo che la mafia si sia pressoché impadronita almeno in Medio Oriente del commercio delle armi, del mercato delle armi. Diciamo che di questi centomila miliardi di giro, un terzo circa resta in Italia e allora bisogna pure impiegarlo in qualche modo… bisogna riciclarlo, ripulirlo, reinvestirlo e allora, ecco le banche, le nuove banche, questo pullulare, questo proliferare di banche nuove ovunque, servono apposta per riciclare.  Il Generale Dalla Chiesa lo aveva capito, Dalla Chiesa aveva avuto questa grande intuizione, quella che lo portò alla morte; intuì che era dentro le banche che bisognava frugare, che lì c’erano decine di migliaia di miliardi insanguinati, che venivano immessi dentro le banche e che ne uscivano per andare verso opere pubbliche.  La mafia non è più un problema siciliano e nemmeno italiano, ma europeo.”

Quel giornalista si chiamava Giuseppe Fava,  pochi giorni dopo aver rilasciato l’intervista, il 5 gennaio del 1984, pagò con la vita proprio perché fece bene il suo lavoro.

Siamo arrivati al 2018. Forse sarebbe l’ora di smetterla con le armi.

 

Per gentile concessione dell'agenzia di Stampa Pressenza

 

“Non possiamo avere due cuori, uno per gli animali e un altro per l’uomo; tra la crudeltà verso l’uno o l’altro non c’è nessuna differenza, tranneper la vittima”

(Lamartine, poeta e uomo politico francese,1790-1869)

Quando l’amore è vero non è mai selettivo, esclusivo, mai limitato, mai unidirezionale: si manifesta senza limiti e senza distinzione di specie, di razza, di genere. Solo ciò che è universale è autentico. E’  in errore chi dice di amare gli umani, di nutrire premure, rispetto, attenzioni ma non è capace di estendere tale sentimento agli animali, soprattutto se a causa delle sue scelte alimentari o per altri  deprecabili scopi li condanna a sofferenze e a morte. Anche la vera compassione non è mai di parte, mai circoscritta: si manifesta sfericamente, ed è questo ciò che caratterizza l’etica universale della  cultura vegan. Allo stesso modo il senso di giustizia: se è autentico non si manifesta solo in alcuni casi.

Se un uomo rifiuta di causare violenza agli animali non può causarla ai suoi simili. Se condivide la sofferenza di un animale sarà sensibile alla sofferenza delle persone. E se da valore alla vita dell’animale  darà sicuramente valore alla vita degli uomini.

Tutte le grandi tragedie umane nascono dalla tendenza a separare se stessi  dagli altri, dal vedere il “diverso” un possibile nemico, dall’essere indifferenti verso gli effetti prodotti dalle nostre azioni. Ma  un uomo buono, giusto e compassionevole non è mai capace di azioni delittuose. Avere un animo buono è come possedere una buona vita che consente di percepire con uguale nitidezza tutte le cose;  ma il miope, presbite o ipermetrope percepisce con chiarezza solo una parte della realtà vivente.

Quando vi sarà la volontà politica, sociale, morale e religiosa di favorire lo sviluppo nell’animo umano i valori fondamentali della vita allora e solo allora vi sarà un mondo migliore.

Sotto le note di ''5 Minuti'' , colonna sonora di uno dei piu' famosi film sovietici ''Notte di Capodanno'', Free Lance International Press da Mosca, vi augura un felice anno nuovo con le bellissime immagini di festa sulla Piazza Rossa...un buon 2018 !

Lyudmila Gurchenko fu l'attrice nel ruolo principale di questo film e la pellicola fu diretta da uno piu' famosi registi sovietici, Eldar Ryazanov. La canzone fu cantata dalla stessa Gurchenko e da come si puo' intuire il titolo e' basato sull'idea che mancano solo cinque minuti all'anno nuovo, questa canzone divento' un vero inno natalizio.

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